Franco Vanzati

 

Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate

 

Milano, 27 giugno 2003

 

 

Franco Vanzati (segretario CGIL Pavia)

 

Io parto da un’affermazione che faceva prima Sergio Segio, che mi sembra un’affermazione sensata, anche se cercherò di dare una soluzione che è frutto di un’esperienza che noi abbiamo fatto. L’affermazione di Segio è che la politica è cieca e sorda nei confronti del carcere. Questo è innegabile, credo che sia il risultato di una situazione concreta che conosciamo, che conoscete tutti. E qui però entra in gioco il ruolo del sindacato, verso il quale io continuo a credere che ha potenzialità straordinarie di poter incidere su questi problemi, perché, vi porto un esempio, noi in una piattaforma sindacale del 2000, per cui in tempi non sospetti (l’unico sospetto che potreste avere è che vivendo io con una compagna che è impegnata su questo tema sono stato condizionato), ma noi nel 2000 tentammo in un’azienda che è il Centro diagnostico italiano di inserire in una piattaforma sindacale, timidamente, pudicamente, una richiesta di questo tipo: le organizzazioni sindacali hanno richiesto l’inserimento lavorativo di alcuni soggetti del disagio sociale, nella fattispecie di detenuti o ex detenuti. Una bomba. Immaginate cosa questo significò, prima al nostro interno, nel senso che noi facemmo un grosso confronto-dibattito tra i 500 lavoratori di quell’impresa, perché c’era gente che era ovviamente sensibile, altri un po’ meno e non pochi contrari. Noi facemmo questo passaggio perché ritenemmo allora che era una passaggio obbligato, quello di costruire una sensibilità diffusa per poi sostenere il confronto con l’impresa che si preannunciava, come immaginate, un po’ complicato. Un confronto che non era complicato solo su questo tema, ma su questo tema si discusse alquanto. Adesso la faccio breve. Cinque mesi dopo, non il giorno dopo, noi riuscimmo ad ottenere un accordo sindacale anche su questo punto, che adesso leggo, e che fu l’unico punto su cui la direzione del Centro diagnostico italiano frappose una grande opposizione. Guardate, nel 2000 ottenemmo un aumento salariale di 4 milioni, non nulla, e lo ottenemmo con un po’ di fatica. Nel luglio del medesimo anno ottenemmo un impegno del Centro diagnostico che recitava così: Spettabile etc. etc., facciamo seguito all’intesa intercorsa per comunicarvi che entro la fine del corrente anno promuoveremo un incontro presso l’Assolombarda, al fine di esaminare le vostre proposte di inserimento di soggetti del disagio sociale. Cinque mesi dopo. E per fargli scrivere "disagio sociale" impiegammo un mese, perché prima non era nemmeno disagio, era "quelli un po’ in difficoltà", poi disagio, alla fine disagio sociale.

Io non so se questo è il passepartout, però ho l’impressione netta che il sindacato, le organizzazioni sindacali che per loro natura fanno contrattazione, debbano incominciare a sperimentare luoghi di confronto prima e di contrattazione dopo, perché si possano aprire varchi all’inserimento lavorativo di detenuti o ex tali. Questa è una strada che noi forse sottovalutiamo, ma se la politica, come diceva Segio, è cieca e sorda, noi dobbiamo sperimentare strade diverse. E, senza esaltarmi oltremisura, però io ritengo questo essere un risultato straordinario. Ho l’impressione che è rimasto lì perché il sindacato non ha maturato un’identica decisione e nella contrattazione, se la memoria non mi inganna, non sono state compiute scelte analoghe, però il sindacato gioca oggettivamente un ruolo interessante, oserei dire su questo versante innovativo, perché noi abbiamo l’opportunità di discutere con milioni di persone sui diritti, e voi sapete quanto la Cgil si sia spesa e si stia spendendo su questo tema. In particolare i diritti per gli esclusi, perché i diritti del lavoro sono diritti storicamente dati, adesso un po’ messi in discussione, mentre i diritti per gli esclusi, cioè il pensare a un nuovo Welfare per questa fascia sociale è una scommessa che la Cgil, che il sindacato devono aprire. E io penso che uno degli aspetti di questo versante sia appunto dato dalle molte persone che sono in carcere, che potrebbero avere un’opportunità concreta.

Io seguo il comprensorio di Pavia e, a riprova delle cose che vi dicevo, mi piacerebbe però discutere anche della fortezza Europa e altre cose, sono temi molto interessanti e anche noi del sindacato in qualche modo dovremmo riempire i nostri confronti e dibattiti anche di questi temi: che cos’è l’Europa oggi, che cos’è l’Italia oggi, una barriera dove non si entra se non si è fatti in un certo modo, e cos’è diventato il carcere nella fortezza Europa. L’esempio degli Stati Uniti d’America, che citava prima Segio è un esempio pertinente.

Il comprensorio di Pavia ha tre carceri per un totale di 1200 detenuti, il 40% dei quali sono migranti, con punte del 50-55%. Sono tre carceri sovraffollate, in nessuna delle tre carceri nessun detenuto, nonostante le richieste, è in art. 21, nessuno. Noi della Cgil abbiamo con il direttore del carcere di Pavia un rapporto critico. È appena oltre la formalità, ma vi garantisco non oltre la formalità. Perché un anno fa prendemmo posizione pubblica contro il suicidio di due persone in carcere, l’ultima delle quali, un uomo di 20 anni che venne arrestato la sera prima e si suicidò il giorno dopo. Noi prendemmo una posizione pubblica e non accusammo la direzione, dicemmo soltanto che quantomeno c’era un problema di accoglienza. Da allora noi abbiamo, a parte la risposta piccata della direzione contro la Cgil, gravissima difficoltà ad intervenire in quel carcere, e così negli altri. Però questa questione dell’art. 21, guardate, è una questione decisiva, perché noi attraverso le proposte di lavoro riusciamo ad aprire soluzioni alternative. Allora ecco perché il sindacato gioca una partita grossa e importante. Io penso che in rete noi possiamo esserci se le organizzazioni presenti, in questo caso la Cgil, riescono a formalizzare un percorso tale, per cui la contrattazione dei diritti dei detenuti o ex tali diventa un fatto concreto. Cioè un fatto su cui noi ci misuriamo con la gente, ci misuriamo con le direzioni aziendali e incominciamo a contrattare inserimenti lavorativi. Anche, se è il caso, con iniziative di pressione, cioè di sciopero, come noi facemmo circa tre anni fa nel caso del Centro diagnostico italiano.

 

 

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