|
Venerdì 21 giugno 2002 - Milano Pierluigi Magnaschi, direttore dell’Ansa
Ringrazio Sergio Segio per l’introduzione e soprattutto per quest’ultima affermazione, che in parte è vera e in parte è sbagliata, nel senso che l’Ansa produce dei cicli informativi, come Intel produce dei chip da mettere dentro ai computer. In effetti l’Ansa, come Intel, non compare, ma è dentro a tutti i computer che usiamo, nasce in maniera sotterranea e subliminale. Quindi noi possediamo la materia prima informativa, ogni giorno battiamo circa 1500 notizie, e di queste, sui giornali, anche i più grossi, ne compaiono dalle 100 alle 150. Pertanto il lavoro che noi facciamo è 10 volte superiore a quello che viene poi accolto dal sistema, quindi noi proponiamo delle informazioni che vengono selezionate da coloro che decidono quali debbono arrivare ai lettori finali. La potenza dell’Ansa è una potenza vera, che però deve passare dalla valutazione delle varie redazioni. In questo caso, nel caso dell’informazione sociale, l’Ansa ha una lunga tradizione, ma molti di questi servizi non vedono la luce. Bisogna domandarsi come mai l’informazione che pure esiste, circola, arriva sulle scrivanie e sui computer dei giornalisti, dei capi servizi e dei redattori capi, poi non vede la luce. I grossi media sono dei giornali che parlano a quelli che sono nel margine, e tendono ad escludere quelli che sono fuori dal margine della società. Questa è una constatazione ovvia, però è essenziale, se noi vogliamo, partendo da questa constatazione, cercare delle misure per superare questo handicap. Riportare gli emarginati dentro al margine. Segio diceva che il libro che dobbiamo costruire stamattina è il libro delle doglianze, mentre nel pomeriggio dobbiamo cercare di costruire il libro delle soluzioni; io vorrei contribuire soprattutto alle soluzioni, nel senso che non dobbiamo piangerci addosso, ma dobbiamo cercare di capire che le cose stanno così. Per portare gli emarginati dentro i margini, l’obiettivo è ovviamente indefinito, le modalità sono tutt’altro che facili, perché uno dei modi dei grandi media è la soluzione buonista o strappalacrime. Questo rende l’emarginato sostanzialmente una barzelletta, una cosa che è appunto nell’anormalità. Peggio di tutti è quando l’emarginato diventa un oggetto da consumare nei talk show; suscita un’emozione puntuale, che finisce lì e poi… se ne riparlerà in occasione del prossimo caso. Questo è il caso della cannibalizzazione. Un altro problema che i grandi giornali, i grandi media, impongono, è che i grandi giornali seguono gli ascolti: volenti o nolenti, 22 milioni di italiani (e questi sono dati di accertamento dell’ascolto di questi incontri di calcio), si sono sintonizzati sulle partite. Nessuno li ha costretti, non il direttore de Il corriere della sera, Repubblica o L’unità, ma di fatto si è trattato della scelta autonoma di 22 milioni di italiani, che sono sostanzialmente la quasi totalità della popolazione, se si escludono i vecchi, i bambini e quelli che dovevano lavorare, etc. A chi deve scrivere il giornale serve questa massa, gli serve perché ci sono dei motivi di carattere strutturale, nel senso che i grandi giornali parlano a grandi numeri di lettori. I direttori dicono "vogliamo seguire i gusti dei nostri lettori" e, quindi, quando un giornale che vende 700.000 copie, secondo voi un direttore cosa vi propone di fare? Avere 700.001 lettori! Ma se questa è la sua missione, se questo è il suo obiettivo, il livello del giornale, man mano che aumentano le vendite, tende sempre più a calare, tende sempre più a spettacolarizzare, perché avendo già un patrimonio di lettori, va alla ricerca di lettori marginali, aggiunti. Se questi sono i dati di fatto, allora dovremmo dire che non c’è niente da fare, invece non è vero, perché io credo che l’informazione sociale, sull’emarginazione, sui bisogni, in questi ultimi 10 anni è cresciuta. Una rivista che seguo da vicino, che conosco perché fatta da due amici come Riccardo Bonacina e Giuseppe Franchi, è "Vita". Vent’anni fa non poteva esistere, ma non solo. "Vita" nel frattempo è cambiata, perché quando è uscita non aveva il colore, mi pare che aveva alcune articolesse di cui rimandavi la lettura a mezzanotte… perché dicevi "tanto stasera non prendo sonno". "Vita" adesso è un prodotto largamente professionale, tratta un argomento di nicchia però lo tratta con le tecniche dei grandi giornali. Ho visto l’ultimo numero, quello che c’è qui stamattina, e parla della riforma della legge Basaglia. Questo problema è serio, riguarda la società, i malati di mente, i parenti dei malati di mente, le istituzioni, è un insieme di valori che è difficile scuotere per vedere come migliorali e soddisfarli meglio. Questo è un articolo che non grida, non lancia allarmi, non suscita preoccupazioni, non fa vedere le lacrime, ma cerca di capire e di far capire. Secondo me questo è un obiettivo semplicissimo, che non fa cronaca nera, né propaganda. Questo articolo - faccio un caso specifico perché non mi piace fare della teoria - è un esempio di come i grandi giornali avrebbero interesse a sollevare questi temi, e attraverso "Vita" si dà l’esempio di come si potrebbero trattare anche su Il corriere della sera e Repubblica. Non c’è solo l’articolo 18, non c’è solo il campionato di calcio, ma ci sono degli obiettivi di crescita civile, che sono culturali. Per chiudere, queste pubblicazioni di nicchia incominciano ad indicare ai grandi media che questi temi sono scientifici, culturali, non noiosi, che ci riguardano, e lo dimostrano portandogli i prodotti sotto il naso. Credo che prima o poi anche i grandi giornali se ne accorgeranno. Il percorso non è facile, però conviene insistere come sta facendo l’Ansa, continuando a produrre le notizie che non vedono la luce. Credo che il mio mandato, la mia scelta, la scelta della mia redazione, sia quella di continuare a proporre, cercando di migliorare la confezione, la rete ecc. È una battaglia da goccia che scava la pietra; il panorama delle pubblicazioni che oggi si presentano, dimostrano che il percorso che hanno fatto è un percorso molto importante.
Sergio Segio
Grazie a Magnaschi anche per l’ottimismo, che è una cosa di cui sicuramente, chi lavora nel sociale, ha bisogno, per le difficoltà che gli sono state assegnate. Ma io direi, appunto, che se negli interventi riusciamo a tenerci tutti nell’arco di questo tempo, probabilmente è possibile anche interagire con qualche domanda. L’informazione non è solo stampa quotidiana ma è anche formazione, quindi capacità di comunicare, informare, di creare materiali che rimangono più a lungo e possono meglio incidere nella formazione culturale e sociale di ciascuno. Per questo motivo abbiamo voluto invitare il responsabile delle edizioni EDIESSE, la Casa editrice della C.G.I.L., che ha oramai un catalogo di 650 titoli e 149 titoli all’anno che vengono messi sul mercato. Anche questo è un modo di informare, di dare strumenti per conoscere realtà e per approfondirne gli aspetti. Darei quindi la parola a Tarcisio Tarquini, che è amministratore delegato delle edizioni EDIESSE. |