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Non lavorare stanca troppo di Ornella Favero Fuoriluogo, maggio 2003
Una giornata di studi nel carcere di Padova ha messo a confronto più di 400 "addetti ai lavori" e detenuti sui temi del lavoro, del reinserimento e dell’informazione
Se fuori ci si può permettere il lusso di stancarsi del proprio lavoro e desiderare solo di ridurre il tempo e le energie che si è costretti a dedicargli, in carcere il lavoro è un tale miraggio, che ci si può stancare solo di non averlo e non riuscire a trovare nulla che assomigli a una dignitosa attività lavorativa pagata. Ecco allora il senso del titolo di una giornata di studi, "Carcere: Non lavorare stanca", che ha portato nella Casa di reclusione di Padova un numero enorme di operatori dall’esterno: soci di cooperative e di associazioni, assessori e funzionari di enti locali, sindaci, magistrati, industriali, sindacalisti, avvocati, operatori e detenuti di altre carceri. Molti sono stati gli elementi di novità di questa giornata. Quattrocento persone che hanno esperienza di come dar lavoro ai detenuti hanno varcato i cancelli del carcere per portare la loro testimonianza. Se si pensa che ogni ospite è stato contattato prima attraverso il sito www.ristretti.it, la sua mailing list e il giornale Ristretti orizzonti, poi personalmente, per chiedergli i dati necessari, allora davvero la risposta attenta e curiosa del mondo esterno all’invito del carcere ha del miracoloso, tanto più se si considera che ai convegni fuori spesso ci si conta desolatamente per ribadire che il carcere non interessa a nessuno. I detenuti non sono stati solo spettatori, ma protagonisti di tutta l’organizzazione del convegno, hanno accolto gli ospiti, li hanno intervistati, hanno preparato i materiali di informazione e organizzato il buffet. Ecco allora spiegato il senso di un’iniziativa, che per chi entra dall’esterno ha naturalmente dei prezzi da pagare, la coda all’ingresso per i controlli di rito, la pesantezza di una giornata interamente passata in galera: il senso è sentire dai detenuti i loro problemi, scambiarsi idee, far conoscere ai diretti interessati le proprie attività. Da questo punto di vista, anche i tempi dell’attesa sono diventati tempi di socializzazione e di "risocializzazione" in cui detenuti e operatori si sono confrontati su un terreno non " assistenziale". Si è parlato di una cosa fondamentale come la necessità di fare più informazione dal carcere e sul carcere. E non si tratta di una banalità, se si pensa, per fare un esempio, che nessuno dei presenti aveva ancora capito se e come la cosiddetta legge Smuraglia, che prevede sgravi fiscali per gli imprenditori che portano lavoro in carcere, sia stata rifinanziata. Licia Roselli, presidente di Age.So.L (Agenzia di Solidarietà per il lavoro) ha raccontato quanto sia difficile sensibilizzare proprio gli imprenditori su questi temi, tanto che a 8.000 lettere spedite dalla sua agenzia alle imprese hanno risposto in quattro. Ma come si fa ad attirare davvero l’attenzione di queste categorie, se non siamo neppure in grado di dirgli che agevolazioni ci sono per chi intende avviare attività lavorative in carcere? Gli interventi dei relatori hanno portato alla ribalta le esperienze più significative nel campo dell’inserimento lavorativo: dalla Agenzia di solidarietà per il lavoro di Milano, all’associazione Carcere e territorio di Brescia, agli sportelli informativi del Pild Toscana. Un forte interesse c’è stato anche su temi strettamente giuridici, trattati con passione a partire dall’intervento di Monica Vitali, giudice del lavoro e autrice del libro n lavoro penitenziario per arrivare a un gruppo di lavoro che nel pomeriggio ha rielaborato alcune proposte sulla base di un testo presentato da Alessandro Margara sulle "Norme che comportano ostacoli all’inserimento lavorativo di soggetti in esecuzione penale, in corso o conclusa". La presenza degli enti locali da un po’ tutta Italia è stata particolarmente significativa: sono arrivati assessori da Firenze, Roma, Pavia, sindaci di piccoli paesi, funzionari, con la voglia di confrontarsi su progetti, e non su intenzioni e promesse. Viene da pensare che, se ogni piccola comunità, come hanno fatto i comuni di Limena e Galliera in provincia di Padova, assumesse qualche detenuto, il problema del reinserimento farebbe dei notevoli passi avanti. Infine, per far capire quanto lontani siamo da una circolazione delle informazioni per lo meno decente sulle questioni del carcere, va sottolineata una notizia data da Anacleto Benedetti, dell’Ufficio Detenuti del DAP: mentre chi si occupa di lavoro in carcere si lamentava dell’esiguità dei fondi stanziati per la Smuraglia, delle 712 posizioni lavorative, che potevano essere coperte con i finanziamenti in questione, soltanto 333 sono state impegnate. Forse è il caso allora di rimboccarsi le maniche, e lavorare di più e meglio perché le notizie comincino a circolare. L’idea che si è consolidata a Padova è anche quella di fornire ai detenuti una guida con indicazioni sulle possibilità di trovare lavoro, tramite gli uffici pubblici, gli Sportelli di orientamento, le agenzie presenti sul territorio, ma anche informazioni sui documenti da recuperare, sulle multe da pagare, su tutto quello che per un detenuto costituisce comunque un percorso a ostacoli sulla via del reinserimento.
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