Giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca" 9 maggio 2003 - Casa di Reclusione di Padova
Mario Carraro, industriale (è considerato uno dei più importanti industriali italiani e, data la difficoltà a coinvolgere le aziende profit su questi temi, si sottolinea qui volutamente il valore della sua presenza)
Io mi espongo un po’ alla vostra curiosità, perché ho visto che ho destato un po’ di fermento quando sono arrivato. A dire il vero non trovo molti colleghi e mi domando se sono venuto in un posto dove è imprudente essere, ma in genere non me lo domando mai… invece mi domando se è utile, per quello che posso dare, e soprattutto per quello che posso ricevere. Credo che il problema che state evocando sia un problema molto importante, che ha duplice dimensione, quella di dare un senso di utilità all’interno del carcere al detenuto e prepararlo, per quando esce, a trovare una posizione naturale di inserimento, che è molto importante. Su questo bisogna fare molta attenzione, a partire da come si procede alla formazione dei detenuti, perché siano pronti al passaggio verso l’esterno. Ricordatevi che il mondo del lavoro sta cambiando con una rapidità incredibile e mi domando se sono disponibili, all’interno del carcere, gli strumenti che fanno oggi abile un lavoratore. E, fra gli strumenti, gli elementi della formazione, come quello della lingua, che potrebbe essere una delle facilitazioni. Penso che non sia il massimo delle aspirazioni, quella di fare il saldatore, come ha ricordato la dottoressa Roselli prima. Il problema che non ci siano saldatori deriva dal fatto che il saldatore è un lavoro difficile, è un lavoro anche pericoloso, nocivo, che si dà ai derelitti. Non è una condizione a cui aspirare, insomma. Mi domando se ci sono dei limiti per l’introduzione in carcere degli strumenti della nuova tecnologia, Internet ad esempio: oggi Internet è diffuso all’interno delle aziende, perché diventa uno strumento di comunicazione e di lavoro. In carcere penso ci siano delle difficoltà per l’utilizzo di Internet, però bisogna anche avvertire questi elementi di trasformazione della società, perché chi esce non si ritrovi disorientato. Voglio ricordare, tra l’altro, che qui a Padova, per quanto riguarda il lavoro carcerario, c’è stato un pioniere, un personaggio molto particolare, che è stato Rizzato, che aveva un’industria dentro il carcere, quando il carcere stava ancora a Piazza Castello, dove faceva telai di biciclette. Devo dire che quest’uomo, durissimo peraltro, aveva acquistato anche un certo rapporto con i detenuti, perché alcuni di loro, che io ho conosciuto, che avevano scontato più di vent’anni di pena, quindi per reati non lievi, li aveva portati come giardinieri nella sua villa. Se amiamo una società avanzata, non possiamo averla senza avere dei rapporti forti anche con gli elementi che sono ai margini della società, proprio perché più ci sono margini nella società e meno è forte la società. Io quindi sono a disposizione per alcuni contatti, per capire meglio quale è il problema, quale è anche la capacità di creare del lavoro per i detenuti, sia all’interno sia all’esterno, ricordando che uno dei limiti, che sottolineava sempre Guido Carli, quando era presidente degli industriali, erano i lacci e i laccioli, che sono termini brutti da usare in questo ambiente, ma che non devono crescere ulteriormente quando il rapporto di lavoro riguarda i detenuti.
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