Alessandro Margara

 

Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate

 

Milano, 27 giugno 2003

 

 

Alessandro Margara (Presidente della Fondazione Michelucci)

 

Cercherò di soffermarmi su alcuni punti rilevanti di questa fase del carcere, dell’esecuzione penale. Il primo, molto rapidamente, ma va ricordato, riguarda il cosiddetto indultino, che è naufragato al Senato. Si dice che aveva un contenuto veramente pessimo. Lo ha avuto in partenza, poi lo avevano decisamente migliorato, così che il testo licenziato dalla Camera era un testo soddisfacente per tanti aspetti. Lasciava insoluto il problema della sua efficienza, della sua funzionalità e della sua gestione. Restava aperto questo problema, perché era rimesso agli Uffici di Sorveglianza e non è detto che questi lo intendessero come una concessione automatica quale la legge voleva che fosse. Questo era un interrogativo aperto. Comunque poteva servire. Le detenzioni fino a tre anni, sia pure con l’esclusione dei reati 4 bis, erano un numero notevole e quindi poteva fruire di questo intervento un numero di detenuti cospicuo. Avrebbe riportato a limiti più sopportabili la situazione complessiva del carcere. È naufragato perché c’erano incertezze sulla sua costituzionalità, che sono state poi quelle su cui hanno particolarmente pigiato non l’acceleratore, ma il freno quelli che lo hanno voluto ridurre a un anno e poi portarlo a regime. Cioè questo diventerebbe, nel progetto fatto passare da AN e dalla Lega, se non sbaglio, un beneficio costante di cui fruirebbero anche in avvenire i detenuti. Però sarebbe per un anno e probabilmente non servirebbe quasi a nessuno, nel senso che ci sono tutte le altre misure alternative che potrebbero essere attivate altrimenti.

Quindi l’indultino diamolo abbastanza per naufragato. L’indulto non ha mai navigato in modo reale. Quindi il discorso non cambia, resta quello che è. Naturalmente noi abbiamo visto nel giro di tre-quattro anni aumentare la popolazione dei detenuti di una cifra notevole. C’è un’oscillazione costante, ma praticamente va dagli otto ai diecimila detenuti. Credo che questa crescita si sia relativamente fermata, nel senso che da 56 a 57mila sono numeri che ritornano costantemente.

La questione della sicurezza non è una cosa seria, a meno che non la si voglia considerare come una cosa seria. È un’ossessione, quindi le ossessioni sono cose serie. Non è una cosa fondata, direi, per tanti aspetti. Però è un’ossessione e le ossessioni funzionano a tempi limitati. Quindi per un po’ c’è questa ossessione, poi si ferma, poi riverrà fuori. Aspettiamoci che ritorni e che riprenda a infuriare. Però ci sono le basi per farla tornare in buona salute, perché ci sono progetti normativi in preparazione, progetti normativi preparati e funzionanti. Con la Bossi-Fini certo gli immigrati non dovevano trovare molta libertà in Italia, quindi anche quelli detenuti, che pure ormai superano il 30% della popolazione carceraria complessiva, dovrebbero ulteriormente crescere. E questa misteriosa legge, che ha il dono (il diavolo insegna a fare le pentole, ma non i coperchi) di essere scarsamente comprensibile, scarsamente attuabile, è la legge a cui si lega la più grossa sanatoria che si sia verificata in Europa, eppure era quella con cui si volevano cacciare tutti perché, come ripete il leader leghista, non servono a nessuno. E allora ecco, la Bossi-Fini è uno degli elementi che dovrebbe comportare un aumento di popolazione detenuta, quando funzionerà, se funzionerà. Auguriamoci che non funzioni, come funziona relativamente ora. Doveva funzionare nel senso di ridurre le presenze dei detenuti perché ne comportava l’espulsione automatica, ma anche sotto quel profilo non funziona. Ci sono varie eccezioni di incostituzionalità, da parte della magistratura, vedremo cosa succede anche su quel versante.

L’altra parte su cui ci dovrebbe essere un inasprimento delle pene è quella della droga, Fini ha detto che bisogna riparlare di repressione. Ogni tanto ritrovano veramente i muscoli che si sono un pochino allentati, ogni tanto ritrovano il petto in fuori. Ora ieri dovevano fare in pompa magna la presentazione della nuova normativa, che era stata anticipata sempre da Fini. Questa presentazione non c’è stata. Chissà perché? Chissà come? Qui abbiamo Franco Corleone che invece ha fatto la presentazione di un progetto opposto. Quindi la situazione è fluida, ma noi abbiamo a che fare con gente che si è segnata le cose da fare e che generalmente le fa. Quando sono nel loro interesse. E questa è probabilmente nel loro interesse, soprattutto sotto il profilo propagandistico a cui hanno dato sempre molto rilievo.

In effetti quindi non è che l’indirizzo di aumento della popolazione detenuta si sia realmente fermato, può riprendere e a questo riguardo noi abbiamo gente che serenamente dice che si tratterà di costruire altre carceri. È naturalmente quello che si è detto sempre, non sono i primi che lo dicono, lo hanno detto anche altri. Ma in effetti fare altre carceri non è semplice. Credo che ogni tanto le idee siano troppo ottimistiche, che le idee non siano molto chiare, per cui quando parlano di altre carceri da fare ripetono gli stessi nomi delle carceri che dovevano essere fatte 5-6 anni fa e che erano sempre quelle, vecchie, da buttare. Sicuramente di cui vergognarsi oggi come oggi, che sicuramente andrebbero fatte per sostituire quelle vecchie che ci sono. Ma comunque aspettiamoci che invece possano fare qualcosa d’altro. Hanno fatto un bel progetto di legge che dice che tutte le carceri storiche vanno allontanate dai centri storici. Fa parte di quel progetto "vendere l’Italia" che è praticamente uno dei punti cardine della politica di questo Governo. Vendono le case degli Enti e anche le carceri, queste succose aree poste nei centri delle città, le Nuove a Torino, abbandonate per la verità da tempo, San Vittore a Milano, Regina Coeli a Roma, Poggioreale a Napoli. Insomma abbiamo queste cose che effettivamente fanno gola, non a chi ci sta dentro, ma a chi domani potrebbe utilizzarle. Quindi progetti non ce ne sono, ma sono pronti ad esserci io penso. È da salutare questo fatto di queste vecchie galere che non è che abbiano nomi che squillano argentini, sono squilli plumbei. Però in linea di massima San Vittore, con tutti i guai che vi sono successi, tutto sommato gode di rispetto per tante cose che si sono fatte e che magari non sono state fatte in altre carceri. Le carceri antiche, sotto certi profili, sono migliori di quelle moderne, che sono nate proprio con una gestione delle persone immaginata molto più impersonale di quella che poteva esserci nelle carceri antiche. Quindi non è un progresso. Mi sono occupato delle carceri turche. La chiusura delle vecchie carceri, che sono abbastanza indifendibili, sembra logica, ma le nuove carceri sono peggiori di quelle vecchie, tant’è che i detenuti che vi dovrebbero andare fanno lo sciopero della fame.

Quindi c’è una tendenza alla crescita del carcere e c’è una, diciamo, strategia che può confermarla, ma alla quale non ci si prepara in modo adeguato. Ci sono solo progetti che poi non richiederanno certo tempi brevi per la loro attuazione. Il risultato è quello a cui si accennava nel primo intervento. Cioè se noi dovessimo ricavare i diritti dalle norme della Legge penitenziaria, i diritti ce li abbiamo, basta cominciare a leggere la Legge Penitenziaria e troviamo l’indicazione di tutti i diritti che il detenuto dovrebbe avere e vediamo come questi diritti sono sistematicamente elusi. Io accenno sempre a un diritto eluso che è quello del diritto a vivere dentro al carcere, non a stare. È un diritto anche quello. I primi articoli della Legge Penitenziaria sono dedicati alla descrizione dei locali del carcere. I locali si dividono in locali comuni e locali di pernottamento, che si chiamano celle e che invece elegantemente la legge chiama camera. In effetti nelle celle invece si vive. La cella è il locale comune per quel gruppo di detenuti che sono destinati a starci da 20 a 21 ore al giorno. Questo vale per la massa dei detenuti. Ci sono poi alcuni che lavorano, non si sa bene quanti, guardate in modo sempre relativo alle statistiche, perché sicuramente non sono il 24% che lavorano, sono molti di meno. Quindi il luogo di vita ordinario dei detenuti è la cella, e questo è contrario a un diritto essenziale. In carcere si deve avere un tipo di vita, di quotidianità che dà degli spazio, delle possibilità, lavoro, e qui viene fuori l’istruzione, vengono fuori tante altre cose. Sono tutti quelli che si chiamano elementi del trattamento. Insomma questi sono parte dei diritti che allo stato sono negati e sui quali si può fare, come si diceva un tempo, una battaglia perché vengano riconosciuti. In particolare sul lavoro. Io debbo dire che la legge Smuraglia sta cominciando a funzionare, ma chiaramente, per come è costruita, io devo dire questo e devo dire anche che l’ho vista un pochino nascere al momento. Probabilmente il professor Smuraglia in partenza non aveva l’idea che poi è stata in definitiva condizionante ed era quella di avere una copertura finanziaria per tutto. La copertura finanziaria della Smuraglia dimostra che è molto costosa. Probabilmente bisogna fare una meditazione su questo punto. In effetti con i fondi previsti dalla legge, che erano 9 miliardi di lire, si arrivano a sostenere 330 posti di lavoro, che sono una goccia nel mare del carcere. Quindi probabilmente bisognerà trovare modi diversi che comportino una spesa minore, pur essendo ugualmente efficaci, perché a questo punto direi che ora l’efficacia è anche eccessiva in qualche modo. Lo dico a ragion veduta. Per ogni posto di lavoro assicurato c’è un compenso di un milione di lire al mese e la riduzione del 20% dei contributi assicurativi, per cui veramente i posti di lavoro vengono a non costare quasi nulla anche se il lavoratore prende la sua retribuzione. Bisognerebbe rifletterci, perché se deve servire a qualcosa deve avere una spesa inferiore.

Il problema col quale vorrei concludere è ancora quello di insistere sugli aspetti del personale. È molto importante questo, secondo me. I Centri di Servizi sociali funzionano, ma potrebbero funzionare sicuramente meglio. Teniamo conto che le persone in affidamento in prova al servizio sociale sono circa 26mila, dati del 2001, che non sono poche e che effettivamente se fossero in galera aggraverebbero ulteriormente e pesantemente la situazione. C’è sullo sfondo il problema della funzionalità degli Uffici di Sorveglianza, che un pochino è lasciata alla iniziativa dei singoli uffici e che non è brillante perché le pratiche ferme in attesa della decisione dei tribunali di Sorveglianza, ferme per l’effetto della legge Simeone che sospende l’esecuzione della pena, superano ormai le 75mila, che è un numero iperbolico, perché le decisioni del sistema dei Tribunali di Sorveglianza credo che non superino di molto le 30mila ad anno. Quindi 75mila sono due anni e mezzo di lavoro, che sono una pietra sull’efficienza di questo organo di giustizia.

Voglio dire ancora due-tre cose sul personale. La prima cosa è ben nota: il personale trattamentale, essenzialmente gli educatori, sono un numero irrisorio negli istituti. Non c’è nessun concorso pronto per aumentarli e portarli al numero prevedibile, possibile, che era stato quantificato in qualcosa più di duemila unità. Oggi sono in servizio poco più di 500 e la loro scarsità negli istituti è notoria. Opera, per esempio, è famoso per la mancanza di educatori. Quindi occorrerebbe l’aumento di questo organico e quello che si sente accennare è la possibilità di passaggi orizzontali da personale diverso. Anche questo non mi sembra il modo migliore per risolvere il problema, perché i passaggi orizzontali probabilmente verrebbero fatti dalla Polizia penitenziaria, non ci sono altri che credo potrebbero passare… i ragionieri… non so. Sono anche quelli molto pochi. Mentre invece il numero della Polizia penitenziaria è cospicuo, sicché ci potrebbero essere persone che passano. Ma si aprirebbe un problema.

Poi c’è il problema della Polizia penitenziaria. Io credo che posso finire con questo che è un problema delicato da sempre. Delicato particolarmente per me, che c’ho un pochino perso non il sonno, ma il posto sì. Ma era un posto di cui potevo fare anche a meno, ne ho trovato un altro subito dopo. Il discorso è questo: è pacifico che quello della Polizia penitenziaria, e se ne parla qui in una sede pertinente, è un problema di lavoro. La Polizia penitenziaria italiana è la più numerosa di tutta Europa e i numeri sono estremamente più alti. Cioè sono numeri che sono più del doppio rispetto a quelli della Francia, poco meno del doppio rispetto alla Germania. Stati in cui il numero di detenuti o è superiore, come in Germania, o è simile al nostro. Allora c’è qualcosa che non funziona. Cioè c’è qualcosa che evidentemente è diverso. Allora bisogna chiedersi, non è detto che sia una cosa sbagliata, io lo dico per primo, cioè l’impostazione della sicurezza in carcere da parte della Polizia penitenziaria quale si è creata e quale ha assunto la dimensione che ha assunto, è un problema in cui il controllo effettuato all’interno è capillare, come tutto quello che si fa. Allora c’è un discorso semplice, se la persona sta dentro la cella il problema diventa più semplice, è un luogo fisso in cui si controlla, il movimento durante il giorno si verifica solo due volte, dalla cella al cortile, dal cortile alla cella, nel pomeriggio la stessa cosa. Se si deve cominciare a fare quello che si deve fare, cioè portare le persone fuori dalla cella per farle vivere la loro quotidianità come è previsto dalla legge, lavorare, studiare, vedere le persone che vengono a colloquio, se si deve ammettere questo, cioè se si deve vivere fuori dalla cella, sorge questo problema: se si pensa che tutti questi momenti di vita siano controllati, seguiti dall’organo di Polizia penitenziaria, i numeri, come dicono quelli che li rappresentano, sono sempre inferiori alle esigenze. C’è poca attività, ma non a caso. C’è poca attività perché ogni attività all’interno dell’istituto richiede nuovo personale. C’è sempre questo discorso, anche se è paradossale che il numero degli agenti rispetto al numero di detenuti veda un rapporto intorno a 0,50 al Nord e sia intorno a 1 a Sud. Qualcosa non torna e quindi c’è veramente da vedere molte cose. Ma c’è soprattutto da chiarire questo e allora, e con questo finisco, la risorsa del fare lavorare, del fare studiare, del fare muovere il detenuto è una risorsa che non porta un elemento che richiede un nuovo controllo, perché attraverso gli organismi nei quali l’attività si svolge si realizza già un controllo che deve essere ritenuto sufficiente. Se la persona va a lavorare nel luogo di lavoro, nella struttura, nel capannone in cui va a lavorare, c’è una struttura organizzativa del lavoro che svolge una sua funzione di controllo, di ordine. Questo non richiede che ci siano anche gli agenti a vedere come vanno le cose. Gli agenti sono naturalmente a disposizione per le situazioni critiche che eventualmente si determinano, ma non per la costanza.

L’altro giorno in una circostanza in cui c’era proprio da vedere di estendere il discorso della scuola in un istituto femminile si è posto subito il problema: Ci vogliono un ispettore, un sovrintendente e due agenti. Quando la scuola c’era già e si trattava di estendere a un’altra stanza la stessa attività. Affrontiamo questo problema, probabilmente lo dovrebbero affrontare altri. Tenete conto che esiste questo problema, quando la Polizia penitenziaria chiede ulteriori ampliamenti che vengono regolarmente concessi. Gli aumenti degli ultimi anni sono tutti relativi alla polizia penitenziaria, ad eccezione di quello del Servizio Sociale, ciò nonostante continuano a essere previsti nuovi aumenti e vengono lamentate insufficienze che, ad un riscontro diretto, ci sono. L’amministrazione, ma anche voi come sindacato, forse si devono interrogare se effettivamente c’è qualcosa che non torna.

 

 

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