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Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate
Milano, 27 giugno 2003
Licia Roselli (direttrice dell’Age.So.L di Milano)
Io sto facendo un’esperienza importante, diversa, sto facendo un’esperienza di rete. Tutti parlano di rete e l’Age.So.L è essa stessa una rete con la Cgil come socio fondatore, promotore, motore per cui questa agenzia si è formata qui a Milano, è un’associazione Onlus e ha in sé non soltanto le tre confederazioni sindacali, ma tutte le associazioni imprenditoriali milanesi, nonché le confederazioni della Lega e il volontariato rappresentato dalla Caritas milanese. Naturalmente non è che il volontariato è soltanto la Caritas a Milano, però in questo caso raccoglieva per la particolarità della Caritas ambrosiana un po’ tutte le istanze del volontariato che si muovono a partire dal progetto Ekotonos a San Vittore. Quindi che la Cgil sul tema carcere si sia spesa lo si vede anche nei fatti. Il fatto che io continuo ad essere una funzionaria della Cgil distaccata in agenzia e faccio la direttrice. A me oggi competeva naturalmente parlare di diritto al lavoro non tanto in termini generici, ma in termini pratici, perché sono quella che di fatto dirige un’agenzia e dei progetti che tentano faticosamente, tutti i giorni da cinque anni, di inserire i detenuti al lavoro. E qui presenti ci sono tanti dei collaboratori che collaborano con me, che di fatto la fatica poi la fanno loro costantemente. Poi volevo ritagliarmi un piccolo spazio perché avevo bisogno di leggere o comunque commentare un comunicato che mi hanno dato i detenuti di San Vittore del progetto Ekotonos. Allora, il diritto al lavoro, io non è che ci tengo tantissimo a raccontare i risultati che abbiamo avuto in tutti questi anni. Possiamo dire che in tre-quattro anni siamo riusciti in vari progetti a inserire al lavoro veramente circa 300-350 persone su un panorama di 4500 i detenuti, la composizione dei quali è quella che vi hanno detto, quindi vi rendete conto che noi possiamo solo agire praticamente con un 30-40% di popolazione in questo momento che sia italiana, perché con la Bossi-Fini con gli stranieri non abbiamo praticamente più spazi. E di questo 30-40% di popolazione, se togli gli imputati, i giudicabili, alla fine lavoriamo su un target molto piccolo di popolazione e da qui c’è tutto il dibattito che si sta svolgendo, dal professor Pavarini a noi dell’agenzia che abbiamo altre idee, se tutto sommato vale ancora la pena fare questa profusione di energie per poi riuscire a lavorare su un target molto piccolo di persone. I miei operatori lo possono dire che, per riuscire a tirare fuori un detenuto in articolo 21 si lavora spesso 8-9 mesi e poi alla fine o abbiamo un rigetto o sicuramente dopo nove mesi il posto di lavoro non c’è più, perché quell’azienda, quella cooperativa non sono più disponibili. Bisogna poi dire anche questo, i nostri detenuti alla fine vengono assorbiti soprattutto nelle cooperative sociali, perché potrebbero fare molto anche le associazioni datoriali che stanno nella nostra rete, ma non le abbiamo mai viste molto attive se non nei convegni, se non nel darci una mano nel fare ricerche, che sono sicuramente ricerche di alto profilo e di alto livello che ci aiutano a capire quali sono i meccanismi delle aziende di selezione del personale, però non ho mai avuto un elenco di aziende che mi dicessero: "Queste potrebbero essere delle aziende sane che hanno bisogno di personale e che potrebbero, opportunamente preparate da noi, accogliere detenuti, opportunamente preparati dal nostro servizio, perché noi comunque facciamo da garanzia, da ponte con tutta la parte che riguarda il carcere. Quindi ognuno deve fare la sua parte. Qui mi sembra che soprattutto chi sta facendo la grossa parte, la sta reggendo, sono le cooperative sociali e poi tutto quel volontariato che, diceva Segio, a volte "fa le scimmiotte", cioè non vede e non denuncia nulla. A me un po’ non piace questa accusa, perché perlomeno a Milano le scimmiette non le facciamo. Ci facciamo un grosso mazzo, come si usa dire, mi ci metto anche io anche se non sono una volontaria, e ci sono persone professionali e nello stesso tempo c’è anche gente che denuncia quello che non funziona. Quindi stiamo reggendo tutto il peso e le carenze di tutti i pezzi della società che mancano, cioè quello che non fa l’amministrazione penitenziaria, quello che in parte non fa il mercato del lavoro, quello che in parte non riescono a fare gli Enti locali. E qui abbiamo una nota positiva, perché abbiamo anche una rappresentante della Provincia. Noi a Milano, credo che siamo gli unici in Italia e la cosa mi fa molto piacere perché il fatto che abbiamo superato anche i romagnoli è la prima volta nella storia, i nostri progetti li facciamo in A.T.S, (Associazione temporanea di scopo), progetti di inserimento lavorativo, e ci mettiamo in rete non solo l’agenzia, ma i consorzi, e la cosa più significativa è il fatto che il capofila di questi progetti è la Provincia di Milano. Allora, voi direte, la Provincia ha avuto di fatto dal Ministero del Lavoro tutte le deleghe per poter fare l’incontro domanda-offerta di lavoro e qui di fatto fa il suo mestiere, però non c’è nessuna Provincia italiana che sta facendo questa cosa, questo orientamento-inserimento lavorativo-sensibilizzazione delle imprese come lo sta facendo la Provincia di Milano. C’è da dire che abbiamo avuto prima un’amministrazione sensibile, anche di un altro colore, con questa amministrazione, altrettanto sensibile, e di conseguenza abbiamo questi progetti multimisura con capofila la Provincia, quindi un ritorno al lavoro di rete. Ritorno al lavoro di rete con questi mix pubblico-privato che funzionano, perché mettiamo insieme tutte le potenzialità e le capacità del privato e ci tiriamo dietro il pubblico che sta imparando. Prima il pubblico faceva soltanto il collocamento, si limitava a fare una lista di persone che cercavano lavoro, poi di fatto si sapeva che il collocamento non collocava, il collocamento era solo una lista di persone. Adesso con la Provincia e con i nostri progetti facciamo politiche attive del lavoro. Devo dire che ormai sono due anni che stiamo facendo progetti con la Provincia, l’anno scorso abbiamo avuto ottimi risultati, abbiamo inserito 221 persone al lavoro, abbiamo però preso in carico quasi 1500 persone. Quest’anno i risultati sono sicuramente più scarsi, ma non perché siamo meno bravi, anzi direi che qui abbiamo rinforzato la squadra, da 11 operatori a mezzo tempo quest’anno ne abbiamo ben 20, quindi ci stiamo muovendo a pieno ritmo. Il problema è quello delle leggi inattuate. La Gozzini non sappiamo più cos’è, nel senso che "misure alternative al carcere" non so se sia una formula che è diventata quasi una parolaccia. Abbiamo fatto una riunione l’altro giorno e abbiamo valutato che in un anno abbiamo avuto 4 art. 21 a Opera e sono tutti inserimenti che abbiamo fatto alla Nova Spes, che è uno dei consorzi nostri, ed è uno che, chi sa di carcere sa che ha unità produttive dentro e unità produttive fuori, quindi percorsi facilmente agibili. Quando si fa un percorso per andare a lavorare in Nova Spes si sa che in genere il magistrato queste cose le accetta. A San Vittore ne abbiamo tirato fuori uno in articolo 21, ma non perché non abbiamo trovato i posti di lavoro e gli operatori non hanno visto le persone. I colloqui si fanno, abbiamo fatto migliaia di colloqui di orientamento e di percorsi di orientamento, le persone vengono ma non ci sono spazi, E poi il grande buco nero è il famoso carcere di Bollate, dove dovevamo sperimentare di tutto, di più, ci sono per ora un detenuto in articolo 21 e altri tre in attesa. Adesso speriamo di riuscire entro l’estate a sbloccare i tre in attesa. Noi ce la mettiamo tutta, diciamo che le professionalità ci sono, ma se mancano i risultati non possiamo dare soltanto la colpa alla magistratura di sorveglianza di Milano, che però sicuramente anche lì, apro e chiudo il capitolo, è una nota dolentissima perché ha i cordoni della borsa strettissimi. Quello per cui poi lavoriamo, e sicuramente abbiamo fatto circa una cinquantina di inserimenti lavorativi, è il reinserimento degli ex detenuti ovviamente. O chi per vari motivi è ai domiciliari o fuori dal carcere. Però i numeri che abbiamo fatto l’anno scorso, che erano più di 200 persone, quest’anno non riusciamo certo a farli. Apro l’ultima parentesi, sicuramente il mercato del lavoro in questo momento è in una fase molto difficile, anche le cooperative stanno facendo fatica, le aziende non sono certo in un momento vitale dell’economia e quindi per inserire persone con tutti questi handicap sociali non è che ci sono aziende che fanno la coda. La legge Smuraglia è inattuata, diceva Alessandro Margara prima, sono 300 detenuti però l’anno scorso con la copertura della Smuraglia non siamo riusciti neanche a coprire 300 detenuti. I decreti attuativi della Smuraglia sono una tale corsa a ostacoli che non si capisce niente. Dopo un anno ancora non abbiamo capito se le imprese riescono a usufruire della Smuraglia, le imprese fuori intendo, le imprese dentro sì. Però sappiamo che nessuna impresa ha nessun appeal per andare a aprire una lavorazione all’interno del carcere. Quindi forse abbiamo capito da quindici giorni che un’impresa fuori può avere lo sgravio per gli art. 21, non per i semiliberi, però se di articoli 21 ne tiriamo fuori 5 in tutte le carceri in un anno, ecco che anche se la Smuraglia ha i soldi non è che ce ne frega molto. Io mi fermerei qui, più che altro mi dispiace che non vi ho raccontato dei nostri successi, vi racconto sicuramente dei nostri sforzi, del fatto che a Milano ci sono reti operative, dove sono tutti impegnati, ma sicuramente il panorama è molto difficile, per riuscire a sbloccare la situazione sarà veramente un’opera in cui tutti si debbono muovere. Faccio un’ultima parentesi se passa la famosa legge Biagi per il lavoro per i nostri detenuti è la fine, perché se con tutto questo movimento per dare lavoro a tutti, come ci dicono i rappresentanti governativi, togliamo i famosi vincoli…, per i nostri detenuti sarà ancora più difficile perché la magistratura di sorveglianza lavora ancora con dei metodi, dei parametri da mercato del lavoro anni ’70. Voi ve lo immaginate questo fantomatico job sharing, in cui due lavoratori si mettono d’accordo per dividersi un unico posto di lavoro e si mettono d’accordo con il datore di lavoro e fra loro due? Se funziona lo Job sharing, li voglio vedere due detenuti col magistrato in mezzo e i servizi che si organizzano questa bella cosa. Già adesso diventa difficile organizzare un percorso per portare una persona a lavorare in art. 21, perché gli sbagliano il tram e c’è gente che fa chilometri a piedi, e poi noi abbiamo un caso di uno a cui non hanno concesso nemmeno l’ombrello e quindi non solo fa chilometri a piedi, e per fortuna che c’è la siccità da tanti mesi, ma è andato a piedi tutto l’autunno, quando pioveva tanto, perché era pericoloso avere l’ombrello. Credo che ci sarà qualcun altro dopo di me che parla di tutta la parte delle pene accessorie: la patente, che in tanti non hanno, e tutte queste cose che ulteriormente affaticano questi percorsi. Adesso concludo dicendo che non è vero che il volontariato, come dice Segio, non denuncia. Il progetto Ekotonos ha scelto proprio questa sede per denunciare la situazione, perché era il primo luogo pubblico, e anche autorevole, per denunciare la situazione di San Vittore. In parte l’ha già raccontata Segio, c’è un comunicato di tre pagine, non lo leggo tutto, posso solo dirvi una cosa in sintesi. Abbiamo detto che soprattutto al Coc, dove ci sono i tossicodipendenti, c’è caldo, lo sapete che in carcere fa caldissimo, manca l’acqua, non è vero che sono "al fresco" come si usa dire. Siamo andati a parlare con il direttore, dottor Pagano, che ci ha detto che è una questione di pressione dell’acquedotto. Può darsi che sia anche quello, però comunque manca l’acqua. Ci sono casi di scabbia, la settimana scorsa gli hanno cambiato le lenzuola dopo 45 giorni, sono in 5-6 in una cella di 12 metri quadri, non svolgono praticamente attività né lavorative né didattiche, per 21 ore al giorno sono chiusi in cella, il telefono è inattivo da un mese e come ben sapete l’amministrazione penitenziaria, con tutto questa difficoltà del passaggio della medicina penitenziaria alla Asl, hanno interrotto tutte le visite specialistiche. Quindi noi abbiamo fatto una riunione con i detenuti la settimana scorsa, c’era uno che aveva mal di denti da una settimana e non ci sono gli antibiotici, non sta mangiando da una settimana, perché ha un ascesso al dente e non riesce a mangiare. La medicina penitenziaria in questo momento garantisce solo le urgenze, le urgenze cosa vuole dire? Che uno deve stare per morire per potere andare fuori. Non ci sono i farmaci antiretrovirali, stanno curando i detenuti con dei mix, quello che c’è c’è. Il cardiologo non lo vedono. Tutti gli specialisti non ci sono. Quindi anche un mal di denti, che per noi può essere una cosa banale, per loro in questo momento sta diventando un dramma. Al femminile ci sono dentro i bambini, vi dico che c’è anche un bambini nato prematuro, io non ho capito come mai adesso i bambini vengono addirittura tenuti in carcere, una volta li tenevano almeno un mese in ospedale, adesso se stanno bene li dimettono, però come fanno a dimetterli sapendo che questo bambino prematuro finisce in carcere, dove non c’è neanche un farmaco? Non dico per gli adulti, ma immaginatevi per questo bambino prematuro. Abbiamo già detto che c’è la famosa legge Finocchiaro per le detenute madri, però in carcere le nomadi con i figli ci stanno. Quindi la situazione è esplosiva secondo me, i disagi sono fuori misura, ci sarà un’emergenza sanitaria pesantissima, che non parte solo da casi gravi ma dal fatto che persone che hanno delle patologie che devono essere curate costantemente non possono essere curate. Noi come volontari di Ekotonos ci siamo impegnati, abbiamo fatto una proposta al direttore per tentare di tamponare la situazione chiedendo a dei medici di Amnesty di poter entrare, ma solo appunto per tamponare questa situazione, quindi è chiaro che se ci attiviamo per fare questo lo facciamo per i detenuti, ma non deve diventare una situazione strutturale in cui poi alle carenze del carcere fanno fronte i volontari, come già succede che la Sesta opera San Fedele dà i vestiti per i detenuti da sempre, mentre dovrebbe darli il carcere. Quindi aspettiamo che Pagano ci dia il suo assenso, perché le cose sono un po’ complicate; lo stesso intervento ce l’ha chiesto anche la direttrice di Bollate, però è chiaro che non vogliamo fare né i crumiri né poi tamponare una situazione emergenziale che rischia di diventare strutturale. Tamponiamo solo gente che in questo momento sta male.
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