Punire o educare?

 

Il carcere oggi, tra indulto negato e leggi inattuate

Le droghe domani, tra controriforme e volontà punitive

 

Contro la droga: punire o educare?

di Luigi Ciotti, Gruppo Abele

 

Il Messaggero di Sant’Antonio, giugno 2003

 

Quando la storia si ripete, facilmente si trasforma in farsa. O, come nel caso di cui vogliamo parlare, in dramma. La storia è quella, antica, delle droghe e dei tentativi delle società e delle autorità, di volta in volta, di combatterle, di conviverci, di distinguerle contrastandone alcune e accettandone altre. Si tratta di una storia complessa: non è riducibile solo agli aspetti medici e farmacologici, e tanto meno a quelli penali, perché è intrecciata ad aspetti sociali, culturali, morali, educativi, antropologici e, addirittura, in certe epoche e luoghi, religiosi.

Venendo a tempi e problematiche più recenti e geograficamente a noi più vicine, la storia è quella della legge attualmente in vigore sugli stupefacenti. È datata 1990, l’anno in cui, per la prima volta, il numero delle morti per overdose superò le mille unità, arrivando a 1.161. Una triste contabilità, cominciata nel 1973: quell’anno si registrò un solo caso di morte. A distanza di tre decenni, il conto è diventato impressionante: da allora alla fine del 2002, 18.381 persone risultano decedute per "overdose".

La legge del 1990 conteneva aspetti indubbiamente positivi, quali il rafforzamento delle politiche e delle strutture per la prevenzione e un più deciso contrasto al narcotraffico. Altre parti furono invece più controverse e discusse: quelle incentrate sulla strategia della "punibilità" del tossicodipendente e, sotto il profilo tecnico, sulla cosiddetta "dose media giornaliera", vale adire la quantità di sostanza, definita rigidamente dalla legge, oltre la quale il suo possesso veniva giuridicamente qualificato come spaccio, comportando dunque l’arresto.

Tale scelta legislativa divise (anzi, lacerò) sia il mondo politico, sia quello degli operatori, delle comunità, della società civile. Una parte consistente di quest’ultimo si riunì in un cartello dal nome significativo, "Educare, non punire", che criticava la strategia punitiva, in quanto ideologica, ingiusta e controproducente, definendola una "illusione repressiva".

Anche in questa materia, come in tante altre, l’ideologia e le illusioni producono risultati, magari non voluti o addirittura opposti alle intenzioni, ma non di meno sbagliati e non di rado tragici. Ben presto apparve evidente alle stesse forze politiche di governo che avevano voluto la nuova normativa che la "punibilità" e la "dose media giornaliera" producevano effetti perversi e insostenibili. Da subito, infatti, vi fu un’impennata del numero dei detenuti, giovani appena arrestati per piccole quantità di droghe si suicidarono in cella. Così, già nell’agosto 1991, venne varato il "Decreto Martelli".

Teso a mitigare la durezza e rigidità della legge appena istituita, rendeva non più obbligatorio l’arresto nel caso di possesso di una quantità di droga eccedente la dose media giornaliera. Due anni dopo, il 18 aprile del 1993, si tenne un referendum: la maggioranza dei cittadini votò per l’abrogazione delle parti maggiormente punitive della legge, compresa la "dose media giornaliera".

Da allora, la situazione si è evoluta con fasi diverse, spesso contraddittorie. Sono subentrati altri fattori e altre sostanze (basti pensare alle cosiddette "nuove droghe"), le attività dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche si sono affinate e diversificate.

I bilanci su queste difficili problematiche sono sempre ardui da fare e non possono mai essere definitivi. Tuttavia, si può forse dire che, se la situazione penitenziaria è rimasta grave e il numero dei detenuti tossicodipendenti intollerabile (oltre 15.000), su altri piani (prevenzione dell’AIDS, maggiore informazione, riduzione delle morti e dell’emarginazione sociale, più ampie opportunità di percorsi educativi e di reinserimento sociale) si sono ottenuti risultati. Ciò è stato possibile anche perché ci sono stati meno pronunciamenti ideologici e, pur con differenti metodologie, impostazioni e riferimenti, più operatività sul campo. O, meglio, sulla strada.

Ora, il clima sembra cambiato. Da un paio di anni crescono i toni, si tolgono risorse, si limita la pluralità delle offerte terapeutiche, autorevoli esponenti di governo frequentemente promettono (o minacciano, a seconda dei punti di vista) modifiche legislative, tra cui una sorta di riedizione della "dose massima giornaliera".

Come se la democratica volontà dei cittadini espressa nel referendum, l’esperienza sul campo, i faticosi e certo parziali risultati ottenuti, non contassero nulla. Come se la sofferenza delle persone, la concretezza, anche dura e drammatica, delle questioni fosse di nuovo e sempre strumentalizzabile per raccogliere qualche facile e labile consenso in più.

 

 

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