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Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone" Il difensore civico per le carceri
Giuseppe Mosconi A me il compito di introdurre questa tavola rotonda che approfondirà i temi che sono stati prospettati finora in vista poi di aprire il dibattito in cui finalmente dopo una giornata di relazioni anche chi ha ascoltato finora potrà intervenire. Ed io vorrei prendere spunto in questa mia breve introduzione dalla contrapposizione che sembra emergere dall’intervento del dott. Zappa e da quello del dott. Merani. I due approcci sono sostanzialmente diversi, l’uno nel considerare l’importanza dell’attribuzione della definizione di garanzie giuridiche e il secondo nel sottolineare invece la funzione rieducativa che il magistrato di sorveglianza svolge nel momento in cui entra a contatto diretto con i detenuti. Sinceramente mi sembra che il primo approccio sia più aperto verso il futuro nel senso che entra direttamente nel merito della possibilità di ridefinire le competenze nel rapporto tra il difensore civico e il Magistrato di Sorveglianza che è uno degli argomenti di questo convegno. Tuttavia nella assoluta dignità degli argomenti che sostengono anche la seconda posizione, nella contrapposizione che tra le due posizioni, si è delineata, ritengo che sullo sfondo vada colto un aspetto che non emerge in questo tipo di approccio e che, pur tuttavia, considerando le questioni che questo dibattito ha sollevato va tenuto ben presente. È quell’elemento che, una delle prime definizioni delle funzioni del difensore civico che viene prospettata nel documento introduttivo del convegno, attribuisce al difensore civico il compito di mantenere aperta la sensibilità pubblica, la sensibilità istituzionale attorno al problema del carcere. Il problema del carcere in questo senso, e forse non abbiamo oggi ancora sentito molti discorsi che affrontano il problema nella sua complessività e insieme nella sua specificità, è una questione che richiede inevitabilmente un’analisi rigorosa da un lato del tipo di rapporti informali che si sviluppano all’interno dell’istituzione, dall’altro del tipo di rapporti che si delineano tra l’istituzione stessa e l’organizzazione sociale. Ecco io vorrei in chiave introduttiva fare soltanto alcune brevissime considerazioni su questi aspetti perché solo se noi ci confrontiamo con l’informalità, la materialità dei rapporti e dei problemi che riguardano queste dimensioni, credo che possiamo discutere con cognizione di causa di una nuova figura, della ridefinizione di nuove funzioni che sono poi l’oggetto il nocciolo del lavoro che stiamo facendo in questi giorni. Ritengo vada sottolineato un aspetto che caratterizza la realtà del carcere oggi e cioè il fatto che, mentre all’interno e all’esterno dell’istituzione si sviluppano dei significati molto contraddittori, contrastanti e disorganici, vale a dire l’istituzione continua a parlare da un certo punto di vista di castigo, di colpa, sostanzialmente di necessaria vendetta sociale rispetto al danno prodotto dal reato, di restrizione e nello stesso tempo di intervento tecnicamente adeguato per l’evoluzione della personalità, per la rieducazione, di atteggiamenti riformatori, di sensibilità necessaria attorno al problema, di rapporto con la situazione esterna, di ridefinizione di norme e di ruoli istituzionali, questo insieme di discorsi che emerge in modo evidente dalle varie legislazioni che si sono susseguite nell’arco degli ultimi venti anni in modo anche molto contraddittorio fa da contrappunto a una situazione in cui l’immagine del carcere è estremamente marginale nei significati sociali prevalenti. È qualcosa intorno a cui non si pone affatto attenzione, che viene tendenzialmente rimossa e quindi assistiamo in qualche modo a questa divaricazione tra un affannarsi di significati, di messaggi, di simboli che in modo caotico si aggrovigliano intorno all’istituzione stessa e un assenteismo, una rimozione, un allontanamento di questi significati nella percezione diffusa. In secondo luogo ritengo che si debba considerare quanto il carcere da un lato sia la massima materializzazione dell’efficacia della norma, nel senso che direttamente la sua presenza è l’effetto di una legislazione, di una codificazione, di una giurisdizione che definiscono che cos’è reato e chi è il colpevole, e quindi in questo senso è una fisicizzazione di ciò che è l’operatività del diritto ma dall’altra parte sfugge totalmente, o in buona parte come gli stessi operatori che hanno parlato subito prima di me hanno abbondantemente documentato alla giurisdizionalità, alla efficacia della norma, alla definizione, alla certezza al suo interno. Ora questo contrasto va appunto decodificato e questa decodificazione ritengo si possa spiegare in quanto l’istituzione carceraria ha delle sue logiche interne, informali molto difficilmente modificabili, cioè radicalmente inamovibili nel senso che ciò che è disciplina, ciò che è gerarchia, ciò che è libertà o meno di movimenti, ciò che è gestione delle opportunità e delle risorse, ciò che è decisionalità informale, ciò che è definizione delle competenze o delle posizioni di status conquistate e definite attorno a cui l’istituzione si arrocca e via dicendo, sono tutti aspetti che rappresentano una loro rigidità fisica e che sono a prova di legge, nel senso che sfidano qualsiasi norma a poter essere influenzate o modificate. Questo stato di cose necessariamente fa riferimento alla necessità che qualsiasi ridefinizione di norma si riferisca in modo molto puntuale all’analisi di come queste dimensioni si strutturano, non è che voglio portare l’acqua al mio mulino di sociologo, ma oggettivamente senza un riferimento specifico a questi due aspetti del problema, ripeto la realtà strutturata all’interno e il rapporto tra interno ed esterno, è difficile uscirne. Il rapporto verso l’esterno che è documentato da quella complessità di linguaggi cui mi riferivo e da quella ambivalenza di tendenze cui abbiamo assistito attraverso la legislazione degli ultimi venti anni registra una situazione in cui le mille istanze di controllo che la società solleva verso l’istituzione e i mille problemi di marginalizzazione che all’interno della stessa società si definiscono e che vengono delegati nella loro gestione all’istituzione stessa, sono elementi rispetto ai quali non si può chiudere gli occhi per trovare le soluzioni più adeguate e questi elementi direi che nella realtà di oggi emergono con una evidenza del tutto particolare. Innanzitutto il fatto che le ambivalenze che caratterizzano la legislazione penitenziaria dalla riforma del 1975 in poi rappresentano evidentemente un tentativo di sviluppare dei linguaggi sensati rispetto a una presunta opinione pubblica che nutre determinate aspettative di volta in volta d riforma o di allarme sociale, ma che evidentemente questi linguaggi non incontrano un riscontro reale, non riescono a creare un ponte reale tra il linguaggio delle istituzioni e la sensibilità diffusa tant’è che, appunto, queste aspettative diffuse non emergendo in modo congruo e univoco restano un fantasma che dal punto di vista istituzionale si cerca di raggiungere senza che il linguaggio poi abbia una sua verifica puntuale. Non trascurerei nemmeno il fatto che il carcere oggi sembra svolgere una funzione più specificamente in senso classico - economico in rapporto a quelle che sono le sue origini, cioè a quella che è stata analizzata essere la sua funzionalità originaria nei termini di strumento in riferimento all’andamento delle dinamiche del mercato del lavoro ; non certo con la chiarezza e la linearità con cui questi rapporti erano riscontrabili all’inizio dello sviluppo del nostro modello economico, ma con alcuni rimandi e alcune connessioni che noi possiamo riscontrare ad esempio nel fatto che una grossa parte di popolazione detenuta è costituita dagli immigrati. Noi non possiamo non analizzare la funzione che il carcere ha oggi rispetto a questa area, in rapporto a ciò che economicamente questa area rappresenta nel riorganizzarsi del modello economico che ispira la nostra società. Questo aspetto può essere colto nella sua puntualità nel momento in cui vediamo quanto la legislazione sull’immigrazione stessa incentivi delle forme di illegalità che poi trovano nell’istituzione penitenziaria un riorientamento verso l’applicazione puramente formale di norme che riciclano e rifunzionalizzano l’offerta di lavoro sul piano dello scambio economico da parte di questa area marginale e debole. Un terzo aspetto è dato da questo contrasto a cui noi assistiamo tra una grossa titubanza nel dare spazio a un discorso di analisi storica inevitabilmente fondata e congrua e proporzionata che non può che sottendere la proposta di indulto per l’area della detenzione politica tuttora presente come ormai una vicenda che è chiaramente collocabile nell’arco dell’evolversi degli eventi storici di questo ultimo trentennio e invece le forti pressioni per chiudere la vicenda tangentopoli con provvedimenti amnistiali in un contesto in cui tutte le variabili che possono dar luogo a dei comportamenti di correzione sono abbondantemente presenti ed aperte. La distonia tra questi due elementi del discorso credo che parli da sola circa le simbologie che si costruiscono attorno alla pena. Credo pertanto che di queste dimensioni si debba tenere conto e si debba tenere conto quando, come faremo adesso in questa tavola rotonda, verrà affrontato il tema del difensore civico e delle funzioni che questa figura deve assumersi. Un tema che è entrato nel vivo con molti contributi sia di questa mattina sia di questo pomeriggio ma che ritengo debba tenere conto anche di questo tipo di riferimenti e questo mi sembra evidente almeno per tre aspetti: per il fatto che il difensore civico deve porsi anche come canale di trasmissione tra le tendenze a livello internazionale, tra la legislazione in materia di diritti umani e quindi con occhio aperto a un evolversi ampio di ciò che avviene nelle società sviluppate e nello stesso tempo con occhio attento alla specificità delle situazioni che incontra; in secondo luogo il fatto che il difensore civico non può non aprirsi ai problemi della comunità locale e quindi deve entrare in contatto anche con i problemi del territorio, deve entrare in contatto con le potenzialità e opportunità che la realtà territoriale può offrire; ed infine con il fatto che la sua funzione non può non collocarsi in un iter in cui le matrici storiche, culturali, che hanno dato luogo alla legislazione penale sono sottoposte alla sfida del tempo e del senso comune e della loro capacità ed efficacia. In un contesto in cui questo è oggetto di dibattito, e credo che non sia un caso che questo convegno sia organizzato da Antigone, che sta tenendo aperti tutti questi nodi sul piano della depenalizzazione, sul piano dello sviluppo delle misure alternative, sul piano delle amnistie, degli indulti, sul piano della ridefinizione delle funzioni e delle leggi, assuma questa figura non come un discorso a parte ma come evidentemente un elemento di un processo molto più ampio ed articolato. Ritengo che con questi riferimenti posso dare la parola ai colleghi qui al tavolo.
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