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Giornata di Studi su Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001 Possibili percorsi di regolarizzazione per chi è in possesso di un permesso di soggiorno scaduto in carcere
Un dato che è emerso in modo evidente da tutte le domande formulate durante la riunione è la preoccupazione di gran parte dei detenuti stranieri relativamente al problema del permesso di soggiorno. In particolare, i casi esaminati riguardano chi già aveva un permesso di soggiorno, che poi è venuto a scadere durante la detenzione, e chi invece è entrato in carcere già privo del permesso di soggiorno, ma poi ha avuto un percorso di reinserimento e quindi la possibilità di accedere a permessi premio e in qualche caso misure alternative. Ciò che è emerso in modo abbastanza drammatico è che non c’è a livello normativo un’indicazione precisa su che cosa un detenuto possa fare per avere il rinnovo del permesso. E’ intervenuta nel gruppo di lavoro anche la dottoressa Marinelli della Questura di Padova, che ha sottolineato la disponibilità da parte dei funzionari a operare in collaborazione con gli educatori del carcere per individuare le modalità da applicare per le richieste di rinnovo. In realtà è emerso un dato molto preoccupante, che ogni Questura si muove autonomamente secondo una prassi che è legata più che altro alla realtà del territorio. Ogni Questura decide cioè come comportarsi rispetto a quei detenuti che vedono scadere il loro permesso nel corso della detenzione. La Questura di Padova, per esempio, ritiene il permesso pressoché congelato durante il periodo di detenzione, salvo poi fare una valutazione del soggetto che ne era in possesso. Valutando quindi al momento della carcerazione la gravità del reato, poi l’eventuale percorso di reinserimento che il detenuto ha fatto, per decidere alla fine se questo permesso torni ad essere valido e quindi possa essere anche rinnovato. La conclusione alla quale siamo arrivati è di richiedere formalmente che ci sia, per esempio attraverso una circolare di concerto tra il Ministro degli Interni e il Ministro di Giustizia, un’indicazione ben precisa di quale può essere il percorso che deve seguire il detenuto che ha il permesso di soggiorno scaduto durante il periodo della detenzione.
La concessione delle misure alternative
Un altro tema trattato riguarda quei detenuti stranieri che si ritrovano a poter usufruire di misure alternative, che quindi hanno un percorso di reinserimento sociale, un lavoro e una possibilità di alloggio: la proposta di destinare, nell’ambito della regolamentazione dei flussi migratori, una sorta di quota di ingressi proprio agli ex detenuti che si sono reinseriti, potrebbe essere una proposta interessante e quindi potrebbe essere proprio formalizzata come ipotesi di modifica normativa. Un’educatrice del carcere di Verona ha parlato poi di uno sportello, proprio presso il carcere, che si occupa delle pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Ma un po’ da tutti gli interventi è emerso l’obiettivo di cercare un canale per la regolarizzazione, per coloro che abbiano i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno. Giustamente i detenuti stranieri hanno focalizzato la loro attenzione sul problema dei permessi di soggiorno, perché è quello più scottante e quello che loro sentono sulla loro pelle al momento in cui escono dal carcere. Resta però il grosso punto di domanda su quel che avviene prima: è chiaro cioè che se noi parliamo di regolarizzazioni di detenuti attraverso un percorso di reinserimento con la possibilità di un lavoro, di una casa, etc., il percorso ovviamente è quello che inizia in carcere, quindi torniamo al problema di quello che è l’accesso alle misure alternative dal carcere, perché è questa la modalità attraverso la quale si perviene a questo percorso di possibile regolarizzazione. Io avevo fornito delle cifre abbastanza significative su quanti sono gli stranieri che attualmente qui a Padova usufruiscono di misure alternative e credo che i dati parlino da soli: su 242 affidati in prova noi abbiamo solo 3 stranieri, e quindi ci rendiamo conto di come questo percorso riabilitativo, e questa conseguente possibilità di reinserimento e regolarizzazione, sia limitato a pochi. Nel mio breve intervento introduttivo al nostro incontro avevo segnalato anche come una delle più grosse difficoltà sia proprio quella dell’osservazione in carcere e quindi dell’individualizzazione del trattamento, proprio rispetto a soggetti che per differenza culturale e linguistica hanno difficoltà a rapportarsi con gli educatori. È importante perciò individuare dei soggetti quali i mediatori culturali, che potrebbero effettivamente svolgere un importante lavoro con una presenza costante accanto agli operatori in carcere, aiutare a predisporre un trattamento individualizzato e quindi consentire questo maggiore accesso alle misure alternative. Un grosso lavoro dovrebbe poi essere fatto sul territorio, perché è evidente che per gli stranieri molto più che per gli italiani il problema per l’accesso alle misure è dato dall’assenza di riferimenti esterni quali casa, famiglia, lavoro, e quindi è necessario operare con gli enti territoriali per fare in modo che non sia tutto affidato alla buona volontà del volontariato e per creare delle strutture stabili che si occupino di questi problemi.
La difficoltà di accedere al gratuito patrocinio
Un problema che è emerso con forza e che credo molti detenuti vivano sulla loro pelle è il diritto alla difesa, collegato alla questione del patrocinio gratuito. Purtroppo c’è una normativa tale in materia di patrocinio gratuito che, se è già difficile per il detenuto italiano accedervi, per il detenuto straniero è pressoché impossibile. E’ intervenuto su questo tema tra l’altro anche il Viceconsole del Consolato del Regno del Marocco di Bologna, che ha fatto presente come effettivamente il problema di attestare che la certificazione del detenuto risponde a verità riguardo alle sue condizioni economiche si scontra con il problema di chi è clandestino. Noi abbiamo allora pensato a una proposta forse un po’ ardita: a questo punto bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che una persona che si trova clandestina, senza lavoro, senza casa, e finisce in carcere per aver commesso un reato non è presumibilmente nelle condizioni economiche per potersi permettere una difesa a pagamento, e quindi dovrebbe essere ammessa automaticamente ad un patrocinio gratuito, salvo poi la possibilità di accertare se invece le possibilità economiche le ha, ma in un secondo momento, altrimenti si vanifica il diritto di difesa, che a volte ha tempi estremamente urgenti e che quindi non può sottostare ai tempi lunghi di una complessa ricerca burocratica. Conclusioni del Gruppo di Lavoro sui temi socio-culturali A cura di Ornella Favero (Ristretti Orizzonti) La mediazione culturale in carcere, le esperienze di Bologna e Como
Il nostro gruppo ha iniziato praticamente a discutere da quello che invece, nel gruppo giuridico, è stato il punto di arrivo: la necessità dei mediatori culturali. Siamo partiti esattamente da un caso emblematico, che è quello raccontato dal detenuto della redazione intervenuto nella mattinata: 180 rapporti disciplinari nei primi sei mesi di carcerazione prima di trasformarsi, come ha detto lui, in un detenuto con un “comportamento esemplare”. Questo per dire quanto pesi in carcere oggi per i detenuti stranieri, il problema dell’assenza generalizzata della mediazione culturale e della scarsa circolazione delle informazioni. Abbiamo sentito alcune delle (poche) esperienze di mediazione culturale realizzate nelle carceri italiane: quella di Como, partita con operatori volontari, e quella di Bologna, gestita in collaborazione con il Comune attraverso uno sportello informativo. Siamo anche stati informati che è stata sottoscritta una convenzione, tra il Ministero della Giustizia e l’associazione CIES, per quel che riguarda la mediazione culturale. Su questo abbiamo anche espresso alcune perplessità, perché si tratta di una convenzione fatta con una associazione a livello nazionale, mentre da tutti gli interventi è emersa la necessità di una mediazione culturale che abbia uno stretto rapporto con il territorio. Proprio perché la mediazione culturale riguarda un po’ tutta la vita del detenuto in carcere, ci sono stati interventi che hanno messo a fuoco non solo i problemi legati alla scarsa conoscenza della lingua italiana e alle difficoltà di capire come funziona il carcere, ma anche le difficoltà relative all’accesso ai servizi sanitari, il fatto che dentro il carcere i detenuti stranieri sono presi in carico e assistiti in qualche modo, ma al momento dell’uscita dal carcere c’è il buco nero della perdita di qualsiasi diritto e di conseguenza la perdita di qualsiasi forma di assistenza per chi è affetto da gravi patologie.
Come orientarsi fra chi fa “prima accoglienza” e chi fa solo “seconda accoglienza”
Nel nostro gruppo si è parlato invece poco di lavoro, perché in questo momento nelle nostre regioni il problema del reinserimento lavorativo dei detenuti e degli ex detenuti è forse il meno difficile da risolvere, mentre tutti noi che ci occupiamo della sorte dei detenuti a fine pena abbiamo grosse difficoltà ad aiutare a risolvere il problema della casa, che poi significa ancora una volta far circolare le informazioni sui pochi posti disponibili. Perché quando un ex detenuto o un detenuto che potrebbe accedere a misure alternative cerca una sistemazione fuori, trova solo piccole realtà che fanno accoglienza con pochi posti letto disponibili, e fanno soprattutto seconda accoglienza, cioè accoglienza per stranieri regolari, mentre la prima accoglienza, per persone sprovviste di permesso di soggiorno, è il problema più drammatico.
I Centri Territoriali Permanenti possono diventare luoghi di informazione e promozione di iniziative
E’ importante che chi si occupa degli stranieri detenuti esca dall’isolamento e sfrutti al meglio le situazioni che già ci sono e funzionano, come, per esempio, i Centri Territoriali Permanenti per l’educazione degli adulti (tra l’altro, tutti i detenuti stranieri che sono intervenuti hanno fatto notare la centralità della scuola nel loro percorso di reinserimento). Quindi, vediamo di far funzionare le strutture esistenti, usandole anche per far circolare le informazioni e mettere insieme le forze, perché c’è, nel settore carcere, un dispendio di energie enorme e un’elaborazione delle informazioni ancora a livelli bassissimi. Allora, creiamo un circuito di informazione che faccia sì, che non si debba ogni volta reinventare tutto, e che le esperienze che funzionano siano un fondamentale punto di partenza per tutti gli operatori che lavorano per migliorare le condizioni di vita degli stranieri detenuti.. Noi stiamo tentando per esempio di fare a Padova delle “pagine gialle” dell’accoglienza e del lavoro. Ecco, sembra una banalità, ma non è così: un detenuto che sa che tra sei mesi uscirà dal carcere dovrebbe potersi attivare lui stesso per cercare opportunità di lavoro, ma deve avere i mezzi per farlo, quindi noi dobbiamo lavorare anche su questo terreno.
*Comunicato finale della Giornata di Studi su Carcere e Immigrazione
I partecipanti alla Giornata di studi su Carcere e immigrazione, svoltasi presso la Casa di Reclusione di Padova il 16 febbraio 2001, dopo aver analizzato le molte e complesse problematiche che emergono dalla condizione dei detenuti immigrati e aver preso atto della necessità di offrire loro una prospettiva rassicurante di integrazione dopo la scarcerazione, intendono sollecitare le Amministrazioni locali ad istituire la figura del mediatore culturale, come soggetto competente a favorire la comunicazione tra detenuti immigrati e società esterna e a rilevare e trasmettere i contenuti informativi relativi alle istanze e alle questioni che li riguardano.
Chiedono inoltre che venga favorita la costituzione di strutture di coordinamento e di socializzazione delle informazioni, che valorizzino le iniziative delle realtà che operano nelle carceri e l’utilizzazione e l’ampliamento delle risorse disponibili e necessarie a tal fine.
*Messo ai voti e approvato all’unanimità.
Padova, 16 febbraio 2001
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