Roberto Sgalla

 

Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Roberto Sgalla

 

Il tema mi offre l’occasione di una lettura del problema esterno e cioè come cercare, come sforzarsi di coniugare la tutela dei diritti dei detenuti con la salvaguardia dei diritti dei cittadini, ossia quella che viene definita la salvaguardia della difesa sociale, per evitare che il carcere, come diceva prima il magistrato, non venga marginalizzato o addirittura emarginato. C’è un dato da cui tutti dobbiamo partire per evitare di fare un ragionamento un po’ astratto. Oggi la sicurezza, sia nell’ottica dell’individuo singolo sia nel contesto più generale e quindi di vita collettiva, è uno dei problemi principali, forse il problema del nostro tempo e questo senso, questa ricerca di sicurezza spinge a volte i singoli a forme di difesa eccessive. Nessuna ditta che produce sistemi sicuritari ha vissuto fasi di crisi anche quando in Italia, dal ‘92 al ‘94, avevamo avuto un periodo di recessione massima. C’è un uso sempre più sconsiderato di polizie private, si diffondono disvalori e sentimenti di cui poi sono vittime spesso le fasce più deboli. C’è una richiesta di pena altissima, la sanzione penale, la risorsa penale come risoluzione nell’immaginario collettivo dei fenomeni di delinquenza e di insicurezza. D’altronde da uno studio U.E.O. pubblicato qualche giorno fa, a cui però la stampa purtroppo non ha dato grande rilevanza, emerge che l’Italia ha un sentimento di paura estremamente alto; l’Italia ha infatti un indice di 32 che, paragonato all’indice della Germania Orientale che è 60, sembrerebbe un indice estremamente positivo ma che è invece altissimo rispetto ad altri paesi: la Danimarca che ha 11, la Svezia che ha 19. Occorre chiaramente vedere anche i criteri di calcolo però è interessante vedere il dato e su questo riflettere. Se quindi non ci sforziamo di creare un sistema sicuritario che permette poi le condizioni perché il soggetto, sia esso condannato o il soggetto che fruisce di benefici penitenziari possa essere inserito senza creare corti circuiti. Il problema vero è evitare il corto circuito tra la società civile e il sistema carcerario. Allora io credo che lo sforzo, anche riferito al titolo del convegno, è proprio quello di cercare di creare la cerniera tra il sistema carcerario e la società civile. Mi interessa fornire due elementi prima di chiudere: primo, come e qual è il ruolo, in questo sforzo di ricostruire un circuito virtuoso delle Forze di Polizia. In questo senso cito sul piano normativo l’art. 24 della 121. Pensate che solo nel 1981 si è affermata in maniera esplicita la previsione che la Polizia esercita le proprie funzioni al servizio delle istituzioni democratiche e dei cittadini. Sollecitando la collaborazione, essa tutela l’esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini, di tutti i cittadini. Questo quindi la impegna sul piano del rispetto dei diritti umani e capovolge la filosofia tradizionale delle agenzie del controllo sociale : se si vanno a prendere le varie leggi istitutive dei vari corpi di polizia prima del 1981 la funzione principe delle Forze di polizia era garantire uno status quo se non addirittura qualcosa di peggio. Dal 1981 si è almeno cambiata filosofia ed è chiaro che questo è un processo che sul piano della formazione, della prassi quotidiana sconta ancora alcune ombre.

D’altra parte non si può dimenticare, e credo che in questo momento viviamo una delle fasi più delicate, un dato di fatto e cioè che oggi gli apparati repressivi funzionano molto, forse troppo, sulla base del consenso sociale e modulano spesso l’intervento proprio sul piano del consenso sociale. Questo dovrebbe costringere a una maggiore riflessione. Pensate ad esempio rispetto al fenomeno degli extracomunitari cosa significhi operare o comunque regolare la propria attività e la propria prassi rispetto al consenso sociale, oppure rispetto ai pareri che le autorità di pubblica sicurezza devono emettere sull’ammissione ai benefici penitenziari. È un problema notevolissimo questo e cioè come questi pareri e le attività, le azioni, le prassi sono condizionate da un consenso sociale che tutti sappiamo come si sta orientando. Allora se a queste tesi si riconosce un po’ di validità allora credo che lo sforzo sia di costruire, di produrre delle condizioni materiali per ridurre da una parte la domanda di penalità e dall’altra di costruire una realtà e un territorio sicuro. Forse una prospettiva interessante sarebbe proprio quella di lavorare per ridurre la domanda sociale di penalità e dall’altra aumentare le forme di difesa sociale. Come ? sicuramente c’è un problema di attivare nuovi atteggiamenti politici e culturali ma anche di governo delle città. Il problema del governo delle città non è indifferente rispetto alla ricostruzione di questo circuito virtuoso in cui viene meno il senso di paura e quindi c’è un maggior senso di accoglienza. Credo quindi che uno dei punti nodali sia proprio quello di ricostruire tessuti comunitari in quelle aree dove sono stati allentati o addirittura distrutti, certo non pensando di delegare solo ai servizi sociali o peggio ancora, come avveniva prima, alle forze di polizia, ma mescolando i vari fattori. Allora anche il ruolo dei vari soggetti, operatori sociali, direttori dei carceri, etc. credo che si debba muovere in questo senso. Credo inoltre che si debba lavorare in questa ottica di promuovere una sorta di welfare municipale, locale ; penso che bisogna tentare di ricostruire attraverso azioni comunitarie un recupero del territorio e un possesso del territorio.

Mi sento di fare alcune proposte :

1) gruppi interdisciplinari, équipes in cui ci sia una presenza di operatori sociali, di difensori civici, forze di polizia, forze di polizia penitenziaria proprio per costruire quella cerniera tra interno ed esterno se non vogliamo fare del carcere un luogo emarginato ulteriormente ;

2) la riscoperta o meglio la valorizzazione del giudice di pace a cui credo occorra dare qualche altra competenza rispetto a quelle che la legge oggi prevede e comunque restituirgli un ruolo di mediazione, di composizione che sicuramente fa venir meno la richiesta di penalità e forse aiuta a favorire i processi di accoglienza;

3) in quell’ottica che dicevo prima di "welfare municipale" potremmo definirli piani di sicurezza urbana ossia città, territori vissuti, costruiti in modo da rendere sempre più facile il valore dell’accoglienza e del reinserimento ;

4) dei veri e propri percorsi sia per chi viene reinserito, condannato che finisce la pena o che viene ammesso ai benefici penitenziari, l’imputato che viene scarcerato in attesa di giudizio, quindi dei veri e propri percorsi che da una parte aiutino queste persone e che dall’altra aiutino anche le vittime di reati ;

5) percorsi interni/esterni che attraverso una rielaborazione psicologica, di aiuto materiale, assistenziale permetta da una parte di superare il conflitto che si è creato tra vittima e autore di reato e dall’altra, nella difesa dei diritti di tutti, ricostruire un tessuto che è sia un tessuto sicuro sia un tessuto di accoglienza.

 

Giuseppe Mosconi

 

Nel ringraziare Sgalla per il suo intervento non posso non sottolineare la pertinenza puntuale con cui colloca il tema del difensore civico in un più ampio processo culturale che affronta il tema della devianza penale con strumenti e riferimenti diversi rispetto a quelli tradizionali.

 

 

 

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