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Conclusioni elaborate dai Gruppi di Lavoro
Gruppo di Lavoro n° 1
L’accompagnamento nel percorso dei detenuti e delle loro famiglie: una sfida, un’opportunità di crescita anche per il volontariato
Abbiamo iniziato cercando di capire come nascono i comportamenti devianti, identificando quale causa principale una mancanza d’attenzione da parte della famiglia, della società e della comunità cristiana. Abbiamo cercato di approfondire queste tre dinamiche e abbiamo visto che, in alcuni contesti, la famiglia incentiva il ragazzo a comportamenti sbagliati, di poca sensibilità rispetto ai problemi altrui e molto interesse ad arricchirsi. In questo ambito abbiamo parlato anche del malessere dovuto al benessere, che è una caratteristica della società odierna. Poi abbiamo preso in considerazione il caso della famiglia che diventa la prima vittima della persona deviante, per esempio le famiglie delle persone tossicodipendenti. Abbiamo cercato di capire anche quali sono le responsabilità della società e abbiamo visto che questa può influenzare le famiglie le singole persone, con modelli improntati all’arrivismo e al consumismo sfrenato, e inoltre spesso non offre strutture idonee per un buon sviluppo della persona. Abbiamo parlato della comunità cristiana, che non sempre è presente e, a volte, si disinteressa volutamente delle famiglie che hanno problemi gravi legati alla giustizia.
I compiti del volontario, in questo ambito, possono essere così riassunti:
Francesco ci ha detto che molte volte tornare a casa per il detenuto diventa un problema e, infatti, Fra Beppe ha detto che a volte si sconsiglia al ragazzo di tornare a casa, perché si può sentire a disagio nel tornare nei luoghi dove ha commesso il crimine e per lui un recupero sarebbe più difficile.
Abbiamo parlato anche dei figli minorenni dei detenuti:
Abbiamo avuto l’esperienza della famiglia di un detenuto, che ha detto quanto sia importante:
Siamo giunti alla conclusione di dare, innanzitutto, più importanza all’assistenza alle famiglie, perché non sempre avviene questo. Gruppo di Lavoro n° 2
La dimensione politica del volontariato penitenziario: aggregarsi, comunicare con la società, interagire con le istituzioni
Si pensava di dare per scontato alcune definizioni, ma si è visto che il volontario ha anche la necessità di essere sempre in cammino, di ripensare a ripartire dall’inizio, ma di avere in mente anche la meta finale. Quindi fa fatica a definirsi in un determinato punto, ma deve sempre tenere in conto le sue origini e le motivazioni, per arrivare a quello che sta facendo e quello che vorrebbe fare.
Abbiamo individuato alcuni punti fondamentali:
Un ruolo politico fondamentale, per le Associazioni di volontariato, è quello della sensibilizzazione, che ci è stato richiamato anche dalle persone "ristrette", con le risposte al questionario. Ci assegnano un compito che riteniamo importante, che già in parte facciamo, ma forse dobbiamo farlo con più puntualità e maggior diffusione e preparazione, anche perché diventa uno strumento di prevenzione.
Lo scambio di informazioni tra le Associazioni è anche molto importante: se una determinata attività, o iniziativa, è stata pensata e studiata da un’associazione, è importante che venga fatta conoscere, perché ciascuno la possa riprendere, con l’unica fatica di attualizzarla alla propria realtà, ma senza doverla ripensare dall’inizio.
Per essere contrattuali con le istituzioni è chiaro che dobbiamo avere una conoscenza molto approfondita dei nostri ruoli, dei nostri compiti, delle nostre possibilità, così da poter richiedere ed esigere ciò che le istituzioni sono in grado di dare. Gruppo di Lavoro n° 3
Non c’è solo il carcere: dalla mediazione penale, al lavoro a favore della collettività, perché la pena sia occasione di autentico riscatto.
È stato dato grande rilievo allo scambio d’esperienze tra volontario e detenuti: questi ultimi erano particolarmente numerosi nel nostro gruppo. Un primo chiarimento terminologico: è inadeguato usare l’espressione "pene alternative al carcere", perché fa pensare che il modo corretto per scontare una pena consista nella detenzione.
Alcune osservazioni relative all’esperienza di volontariato
Si è sottolineata anche l’importanza di alcune esperienze significative del passato, per esempio si è ricordato di come i terroristi in carcere lavoravano la pelle e offrivano una parte del ricavato ad un progetto nel terzo mondo. Si commenta l’affermazione di Francesco: "la pena lunga serve di più di quella breve". Indica che per intraprendere un percorso nuovo serve una decisione, da parte del singolo, che richiede del tempo. Non vuol dire che servono pene più lunghe, ma significa che le pene brevi devono essere sostituite con qualcos’altro: quindi, per i reati di una certa gravità, accettiamo che il carcere sia il percorso da cui si passi, per arrivare a qualcosa d’altro. Per i reati di una gravità inferiore, il carcere è assolutamente inutile, perché non è il luogo in cui una persona, in un anno, due, tre, può fare un percorso di elaborazione.
È pure vero che il carcere è inutile, ma esiste, e dobbiamo essere il più possibile realisti, e partire da quello che c’è, per migliorare concretamente le opportunità che ci sono e che sono previste, ma che non vengono abbastanza sfruttate oppure non funzionano.
L’esperienza dei detenuti: Se è vero che le condizioni sono dure e servono ad aumentare il peso della pena, occorre trovare un momento per poter riflettere e capire che se, per esempio, ci fosse stato qualcuno prima a darci una mano il reato non sarebbe stato commesso, il futuro quindi della pena è la prevenzione.
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