Seconda parte

 

Gruppo giuridico

Giornata di Studi su 
Carcere e Immigrazione

Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001

Carmelo Cantone (direttore della Casa di Reclusione di Padova)

 

Diamo atto al Consolato del Marocco che è quello più pronto a rispondere, per quanto riguarda l’accertamento delle utenze telefoniche, cosa che non si riscontra con altri consolati, che nemmeno con le cannonate rispondono. Loro, anche con lettera ordinaria, rispondono, altri ci dicono che avremo una risposta solo se facciamo le richieste via fax, ma per lettera ordinaria non hanno autorizzazione a rispondere, nemmeno se la risposta è negativa.

 

Un detenuto albanese

 

Mi trovo in Italia da 10 anni, regolarmente, con il permesso di soggiorno per lavoro: dal 1997 sono in carcere ed il mio permesso di soggiorno scadrà nel maggio del 2001, dunque vorrei sapere se posso rinnovarlo, e come, essendo in carcere.

 

Marco Paggi (Avvocato e rappresentante dell’A.S.G.I. - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione)

 

Chiedo scusa, io farei una proposta: visto che il problema del rinnovo del permesso di soggiorno è venuto fuori da diverse domande ed è arrivata la dottoressa Marinelli e non sappiamo per quanto tempo si potrà trattenere, direi che possiamo unire l’utile al dilettevole e passare direttamente la parola a lei su questo punto.

 

Paola Marinelli (Dirigente l’Ufficio Stranieri della Questura di Padova)

 

Il problema del rinnovo del permesso di soggiorno non è regolamentato in modo chiaro perché, come stamattina accennava l’avvocato Paggi, il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di giustizia, in quanto collegato alla situazione carceraria, sarebbe inquadrabile nei motivi di giustizia in senso ampio, non è proprio regolamentato dalla legge, in quanto il Testo Unico, che regolamenta il soggiorno degli stranieri, ne fa un riferimento generico, rimandando al Regolamento di attuazione la possibilità di regolamentarlo nel dettaglio, però nulla dice sulla regolamentazione per questo permesso di soggiorno. Poiché il problema esiste, si cerca di inquadrarlo in principi più generali, anche se non riconducibili a norme precisamente previste in materia. 

 

La distinzione che bisogna fare inizialmente è quella del detenuto che prima del periodo di detenzione era stato titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro (perché il permesso di soggiorno breve è poi destinato a non essere rinnovato per la sua stessa essenza) ed il detenuto che non era titolare del permesso di nessun tipo di soggiorno: sono due situazioni molto diverse, che hanno sbocchi molto diversi.

 

Dunque, per partire dalla seconda, dell’irregolare che entra in carcere e poi esce, di nuovo da irregolare, mi pare che questa mattina siano emersi degli spunti di studio e degli obiettivi, che si propone questo seminario. Poi dovremo ampliarli, con proposte atte a far sì che non vi sia una frattura così netta tra la vita in carcere e, quando questa ha termine, la vita libera. Oggi la situazione degli stranieri è tale da provocare loro un impatto, mentre dovrebbe essere l’inverso: quando dal carcere passano alla vita libera dovrebbero passare ad una cosa migliore. 

 

Invece è l’inverso, infatti il detenuto straniero, dopo un percorso tutto sommato di riabilitazione e di fuoriuscita dall’illegalità, con la possibilità di lavorare fuori dal carcere (il lavoro è lo strumento che maggiormente tende a integrare lo straniero nel tessuto sociale), una volta uscito dal carcere, stante alla legislazione così come è ora, ritorna nell’illegalità. Dunque, la norma più naturalmente applicabile, è quella dell’espulsione. è chiaro che, nonostante la legge preveda solamente questa possibilità, è chiaro che gli sforzi sono massimi per tentare invece di individuare un’altra strada, in attesa che vi sia una previsione più favorevole.

 

In tal senso si cerca di seguire con attenzione alcune situazioni, e qualche caso si è risolto. Per esempio, quando un detenuto esce dal carcere dopo aver svolto un periodo di lavoro, se è fortunato e viene rimesso in libertà quando c’è l’apertura delle quote e c’è ancora disponibilità rispetto alle quote che vengono stanziate ogni anno, contattata la ditta, a volte anche noi come Questura, o magari come operatori del carcere che seguono il detenuto in questa primo periodo di remissione in libertà, si è arrivati in taluni casi a far sì che la ditta che ha assunto lo straniero, però come episodio legato dall’affidamento ai servizi sociali e quindi dalla possibilità di lavorare, faccia la chiamata nominativa dall’estero (quella prevista dall’articolo 22 del Testo Unico, parlo per gli addetti ai lavori). Attraverso la procedura della chiamata nominativa in taluni casi siamo riusciti a far avere al detenuto, senza passare attraverso l’espulsione, la possibilità di ottenere un visto d’ingresso in Italia per motivi di lavoro. Un percorso che comporta necessariamente che lo straniero ritorni nel proprio paese d’origine e che segua questa trafila, ma seppur il percorso sia farraginoso alla fine è appagante, perché si arriva alla regolarizzazione, quindi alla titolarità d’un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. 

 

Al di fuori di questa ipotesi, attualmente grosse alternative non ce ne sono; è chiaro che è auspicabile che ne vengano. Mi veniva in mente ad esempio la richiesta, nell’ambito delle quote, della programmazione annuale dei flussi, di prevedere una aliquota da destinare a quegli ex detenuti che, durante il percorso carcerario, abbiano evidenziato per la particolare condotta (che poi dovrà essere attestata a vari livelli, dal direttore del carcere o dal Magistrato di Sorveglianza) effettive e concrete garanzie di volontà di reinserimento.

 

Annamaria Alborghetti (Avvocato Specializzato in Diritto Penitenziario)

Senza rientro.

 

Paola Marinelli (Responsabile Ufficio Immigrazione Questura di Padova)

 

Senza rientro sarebbe l’ideale. Certo è che, volendo far rientrare questo discorso nella politica programmatica dei flussi annuali, anche prevedendo un rientro, tutto sommato avere delle corsie preferenziali, delle quote riservate, sarebbe comunque molto, in paragone a quello che c’è adesso. Laddove chi è fortunato e gli capita di essere scarcerato negli unici due o tre mesi in cui le domande avanzate per l’art. 22 trovano una risposta,  tutti gli altri sono tagliati fuori, perciò sarebbe un grosso risultato avere queste quote riservate, sempre poi subordinate ad una richiesta della ditta ed alla fornitura di tutta la documentazione che attesti la validità del percorso carcerario e quindi la possibilità di reinserimento, già dimostrata dal detenuto nel periodo di detenzione. 

 

Se non ho risposto immediatamente alla domanda, prendendola alla larga, è stato perché si tratta di un grossissimo problema, anzi direi che è il problema che riguarda la gran parte delle persone che sono in carcere. Io credo che una minima percentuale, tra i detenuti che svolgono attività di lavoro fuori dal carcere, o comunque metà e meta, non abbiano avuto il permesso di soggiorno prima di entrare. O, forse, sono anche la maggioranza. Quindi, l’ipotesi che abbiamo appena preso in considerazione è, tutto sommato, l’ipotesi più frequente: colui che entra in carcere da irregolare, che in carcere non può regolarizzarsi, ma che in qualche modo si avvicina a un percorso di regolarizzazione. Quindi, forse, il carcere è il primo vero impatto che ha con le istituzioni dello Stato, con tutte le opportunità che questa mattina sono state accennate, scolastiche e lavorative, etc..

 

Ed una volta che esce ricade nell’irregolarità. Vorrei soffermarmi sulla possibilità di dare un permesso di soggiorno per motivi di giustizia a coloro che sono affidati in prova ai servizi sociali e che possono svolgere un’attività lavorativa esterna perché, in questo caso, il permesso di soggiorno per motivi di giustizia è escluso, nel senso che l’autorizzazione al lavoro è data con una procedura speciale dalla Direzione Provinciale del Lavoro senza che sia necessaria l’esibizione del permesso di lavoro. Si tratta di una autorizzazione data in relazione ad una ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, che dispone appunto la possibilità di lavorare all’esterno. Dopodiché basta che lo straniero abbia l’Ordinanza del Magistrato di Sorveglianza ed il libretto di lavoro che comunque gli viene dato e non è previsto che venga munito anche di permesso di soggiorno per motivi di giustizia ma, se anche questo permesso di soggiorno per motivi di giustizia gli venisse dato, una volta terminato il suo percorso carcerario non avrebbe la possibilità di essere rinnovato una volta finito il percorso carcerario, perché è chiaro che la possibilità di lavoro è per legge legata allo svolgimento del lavoro fuori dal carcere, anche quando la situazione carceraria è finita. 

 

Nell’altra ipotesi, quella in cui lo straniero entra in carcere con il permesso di soggiorno e poi gli scade durante la permanenza in carcere, l’interrogativo è: devo io, detenuto, chiedere il rinnovo di questo permesso di soggiorno, o non lo devo richiedere? Però si tratta di una domanda che non ha ancora avuto una risposta univoca da parte del Ministero dell’Interno, perché l’ipotesi non è contemplata dalla legge. A questo proposito va rilevata una cosa: la precedente legge, cioè la legge Martelli, prevedeva un meccanismo per cui il detenuto doveva richiedere il permesso di soggiorno attraverso il direttore del carcere.

 

C’era quindi una norma espressa dalla quale si arguiva che il detenuto era in qualche modo obbligato a inoltrare la richiesta, se voleva mantenere la titolarità del soggiorno. Ora questa norma è completamente sparita, al suo posto c’è l’articolo 10 comma 4 del Regolamento, che fa un riferimento generico alle convivenze, per cui per i soggiorni da trascorrersi presso convivenze civili, religiose, ospedali o altri luoghi di cura, si può chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno attraverso il direttore della convivenza. Però, da una lettura di questo articolo, appare immediato come, essendo sparita quella norma della legge Martelli che parlava di carcere e di direttore dell’istituto carcerario, questa normativa non si riferisca al carcere, ma piuttosto a quelle convivenze che sono facoltative, non certo obbligatorie come è quella carceraria.

 

Il fatto che quella norma sia sparita potrebbe indurre l’operatore a dare alla normativa una sua interpretazione, cioè che chi entra in carcere essendo titolare di un permesso di soggiorno congeli la sua situazione per tutto il tempo di permanenza in carcere, mentre la valutazione della sua situazione, in quanto alla facoltà di rimanere sul territorio nazionale, rivive nel momento in cui il carcerato ritorna alla vita civile.

 

Quindi potrebbe anche sostenersi che non occorre chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno, perché comunque la Questura potrebbe riprendere in esame la situazione dello straniero così come l’ha lasciata. Riprendere in esame, vuole dire innanzitutto considerare il tipo di reato commesso, per il quale è stata scontata la pena, per capire se questo reato è compatibile o meno con la permanenza sul territorio dello Stato. Però, nell’insieme della valutazione della gravità del reato, sarebbe importante comprendere anche la condotta durante il periodo carcerario. Quindi, nell’ambito di una discrezionalità che comunque il questore ha in materia, si potrebbe riammettere alla titolarità del permesso di soggiorno colui che ha scontato una pena per reati di una certa gravità.

 

Questa interpretazione penso sia la più favorevole per lo straniero come, per la snellezza delle procedure, anche per le questure. Tuttavia, non essendoci univocità tra le varie questure (in questo momento stiamo aspettando delle direttive centrali che indirizzino le questure a comportarsi in modo univoco), io consiglierei al detenuto di inoltrare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, prima che il permesso scada. Ovviamente, lo farà tramite la direzione del carcere. Poi, spero vi saranno delle altre occasioni d’incontro, con gli operatori che materialmente si occupano di seguire queste procedure, per entrare più in dettaglio nella questione e definire meglio la documentazione che va allegata alla domanda.

é chiaro che, concettualmente, chiedere il permesso di soggiorno per una persona che deve obbligatoriamente rimanere in Italia, stride con la situazione di fatto. Tuttavia, perché i detenuti non stanno per forza nello stesso carcere, ma sono soggetti a trasferimenti e passando quindi da una provincia all’altra con cambiamento di competenze, direi che è prudenziale inoltrare il rinnovo di questo permesso di soggiorno attraverso la direzione del carcere. Si potrà poi valutare, nel caso la richiesta arrivi in ritardo rispetto alla scadenza del permesso di soggiorno, i motivi di questo ritardo. Infatti possono essere dovuti ai tempi di trasmissione dei documenti, e questo sarebbe giustificabile, ma vi potrebbero essere ritardi dovuti al fatto che lo straniero condannato in sentenza alla misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato potrebbe pensare che a nulla giova chiedere il permesso di soggiorno, se a pena espiata deve comunque essere sottoposto alla misura di sicurezza e quindi essere espulso.

 

Fino a che la pericolosità sociale non viene rimessa in discussione e quindi revocata, lo straniero potrebbe pensare che a nulla giova chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno se a pena espiata dovrebbe essere comunque sottoposto alla misura di sicurezza. Ma è chiaro che se ottenesse il riesame positivo della pericolosità sociale e quindi la revoca della misura di sicurezza, anche in questo caso vi sarebbe un margine di discrezionalità ed elasticità nel valutare poi un eventuale ritardo con cui è stata presentata la domanda di rinnovo. Mi pare che il nocciolo della questione sia soprattutto la possibilità di una rivalutazione in modo positivo in relazione al tipo di condanna che il soggetto ha avuto. Arrivare a dire che non occorre fare domanda di rinnovo del permesso per lavoro quando scade durante il periodo di detenzione carceraria, perché tanto possiamo considerare la situazione congelata dal momento che uno entra al momento in cui il detenuto esce dal carcere, non risolve poi la questione della non automaticità della rinnovabilità del soggiorno. Questo è chiara, perché il soggiorno potrà essere rivalutato, valutando sia la gravità del reato e, nell’ambito della gravità del reato, valutando anche la condotta e il percorso carcerario che ha avuto il soggetto durante il periodo di detenzione.

 

Francesco Morelli (Redazione di Ristretti Orizzonti)

 

Dal pubblico era stato chiesto se una struttura privata può accogliere un detenuto o ex detenuto straniero, sia nel caso abbia il permesso di soggiorno, sia nel caso non l’abbia.

 

Marco Paggi (Avvocato e rappresentante dell’A.S.G.I. - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione)

 

Il caso che è stato proposto non cambia dal punto di vista legale, a seconda se l’ospite sia ex detenuto o no; cambierebbe se fosse un evaso. Se è un semplice clandestino, poco importa se sia ex detenuto o meno. L’ospitante ha comunque degli obblighi da osservare dinanzi alla legge: l’ex articolo 147 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza obbliga a denunciare, entro 48 ore, l’ospitalità concessa a qualsiasi cittadino straniero, prevedendo una sanzione per colui che ha omesso la denuncia. Di fatto la sanzione è modesta, di natura amministrativa  e strettamente pecuniaria.

La denuncia dovrebbe essere fatta alla Questura e anche all’autorità locale di Pubblica Sicurezza, cioè al Sindaco del Comune, tramite il famoso modulo di dichiarazione di cessione di fabbricato. Si tratta di un modulo che andrebbe inoltrato anche se si ospitano gli italiani, infatti è un residuato obsoleto delle norme d’emergenza sul terrorismo.

Anche in questo caso, la non osservanza dell’obbligo comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa. L’unica raccomandazione che faccio è questa: se una persona va a dichiarare la cessione di fabbricato, dica almeno che è partita non più tardi delle 48 ore precedenti, perché molte volte capita di vedere ignare confessioni di illecito, di persone che vanno a compilare il modulo dicendo che l’ospitalità era iniziata 15 giorni prima e, quindi, credendo di andare a sistemare la situazione, in realtà vanno a complicarsela, perché confessano una violazione e costringono la polizia municipale a perseguirli.

 

Paola Marinelli (Responsabile Ufficio Immigrazione Questura di Padova)

 

Riguardo all’obbligo di denunciare l’ospitalità dello straniero, faccio presente che vi è l’obbligo immediato dal momento in cui lo si ospita di denunciare la presenza entro le 48 ore: questo è un obbligo dell’ospitante, a prescindere dalle qualità o dallo status. Se lo straniero è ospitato da una persona che non ha adempiuto a questo obbligo, lo straniero di niente risponde. È un obbligo legato solo all’ospitante, che come tale va rispettato.  D’altra parte, dare ospitalità ad un clandestino non è di per sé un reato. Certo, se poi si configura un favoreggiamento, si avrebbe una situazione molto particolare.

 

Marco Paggi (Avvocato e rappresentante dell’A.S.G.I. - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione)

 

Semmai, si può configurare il favoreggiamento della permanenza clandestina nel territorio dello Stato proprio per chi, per favorire la permanenza clandestina, non fa la prescritta denuncia. Quando una persona fa la denuncia, anche se lo straniero è clandestino, non può rispondere di nulla.

 

Un’ultima annotazione, su questo punto,  perché ha un contenuto pratico: molto spesso la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra e, di conseguenza, non è automatico che la denuncia di cessione di fabbricato comporti poi una verifica sull’irregolarità del permesso di soggiorno. Dico questo non per aggirare la legge ma, per così dire, per istigare a rispettare la legge, infatti, se una persona sa di non portare danno a nessuno nella pratica, lo fa anche più tranquillamente.

 

Marco Rigamo (Radio Sherwood)

 

Ho ascoltato attentamente la relazione iniziale, come la successiva, che io definirei piuttosto tecnica, dunque mi scuso se le domande che ho intenzione di fare non hanno la stessa caratura, diciamo che mi ispiro ad un bell’intervento che ho sentito fare qualche mese fa dal Dott. Palombarini, che credo sia giudice molto noto in questa città. Dove, parlando proprio di carcere e di flussi migratori, sottolineava che il problema era prevalentemente di tipo culturale e solo dopo normativo. 

 

Io farei tre domande in proposito: su ciò che c’è prima del carcere, nel carcere e dopo il carcere. 

 

Noi sappiamo bene che non costituisce reato essere in posizione di irregolare nei confronti del permesso di soggiorno, però nella realtà è come se fosse così, sia come orientamento di una grossa parte dell’opinione pubblica, sia per alcuni dati di fatto. Parlo, per esempio, dei Centri di Permanenza Temporanea, che sono dei Centri che hanno una ragione d’essere di tipo amministrativo, che di fatto sono delle carceri, anzi sono peggio del carcere, perché chi c’è stato dice che nel carcere vero si sta molto meglio. Sono luoghi in cui, da parte della magistratura vengono trattenuti in maniera arbitraria, in attesa dell’espulsione, numerosissimi soggetti. Ci sono numerosi Centri nel nostro paese, che vengono aperti, poi chiusi, ma comunque permangono. Quindi la domanda è: come si può evitare questo tipo di scenario e come si evita che questo scenario peggiori.

Perché si stanno palleggiando tra Senato e Camera un insieme di norme, che dovrebbero conferire alla Polizia la facoltà di espellere, in presenza di una ipotesi di reato, in modo automatico lo straniero irregolare nel nostro paese, senza nemmeno accertare la verità. Davanti al silenzio assenso del giudice sarà possibile, se passa naturalmente questa normativa, espellere lo straniero quindi derogando ad uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento penale: l’obbligatorietà dell’azione penale. Anche se qualcuno chiede che venga abolita e, qui, sappiamo anche chi lo chiede e perché. 

 

La seconda domanda riguarda il carcere: come possiamo fare in modo che il cittadino detenuto straniero non peggiori l’orizzonte della sua detenzione, quindi come è possibile mettere in condizione il cittadino straniero di vivere la difficoltà della carcerazione allo stesso modo di un cittadino italiano, e non parlo dei casi estremi, tipo quel brillante detenuto che lavora a Ristretti Orizzonti, che ha collezionato la bellezza di 180 rapporti in sei mesi. Accenno solo un caso: un detenuto nigeriano ha chiamato “collega” un Agente di Polizia Penitenziaria, perché l’aveva udito chiamare così da uno dei suoi colleghi. Come fare per far sì che non si faccia della galera in più, perché non è sufficientemente assistito, non ha i mezzi, non conosce nemmeno la lingua italiana e si potrebbe andare avanti... ma la mia domanda è una sola: che fare?

 

La terza domanda riguarda il dopo carcere, e anche qui, come fare in modo che gli stessi diritti, le stesse garanzie che la legge italiana offre, siano praticabili anche per il detenuto straniero o per l’ex detenuto straniero, come fare in modo che si spezzi questo circuito infernale della recidiva, per cui il detenuto straniero che è stato arrestato per spaccio, torna dentro anche se poi viene trovato con in tasca un mezzo grammo di sostanza stupefacente leggera, perché si ha la presunzione che sia uno spacciatore, perché il carcere diventa il suo luogo naturale della sua destinazione, all’interno di questo paese. Quindi, come dare allo straniero lo stesso percorso di reinserimento, le stesse opportunità, e non sono molte, di cui gode il cittadino detenuto italiano. 

 

Sono tre domande, ripeto rozze, ma in una platea dove non tutti sono dei tecnici possono avere opportunità di risposta.

 

Concluderei leggendo un brevissimo comunicato, che è a disposizione di chiunque ne faccia richiesta: 

Preso atto che della decisione di negare l’autorizzazione all’ingresso nell’istituto penale di Padova del Consigliere Comunale di Venezia, dei Verdi, Beppe Caccia, in occasione del convegno “Carcere e Immigrazione” previsto per la giornata di venerdì 16 febbraio, considerata l’attività svolta nel sociale dal Consigliere Caccia, con particolare attenzione alle problematiche concernenti alla realtà dei flussi immigratori, attività che lo ha spesso portato a far visita ad istituti penitenziari di questa regione, considerato che tale decisione appare del tutto immotivata quando non connotata da ragioni discriminatorie che possono trovare fondamento solo nel contesto politico, vista la notorietà dell’impegno del Consigliere Caccia, come gesto minimo di solidarietà, pur consapevoli dell’importanza di questa scadenza per la popolazione detenuta e nel massimo rispetto dell’opera posta in essere dagli organizzatori, ritirano la propria personale adesione al Convegno e quella delle Associazioni dagli stessi rappresentata. Radio Sherwood mantiene la propria adesione per dare, come sempre, voce ai detenuti. Seguono le firme di Laura Mazzi, Presidente Associazione Nadir; Olivia Fagnoni, Presidente Cooperativa Caracol; Gianni Boetto, Presidente Cooperativa Sociale Graficom, Graziano Sanavia, A.R.C. (Associazioni e cooperative Robin Hood in Consorzio); Sergio Giulian, del comitato M21; Claudia Vatteroni, Presidente del Comitato per il superamento del ghetto dei Via Anelli; Riccardo Varotto, di Razzismo Stop”.

 

Tengo a precisare che nessuno vuole individuare, nell’organizzazione di questo convegno, né nell’amministrazione di questo istituto penitenziario, una possibile controparte rispetto a questo deplorevole incidente.

 

Detenuto tunisino

 

Vorrei dire che per uno straniero entrare in carcere è molto facile, come fosse una fabbrica di irregolarità: per la detenzione di mezzo grammo, o di un quarto di grammo, come ha detto quel signore che ha parlato prima di me, può prendere anche un anno di carcere e diventa una tragedia. Ogni volta che viene ripreso la storia si ripete: questo accade all’80 % della gente che è qui. Non c’è altro. Ti fanno uno stampo sulla schiena, che ti fa tornare indietro.

 

Ilir Curraj (Redazione di Ristretti Orizzonti)

 

Sono albanese e mi trovo in carcere da un po’ di anni. Vorrei fare una domanda. Perché un detenuto straniero che chiede di andare a scontare la pena al suo paese non riesce quasi mai ad ottenere il trasferimento? E poi volevo sapere se c’è un trattato tra l’Italia e l’Albania in questo senso.

 

Annamaria Alborghetti (Avvocato Specializzato in Diritto Penitenziario) 

 

Bisogna vedere se c’è un trattato tra Italia e Albania. Per i paese extraeuropei, il trasferimento dipende dall’esistenza di accordi bilaterali. Ad esempio c’è un accordo tra Italia e Thailandia: se questo accordo c’è anche con l’Albania, c’è la possibilità di richiedere il trasferimento.

 

Annamaria Alborghetti (Avvocato Specializzato in Diritto Penitenziario) 

 

La procedura per il trasferimento all’estero delle persone condannate prescinde dalla competenza della Magistratura di Sorveglianza, bisogna poi vedere quali nazioni hanno un trattato in tal senso.

 

Annamaria Alborghetti (Avvocato Specializzato in Diritto Penitenziario) 

 

Comunque il dato relativo all’esistenza degli accordi bilaterali si può verificare, si può vedere di metterlo a disposizione, perché ci sono continui aggiornamenti, nuove adesioni.

 

Educatrice C.C. di Bologna

 

Noi abbiamo degli stampati, per cui facciamo preparare la richiesta, la inoltriamo al Ministero e poi il Ministero vede gli accordi che ci sono... è difficilissimo, comunque, ottenere il trasferimento.

 

Domanda dal pubblico

 

Vorrei fare una domanda: non ho capito esattamente che cosa fa, nel caso peggiore, la persona a cui è scaduto il permesso di soggiorno in carcere, esce dal carcere senza permesso di soggiorno, che è scaduto, mettiamo, due mesi prima o più. Che cosa fa? Va in Questura e in Questura gli dicono: “No, il tuo permesso di soggiorno è scaduto da due mesi”. E lui dice: “ Va beh! E allora?”. In Questura gli dicono “Ti facciamo il decreto di espulsione, a firma di chi deve firmare”. Che cosa succede esattamente?

 

Paola Marinelli (Dirigente l’Ufficio Stranieri della Questura di Padova)

 

Allora, uno esce, ha il permesso di soggiorno scaduto e, siccome questa ipotesi non è regolamentata, ogni Questura decide e valuta in base ad una discrezionalità che comunque deve inquadrarsi nei principi generali. Per esempio, la Questura di Padova (la sola per la quale posso esprimermi, perché non so come si comportano le altre Questure) valuta comunque le domande di rinnovo, se il permesso di soggiorno è scaduto durante il periodo di detenzione carceraria. Comunque, valuta la possibilità di rinnovo, il che vuol dire che potrebbe darlo, ma potrebbe anche non concederlo in ragione, come abbiamo detto prima, della gravità del reato, del comportamento in carcere e soprattutto della possibilità attuale che lo straniero ha di lavorare, magari presso la stessa ditta presso la quale lavorava.

L’importante, quello che veramente segna la differenza con l’ipotesi di chi entra in carcere da irregolare, è che lo straniero fosse già titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro, prima di entrare.

 

Domanda dal pubblico

 

La Questura è obbligata a valutare? È importante sapere se è obbligata o non è obbligata a valutare…

 

Paola Marinelli (Dirigente l’Ufficio Stranieri della Questura di Padova)

 

Non le posso dire se è obbligata a valutare. La Questura di Padova valuta, quello che fa la Questura di Vicenza o la Questura di Venezia, non lo so. Non essendoci una norma che disciplina il caso in questione, ognuno si regola secondo i principi generali, che poi sono elasticamente interpretati. Per quanto riguarda la Questura di Padova, al detenuto che esce con un permesso di soggiorno che è scaduto in carcere, del quale non sia stato richiesto il rinnovo, tendenzialmente valuta se rinnovarlo. Questa è la prassi ed è chiaro che è prudenziale inoltrare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno attraverso il Direttore del carcere, perché se la Questura di Padova ha questo comportamento che ho detto appena adesso, non è detto che ce l’abbia un’altra Questura. Per cui non le so dire se la Questura di Venezia procede immediatamente all’espulsione.

 

Quindi, ripeto, è prudenziale inoltrare la domanda di rinnovo di permesso di soggiorno, anche se poi dal punto di vista concettuale non ha tanto senso, perché tutto sommato il detenuto pensa: “Sono obbligato a stare qui, dentro al carcere, e non si capisce a chi devo chiedere il permesso di permanere. Perché dovrei chiedere il permesso di permanere, se nello stesso tempo sono obbligato a farlo, visto che sono in carcere?

Quello che è importante e delle volte dà luogo a dei fraintesi è che, invece, molto spesso, succede che chi va in carcere ed era titolare di permesso di soggiorno, quello che è importante vedere se la titolarità del permesso di soggiorno vi era nel momento in cui egli è entrato in carcere. Viceversa, se il soggiorno gli era scaduto tre, quattro o cinque mesi prima che lui entrasse in carcere, è chiaro che nel momento in cui è entrato in carcere era già irregolare, perché il mancato rinnovo entro sessanta giorni dalla scadenza configura la posizione di irregolarità, che comporta l’espulsione. 

 

Per chi va in carcere con un soggiorno per motivi di lavoro, che poi scade in carcere, all’uscita la Questura di Padova valuta comunque la sua situazione. Mettiamo che gli sia stato dato il soggiorno nel 1998, fino al 2002: nel 2000 è andato in carcere ma se, nel periodo prima di andare in carcere, dal 1998 al 2000 non ha lavorato neanche un giorno, ha accumulato altre pendenze penali, è chiaro che si valuta quella che è stata la sua condotta fino a quando è entrato in carcere. Poi si valuterà anche la condotta tenuta in carcere, la possibilità attuale di lavoro, perché molto spesso si assiste proprio ad un recupero della persona da parte del carcere. Un recupero al quale la persona deve avere contribuito con la sua volontà. Proprio perché il carcere contribuisce a recuperare la persona, allora  giammai il mancato inoltro della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, di per sé stesso, non può diventare motivo per arrivare ad una espulsione. Non è mai un motivo, almeno per quanto riguarda la Questura di Padova. Invece va valutata la condotta tenuta prima della detenzione, in costanza della titolarità del permesso di soggiorno, e durante la detenzione.

 

Marco Paggi (Avvocato e rappresentante dell’A.S.G.I. - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione)

 

Un principio generalissimo del nostro ordinamento in materia di diritto degli stranieri, ormai acquisito dopo una sentenza della Corte Costituzionale, è che l’espulsione come conseguenza di una condanna per delitti è una misura che può essere applicata solo dall’Autorità giudiziaria. Quindi, l’Autorità amministrativa, non ha alcuna competenza a trarre dal fatto della condanna conseguenze relative al permesso di soggiorno. Quindi, se c’era un permesso di soggiorno prima dell’arresto, sempre che vi fossero le condizioni già prima per un eventuale rinnovo (perché uno che per due anni prima di essere arrestato, pur avendo regolare permesso di soggiorno, non ha mai lavorato, non aveva una casa, anche se non fosse stato arrestato si sarebbe visto rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno), il solo fatto che lo straniero sia stato condannato per delitti, o abbia un procedimento pendente, non può comportare alcuna conseguenza.

 

Il problema pratico che si pone è : quando io devo e posso essere messo nelle condizioni di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno? Perché, effettivamente, e lo riconosce molto onestamente la Dottoressa Marinelli: c’è una fortissima disomogeneità di comportamento, di orientamento interpretativo, da parte delle Questure. Al punto che c’è veramente una baraonda: il Ministero degli Interni non si è mai affannato a dare indicazioni precise al riguardo, in qualche modo alimentando questa confusione. Ho visto diversi provvedimenti di Questure che rifiutano il rinnovo del permesso di soggiorno del detenuto scarcerato, perché non si è presentato nei termini a richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno. Mi è capitato una volta, in un seminario dell’I.R.R.S.A.E., di vedere uno scandalizzato intervento da parte di un Agente della Polizia Penitenziaria, che diceva : “Non è vero! Noi in carcere accettiamo sempre, all’Ufficio Matricola, le domande di rinnovo di permesso di soggiorno e le trasmettiamo regolarmente alla Questura”.

Non ho dubbi che quell’operatore abbia, negli ultimi tempi, trasmesso puntualmente le domande di rinnovo del permesso di soggiorno, tramite l’Ufficio Matricola, alla competente Questura. Quello che dico è che questo non è accaduto sempre, comunque ed ovunque, anche perché gli stessi uffici competenti delle autorità penitenziarie, quando si mettono in contatto con le Questure, trovano le risposte più disomogenee. Una Questura dice : “Il soggiorno è congelato durante la detenzione.” Un’altra Questura dice: “Non se ne parla proprio, non mandateci niente”. Un’altra Questura dice: “Se proprio volete, mandatecele”. E poi, anche all’interno dell’istituzione penitenziaria, le informazioni non sono sempre chiare. Non abbiamo un protocollo operativo uniforme, destinato ad essere applicato chiaramente nel rapporto tra tutte le istituzioni penitenziarie e tutte le Questure. Ci manca proprio e sarebbe una proposta basilare, elementare, economica, di buon senso.

 

Un signore, prima, mi ha detto : “Io ho il permesso di soggiorno che scade tra poco, ho chiesto cosa devo fare per rinnovare questo permesso di soggiorno. L’ho chiesto all’Ufficio Matricola, mi hanno risposto che devo rivolgermi agli Educatori”.

 

Ma l’Educatore, in quanto tale, non è un soggetto che può istituzionalmente inoltrare autonomamente la domanda di rinnovo alla Questura, perché la domanda di rinnovo alla Questura va inoltrata tramite la Direzione del carcere, ovvero filtrata dall’Ufficio Matricola e inoltrata dalla Direzione. Benissimo, allora,  ho risposto a questo signore, “lei rinnovi”. Ma lo dico a tutti, perché non ha senso che lo dica solo a lui e poi gli altri, magari, non lo sappiano. Lei comunque per scrupolo, come diceva la Dottoressa Marinelli, entro la scadenza o al più tardi sessanta giorni dopo la scadenza, (perché questo è il termine previsto dalla legge) inoltri la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno. Se poi c’è, in questo carcere, questa prassi per cui l’Educatore è la persona più disponibile e garantisce l’assistenza per la compilazione della domanda, per poi portarla comunque all’Ufficio Matricola e farla inoltrare alla Questura, tanto meglio. Perché può essere che, magari, all’Ufficio Matricola non ci siano risorse o forme organizzative tali da poter istruire su due piedi la pratica. Perché talvolta si pone il problema pratico di cosa metterci, con quali documenti accompagnare questa domanda di rinnovo di permesso di soggiorno. Molto spesso il permesso di soggiorno si trova in qualche fascicolo giudiziario sottoposto a sequestro, il passaporto pure. E le tre fotografie necessarie, chi le fa? Le fa l’Ufficio Matricola? L’Ufficio Matricola, per la verità, è attrezzato per fare le fotografie, perché fotografano tutti gli ospiti e, quindi, normalmente dovrebbero farle. Poi servono le marche da bollo: la marca da bollo si acquisterà tramite lo spesino, come si acquistano tanti gli altri generi. Se il permesso di soggiorno è smarrito, o sequestrato, e il passaporto lo stesso, si dichiarerà, con una dichiarazione allegata alla domanda del nuovo permesso di soggiorno, come stanno le cose.

Io consiglio, per scrupolo (proprio per evitare che poi un’altra Questura, quella del luogo finale di scarcerazione, magari, dica : “Hai chiesto in ritardo il rinnovo”), entro la scadenza o al più tardi entro i sessanta giorni, di presentare la domanda di rinnovo. Poi, di farsi dare dall’Ufficio Matricola una copia dell’avvenuto inoltro perché, dopo che uno è stato scarcerato, deve averla con sé questa copia della domanda, per dimostrare che è stata presentata, perché non avrà la possibilità di tornare all’Ufficio Matricola e di farsi dare una copia, in tempo utile per far ricorso contro l’espulsione. Magari deve correre da Padova a Viterbo per andare a farsi dare la copia dall’Ufficio Matricola, che chissà se e quando riceverà. Quindi, farsi dare sempre la copia di tutto, non lasciarla presso l’Ufficio Matricola, perché sarebbe come non averla. 

Poi, se la Questura non risponde tempestivamente, questo può dipendere da elementi di tipo pratico, talvolta anche di buon senso e di economia, perché non ha senso, se una persona ha la misura di sicurezza dell’espulsione che ancora non è stata revocata, prendere una decisione sul rinnovo del permesso di soggiorno. Esiste una circostanza ostativa, per legge, al rilascio di un qualsiasi permesso di soggiorno in questi casi: che senso ha dare un permesso di soggiorno ad una persona che appena scarcerata dovrebbe essere accompagnata fuori dall’Italia? Quindi, può esservi una ragione pratica di tenere sospesa la domanda dell’interessato. In fin dei conti, allo straniero basterà dimostrare di aver chiesto il rinnovo, perché l’adempimento che gli impone la legge è quello di chiedere il rinnovo. Se poi la Questura non risponde tempestivamente, fintanto che l’interessato sta in carcere, poco danno.

Non ci interessa in particolare concordare quali saranno le misure e le risposte della Questura di Padova, perché, poi, la maggior parte delle persone si troverà ad avere risposte da parte di un’autorità diversa o, nel corso del tempo, dovrà presentare la domanda presso un’autorità diversa. Quello che è importante, per bloccare i meccanismi sanzionatori, è presentare la domanda di rinnovo nei termini e, soprattutto, assicurarsi che questa domanda venga recepita effettivamente dall’Ufficio Matricola e da questo inoltrata, facendosi dare ricevuta di ciò.

La razionalizzazione di questi principi dipenderà, poi, da norme di legge, o quantomeno da direttive ministeriali, concertate tra il Ministero di Grazia e Giustizia ed il Ministero dell’Interno, ma che in questo momento non ci sono. Quindi l’unica indicazione pratica è questa, tenendo presente che, a mio personale avviso, il fatto che lo straniero sia condannato, di per sé non può avere un rilievo ostativo, nella valutazione della domanda. Può avere rilievo il fatto che lo straniero, già prima di essere arrestato, non fosse nelle condizioni di poter ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno.

Se poi, nel comportamento intramurario o comunque durante l’espiazione pena, la persona va a lavorare, ecco che già la condotta può essere valutata diversamente.

Un’osservazione di carattere generale: noi stiamo parlando dell’adesso e stiamo parlando di Padova. Però, chissà quanto diversificate sono le situazioni, nelle diverse città o province.

Sempre meno, probabilmente, ci saranno situazioni di poca chiarezza presso gli Uffici Matricola, perché da quello che ho capito gli Uffici Matricola, nel corso degli ultimi tempi, si sono adeguati a recepire normalmente le domande e ad inoltrarle alla Questura. Però è anche vero che non è sempre stato così, diciamoci la verità, per confusione oggettiva, cioè per mancanza di informazioni univoche, talvolta per informazioni distorte ricevute da uffici istituzionali, come Questure o altri. 

Però se l’interessato, che sta dentro un carcere, non ha altra possibilità che rivolgersi all’istituzione carceraria, ed ha ottenuto, a suo tempo, delle informazioni non corrette, non può essere addebitato a lui l’inadempimento della presentazione della domanda di rinnovo entro i termini previsti dalla legge. Di conseguenza, se ci fosse un’attestazione proveniente da fonte istituzionale dove si dice: “è’ vero, in questa istituzione carceraria le domande di rinnovo, per dubbi interpretativi, per difficoltà di concertazione con gli uffici competenti, non sono state trasmesse, anche se presentate, perché non si sapeva se ciò doveva essere fatto o poteva essere fatto”, questo permetterebbe di rimettere nei termini le persone che, nel frattempo, si sono fatte scadere il permesso di soggiorno e sarebbe un grande atto di giustizia, perché la confusione non la possono pagare coloro che non hanno altra possibilità se non quella di rivolgersi all’Ufficio Matricola, e non è colpa loro se poi l’Ufficio Matricola, quella volta, si è sentito dire dalla tale Questura : “Non mandateci niente, non ne vogliamo sapere”.

 

Palmira Ruggiero (Educatrice C.C. di Verona)

 

Nella Casa Circondariale di Verona abbiamo organizzato un ufficio per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Volevo chiedere all’Avvocato, o alla Dottoressa Marinelli, se è possibile che un detenuto, per lungaggini burocratiche nostre, non possa presentare in tempo utile tutti i documenti. In questo caso è possibile presentarli in un secondo momento e creare così l’aspettativa per quando esce?

 

Paola Marinelli (Responsabile Ufficio Immigrazione Questura di Padova)

 

Sì, mi pare che già l’Avvocato Paggi sia stato abbastanza chiaro su questo punto.

 

Palmira Ruggiero (Educatrice C.C. di Verona)

 

Perché a volte abbiamo detenuti che, per esempio, hanno il permesso di soggiorno scaduto da quattro o cinque mesi, oppure non c’è l’autorizzazione a prendere i documenti.

 

Paola Marinelli (Responsabile Ufficio Immigrazione Questura di Padova)

 

Nell’ipotesi in cui il detenuto si faccia vivo con l’Ufficio Matricola o con la Direzione penitenziaria o con l’educatore del carcere e poi, materialmente, la domanda di rinnovo venga inoltrata molto dopo, è chiaro che non è giusto in senso assoluto e nella sostanza addebitare questo ritardo al detenuto, qualora il fatto non sia addebitabile a lui. Certo, io credo che un’istituzione che funzioni, quindi la stessa educatrice o l’educatore che ha seguito il detenuto, o chiunque sappia che il detenuto ha presentato la domanda per tempo, dovrebbe avere l’onestà di farlo presente all’Ufficio Matricola. Se dal carcere arrivasse, insieme alla trasmissione dell’istanza di rinnovo, anche un motivo giustificatorio del fatto che la domanda arriva un po’ in ritardo, per noi sarebbe una spiegazione, un chiarimento che potrebbe rivelarsi utile.

 

Palmira Ruggiero (Educatrice C.C. di Verona)

 

Molti detenuti hanno i documenti all’esterno del carcere, non depositati nell’Ufficio Matricola bensì presso avvocati, che non intendono più seguirli, o presso parenti e amici: si può inoltrare l’istanza di permesso di soggiorno anche senza presentare il passaporto o un documento di identità?

 

Paola Marinelli (Responsabile Ufficio Immigrazione Questura di Padova)

 

Io credo di sì. Sarebbe bene che, nella lettera di trasmissione dell’istanza, la Direzione del carcere che la trasmette fornisse dei chiarimenti al riguardo. Cioè, invece di limitarsi a dire: “Si allegano i seguenti documenti”, nel caso in cui lei ipotizza, precisasse anche che il passaporto non è in possesso dello straniero, perché non si trova e questo Ufficio Matricola si sta adoperando per ottenerlo. L’ente che trasmette, appunto, dovrebbe cercare di capire come mai non c’è il documento e, con gli strumenti a disposizione in quella struttura carceraria, cercare di dare un input, perché lo straniero che non sia in possesso del passaporto faccia di tutto per ritornarne in possesso. Quindi, o che scriva al legale, o che scriva all’amico, atteso che una volta che esce dal carcere, per la vera e propria domanda di rinnovo del soggiorno, che è quella che si fa nel momento in cui esce, deve per forza avere il permesso di soggiorno. Quindi è tutto lavoro che, se fatto in anticipo, gli torna utile al momento buono.

 

Francesco Morelli (Redazione di Ristretti Orizzonti)

 

Uno spunto importante ci viene da un precedente incontro col giudice Giovanni Palombarini, che credo si facesse portavoce di Magistratura Democratica: la sua proposta è quella di creare dei possibili percorsi di regolarizzazione anche per coloro che sono entrati clandestinamente in Italia, attraverso un meccanismo di regolarizzazione permanente. Questo per coloro, ovviamente, che abbiano i requisiti per farlo: una residenza, un lavoro, e che abbiano effettuato un percorso di riabilitazione personale durante la permanenza in carcere e possano così intraprendere un percorso di reinserimento al termine dell’espiazione della pena. Questa proposta va al di là di quello che oggi consente la legge, lo sappiamo e, per questo, credo debba essere lasciata alla valutazione delle persone competenti. L’abbiamo ripresa perché ci sembra offra una speranza, per una vita migliore, anche a chi cerca di costruirsi un futuro in Italia. 

 

Annamaria Alborghetti (Avvocato Specializzato in Diritto Penitenziario)

 

Durante questo dibattito, purtroppo condizionato dai tempi ristretti, il problema emerso con più forza è proprio questo: la regolarizzazione all’uscita dal carcere. A me sembra che l’ipotesi avanzata dalla Dottoressa Marinelli, di destinare nell’ambito delle quote di ingressi delle aliquote per gli ex-detenuti che si sono reinseriti, sia una proposta interessante, che potremmo fare nostra. Farci voce, nelle sedi istituzionali, per portare avanti questa proposta, potrebbe essere una grossa soluzione.

 

L’altro problema emerso, che sembra non trovare l’adeguata soluzione perché, a quanto pare, non c’è un comportamento univoco, è quello del rinnovo del permesso di soggiorno. Abbiamo sentito che, secondo l’interpretazione fatta propria dalla Questura di Padova, c’è questa ipotesi di una sorta di congelamento del permesso pregresso e, quindi, di una valutazione, anzi di un obbligo di valutazione da parte della Questura, nel momento in cui la persona esce.

Quindi riprendere in esame le condizioni del soggetto, la gravità del reato, la condotta da detenuto, etc… Però, mi pare, altre Questure di tutto ciò non tengono conto: si limitano a tenere conto del fatto che il detenuto ha il permesso scaduto e, quindi, è automaticamente un clandestino e deve procedere all’espulsione lo stesso.

Credo che anche questa potrebbe essere una nostra proposta: che venga adottato un comportamento univoco. Perché può esserci il caso dello straniero che è stato detenuto in un carcere e sa che la Questura di quel luogo tiene una certa condotta e quindi, ad esempio, non propone la richiesta di rinnovo dal carcere perché sa che non verrebbe presa in considerazione; poi viene trasferito e si ritrova detenuto in una città dove la Questura ha tutt’altra prassi. Quindi, richiedere univocità, con una Circolare da parte del Ministero, nelle procedure, in modo ci sia una certezza da parte dei detenuti sul che cosa fare. Sul “che fare”, la nostra indicazione è che ci sia una valutazione soggettiva, individuale, della posizione di chi esce dal carcere.

Mi pare che l’ultimo intervento di Francesco percorresse un po’ questa linea, cioè trovare la possibilità di una regolarizzazione di coloro che, pur clandestini sul territorio, hanno fatto un percorso di riabilitazione e quindi hanno i requisiti per poter ottenere questa regolamentazione.

A conclusione dei nostri lavori, mi dispiace un po’ che, forse, non sia emerso tutto ciò di cui si sarebbe dovuto parlare. Si è posto di più l’accento sui problemi attinenti il momento dell’uscita dal carcere, che è indubbiamente l’aspetto più importante, più caldo, sia per le difficoltà relative che per la totale incertezza sul da farsi, su che cosa può accadere e a cosa si può andare incontro.

Qualche indicazione sarebbe opportuna e necessaria anche per quello che è il percorso precedente: per arrivare ad avere i requisiti che rendono possibile il reinserimento è prima necessario l’accesso ad una misura alternativa. Per ottenere il rinnovo del permesso, o comunque avere i requisiti per un permesso di soggiorno,  il momento che precede è essenziale e su questo sarebbe forse servita qualche indicazione in più, ma probabilmente il tempo era poco e poco ce n’è stato per approfondire tutti gli aspetti del problema. 

 

 

 

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