Giuseppe Vanacore

 

Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate

 

Milano, 27 giugno 2003

 

 

Giuseppe Vanacore (Segretario Regionale CGIL Lombardia)

 

Innanzitutto un saluto a tutti gli intervenuti. A questo convegno si è voluto dare un titolo preciso rispetto al carcere oggi: Tra indulto negato e leggi inattuate. Poi, come è stato detto, la giornata proseguirà con una tavola rotonda sul tema delle droghe. La mia è solo una presentazione istituzionale del dibattito, non avendo io alcun titolo particolare o una specifica competenza rispetto alle questioni di cui si discute. Non si vuole dare la percezione di essere tuttologi, ma si può avere sicuramente una sensibilità rispetto ai temi che, anche per chi si occupa di lavoro, a volte sono lontani dal quotidiano. Temi con i quali invece, tutto sommato senza saperlo, conviviamo per il carico di ingiustizia che spesso si manifesta su alcuni versanti.

Mi pare intanto che il titolo sia azzeccatissimo, perché ieri mattina, aprendo i giornali, c’erano due notizie in qualche modo attinenti con il tema che trattiamo oggi. Una riguardava il processo, ormai defunto, che vede imputato il presidente del Consiglio. Un processo sepolto e che probabilmente non verrà più celebrato. Perché la legge 240 doveva essere solo un rinvio dei termini di prescrizione, invece poi sui giornali veniva spiegato che, poiché ci saranno dei trasferimenti di giudici, penso che siano istituzionali, a un certo punto si dovrà riprendere tutto daccapo. Se non vi sarà una sentenza entro gennaio 2004, nei fatti è sicuro che questo processo non sarà più celebrato. Nella stessa pagina, sul Manifesto, vi era poi l’altra notizia. Questo giornale mi ha colpito perché sotto, più piccola, c’era la notizia. Mi viene in mente una poesia di Totò, La Livella, dove a un certo punto sopra c’è la tomba del barone, tutta addobbata, piena di luci e di fiori, sotto c’è una tomba, Totò dice piccerella, senza neanche un fiore e per segno solamente una piccola croce. È la notizia che riguardava l’indulto, cioè il fatto che il giorno prima la sinistra aveva abbandonato l’aula al momento del voto e che la legge era stata ulteriormente peggiorata dagli emendamenti della maggioranza, svuotandone definitivamente i contenuti. E colpiva molto, io credo, la dismisura tra questi due problemi, apparentemente tutti e due rientranti all’interno di una logica istituzionale e quindi giocati sul filo della legittimità della legge e invece fondamentalmente disuguali e ingiusti rispetto all’atteggiamento che c’è stato.

Quindi io credo che quando a volte si pensa alla Destra che c’è in questo paese come una Destra sostanzialmente eversiva per certi versi, credo che su molti dei temi che riguardano i diritti noi ritroviamo un atteggiamento di questo tipo sulla Giustizia non diversamente dal tentativo di distruggere tutta la lettura del welfare, che è fondato su diritti universali, che cioè appartengono a tutti, e con l’evidenza stessa del fatto che continuano ad esserci degli sprechi madornali annidati poi in situazioni intoccabili, dove per esempio si sperperano tecnologie per esami molto spesso inutili o quando si fanno gravare i ticket sugli anziani, sui malati cronici, sui disoccupati o quando si taglia la sanità proprio all’interno dei penitenziari. In questi giorni poi abbiamo visto che c’è un attacco furibondo agli immigrati. Credo che sostanzialmente dietro tutto questo vi siano sempre ragioni poco nobili, o di carattere giornalistico, perché bisogna tenere buona una certa parte dell’elettorato. o perché è evidente che un attacco che continua a far sentire gli immigrati sostanzialmente come ospiti indesiderati continua ad essere anche la condizione per poter tutto sommato perpetrare lo sfruttamento.

Credo che la negazione dell’indulto, per l’arroganza che comporta e anche per i calcoli puramente elettorali, al punto che non si risponde neanche a un appello venuto dal Papa, ha in sé questa logica, cioè quella di annullare i diritti. Perché è evidente, da quello che ho capito, ripeto non da esperto, che l’indulto costituiva in questa fase la condizione minima per evitare il perpetrarsi di una condizione di negazione dei diritti elementari, lo dico veramente senza retorica. A un certo punto mi sono chiesto: ma dove nella Costituzione si parla della pena? E ho visto che nell’art. 27 della Costituzione c’è scritto che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. A me pare che il Legislatore costituzionale, quando ha scelto questa strada, probabilmente influenzata da una lunga tradizione giuridica del nostro Paese, sicuramente io credo che sul finire della guerra probabilmente quel termine era anche pieno di senso rispetto a quello che vi era stato nel periodo del fascismo e dell’occupazione nazista. Dopo l’orrore dei campi di sterminio può essere molto chiaro il significato di quel termine. E che le pene devono poi tendere alla rieducazione del condannato. Qui ci sono molti operatori e io penso che probabilmente la distanza tra la situazione reale, la condizione che si vive nelle carceri e questi principi deve essere assolutamente abissale. E lo dicono i dati che riguardano questa situazione. Lo dicono la capienza tollerabile delle carceri e invece il fatto che vi è una popolazione carceraria che è oltre il 25% in più rispetto a questa capienza. Lo dicono i dati della nostra Regione, che con 7.446 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 5.454 posti, determina uno scarto di oltre il 27%. Ed è una situazione drammatica. Non è solo uno scarto tra capienza e sovraffollamento. Questo è un dato, ma a questo se ne aggiungono altri. Ho fatto riferimento alla situazione sanitaria che c’è nelle carceri e ho parlato di tagli, tagli che hanno raggiunto il 60% rispetto alla situazione precedente, il che determina una limitazione all’acquisto di farmaci con conseguenze molto gravi rispetto soprattutto alle persone tossicodipendenti, che si stima rappresentino circa il 27% di tutta la popolazione carceraria, e quasi il 10% di questi sono affetti da Hiv, e sono dati vecchi, quindi la situazione potrebbe addirittura essere peggiorata.

Questi sono elementi che mi pare costituiscano un punto di riferimento per qualsiasi discussione che voglia mettere al centro questo problema della condizione carceraria. E io credo che per la Cgil, per un’organizzazione come la nostra, assieme a tutte le organizzazioni con le quali siamo collegati e che sono presenti nella discussione, una qualsiasi iniziativa debba partire dall’idea che per un’organizzazione che ha scelto la frontiera, l’orizzonte dei diritti, ragionare di questi temi non è solo un problema di coscienza, non si tratta di esprimere una sensibilità nei confronti di un tema che però ci è lontano. Perché ovunque vi è la negazione dei diritti, e io credo e penso che si possa dare atto a questa organizzazione, rispetto a come è presente nell’insieme dei temi sociali ovunque vi è una questione di diritti, vi debba essere una presenza organizzata, anche perché questo è importante. Io credo ovviamente che per un’organizzazione come la nostra, anche di antica tradizione, sia più facile. Noi siamo di fronte, nei fatti, ad un atteggiamento assolutamente diretto a colpire ovunque vi sono delle fragilità a livello sociale, perché vi è anche un elemento di vigliaccheria nella politica che noi vediamo esercitarsi tutti i giorni. Deboli con i forti, forti con i deboli, sembrano quasi dei luoghi comuni, ma purtroppo corrisponde a quello che tutti i giorni avviene. Il rapporto tra le due vicende giudiziarie sembra evidente, da questo punto di vista emblematico, però dobbiamo essere convinti di una cosa: si può vincere solo con forme organizzate. Quindi io credo che questa debba essere anche un’occasione di discussione, per mettere non solo a punto una serie di priorità che riguardano questo tema, come il sovraffollamento delle carceri, il problema dell’indulto che speravamo, quando si è pensato questo convegno, potesse essere l’elemento di maggiore attualità e invece diventa un punto sul quale ragionare ancora in termini di occasione mancata, ma anche però la rabbia che questo determina e la determinazione conseguente per cercare di ritrovare l’idea di una giustizia dei diritti globali, per tutti, A questo proposito mi viene in mente il testo che voi avete visto all’ingresso e che mi auguro abbiate acquistato tutti. Qualcuno si lamenta perché costa tanto, Sergio diceva l’altro giorno che sono tante pagine, però io credo invece che ci sono tanto lavoro e tante notizie utili per essere consultate. Chiudo dicendo che noi faremo in modo che questo testo possa pervenire, in un numero di copie limitato, anche e soprattutto all’interno delle carceri. Però è evidente che la diffusione di questo testo e il fatto di decidere che non debba essere gratuito è perché la vera scommessa sulla quale si intende puntare è che non costituisca un esemplare unico nel suo genere, ma possa essere invece una produzione periodica, che ci possa essere una periodicità nel tempo, annuale magari, e che possa via via diventare davvero un punto di riferimento per gli operatori, per le organizzazioni sindacali e per tutti coloro che hanno interesse a comprendere e approfondire questo tema dei diritti.

 

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