Ornella Favero

 

Certezza della pena o certezza del recupero?

San Servolo (VE) - 22 settembre 2002

Ornella Favero, coordinatrice di "Ristretti Orizzonti"

 

Sarò breve, per dare spazio a qualche altro intervento. Poiché tutti hanno parlato della responsabilità che grava sulla classe politica, mi sembra inutile tornare su questo e, invece, vedere un altro aspetto del problema, le responsabilità che gravano su di noi, intendo noi operatori, volontari, cooperative etc.. Su questo penso dobbiamo cambiare, in qualche modo, fare un salto di qualità, diventare qualcosa di diverso. Accenno a due temi, rapidamente.

Il primo tema è riguarda il discorso "sicurezza". Nella società c’è paura, ansia, insicurezza e io credo che noi, conoscitori della realtà del carcere, non riusciamo a fare abbastanza per dare un’idea diversa del carcere, per far capire che ogni detenuto che ha un lavoro e una rete di sostegno sociale attorno è una persona che costituisce un rischio in meno, che fa dormire sonni più tranquilli alle persone che tengono, anche giustamente, alla propria sicurezza.

Noi ci occupiamo d’informazione ma facciamo un’enorme fatica a trovare la consapevolezza, in chi opera nell’ambito del carcere e conosce bene questi problemi, che bisogna informare di più e diversamente. Si deve essere attivi più su questo terreno, non frequentarci solo fra di noi e dirci le cose fra di noi.

Un secondo problema, che mi pare essere più una nostra grossa responsabilità è quest’assoluta poca capacità di lavorare insieme… è desolante, direi. Ci siamo messi attorno ad un tavolo, a Venezia, per parlare di carcere tutti assieme. A Padova lo stesso, con una difficoltà enorme: ognuno di noi ha sempre presente di fare le sue cose, del ritenerle le uniche ben fatte e di non riuscire a lavorare assieme agli altri.

Credo che se non facciamo noi qualcosa di diverso è difficile pensare che lo faccia la politica, per com’è oggi. Da parte nostra necessita uno sforzo, da questo punto di vista, per dire qualcosa di diverso e per lavorare assieme. Dobbiamo farlo perché, altrimenti, è sempre un ricominciare da zero, sempre un gestire piccoli spazi e intendere cose isolate e senza respiro.

Riguardo alle proteste nelle carceri, c’è da dire che, non solo non si sta facendo niente per migliorare le condizioni di vita dei detenuti, ma la situazione va sempre peggiorando. Faccio un esempio: con la nuova finanziaria ci sono dei tagli sulla sanità molto consistenti e si tagliano le spese per gli investimenti sul carcere. Allora tutti noi dobbiamo essere capaci di dire qualcosa su questo, perché nelle carceri ci sono livelli di spreco paurosi e poi vengono tagliate cose fondamentali.

Non si buttano risorse se s’investe sul reinserimento, magari su quella proposta che Sergio Cusani e Sergio Segio fecero - e che è ancora attuale - riguardante un piccolo piano Marshall per le carceri e magari si taglino i finanziamenti a progetti costosissimi e inutili… ultimamente ho avuto esempi, da questo punto di vista, incredibili, di come si sprecano risorse su progetti grandiosi con risultati minimi. Se noi non siamo capaci di dire qualcosa anche su questo, credo che oggi non si faccia un passo avanti, anzi se ne facciano molti indietro come, di fatto, sta succedendo.

Un’ultima considerazione, tornando al discorso sulla recidiva e su questo 70% di persone che tornano a commettere reati. Tutti noi che operiamo in carcere - e fuori del carcere - non siamo capaci di fare un passo avanti e capire che, per esempio, non basta avere un lavoro. A Venezia, da questo punto di vista, c’è una situazione, non dico ottimale, ma quasi: ci sono delle cooperative sociali, incredibilmente attive, che danno lavoro.

Il problema è che il rischio della recidiva non finisce dando ad una persona del lavoro. In carcere ci stanno soprattutto persone escluse, emarginate, e anche se quando escono hanno un lavoro, non hanno relazioni sociali, non hanno una rete di sostegno fuori, non sono in grado di far fronte a tutti i problemi, che pongono sia le misure alternative sia il dopo pena, e di reggere il peso di una vita così difficile. Come dice Francesco, a ragione, è già un miracolo se il 30% delle persone sono reinserite.

 

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