La salute appesa a un filo

 

Atti della Giornata di Studi

“Carcere: La salute appesa a un filo”

Il disagio mentale in carcere e dopo la detenzione 

(Venerdì 20 maggio 2005 - Casa di reclusione di Padova)

 

Vito D’Anza

 

Noi oggi ci troviamo a parlare di salute mentale e carcere in un contesto più ampio di quello che riguarda la salute mentale e che ha queste caratteristiche: siamo a 27 anni dalla riforma Basaglia che ha chiuso i manicomi. Sono successe cose importantissime in questi 27 anni, si sono chiusi i manicomi e sono nati Servizi di salute mentale dove più e dove meno, dove buoni e dove meno buoni, comunque su tutto il territorio nazionale. In realtà è successo un evento, e si è dato anche concretezza a un evento epocale che è quello della chiusura dei manicomi, questo è un primo dato.

Secondo dato: la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è stata ed è uno degli obiettivi e delle contraddizioni più grosse che comunque continuiamo ad avere di fronte, quindi il superamento degli O.P.G. resta ancora lì, che attende in qualche modo una risposta concreta, però nel contempo cos’è successo in questi 27 anni? Dicevo che la svolta epocale c’è stata, però una ricerca del Ministero ci dice che nei servizi di diagnosi e cura ospedalieri, quelli psichiatrici, il 67% delle persone ricoverate vengono più o meno sistematicamente legate.

I pazienti cronici, cioè i lungo assistiti, sono molti concentrati su tutto il territorio nazionale, nelle cosiddette strutture residenziali che sempre di più, secondo questa ricerca del Ministero, assomigliano a dei luoghi manicomiali, luoghi di contenimento, luoghi di contenzione, e luoghi quasi carcerari per altri versi. Questi sono due temi e due cose grosse. Io rappresento in questo momento il Forum salute mentale, che le ha poste come questioni vive da discutere e come questione da superare. Io lavoro in Toscana, e per esempio un primo risultato su questi temi  è che oggi abbiamo nella Regione Toscana il piano sanitario regionale dove, tra gli obiettivi fermi che mette nel piano, è quello di abolire nel prossimo triennio la convenzione di tutte le diagnosi e cure in tutta la Toscana. Il Friuli Venezia Giulia e per non citare Trieste, ovviamente non legano pazienti da una vita.

Già con Basaglia, il discorso della convenzione, all’epoca del manicomio, fu abolito, ma anche i servizi non legano persone da 20 anni e oltre. In questo quadro molto contraddittorio, oggi si discute di salute mentale nel carcere. La questione che volevo porre è questa, che è poi quella  sollevata da Giuseppe Dell’Acqua stamattina indirettamente, e che per alcuni versi riprendeva Stefano Vecchio nel suo intervento: leggevo, scaricandolo da Internet sul programma della giornata di oggi, una richiesta abbastanza esplicita che è questa: c’è necessità di un presidio sulla salute mentale in ogni carcere, che svolga attività permanente, che ripensi il trattamento e lo renda funzionante alla nuova realtà. Il punto che comunque pone, è la presenza in ogni carcere di una équipe stabile dentro, in qualche modo, se leggo bene, posto come una delle possibilità su cui oggi stiamo discutendo. Questa è una delle proposte in campo.

Stefano Vecchio diceva prima che nei Ser.T. per le tossicodipendenze già c’è, però, giustamente dal mio punto di vista, distingueva gli aspetti. Probabilmente ha un senso e una motivazione per le tossicodipendenze, mentre è diverso il discorso per la salute mentale in senso più stretto, e Peppe Dell’Acqua stamattina riprendeva la questione dicendo e rilanciando il tema della legge 230 del 1999, del progetto obiettivo sulla salute mentale in carcere, il problema delle convenzioni con i dipartimenti di salute mentale. Sono due i tipi di proposta diversi, per cui credo che questo sia un elemento su cui varrà la pena poi di dibattere e di discutere sull’opportunità o meno. Quello che Peppe dell’Acqua ha descritto stamattina su ciò che fanno a Trieste poi in realtà è un po’ la posizione, anche se non esplicitata nel documento nazionale del Forum salute mentale, ed è la questione dove il Forum si riconosce. Quindi diciamo che, dal mio punto di vista, la soluzione prospettata da Dell’Acqua è la soluzione che può dare ragione a un discorso più vero di salute mentale: il problema è del rapporto tra interno ed esterno del carcere, di rete di relazione in cui la persona con disturbo mentale, sofferente, necessita di un processo comunque di cura e di presa in carico.

Il sottotitolo di oggi è “Il disagio mentale in carcere e dopo la detenzione”, e questo “dopo la detenzione” mi sembra un altro elemento molto importante perché il “dopo la detenzione” non lo farà mai un’équipe stabile. L’équipe nel carcere silenzia il sintomo, agisce su un malessere e una sofferenza silenziandolo dal punto di vista farmacologico, e può essere condito più o meno da un discorso di tipo psicologico, ma resta un discorso interno. Il problema dell’esterno è cosa diversa, perché, se c’è una presa in carico da parte di un Dipartimento di salute mentale che agisce su quel territorio, il percorso, il dopo il carcere, diventa un processo quasi molto più facile ed inevitabile, se a questo corrisponde ovviamente, come io penso debba necessariamente succedere, con una presa in carico forte e di costruzione dei percorsi e dei ponti tra il dentro e il fuori. La questione che volevo sollevare è questa, per cui credo che, anche a partire da oggi, questa dovrebbe essere una discussione su che tipo di soluzione debba essere data per dare risposta alla salute mentale in carcere, e quindi ritengo che siano degli elementi centrali. Ringrazio.

 

 

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