Presentazione

 

Giornata di Studi su 
Carcere e Immigrazione

Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001

Nella Casa di Reclusione di Padova, grazie all’iniziativa del volontariato e all’impegno di operatori e detenuti, è nato un Centro di Documentazione che realizza il giornale Ristretti Orizzonti e fornisce servizi di Rassegna stampa e di Ufficio stampa - Centro Studi, nel quale cooperano persone provenienti da molti paesi dell’Europa e da fuori dell’Europa.

Molti detenuti stranieri, in questo ambito, hanno trovato un’occasione per integrarsi con la comunità italiana e compiono un percorso di crescita personale e sociale, che forse è insospettabile per quanti non conoscono da vicino la realtà del carcere.

Su di loro, però, incombe la minaccia di essere espulsi, verso paesi che spesso nemmeno vogliono riammetterli e comunque incontro a condizioni di miseria, di violenza e di intolleranza politica e sociale.

Per cercare una soluzione ai loro problemi (ed anche, più in generale, a quelli di integrazione di tutti gli immigrati nella società) abbiamo organizzato una Giornata di Studi sul tema Carcere e Immigrazione, con l’obiettivo di:

individuare le risposte più opportune alla situazione di disagio degli stranieri detenuti

aprire percorsi praticabili di reinserimento degli stranieri scarcerati

costruire una società più solidale, equa e sicura

In particolare, vorremmo invitare ad una riflessione sulla funzione della pena e, partendo dall’esperienza della detenzione, sulla necessità di dare un’occasione di inserimento nella nostra società ad ogni individuo, tanto più se è una persona giunta in Italia alla ricerca di una vita dignitosa e con la speranza di trovare una società disponibile all’accoglienza.

Alla Giornata di Studi su Carcere e Immigrazione, che si è svolta il 16 febbraio 2001 nella Casa di Reclusione di Padova, sono stati presenti rappresentanti delle Istituzioni, degli Enti Locali, della Magistratura, degli operatori carcerari, delle autorità consolari e di associazioni e cooperative operanti nel settore dell’immigrazione.

 

Programma della Giornata di Studi

 

Ore 10.00             Presentazione della Giornata di Studi su Carcere e Immigrazione

 

Ore 11.00             Costituzione dei Gruppi di Lavoro e stesura di un piano per la discussione

 

                              Si sono formati due Gruppi di Lavoro:

  1. Problemi giuridici degli stranieri e possibili percorsi di reinserimento degli stranieri scarcerati. In questo Gruppo di Lavoro si è discusso del diritto alla difesa, dell’accesso alle misure alternative alla detenzione, del rinnovo del permesso di soggiorno, per coloro che ne erano in possesso prima dell’arresto, e anche delle possibilità di inserimento sociale degli irregolari. Il Gruppo è stato diretto dall’Avvocato Marco Paggi, dell’A.S.G.I. (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), che sta seguendo le pratiche di alcuni stranieri ex detenuti nella Casa di Reclusione di Padova.

  2. Problemi di integrazione sociale degli stranieri, nel carcere e dopo la scarcerazione. In questo Gruppo di Lavoro si è discusso dell’utilizzo dei mediatori culturali in carcere, dell’accesso ai servizi sociali, della casa e del lavoro, della partecipazione degli stranieri alla vita sociale e politica.

 

Ore 12.30        Proiezione di un video, realizzato dal TG 2 Palazzi, con interviste ad alcuni detenuti stranieri

 

Ore 13.00        Buffet multietnico

 

Ore 14.00        Gruppi di Lavoro

 

Ore 16.00        Conclusioni dei Gruppi di Lavoro e redazione di una mozione comune  

 

La detenzione degli stranieri

 

La Legge di Riforma Penitenziaria del 1975, attraverso il principio del trattamento del detenuto, affida all’esecuzione penale tanto il compito della custodia del reo, quanto quello del suo recupero, della sua risocializzazione e del suo reinserimento nel contesto sociale d’appartenenza.

Ma i metodi, gli strumenti e gli obiettivi individuati dal legislatore del ‘75 avevano, come parametro di riferimento, il “detenuto cittadino”, colui cioè che una volta scontata la pena sarebbe tornato nella società da cui proveniva; di conseguenza l’impianto normativo, nel suo complesso, mal si sta adattando ad una realtà che, all’epoca della sua emanazione, era pressoché sconosciuta. I detenuti stranieri, ed in particolare gli extracomunitari, negli anni ‘70 costituivano, infatti, un fenomeno quasi inesistente. Ai giorni nostri, invece, questa realtà è diventata considerevole al punto che in molte strutture penitenziarie del nord e del centro (specie nelle grandi città) costituisce la più alta percentuale della popolazione detenuta presente negli istituti.

Anche se, sulla carta, non esistono distinzioni tra italiani e stranieri, nella realtà i secondi sono esclusi da alcuni benefici di legge, o per motivi legali (per esempio perché sono privi del permesso di soggiorno), o per motivi sociali (per esempio perché non hanno un domicilio o una richiesta di lavoro). Almeno il 90 % dei detenuti stranieri non ha un permesso di soggiorno in corso di validità; molti non l’hanno mai avuto e, per gli altri, rinnovarlo è difficilissimo.

L’ammissione al lavoro esterno ed ai benefici della legge Simeone - Saraceni è possibile anche in assenza del permesso di soggiorno, ma gli ostacoli sono la mancanza di relazioni sociali sul territorio, le barriere culturali e linguistiche, etc.: senza un datore di lavoro disposto ad assumere, senza un domicilio proprio, senza il sostegno di una struttura di accoglienza, nessuno può uscire dal carcere in misura alternativa. Gli stranieri raramente hanno questi requisiti e, quindi, raramente escono. Alla fine della pena la maggior parte di loro torna alla clandestinità.

 

La tutela della salute

Subito dopo l’immatricolazione, negli istituti penitenziari avviene la visita medica di ingresso da parte del sanitario e il colloquio del presidio nuovi giunti, effettuato dallo psicologo. In questi due momenti la situazione di maggiore difficoltà per gli stranieri è collegata alla non sempre facile comunicazione e comprensione linguistica da parte sia del detenuto che degli operatori. Altra difficoltà è il riconoscimento del ruolo, nel senso che è difficile far comprendere, a chi è al di fuori di determinate logiche, la professionalità del medico e dello psicologo carcerari.

Quanto detto rispetto al presidio nuovi giunti si manifesta, poi, anche durante la rimanente fase della carcerazione, poiché le difficoltà, linguistiche e culturali, permangono spesso per molto tempo.

 

La scuola e l’importanza della mediazione culturale

 

I problemi concreti che caratterizzano la vita quotidiana delle persone straniere detenute si riferiscono per lo più alle difficoltà linguistiche, alla ignoranza dei complessi sistemi normativi e istituzionali e all’attribuzione di significati diversi alle relazioni interpersonali, a causa dei differenti sistemi culturali di appartenenza. Tramite la scuola il detenuto impara o affina la lingua, si avvicina ai nostri costumi e alle nostre regole, comprende o inizia a comprendere una diversa realtà sociale.

Nell’ambito della scuola gli stranieri instaurano rapporti con gli altri detenuti, di diversa nazionalità, e quindi cominciano ad assumere un atteggiamento più aperto e collaborativo. La formazione di mediatori culturali detenuti può rappresentare poi un intervento di particolare importanza, perché consente di garantire la comprensione tra culture differenti, ma anche di rendere meno conflittuali i rapporti con gli operatori carcerari.

 

Il lavoro per gli stranieri detenuti

 

Il lavoro in carcere è diventato una merce molto rara. Questo già in anni in cui il sovraffollamento era molto più limitato e la “questione stranieri” si poneva solo in termini di poche centinaia di presenze. Per quanto riguarda l’accesso al lavoro esterno ed alle misure alternative della detenzione, i detenuti immigrati senza permesso di soggiorno si sono visti negare questa possibilità fino al 1993, quando una Circolare dei Ministeri di Grazia e Giustizia, Interni e Lavoro, ha autorizzato l’assegnazione del codice fiscale a tutti gli stranieri detenuti ed il loro avvio ad attività lavorative anche all’esterno degli Istituti, con le misure alternative.

 

Il problema dell’alloggio

 

L’accesso ai benefici di legge previsti dalla legislazione penitenziaria italiana rappresenta la nota più dolente per i detenuti stranieri: pochissimi possono usufruirne alla pari con i detenuti italiani. I detenuti stranieri sono spesso privi di domicilio, non hanno una residenza fissa, non hanno una famiglia o una persona a loro legata sul piano affettivo che li possa ospitare, non hanno mezzi di sussistenza. È inevitabile da parte di un Magistrato di Sorveglianza chiedersi dove andrà, cosa potrà fare un detenuto straniero in permesso premio, senza familiari, senza amici, con scarsa conoscenza della lingua, sempre che riesca a domiciliarsi presso una Casa di accoglienza o, a spese proprie, presso un albergo. Il primo problema è quindi rappresentato dalla mancanza di un alloggio dove, in permesso o in misura alternativa, i detenuti stranieri possano domiciliarsi. I posti disponibili nelle Case di Accoglienza sono pochissimi, certamente insufficienti, con il risultato di una fortissima penalizzazione degli stranieri che non possono ottenere un sia pur minimo spazio di libertà, come deve essere inteso il permesso premio, proprio per mancanza di un posto letto all’esterno.

 

Il rapporto tra gli immigrati ed i mass media

 

Grazie ai mezzi di comunicazione, che diffondono in tutto il mondo le immagini dell’opulenza, i poveri bussano sempre di più alle porte del mondo ricco, diventando così una “minaccia”, per la tranquilla esistenza di quanti possiedono già il benessere economico.

L’Italia, che è stata a lungo un paese di emigranti, dovrebbe avere sviluppato una cultura che permetta di capire le ragioni dell’immigrazione, invece questo fenomeno è vissuto perlopiù come un pericolo ed i mass media assecondano spesso i sentimenti popolari, nonostante l’impegno delle associazioni cattoliche e laiche a favore della tolleranza e dell’accettazione.

Le linee editoriali in larga parte “condannano” gli immigrati ad essere delinquenti, non li considerano persone capaci di convivere, di inserirsi, di lavorare nella società europea

Queste notizie, questi titoli allarmistici, tendono ad accomunare gli immigrati in una sola categoria, situata in qualche modo sempre ai margini della società, a rappresentare sempre un problema per la vita degli “italiani doc”. In questo contesto, gli immigrati fanno fatica a comunicare le loro ragioni e non partecipano quasi mai al dibattito intorno alla loro presenza: sono, in pratica, degli spettri, di cui si evocano i misfatti, mentre raramente ci si occupa di loro come persone. Bisogna che prendano, quindi, di più la parola in prima persona, per superare la barriera della incomunicabilità, che non è solo linguistica.

Dietro ogni lingua, c’è infatti tutto un patrimonio culturale, tutta una chiave di lettura politica e sociale, che gli immigrati non riescono a comprendere finché non hanno una sufficiente padronanza dell’italiano. Così succede che non riescano a stabilire una comunicazione a livelli profondi, a tradurre in parole i loro sentimenti e la loro ricchezza umana.

Un caso clamoroso, nel quale i numeri sono abilmente sfruttati per sostenere una “certa” opinione, è quello della presenza degli stranieri tra la popolazione detenuta: sono un terzo del totale; nelle carceri del nord Italia sono la metà; in alcuni istituti sono l’80 % dei ristretti. Se ci affidiamo ciecamente a queste cifre, sembrerebbe che la criminalità sia alimentata prevalentemente da loro. Un minimo di approfondimento permette di capire che, al contrario, gli stranieri rappresentano la parte più visibile e più facile da colpire, ma largamente minoritaria, di quanti svolgono attività illegali.

Le denunce penali, a loro carico, sono relativamente poche, rispetto a quelle che colpiscono gli italiani, però le prime portano sempre ad una condanna e all’espiazione in carcere della stessa, mentre le seconde seguono altre strade, tra pene sospese con la condizionale, perdono giudiziario (per i minorenni), concessione di misure alternative, prescrizioni e assoluzioni. La differenza è rappresentata dalla migliore conoscenza della legge e dalla disponibilità di una difesa adeguata.

I processi, nei quali sono imputati degli stranieri, si concludono molto rapidamente e, quasi sempre, con una condanna. Pochi stranieri condannati presentano ricorso in Appello, quasi nessuno ricorre in Cassazione: vanno direttamente in carcere e ci rimangono, perché anche l’ottenimento delle misure alternative è alquanto improbabile, per loro, nonostante i reati che gli vengono attribuiti siano mediamente di minor gravità, rispetto a quelli attribuiti agli italiani.

Alla fine, il numero dei detenuti stranieri è realmente molto elevato... ma per capirne il motivo bisogna sapere di più, bisogna essere informati sul funzionamento del sistema giudiziario e penitenziario e conoscere le concrete discriminazioni che vi si verificano, a fronte di una normativa retta da principi e da ambizioni di uguaglianza.

 

 

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