Narcotraffico e affari globali

 

Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate

Le droghe domani, tra controriforme e volontà punitive

 

Narcotraffico e affari globali

 

Sull’attuale scenario di guerra si leggono molte analisi e interpretazioni, prese di posizione e previsioni, ma spesso gli organi di informazione trascurano due elementi molto importanti e tutt’altro che secondari per capire meglio quanto sta succedendo: l’oppio e il petrolio. Si tratta, infatti, di due risorse naturali che interessano direttamente o indirettamente tutte le parti in causa del conflitto in corso e che rivestono un ruolo fondamentale nella comprensione di quanto sta avvenendo e avverrà nei prossimi mesi. Sulla questione dell’oppio (di cui l’Afghanistan è diventato il primo produttore al mondo) e degli ingenti profitti derivanti dal suo commercio (anche sotto forma di eroina) pubblichiamo di seguito alcune riflessioni del giornalista Luca Rastello, rese note dall’agenzia d’informazione "Testimoni di Genova"; per chi volesse approfondire l’argomento segnaliamo inoltre un dettagliato dossier pubblicato sul numero di ottobre 2001 dal mensile "Narcomafie", edito dal Gruppo Abele.

Rispetto al petrolio, invece, sintetizziamo nella pagina seguente un’approfondita analisi curata dai giornalisti Federico Rampini e Magdi Allam pubblicata sul quotidiano "la Repubblica" lo scorso 24 ottobre.

"Nell’attuale globalizzazione economica, la cosiddetta "globalizzazione senza volto umano", l’economia criminale è uno dei pilastri. Solo una legislazione internazionale sui cosiddetti "paradisi fiscali" unita ad un allentamento delle convenzioni proibizioniste potrebbero iniziare a ridurre il ruolo dell’economia legata alle droghe nelle transazioni internazionali e quindi globali". È quanto sostiene Luca Rastello, giornalista che da anni si occupa delle "narcomafie" e delle interconnessioni tra queste e l’economia, la finanza, la politica a livello locale, nazionale e internazionale.

 

Un margine di profitto del 999 per 100

 

Le droghe cosiddette pesanti, cocaina ed eroina, sono nella storia dell’economia umana le merci che hanno garantito i più alti margini di profitto. Basta pensare che per un dollaro investito in produzione di coca se ne producono mille di guadagno: il margine di profitto è dunque del 999 per 100. Questo fa sì che siano l’oggetto privilegiato dell’economia criminale, ma non solo di questa, anche dell’economia di guerra e dell’economia corsara dei nuovi stati nati dalla frammentazione del mondo verificatasi negli anni Novanta. Questo avviene perché, sottolinea Rastello, classi dirigenti che hanno bisogno di stabilizzarsi, di garantire il proprio ruolo e potere indipendentemente dallo sviluppo reale dei loro Paesi, hanno bisogno anche di accumulazioni di ricchezza vertiginosamente veloci, che il ciclo legale non garantisce.

Per tale ragione le economie della coca e dell’oppio sono diventate così importanti per le classi dirigenti di mezzo mondo, che è ormai enormemente difficoltoso distinguere il sistema economico complessivo di molti Paesi, da quello dell’economia criminale. Questo vale nei Balcani, in Asia centrale ma anche in Colombia e parte dell’America Latina.

Secondo Rastello "tutto ciò accade perché il margine di profitto è garantito dalla difficoltà di accesso al mercato al livello del dettaglio: che si può tradurre col termine "proibizione". E dico questo senza voler sostenere che abolendo la proibizione si toglierebbe mercato alle mafie, perché non è vero (altrimenti il tabacco non sarebbe un altro mercato privilegiato). Ormai le organizzazioni criminali sono delle realtà economico-finanziarie transnazionali polverizzate e agiscono lungo canali di relazione indipendentemente dalla natura più o meno legale della merce che trattano".

 

Droghe: parte strutturale dell’economia di guerra

 

I mercati della cocaina e dell’eroina hanno il valore aggiunto dell’alta redditività, più delle armi. Il mercato delle armi ha infatti un fatturato complessivo molto più alto di quello delle droghe, ma il mercato delle droghe presenta margini di profitto infinitamente più alti. Hanno quindi due modi paralleli e diversi di essere convenienti. Questo ha fatto sì che in molte crisi di guerra i due mercati viaggiassero parallelamente. Per spiegare meglio Rastello propone un esempio: le "triangolazioni" che si facevano sull’Adriatico tra il 1993 e il 1995. Non è vero che si scambiavano armi con droga. In realtà, i grossi canali dell’eroina che giungeva dalla Turchia (terra di raffinazione verso l’Europa) aprivano delle relazioni tra Paesi e dei canali su cui passavano anche le armi, però queste armi andavano a fazioni non sempre in grado di pagarle. Così, l’ingrosso dell’eroina giungeva insieme alle armi a fazioni che si prendevano l’incarico di trasformare l’ingrosso in dettaglio, gestendo gli ultimi livelli del mercato e realizzando così quei margini di profitto straordinario che permettevano loro di pagare le armi. Questo ha coinvolto eserciti e stati nel mercato criminale ed è l’esempio della mafia del Kossovo, che per anni ha dovuto svolgere questo tipo di lavoro prima di organizzarsi anche come soggetto fiancheggiatore di formazioni militari, a loro volta profondamente condizionate dal mercato criminale e illegale.

"Dunque - afferma Rastello - non basta dire che la droga è il canale di finanziamento delle parti in armi: è un elemento strutturale e sostanziale dell’economia di guerra internazionale".

 

Narco - Stati non solo nel Sud del mondo

 

Come in tutti i settori dell’economia, anche nell’economia criminale si è verificato il fenomeno della concentrazione della maggior parte della lavorazione delle droghe nei luoghi di produzione, che essendo generalmente situati in aree povere e disagiate garantiscono costi minori. La raffinazione, che negli anni Settanta e Ottanta si faceva in Turchia e Sicilia e che dava a queste mafie un grande potere geopolitico, ha iniziato dunque a concentrarsi sui luoghi di produzione. Questo, secondo Rastello, ha radicalmente cambiato la geopolitica delle cosche: le mafie italiane, ad esempio, oggi contano molto meno alla luce di queste trasformazioni, perché sono diventate semplici agenzie di servizi che lavorano in nome e per conto di altri soggetti che "muovono" le droghe. Tali soggetti non sono più solamente cosche criminali ma interi Stati e soprattutto soggetti economici e finanziari.

Infatti, la parte maggiore degli ingenti profitti che le droghe garantiscono non va ai produttori bensì a coloro che attuano il reinvestimento di questo denaro nel ciclo legale. Si pensi ad esempio che nel 1996 nelle banche della Florida sono entrati 9 miliardi di dollari, naturalmente senza controllo, provenienti dai cartelli colombiani e messicani della droga. Questo ha fatto sì che l’intero sistema finanziario della Florida, quarto Stato per popolazione degli Stati Uniti, dipendesse da una forma non dichiarata di riciclaggio. Quando si parla di narco - Stati, dunque, non bisogna pensare solo al Sud del mondo: "Il fenomeno è molto più complesso e investe l’economia occidentale, perché lì produce i suoi maggiori profitti. In questo ciclo, gli interlocutori di quelle agenzie di servizi transnazionali, che sono diventate le mafie, sono soggetti di ogni genere e perfino pubblici insieme ai soggetti economici e finanziari anch’essi transnazionali".

 

Il caso Afghanistan

 

Per quanto riguarda l’Afghanistan, oggi al centro dell’attenzione mondiale, l’aspetto dell’economia illegale è particolarmente delicato, perché negli ultimi due anni il Paese è diventato il primo produttore mondiale di oppio, con una produzione stimata tra il 75 e il 79% di quella mondiale totale. Fino a 6-7 anni fa il primo produttore era la Birmania e il secondo il Pakistan° La ragione fondamentale di questa escalation afghana è stata la scelta del Pakistan, che oltre ad essere il secondo produttore mondiale fino a qualche anno fa rivestiva un ruolo estremamente delicato negli equilibri tra Oriente e Occidente, ed è servito come base per gli appoggi internazionali nella lotta contro i sovietici. Nel periodo dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, la scelta politica del Pakistan fu quella di finanziare e potenziare delle milizie musulmane sotto "l’ombrello" della CIA. L’esigenza di costruire in Afghanistan un governo amico, spiega Rastello, portò il Pakistan ad appoggiare l’insediamento dei talebani, di etnia pashtun esattamente come la maggioranza delle popolazioni che abitano le aree tribali del Nord del Pakistan°

Queste aree erano i luoghi di maggiore coltivazione dell’oppio, non che aree sottratte al controllo statale: per legge in quella parte del Pakistan lo stato ha giurisdizione soltanto sulle strade. "Qui - afferma Rastello - si sono dunque formati i cosiddetti "signori della droga", baroni dell’oppio come Haji Baktey, Haji Bakhchud, Gazi Khan, Haji Manjey, Haji Qimya Khan, Haji Shabaz, il tutto sotto la regia del potente pakistano Haji Ayub e dell’ex primo ministro del governo afghano sotto la presidenza di Rabbani, Gulbuddin Hekmatyar.

Questi signori avevano due caratteristiche fondamentali: la capacità di controllo sulla fonte più redditizia dell’economia locale, capace di produrre profitti anche a livello internazionale; e poi il controllo delle frontiere, dal momento che la frontiera tra Pakistan e Afghanistan per queste persone praticamente non esiste essendo tutti di etnia pashtun". Si è così deciso di privilegiare questo ceppo etnico, dando ad esso forza, potere economico e armi, soprattutto alla sua espressione armata più radicale: i talebani.

 

Scendere a patti con i "signori dell’oppio"

 

L’Afghanistan sotto i talebani è così diventato più interessante del Pakistan per l’economia criminale della zona, perché totalmente sottratto a giurisdizione nazionale e internazionale, più di quanto lo siano le aree tribali del Pakistan°

Questo ha portato ad una forte espansione della coltivazione dell’oppio in aree fino a quel momento vergini dell’Afghanistan, come il Nuristan, il Nangahar e il Laghmar. "Lo stato afghano si è dunque coperto di oppio e questo sottolinea Rastello - ha accresciuto anche il controllo interno, dal momento che questa produzione è diventata l’unica possibilità di sopravvivenza per i contadini (nell’economia globalizzata, infatti, le colture sostitutive sostenute dall’Onu non sono altro che un mito".

Nel 1999, poi, l’Afghanistan ha avuto una raccolto di oppio fenomenale: 4.700 tonnellate (quantità che equivale a più di tutto l’oppio prodotto in tutto il mondo nei primi anni Novanta), che secondo l’Agenzia di consulenza per i progetti in Centro Asia equivale a circa 100 miliardi di dollari in eroina, più o meno il PIL di un Paese occidentale come Portogallo o Finlandia. Nello stesso anno hanno preso il via forme di guerriglia islamiche nei Paesi ex sovietici, mentre gli iraniani hanno iniziato a chiudere le frontiere ai convogli che andavano verso la Turchia per la raffinazione. I signori dell’oppio hanno così iniziato a "battere" i mercati settentrionali, da qui l’invasione dell’eroina in Tagikistan, Kazakistan e Russia, paese, quest’ultimo, dove l’eroina è diventato un allarme federale perché si è registrato un aumento vertiginoso dei casi di tossicodipendenza, ora stimati intorno ai tre milioni.

Le alleanze sul territorio afghano-pakistano sono dunque definite anche dal potere economico che l’oppio garantisce, dice Rastello, e chiunque voglia intervenire su quel quadrante deve tenerne conto. Non credo sia possibile pensare: "facciamo la guerra e sradichiamo il papavero". Sarà necessario giungere a patti con i signori dell’oppio, come accadde anche durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan".

 

(Fonte: agenzia d’informazione "testimoni di GeNova")

 

 

 

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