Conclusioni del seminario

 

S.E.A.C. Triveneto - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Sportello Giustizia di Rovigo - Ristretti Orizzonti

 

Meno carcere, più impegno sociale

 

Seminario sul volontariato penitenziario

(Padova, 3 - 5 luglio 2003)

Interventi in conclusione del seminario

 

Ornella Favero (Coordinatrice di Ristretti Orizzonti)

 

Una cosa che abbiamo discusso, con Maurizio Mazzi, è la necessità d’avere degli obbiettivi comuni forti, questo lo ribadisco, perché bisogna darseli davvero. Per esempio, sulla salute bisognerebbe che tutti ci muoviamo. Noi, qualche tempo fa, abbiamo mandato una lettera alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, sulle due emergenze degli stranieri e della salute.

Avere degli obbiettivi comuni vuol dire che anche se tutti voi, nelle vostre situazioni, fate cose diverse, bisognerebbe che di questi due o tre problemi ci occupassimo davvero tutti, facessimo circolare le notizie, dicessimo se ci sono delle iniziative, proponessimo anche delle iniziative di protesta comune.

 

Don Bruno (Cappellano di Poggioreale)

 

C’è una domanda che mi pongo da un po’ di tempo, anche dopo aver partecipato ai convegni di Palermo e Vibo Valentia. Tutti sembrano sappiano tutto: dai ministri, ai politici, agli operatori, però quando si tratta di operare nessuno fa niente. Allora, io mi domando da che cosa dipende: sembra che tutti abbiano le mani legate, sanno bene che bisognerebbe risolvere il problema della salute, degli stranieri, del sovraffollamento… a Poggioreale ci sono situazioni drammatiche, tutti lo sanno, ma cosa si potrebbe fare per convincerli a fare qualcosa?

Pensavo, allora, che altri problemi vengono affrontati con sistemi diversi dalla gente: ad esempio, i no global si radunano da tutto il mondo, vanno in un posto e fanno confusione… ma perché, noi volontari di tutta Italia, non ci raduniamo in un posto e facciamo un sit in, un movimento pacifico, non violento, per far capire che ci siamo?

Parlando con il dottor Celso Coppola capivo che il problema è l’opinione pubblica: i politici non si muovono perché hanno paura di perdere voti, cioè il carcere è dimenticato, come dicono gli avvocati penalisti, perché i detenuti non portano voti, non conviene a nessuno denunciare questo dramma. Ma, dico io, se ai penalisti non conviene, noi forse abbiamo qualche interesse in questo?

Mi sembra che una delle caratteristiche del volontariato sia quella di non avere alcun interesse, almeno mi sembra… nessuno viene pagato, lo facciamo perché sentiamo che sono cose giuste. Ci manca solo un po’ di coraggio in più, il coraggio di scendere in piazza…

 

Fra Beppe Prioli (Coordinatore S.E.A.C. del Triveneto)

 

Cosa pensate riguardo all’indulto? Qualcuno ha detto: "Perché non vi muovete, tutti voi volontari?", ma anche la Chiesa ha fatto silenzio, su questo, a parte qualche vescovo che, ho letto sull’Avvenire, si chiedeva perché non è stato accolto l’appello del Papa.

Il segnale è partito dal Papa ma io non ho visto la Chiesa, noi cristiani, sacerdoti, vescovi, preoccuparsi poi molto di questo. Noi, veramente, non abbiamo mai fatto un segno, una manifestazione, tutti assieme. Porto un esempio: quando è stata presa la decisione di chiudere il carcere militare di Peschiera - siccome disturbava il paese, perché il sindaco non voleva questa struttura - queste persone detenute sono state mandate tutte al forte di S. Andrea Capua Vetere. Lì non c’è stata una forza di tutto il volontariato: io ho fatto una marcia, una passeggiata, in silenzio, davanti al carcere con i familiari, ma eravamo in pochi. Ecco, muoversi tutti insieme avrebbe avuto una risonanza diversa, su questo sono d’accordo anch’io.

 

Intervento dal pubblico

 

Volevo dire un’altra cosa, in questi giorni si è detto, riguardo alle misure alternative, che magari molte persone si comportano bene ma quando, anche solo ad una persona, succede qualche problema, i mass media danno subito risalto alla notizia. Allora perché non dare voce a questa foresta che cresce? Il Ser.T., per esempio, dovrebbe in qualche modo collegarsi con i media. Noi non abbiamo nessun collegamento al riguardo, c’è poco da fare. Facciamo una marcia, ma se nessuno scrive che è stata fatta non serve quasi a niente, sono i media che contano. Perché a questo convegno non sono stati invitati giornalisti? Perché non forniamo loro del materiale? Non lungo, magari, solo due pagine: la relazione che hanno preparato gli amici, sintetizzandola, si potrebbe dare alla stampa, forse questa è una delle mancanze più gravi del S.E.A.C., in questo momento.

 

Intervento dal pubblico

 

Riguardo ai mass media, io ho letto un libro di Karl Popper, un sociologo americano, in cui c’è una statistica sull’influenza della televisione nella società americana: questa dimostra che un bambino, alla fine della quinta elementare, ha visto qualche migliaia di omicidi.

In questi giorni abbiamo parlati della rieducazione dei detenuti, mi sembra che anche noi, su questo punto, siamo all’età della pietra: ci preoccupiamo di quanti educatori ci sono nelle carceri, ed è giusto che ci siano, come è giusto che ci siano migliaia di volontari, però, mi chiedo, i detenuti sono martoriati 22 ore al giorno, chiusi in una cella, e vedono la televisione dalla mattina alla sera…

Gli psicologi dicono che non è più la scuola che educa, non è più la famiglia, ma è la televisione che educa. La televisione ha una influenza tremenda sulle persone e, siccome la televisione sta in tutte le stanze dei detenuti, perché non usarla per aiutare a trasmettere loro qualche messaggio valido?

 

Ornella Favero (Coordinatrice di Ristretti Orizzonti)

 

Noi siamo d’accordo, però bisogna capire come? Noi ci occupiamo di informazione e abbiamo fatto un convegno sul lavoro, in carcere… dentro al carcere di Padova sono entrate 400 persone, ma il TG 3 locale non è intervenuto! Voi sottovalutate moltissimo il problema dell’informazione, dobbiamo trovare dei sistemi per attirare l’interesse dei media, ma non è facile. Ma anche al nostro giornale, quanti volontari, o associazioni, sono abbonate?

 

Celso Coppola (Membro Consiglio Nazionale del S.E.A.C.)

 

"Meno carcere e più impegno sociale": mi pare che su questo non ci sia discussione, siamo d’accordo su tutte le difficoltà del carcere, ma il problema che emerge chiaro è che occorre lavorare con una strategia, per attuare quest’assunto. Sono anni che andiamo avanti per raggiungere questo fine, ora è necessario fare il punto della situazione e partire con un progetto preciso, con degli obiettivi molto chiari che ci portino a fare un salto di qualità.

Non possiamo andare avanti per altri 25 convegni a discutere dei nostri problemi sul carcere e le misure alternative. Stabilire una strategia: questo è un lavoro difficile, non è una cosa banale, da dilettanti. È un fine da raggiungere che esige una riflessione attenta, perché siamo tutti d’accordo che bisogna coinvolgere i mass media però, come dice Ornella, non vengono. Allora il problema va approfondito ulteriormente, trovando i modi per riuscire a superare anche queste difficoltà. Oppure una strategia articolata, un progetto che parta chiaramente da quelle che sono state le conclusioni del convegno e, quindi, gli atti saranno molto importanti e speriamo siano disponibili al più presto.

Abbiamo visto che ci sono problemi nella magistratura di sorveglianza, che s’intoppa in determinate situazioni, negli istituti penitenziari, negli enti locali, nelle regioni e nel volontariato. Allora, questi problemi dobbiamo riassumerli, precisarli sinteticamente e chiaramente: sappiamo anche che, molti di questi punti, possono essere affrontati attraverso strumenti che abbiamo già.

Per esempio, il problema dei rapporti con gli enti locali. Con la regione Veneto il problema è regolato dal Protocollo d’intesa stipulato tra Ministero e Regione: anche lì ci sono degli intoppi, noi dobbiamo agire con la Commissione, prevista dallo stesso Protocollo, con le Conferenze regionali con il coordinamento del S.E.A.C..

Bisogna mobilitarsi, bisogna far attuare questi Protocolli, anche quello stipulato dal volontariato con in ministro della giustizia, che deve essere rispettato: è prevista la programmazione annuale degli interventi… che non si fa mai, però bisogna chiederla e… ottenerla!

Il Tavolo che, nel Veneto, si è aperto con i direttori, mi pare che sia un forte impulso su questa linea, però sono cose che devono essere fatte. Questa attività è ancora dispersa, un po’ polverizzata, diciamo un po’ occasionale, perché qui c’è un assessore bravo, un direttore bravo, mentre lì ce n’è uno un po’ così…

Noi discutiamo di questa importantissima assunzione di responsabilità, questo "Meno carcere, più impegno sociale" è una conquista di cultura e di civiltà estremamente importante, è sorretta dalla costituzione e dalla legislazione, però è minoritaria nel paese, è una cultura che non riesce ad affermarsi. Noi dobbiamo riuscire, con questo progetto, a dare unità a questo sforzo che viene condotto separatamente nelle varie località d’Italia, nelle varie regioni, e dare un’unità nel senso della consapevolezza, della coscienza, nel senso organizzativo e operativo. Serve avere consapevolezza che, chi fa questa cosa, non è solo, ma c’è tutto un circuito in cui è inserito e deve trovare forza in questo.

Poi questo progetto deve essere lanciato, articolato bene, deve essere una specie di dossier, un libro bianco contenente queste cose, che poi può essere ridotto alla paginetta, o agli slogan, a seconda delle varie esigenze. Però il volumetto ha importanza per dare consapevolezza profonda a tutti i protagonisti di questa vicenda e anche documentazione all’esterno: un conto è dire "Meno carcere, più impegno sociale", un conto è documentarlo e spiegarlo.

Quindi il libro bianco dovrebbe essere una cosa seria, molto ben preparata e poi questo progetto deve prevedere i mezzi con cui riuscire ad uscire da questa clandestinità, perché nella cultura italiana lo siamo un po’, clandestini.

Allora, mezzi nuovi, la mobilitazione dei mass media, le manifestazioni di piazza. Ma penso che, più che farle solo noi, potremmo fare un’ipotesi: se il movimento no global abbracciasse questa linea, sarebbero centinaia di migliaia di persone e non poche centinaia quelle che cercano di manifestare…

È il movimento di partiti, dei sindacati, che dovrebbero abbracciare questa linea, in sostanza, nella consapevolezza che non si può aggiustare le cose del mondo se non si sono aggiustate anche ler cose nel nostro interno, perché il nostro Terzo Mondo l’abbiamo qui, non dobbiamo andare tanto lontano per cercarlo.

Il S.E.A.C., la Conferenza Nazionale Volontariato, le Conferenze Regionali, dovrebbero impegnarsi molto fortemente a elaborare questo progetto, in tutte le sue parti e fasi, e questo credo sia il messaggio del nostro convegno, perché abbiamo constatato che siamo d’accordo sui punti fondamentali ma che non sappiamo come portarli avanti. Li portiamo avanti così, in molte occasioni, in tante situazioni, però in modo abbastanza disperso, mentre un’unità, una forza comune, può veramente imporre e portare avanti un’idea.

 

Fra Beppe Prioli (Coordinatore S.E.A.C. del Triveneto)

 

Sono contento. Venire qui, dopo 25 anni, con la vostra presenza, per me è un cammino: mai pensavo di arrivare a questo, dopo i primi anni che abbiamo iniziato. Un cammino, perché abbiamo dato spazio e voce a voi. Credo che questo è un primo passo: io direi che il prossimo anno, dobbiamo continuare e il prossimo anno, più che un seminario regionale, vedere come Conferenza e anche come S.E.A.C. se sarà il caso di farlo a livello nazionale.

Il tema "Meno carcere e più impegno sociale" ho anch’io paura che muoia qui: tante altre volte abbiamo discusso dei problemi, ma poi non abbiamo avuto la forza di risolverli. Nel prossimo anno cercheremo di dare voce più ampia ai detenuti: ci sono gli spazi per far uscire anche altre persone, coinvolgendo anche tutte le regioni.

 

 

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