Giancarlo Zappa

 

Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Giancarlo Zappa

 

Devo fare innanzitutto una premessa perché vedo che si sentono delle campane che suonano in modo difforme. La premessa è questa : in materia di trattamento dei detenuti sia ordinario sia rieducativo negli ultimi anni non è vero che non si sia fatto niente, si sono fatti dei grandi progressi solo che questi progressi sono, secondo me, insufficienti e hanno bisogno di una ulteriore drastica revisione, devono fare altri passi in avanti anche se, a mio avviso, la strada intrapresa è quella giusta. Questo perché sotto lo spunto dei principi accettati universalmente, fatti propri dalle Regole minime dell’ONU che risalgono al 1955, seguite da quelle europee del 1973, nonché dalle regole della nostra Costituzione, si è ora delineato un sistema che prevede alcuni diritti dei detenuti anche se non sono sempre bene delineati, e prevede soprattutto un sistema di controlli interni ed esterni che io chiamo interni ed esterni al carcere. Controlli che sono tutti e due affidati al magistrato di sorveglianza con le conseguenze che dirò poi, magistrato di sorveglianza che io continuo a ritenere terzo rispetto all’amministrazione penitenziaria, che resta l’unico gestore del carcere, come questo dal punto di vista del controllo interno. Dal punto di vista del controllo esterno, invece, indubbiamente le funzioni della magistratura di sorveglianza sono molto più pregnanti e molto più attente ed efficaci. Si è fatto strada, non dobbiamo dimenticarcelo, l’idea della citazione del principio di giurisdizionalizzazione anche della fase esecutiva della pena detentiva, principio, ricordiamocelo bene, che era per inveterata tradizione impensabile fino a pochi anni addietro. Siamo quindi in un tempo di evidente, anche se lento, evoluzione lungo direttrici che sono del tutto condivisibili, ma siamo ancora lontani dal traguardo. Del resto non è senza significato che soltanto nel 1975 abbiamo avuto la prima Legge Penitenziaria, soltanto nel 1975 si è riusciti a superare i regolamenti che reggevano il carcere, regolamenti emanati esclusivamente dal potere esecutivo e questo è importante. Oggi almeno sappiamo che il diritto al trattamento ordinario è un diritto preciso, il trattamento deve essere conforme a umanità, deve essere rispettoso della dignità della persona, deve essere imparziale e deve essere senza discriminazioni. Perché il trattamento sia tale, è chiaro che occorrono dei controlli di cui poi parleremo, perché le violazioni sono sempre possibili. Il diritto al trattamento rieducativo poi si prospetta addirittura come una legittima aspettativa del condannato verso un possibile reinserimento. Reinserimento sociale e trattamento rieducativo che è fondato anche su contatti con l’ambiente esterno e deve essere individualizzato in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. Fatta questa premessa io credo che però bisogna anche identificare quali sono questi diritti, dobbiamo fare una scelta e allora, se mi consentite, io ho enucleato alcuni settori che sono i seguenti: innanzitutto il diritto alla salute, art. 11 O.P. e art. 32 Cost.; il diritto al lavoro intra ed extra murale, artt. 20 e 21 O.P.; il diritto a essere sottoposto a un’osservazione della personalità e di conseguenza per i condannati definitivi avere in tempi ragionevoli gli esiti dell’osservazione della personalità. Quindi avere il programma di trattamento corrisponde a un sicuro diritto; a questo diritto corrisponde un dovere di qualcuno. Diritto a essere assegnato a un istituto vicino alla famiglia, art. 42 O.P., perché anche qui siamo sempre nel vago e nel generico; diritto ad avere colloqui con i congiunti, art. 18 O.P. anche questo, a mio avviso, si configura come un diritto.

Quindi ci sono cinque aree che sono le aree dolenti, fondamentali in un carcere, ma se non funzionano questi cinque elementi, se queste cinque aree non sono presidiate adeguatamente il problema si pone in modo negativo. Senza dubbio confermo anch’io che in tema di misure alternative si sono fatti progressi notevoli e non è senza ragione né senza causa che il sistema delle misure alternative è quello di cui si occupa la magistratura di sorveglianza, anzi, quello di cui sostanzialmente oggi si occupa la magistratura di sorveglianza. La differenza tra l’interno e l’esterno, tra il carcere e le misure alternative diventa ogni giorno sempre più grave e notevole, nel senso che purtroppo bisogna riconoscere che per quanto riguarda il trattamento interno le cose sono rimaste molto indietro sulla strada del progresso ed è questa la vera ragione per cui il magistrato di sorveglianza si è di fatto ritirato dal carcere per dedicarsi quasi esclusivamente alle misure alternative, alla loro concessione e alla loro gestione. Questo ritiro del Magistrato di Sorveglianza dal carcere non è stato solo determinato dallo striminzito organico, che è veramente pietoso, ma anche soprattutto dalla lacunosità delle norme, dal fatto che le norme stesse non concedono poteri sufficienti al magistrato all’interno dell’istituzione. Questa è la mia idea precisa, cioè che i diritti sono sanciti anche nella materie di cui parlavo prima, ma mancano gli strumenti necessari per farli rispettare. Io dico che un diritto senza azione, un diritto senza tutela giurisdizionale piena non è più un diritto ma viene degradato a mero interesse legittimo e voi sapete bene che nel carcere gli interessi legittimi non valgono niente, qualcuno ha anche provato a rivolgersi ai Tar i quali si sono tutti affrettati a rimettere la patata bollente nelle mani della magistratura di sorveglianza. Né si può parlare di diritto affievolito perché, se anche lo fosse, il diritto affievolito non è più un diritto e viene cacciato nel limbo degli interessi legittimi. Allora fatta questa premessa occorre scendere all’esame di alcuni punti nodali. In materia di diritti io credo, salvo i casi esplicitamente descritti di cui si occuperà il collega, manca un’azione specifica nei confronti dell’amministrazione penitenziaria quando, come spesso accade, emette provvedimenti negativi o di rigetto o, come quando più spesso accade, resta inattiva ed assente e non fornisce alcuna risposta. Io qui affermo che innanzitutto dovrebbe essere enunciato legislativamente il principio del silenzio - rifiuto, cioè si dovrebbe con legge ristrutturare a fondo lo strumento del reclamo di fronte al silenzio - rifiuto dell’amministrazione e qui veniamo subito al reclamo di cui all’art. 35 dell’O.P. L’art. 35 O.P. conferma che i detenuti, anche se interdetti, sono titolari di diritti ma questi diritti, lo ripeto ancora una volta, devono essere precisati e devono trovare la loro tutela giurisdizionale, insisto su questa tutela.

Perché l’art. 35 O.P. attuale non soddisfa di fatto nessuno ? Perché è una congerie di norme, mescola il reclamo interno amministrativo che il detenuto rivolge alle autorità del carcere, ministro, direttore, provveditore, etc. che secondo l’art. 70 del Regolamento hanno l’obbligo di rispondere ma naturalmente rispondono come vogliono loro ed è giusto anche che sia così ; poi l’art. 35 O.P. prevede un reclamo che io chiamo di tipo intermedio, diretto alle autorità giudiziarie e sanitarie che sono in visita all’Istituto ; poi c’è il reclamo, quello vero e diretto, che è quello al magistrato di sorveglianza, il quale, come dice la norma, deve rispondere precisando i motivi del mancato accoglimento, risposta anche in caso di mancato accoglimento che non consente più al detenuto di proporre alcuna azione e questo è grave perché l’art. 35 O.P. così com’è strutturato adesso non prevede alcuna assistenza tecnica, manca il contraddittorio anche davanti al magistrato di sorveglianza, la decisione sul reclamo non ha una forma precisa, l’art. 35 non dice neanche che forma deve avere la decisione del magistrato di sorveglianza e soprattutto la sua decisione non è impugnabile, almeno non è scritto che sia tale. Io credo che curando ancora un po’ la Corte Costituzionale, come vedremo poi, ci si arriverà anche all’impugnabilità, siamo già sulla buona strada, ma la norma non dice esattamente che sia impugnabile.In alcune materie invero il sistema è strutturato in modo accettabile, penso all’art. 14 ter, all’art. 41 bis, ma ci sono volute fior di sentenze della Corte Costituzionale per arrivare a questo risultato e comunque il 14 ter, ricordiamocelo tutti, è stato introdotto solo con la legge Gozzini nel 1986, legge nella quale, come sappiamo tutti, i magistrati di sorveglianza hanno avuto un peso abbastanza determinante. Ma la stessa cosa si deve dire anche per l’altro reclamo formale che è deciso con ordinanza di cui al sesto comma dell’art. 69 O.P., ma l’art. 69, sesto comma, prevede reclami esclusivamente in materia di lavoro e di disciplina, che sono troppo poche rispetto alla elencazione che ho fatto prima, ci sono altri settori che sono molto delicati. Inoltre il quinto comma dell’art. 69 O.P. ricorda l’approvazione del piano di trattamento che avviene per semplice decreto anche questo non impugnabile. Il magistrato di sorveglianza non lo può fare per il mancato invio dei risultati dell’osservazione, in caso di mancata approvazione di programma può essere soltanto restituito con osservazioni all’amministrazione penitenziaria ma non è detto in nessun posto che il gruppo di osservazione vi si debba attenere, entro quali limiti ed entro quali tempi, potrebbe anche non essere più restituito al magistrato di sorveglianza e nessuno potrebbe dire niente e nessuno, soprattutto, potrebbe impugnare niente. Il potere del magistrato è legato inoltre alla sola lesione dei diritti, in caso di lesione di semplici interessi il magistrato di sorveglianza non lo può fare. Poteva fare qualcosa per un anno solo dal 1975 al gennaio 1977 quando con legge n. 1 del 1977 il termine interessi che pure era contenuto nel quinto comma dell’art. 69 O.P. fu inesorabilmente cancellato perché si disse e si dice tuttora che il magistrato di sorveglianza non poteva sostituirsi ai tecnici del trattamento che erano gli esclusivi titolari della discrezionalità amministrativa e questo è anche vero, senonché la norma non prevede assolutamente che di fronte a questa inattività qualcuno possa fare qualcosa, tutto qui il problema. Certo l’art. 69 O.P., quinto comma, sempre e soltanto in tema di diritti il magistrato di sorveglianza può impartire nel corso del trattamento disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni a danno dei condannati, norma assolutamente vaga e generica, perché non dice con quali forme questo possa avvenire, con quali procedure e se avviene non dice esattamente se l’amministrazione penitenziaria possa e fino a qual punto adeguarsi a tali direttive. Un altro passo in avanti nel 1986 è stato fatto con la sostituzione dell’ordine di servizio del magistrato di sorveglianza con il decreto o l’ordinanza ; questo è stato un segnale molto importante anche per il quale noi ci eravamo battuti, io anche personalmente, un segnale importante ma del resto ancora insufficiente per poter dire di essere giunti ad una accettabile tutela dei diritti del condannato e a una vera e completa giurisdizionalizzazione della pena espiata. Infine poi il potere di vigilanza del magistrato di sorveglianza è assicurato dall’art. 69 O.P., primo comma. Questo potere di vigilanza posso confermare che è totalmente rispettato dall’amministrazione penitenziaria, è sempre stato tale, peraltro si tratta di un potere privo di conseguenze perché il magistrato di sorveglianza può soltanto prospettare soluzioni che l’amministrazione penitenziaria è del tutto libera di non accogliere, essendo l’unica titolare del potere di esecuzione ed essendo responsabile politicamente soltanto davanti al Parlamento. Ho sempre detto e lo dico anche qui che manca addirittura la previsione di un dovere di risposta comunque sia, anche se devo dire che spesse volte la risposta viene ma io credo che sia una risposta di mera cortesia perché spesso è una risposta dilatoria o una risposta negativa. Allora vediamo di arrivare ad alcuni punti fermi. Il detenuto quindi è titolare di diritti, tali diritti attengono alla sfera dei diritti inviolabili dell’uomo come tali riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost. Tali diritti nascono da una legge attuativa della Costituzione e i diritti di questo tipo, com’è noto, non trovano adeguata tutela in una ipotetica azione di risarcimento del danno. In questo tipo di diritto occorre una tutela preventiva, specifica di tipo inibitorio, urgente attuata, se necessario, mediante un processo sommario, che non vuol dire negazione del processo ordinario che viene dopo, prima bisogna arrivare alla pronuncia urgente salvo conferma e salvo ratifica successiva. Inoltre la legge ordinaria deve specificare il contenuto sostanziale dei diritti e fornire precise indicazioni circa il contenuto dei provvedimenti giurisdizionali emanati a tutela dei diritti stessi. Se le cose stanno in questi termini, evidentemente, siamo ancora in mezzo al guado e siamo lontani dalla meta ; alla dottrina e al legislatore è richiesto ancora molto coraggio e, perché no, anche un po’ di fantasia, quella fantasia che io spesso vado invocando ma che vedo spesse volte abbandonata e obliterata e invece credo che anche nel diritto occorra un po’ di fantasia. Tutto quello che ho detto finora lo fondo soprattutto sulle sentenze della Corte Costituzionale che nel corso della mia attività ho spesso disturbato per la verità anche con un certo successo. L’ultima sentenza che ho ottenuto è la n. 212 del 1997 in tema di diritto di difesa dei condannati definitivi che l’amministrazione penitenziaria non faceva parlare con il difensore assolutamente. In questa sentenza del luglio scorso la Corte ha detto delle cose che io stesso non avrei avuto il coraggio di sostenere perché ha detto che il diritto alla tutela giurisdizionale per il detenuto è assoluto, inviolabile, universale ; ha usato tre aggettivi che io non avevo usato nell’ordinanza di rinvio degli atti alla Corte, non vi è posizione giuridica sostanziale senza un giudice davanti al quale possa essere fatta valere. E poi ha detto una cosa che ha stupito anche me ossia che il reclamo al magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’art. 35 O.P, ha carattere giurisdizionale, affermazione fortissima dalla quale discenderebbero e discenderanno ulteriori conseguenze, perché letto così com’è l’art. 35 O.P. a me pare poco giurisdizionale perché il provvedimento del magistrato non è impugnabile e invece dovrebbe essere tale. Il detenuto è titolare di diritti incomprimibili, usa questa terminologia la Corte, la cui tutela non può sfuggire al giudice dei diritti e la Corte già nel 1994 ha detto che il giudice dei diritti dei detenuti è la magistratura di sorveglianza, l’ha detto a proposito dell’art. 41 bis. Poi ha detto l’ordinamento penitenziario non ha ancora esplicitamente risolto il problema dei rimedi giurisdizionali idonei ad assicurare la tutela dei diritti dei detenuti e qui c’è un’accusa precisa all’ordinamento. Peraltro, dice la Corte, il sistema è già strutturato in modo tale da capire che si è dato vita a un assetto ispirato al criterio secondo cui la funzione di tutela in materia spetta alla magistratura di sorveglianza, queste non sono frasi mie ma della Corte. Naturalmente già nel 1993 con la sentenza n. 53 la Corte aveva detto che la garanzia di giurisdizionalità ripone sul fatto che occorrono avvocati, un contraddittorio, l’impugnabilità del provvedimento, sono queste le tre caratteristiche assolute senza le quali non esiste giurisdizione. Con la sentenza n. 410 del 1993 la Corte aveva ribadito che i detenuti nei confronti dell’amministrazione penitenziaria restano titolari di posizioni giuridiche che per la loro stretta inerenza alla persona umana sono "qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente protetti", parole della Corte. In questo panorama appare del tutto giustificata l’esigenza di studiare forme di tutela dei detenuti più adeguate. Io quindi dico ben venga anche il difensore civico penitenziario anche se ho un po’ paura di questa figura del difensore civico che dovrebbe occuparsi di tutto e anche del carcere in tempi di spinta specializzazione, io vedrei meglio semmai un difensore civico che si occupi soltanto del carcere e ne avrebbe già abbastanza di lavoro. Prima però bisogna risolvere tutti i problemi cui ho accennato prima, bisogna completare questa riforma perché bisogna evitare che la figura del difensore civico si affianchi o addirittura si giustapponga al magistrato di sorveglianza. La proposta si limita a ipotizzare una dichiarazione di "pubblico biasimo" che il difensore civico dovrebbe fare in caso di lacune o di mancate risposte da parte dell’amministrazione penitenziaria, anche questa del pubblico biasimo è un passo avanti, è un’idea interessante ma ancora largamente insufficiente, io credo che ci voglia di meglio e di più. Il difensore civico potrebbe benissimo occuparsi di quegli interessi legittimi dei detenuti dei quali oggi nessuno si vuole occupare e allora cosa occorre? Occorre un intervento legislativo a mio avviso che dica quali sono le aree nelle quali si è di fronte a un diritto e le aree nelle quali si è di fronte a un interesse legittimo. Fino a che non usciremo da questa situazione di equivoco non faremo dei grandi progressi. Da un certo punto di vista consentitemi questo difensore civico potrebbe essere anche un passo intermedio lungo una linea evolutiva che io non escludo, vedo che non sono molto d’accordo gli altri relatori, una linea evolutiva verso il trasferimento di ogni potere di sorveglianza all’interno del carcere a questa nuova figura ; questo potere di ispezione e di prospettazione potrebbe benissimo passare ad altri. Che cos’è però necessario? Che in caso estremo il ricorso possa essere poi diretto al giudice quale organo terzo e il ricorso abbia tutte le caratteristiche proprie della giurisdizione. In altri termini io credo che non si faranno progressi effettivi se la tutela dei diritti del detenuto non sarà giurisdizionale e se non saranno riscritti a fondo gli articoli 35 e 69 dell’O.P. Io credo che sia buona l’idea di far evolvere questa figura del Magistrato di Sorveglianza che aveva troppe cose da fare, ricordo la circolare Moro del 1954 ispettore, sorvegliante, doveva fare di tutto, tant’è vero che Mario Canepa diceva è una figura "gassosa" ed è un’idea che mi è sempre piaciuta, doveva fare di tutto e a un certo punto chi deve fare di tutto finisce per non capire bene cosa deve fare. Figura "gassosa", e invece dobbiamo arrivare a una figura concreta, se necessario anche sdoppiandola, all’interno del carcere e fuori dal carcere, perché io credo che il destino "fisiologico" del Magistrato di Sorveglianza è quello di diventare esclusivamente giudice risolutore dei contrasti, il garante dell’applicazione imparziale della legge anche nel carcere. Grazie.

 

Stefano Anastasia

 

Ringrazio il dott. Giancarlo Zappa e do la parola al dott. Aldo Merani per la seconda relazione sulla funzione di controllo della magistratura di sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti.

 

 

 

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