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Venerdì 21 giugno 2002 - Milano Sergio Segio, Associazione Società INformazione
Prima di passare la parola, devo citare un paio di assenze, in particolare quella di Mario Leda, che mi ha chiesto di scusarlo per non essere presente, ma dei problemi personali gli impediscono di presenziare oggi. L’altra assenza è quella di Carlo Sama e mi dispiace perché è l’artefice di un esempio di una possibile simbiosi tra informazione sociale e informazione tradizionale tramite stampa: questa bella sperimentazione della F.I.C.T. (Federazione Italiana Comunità Terapeutiche) che si chiama "Progetto Uomo", e viene presentato in un quotidiano. Ma anche un altro modello possibile, quello che il Manifesto fa con Fuoriluogo, sembra aprire un percorso, una strada. Come si diceva all’inizio, oggi abbiamo avuto una serie di problemi legati alla gestione di questa giornata, lo sciopero dei mezzi pubblici delle ore 18.00 ci costringe ad anticipare i lavori di questo pomeriggio. Per cui inizierei subito con Sergio Cusani, Ornella Favero, Francesco Morelli, Toy Rocchetti, Daniele Di Biasio, Carlo Giorgi e Paolo Lambruschi. I grandi media ci mettono un brevissimo lasso di tempo per costruire i luoghi comuni, per cancellare situazioni, occultare soldi, se non addirittura rappresentare un altro tipo di società, facendo decollare culture antagoniste al lavoro che solitamente noi ci troviamo a fare. L’altro aspetto è che nella nostra società abbiamo una grande produzione di strumenti e cioè molte delle nostre energie, oltre ad essere impiegate per lavorare, poi vengono dedicate a questo tema della comunicazione. Lo sforzo che noi dedichiamo a comunicare le storie, i diritti negati, ma anche i progetti positivi, ha una scarsa efficacia perché spesso la grande fatica e il dispendio di risorse che facciamo è rivolto, ancora una volta, al nostro circuito. Per fortuna non è sempre così, stamane vi erano chiari segnali d’ottimismo su di un certo tipo di sinergia, tra informazione di base e grandi media, io però rilancio questo tipo di questione e cioè, vale davvero la pena di lavorare così faticosamente, oltre che sulle questioni del diritto, anche nella comunicazione, se l’efficacia del nostro lavoro è questa! O ci sono altre strade? Non è forse possibile stringere dei rapporti senza rinunciare alla propria specificità? Non è possibile raggiungere dei modelli o delle generazioni che abbiano una maggiore efficacia nel parlare fuori dai nostri confini, ed abbiano un maggior rapporto di forza nei confronti dei grandi media? Queste mi sembrano due delle possibili riflessioni, le altre cose invece, sono lasciate a voi, alla vostra idea rispetto al futuro della comunicazione, sui diritti, sull’esclusione sociale, sul carcere, sulla strada, ma anche appunto, sulle esperienze positive. Darei subito la parola ad Ornella Favero, di Ristretti Orizzonti.
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