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Giornata di incontro e formazione Seac Triveneto Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto Sportello Giustizia CSV del Veneto Ristretti Orizzonti
Domenica 29 febbraio 2004 Marghera (Venezia) Convento di Sant’Antonio Via Padre Egidio Gelain n° 1 – Tel. 041.920690
Reinserimento sociale dei detenuti
Conclusioni della giornata
Tre problemi urgenti che esigono risposte concrete
Dalla giornata di incontro e formazione del Seac Triveneto - Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario, tenutasi a Marghera il 29 febbraio 2004, sono emersi alcuni problemi di particolare rilevanza e sui quali il volontariato penitenziario ha deciso di impegnare le proprie forze, anche sollecitando l’intervento degli Enti Locali e di tutta la società civile.
Il Consigliere Regionale Iles Braghetto, Presidente del Gruppo Consiliare CDU – PPE, presente all’incontro e sollecitato dalle richieste del volontariato, si è assunto alcuni precisi impegni:
Per chi vuole saperne di più
a) I corsi professionali
Al 30 giugno 2003 (dati del Ministero della Giustizia) nelle carceri italiane erano attivati 361 corsi di formazione professionale, che in totale coinvolgevano 3.879 detenuti. Non esistono, invece, statistiche sul numero dei detenuti ammessi a misure alternative alla detenzione ed ex detenuti che hanno trovato un lavoro grazie alla formazione professionale realizzata in carcere. La stragrande maggioranza di queste persone – se ha la fortuna di trovare un’occupazione – finisce nelle cooperative sociali a fare pulizie, o facchinaggio, indipendentemente dalla qualifica di cui è in possesso. Considerando che la formazione professionale ha un costo non indifferente (300 ore comportano una spesa di 5 - 6.000 euro per ogni corsista) di cui si fa carico la collettività, crediamo che al riguardo sia necessaria una più attenta verifica del rapporto tra costi e benefici. Nel contempo, invitiamo gli Enti preposti (Regioni, Province, Comuni) a valutare l’opportunità di fare ricorso anche ad altri strumenti che agevolino l’inserimento lavorativo degli ex detenuti, quali il sostegno all’auto-imprenditorialità, i tirocini formativi in azienda con obbligo di assunzione, etc.
b) L’alloggio
Quello del reperimento di un alloggio è un problema sentito da tante persone, non necessariamente appartenenti all’area del disagio sociale. Tuttavia si pone con maggiore urgenza e drammaticità per quanti provengono da un’esperienza di istituzionalizzazione carceraria, soprattutto se privi del sostegno di una famiglia: la sola prospettiva è di andare in un dormitorio pubblico, oppure di ritornare ad attività illegali con il miraggio di guadagni immediati e quindi di avere disponibilità di denaro per pagarsi un letto. Poco meno grave è il problema della mancanza di strutture nelle quali i semiliberi possano trascorrere parte della giornata e le domeniche svolgendo attività ricreative e culturali. Il fallimento di molte misure alternative dipende proprio dall’assenza di spazi di socializzazione nella vita delle persone semilibere, le cui giornate consistono, spesso, soltanto nell’andare a lavorare e poi nel tornare a "rifugiarsi" dentro il carcere. La solitudine, la povertà di relazioni, il ricorso all’alcol, diventano cose normali e, in questo modo, le persone non possono ricostruirsi un proprio ruolo sociale, anzi macerano rancore e desiderio di rivalsa. Sono chiamate ad intervenire, in primo luogo, le Amministrazioni comunali: riconoscendo la residenza anagrafica alle persone scarcerate dagli istituti di pena che sorgono nel territorio di competenza (come stanno facendo i Comuni di Bologna e di Venezia); istituendo liste speciali per l’assegnazione delle "case popolari" alle persone scarcerate (anche questo viene fatto a Venezia); finanziando la ristrutturazioni di alloggi da destinare agli ex detenuti (come ha fatto la Provincia di Brescia); reperendo strutture da destinare ad attività sociali per i semiliberi privi di riferimenti abitativi (avviene a Firenze).
c) Il sostegno economico
"Il costo della vita è insostenibile". Lo diciamo tutti. Per chi esce dal carcere il problema non è tanto quello del costo della vita, quanto quello di SOPRAVVIVERE finché non guadagna un po’ di soldi e può cominciare a confrontarsi con le necessità della vita. Nelle carceri il lavoro è un privilegio di pochi: 13.630 detenuti, su 55.670 (dati del Ministero della Giustizia, 30 giugno 2003). La maggior parte dei lavori sono a rotazione, retribuiti in base a Tabelle, risalenti a 12 anni fa, che prevedono compensi orari di circa 3 euro. È chiaro che chi esce dal carcere è quasi sempre in bolletta e, anche ammettendo che sia fortunato e trovi subito un lavoro, deve "arrangiarsi" fino a quando riceverà il primo stipendio. Se tutto va bene, dopo 40 - 45 giorni. Lo stesso problema devono affrontarlo i semiliberi, che escono dal carcere la mattina e vi rientrano la sera e, all’esterno, hanno pur bisogno di mangiare e di vestirsi. A fronte di ciò riteniamo necessaria l’istituzione di un Fondo per la concessione di "prestiti d’onore" ai detenuti semiliberi e agli ex detenuti, per far fronte alle esigenze di vita nelle prime settimane successive alla scarcerazione o alla ammissione alla semilibertà. Inoltre sollecitiamo le forze parlamentari a raccogliere la proposta (sottoscritta dal Presidente onorario della Corte di Cassazione, Alessandro Margara, al termine della giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca" - Casa di Reclusione di Padova, maggio 2003) di modifica del sistema delle pene accessorie e delle misure di sicurezza (multe, libertà vigilata, etc.), sistema che spesso ostacola, anziché favorire, il reinserimento sociale dei detenuti.
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