Alessandro Margara

 

Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Alessandro Margara

 

Delle considerazioni eccellenti su quello che è il problema specifico del magistrato di sorveglianza rispetto alla funzione di sorveglianza nei confronti del carcere, dei problemi del carcere, del rispetto o meno, della violazione dei diritti della persona dei detenuti in carcere. Il discorso che volevo farvi parte da quelle considerazioni ma è centrato a vedere invece in che misura questa funzione di controllo e di sorveglianza possa essere svolta anche da una figura come quella del difensore civico di cui oggi si parla. Passo subito a esaminare una serie di piani. Il primo è il seguente: nella situazione attuale in cui la funzione del magistrato di sorveglianza in carcere, come organo di sorveglianza e di controllo, è abbastanza sbiadita per una serie di circostanze, la funzione di un altro organo di controllo potrebbe essere una funzione utile. Perché la funzione del Magistrato di Sorveglianza in carcere è sbiadita ? Maisto dice che questo è accaduto sostanzialmente a causa delle misure alternative; cioè il lavoro giurisdizionale della Magistratura di Sorveglianza l’ha assorbita in modo tale che la stessa non ha avuto più tempo per presenziare, per essere presente all’interno del carcere. Maisto dice che bisognerebbe rivedere non solo gli organici ma anche la distribuzione degli uffici sul territorio; osserva anche che in pratica la funzione del Giudice di Sorveglianza è cambiata, da garante della legalità nel carcere a giudice terzo rispetto alla concessione o meno dei benefici penitenziari e delle misure alternative. Questa terzietà lo ha in qualche modo allontanato da un rapporto diverso rispetto al carcere, che è invece quello che si sarebbe dovuto accompagnare al controllo di legalità all’interno del carcere. Questi fenomeni si sono indubbiamente verificati ma sulla indiscutibilità di questi fenomeni io potrei fare qualche osservazione e porre qualche riserva. Per esempio lo stesso fatto dell’impegno da parte del magistrato di sorveglianza a verificare i processi del soggetto all’interno del carcere, la sua ammissibilità ai benefici penitenziari è una funzione che sicuramente non si sottrae a una valutazione, a un impegno di terzietà, ma è una terzietà sui generis che resta centrata sul diritto, diritto soggettivo che la Corte Costituzionale ha riconosciuto essere, si veda sentenza n. 204 del 1974, quello a che la parte di pena espiata venga vista, in certe condizioni che la legge stabilisce, come sufficiente per fare a meno del carcere, cioè per passare alla misura alternativa. Anche questo è un controllo di diritto, un controllo di legalità, un controllo nel quale, nella costruzione iniziale che il sistema, aveva perso di attenzione, di impegno, anche se la sistemazione giuridica, il sistema è rimasto lo stesso. L’attenzione a questo diritto soggettivo a passare alle misure alternative nasceva su un terreno in cui il magistrato di sorveglianza conosceva più da vicino la persona e conosceva quindi le dinamiche che lo accompagnavano in carcere e conosceva le dinamiche del carcere, era un tutt’uno e in effetti il discorso di questa terzietà del giudice di sorveglianza è un discorso delicato su cui probabilmente bisognerebbe tornare a ragionare. C’è indubbiamente nell’ambiente dei giudici di sorveglianza una variazione di atteggiamenti, di impostazioni, si guarda sempre il tempo passato, e questo è sbagliato ovviamente, ma certamente diciamo, che quello che è stato l’impegno della Magistratura di Sorveglianza nei primordi, tutto sommato può essere diverso da quello che inevitabilmente, dopo venti anni dall’inizio di questa attività, è diventato una funzione che si è assestata, si è sistemata su una sostanziale reticenza, occultamento di quelle che erano le ragioni di fondo per cui probabilmente sono maturate non una cultura unica ma culture diverse rispetto a questa funzione. Quando si parla di terzietà sembra che sia un processo inevitabile, ma io non credo di essere mai stato "secondo", voglio dire che mi è sempre parso di essere stato terzo rispetto alle decisioni che adottavo, il che non vuol dire che queste decisioni venivano assunte attraverso una conoscenza, se era possibile, se non era possibile il processo era incompleto, una conoscenza di primo livello che non comprometteva il distacco e l’oggettività del giudice; c’era questo gioco complesso tra conoscere e quindi in sostanza essere vicino alle situazioni e sentirne quindi tutta la pressione e quella di continuare a essere giudice, a essere terzo, era un discorso giocato su dei livelli che, certo non erano semplici. L’approdo forse inevitabile ma su cui però bisognerebbe ragionare è che in definitiva questo contatto si è attenuato, questo è vero, e che prevale un giudizio in cui la terzietà del giudice è invece distacco dal momento della conoscenza effettiva delle situazioni è visione distaccata, sempre nell’equilibrio tra richieste sociali di sicurezza e richieste dell’interessato che vuole avere la sua parte di libertà, che chiede attraverso benefici penitenziari. Ecco allora la figura del magistratura di sorveglianza, secondo le conclusioni di Maisto, dovrebbe approdare a una scelta quella di dedicarsi tutta al versante del carcere, al versante del controllo di legalità del carcere. Nella visione iniziale della legge penitenziaria c’era invece questa posizione complessiva che lo distingueva da altre figure; non era il giudice di sorveglianza del vecchio codice penale che esisteva di già e aveva solo funzioni di controllo di legalità, non è la funzione del giudice di sorveglianza ad esempio francese che ha solo funzioni in ordine alla esecuzione della pena e quindi regola e segue l’applicazione della pena; era una figura complessiva che proprio dall’assumere entrambe le parti ed entrambi gli aspetti della funzione ricavava una funzione sintetica che aveva un valore particolare. Questa funzione oggi è abbastanza annebbiata, sbiadita attraverso il sovraccarico derivato dalle misure alternative, dalle tante richieste, dal fatto che molte di queste, circa il 60-70%, non vengono dal carcere ma vengono dalla libertà per cui il giudice è un filtro della utilità o meno per queste persone che si passi al carcere. Si è un pochino rovesciato il discorso ma tutto ciò non esclude, ripeto, che il contatto attuale del magistrato di sorveglianza con il carcere sia ridotto, sia sbiadito e che quindi una figura di controllo ulteriore sia utile. Ma noi possiamo pensare anche che il Magistrato di Sorveglianza recuperi questa possibilità, dice Maisto, e che questo potrebbe avvenire o praticamente riducendo il suo spazio sul versante della ammissione alle misure alternative, che verrebbero date dal Giudice di Cognizione o invece potenziando i ruoli in modo che il giudice possa fare quello che faceva una volta, anche se sono aumentate notevolmente le competenze sul piano delle misure alternative. Quali che siano le soluzioni che si adottano e che si adotteranno, certo è che la legge Simeone, attualmente in gestazione, dà ulteriori competenze al Magistrato di Sorveglianza, ulteriori caterve di pratiche che si precipiteranno su di lui, ulteriore spazio all’attività giurisdizionale di ammissione o meno alle misure alternative. Dico caterve non perché mi dispiaccia, anzi sono più che soddisfatto se le misure alternative aumentano. La legge Simeone dovrebbe consentire non solo che siano di più ma che anche la qualità dell’intervento degli organi di servizio sociale sia significativa, infatti prevede che raddoppino gli organici dei Centri di servizio sociale adulti. Non è detto quindi che la soluzione sia la sparizione dell’attività giurisdizionale del Giudice di Sorveglianza, ma può rimanere insieme all’altra se il Giudice di Sorveglianza ha un’attenzione diversa al carcere ed ha la possibilità di lavorare su entrambi i versanti. Se la funzione del Magistrato di Sorveglianza all’interno del carcere funzionasse davvero io credo che le due funzioni possano serenamente coesistere. La funzione del Magistrato di Sorveglianza di controllo all’interno del carcere, di controllo di legalità, è una funzione che sta dentro un sistema, la funzione del difensore civico è una funzione che sta fuori del sistema perché il difensore civico non appartiene al sistema anche se amministrazione e giudice di sorveglianza appartengono a due poteri diversi e sono inseriti nel sistema della esecuzione della pena, organi distinti con distinte funzioni della stessa; il difensore civico è tutt’altro. Sorge dalla preoccupazione che effettivamente quelle che sono forme di difesa che in definitiva possono essere concesse a tutti ma che concretamente appartengono a pochi siano invece disponibili per tutti attraverso una funzione di controllo ulteriore che viene svolta da un organo che è indipendente e che ha le proprie possibilità di intervento. Ma il difensore civico fa interventi che non assomigliano a quelli del Magistrato di Sorveglianza e che possono coesistere con quelli del Magistrato di Sorveglianza. Il Magistrato di Sorveglianza sia o meno incompleto il suo potere di controllo, il suo potere di incidere effettivamente sul carcere fa comunque atti che provengono da un’autorità, il difensore civico invece provoca l’intervento dell’autorità, segnala l’insufficienza dell’intervento dell’autorità, al limite può segnalare anche l’insufficienza dell’intervento dello stesso giudice di sorveglianza, quindi la coesistenza delle due figure è possibile. Avevo provato a supporre quali potessero essere le condizioni per un operare del difensore civico e ho provato a suggerire alcune riflessioni. Qui si è parlato di funzioni diverse di controllo: c’è il controllo del CPT; ci sono funzioni di controllo degli organi parlamentari; la Camera in sede di Commissione Giustizia ha attivato un Comitato carceri che sta girando per le carceri cercando di ricavare notizie sulla situazione attuale per trarne poi conclusioni anche sul piano legislativo; lo stesso al Senato dove c’è un Comitato analogo. È un momento in cui l’attenzione al carcere è abbastanza viva, mentre ci sono state altre fasi precedenti di notevole disattenzione. Il difensore civico avrà più o meno spazio a seconda dello spazio degli altri ma con la possibilità di avere un ruolo che si distacca da quello degli altri perché sostanzialmente tutti questi ruoli, quello dei parlamentari, quello del CPT, attuano un controllo generale. Il difensore civico agisce generalmente invece in base a situazioni concrete, dalle quali parte per cercare di modificare le medesime. A seconda dell’esistenza quindi di altri controlli ci può essere un maggiore o minore spazio per il difensore civico. È chiaro che il compito del difensore civico può essere costruito in tanti modi. Qui c’è un progetto già formulato e che prevede una certa estensione territoriale del controllo, una certa intensità delle possibilità di intervenire. Stamani giustamente è stato colto molto felicemente un aspetto dell’intervento del difensore civico che è quello di cercare di risolvere i problemi direttamente con l’amministrazione, di trovare la soluzione dei problemi. Questa attività di mediazione delle questioni è già un modo particolare, speciale, caratteristico del difensore civico. Un’altra cosa che volevo dire è questa: il difensore civico quando si confronta con il carcere si trova davanti a situazioni di tipo diverso, che hanno caratteristiche precise; se ci sono stati dei maltrattamenti li rileva e li segnala, discute su quelli: il discorso è definito, è ristretto. Quando deve discutere sul fatto che una persona non viene trasferita da un carcere a un altro si trova di fronte a un problema complessivo che attiene all’intero sistema penitenziario: cioè ci sono piani di intervento su cui si può trovare una soluzione e piani su cui l’intervento rimanda a un intervento più generale, più ampio e qui il difensore civico può avere la funzione di segnalare questi aspetti generali che rendono insolubile la questione specifica che si prospetta: se le carceri sono piene come un uovo e si spostano i detenuti dove si può e come si può ecco che il problema di avere per queste persone la destinazione giusta è effettivamente insolubile ed allora il problema non è più quello del trasferire nel posto giusto ma è quello di ritrovare un sistema giusto per far funzionare le cose. E quindi complessivamente potrei dire che l’attività di tutti questi organi di controllo è tanto più possibile e praticabile quanto più il sistema è meno lontano dal sistema legale perché se il sistema è lontano dal sistema legale controllare la legalità è praticamente impossibile. Quindi il primo passo di chiunque, sia esso il giudice di sorveglianza, sia esso difensore civico, sia essa amministrazione penitenziaria, è quello di ritornare a un livello di non legalità che sia ancora fisiologico. Attualmente il livello di non legalità, di non corrispondenza alla legge, è così forte, è così diverso da quello che dovrebbe essere. Il regolarlo o chiedergli conto di certe cose con la legge alla mano, diventa veramente un’operazione scarsamente praticabile. Ecco volevo aggiungere alcune altre considerazioni. La prima è questa: quello che è importante, anche questo è stato accennato stamani, è il rapporto con il quale il mondo, l’ambiente carcerario si pone rispetto al difensore civico; intanto vediamo che il rapporto che si stabilisce con la struttura, con l’istituzione, è un rapporto relativamente gradito e quindi il problema di fondo è accettare o non accettare. Se il sistema è disponibile, è pronto a modificarsi, allora ci sarà la disponibilità a questo rapporto, se invece l’atteggiamento è opposto ci sarà la scarsa disponibilità a questo rapporto, ci sarà tutto quello di cui stamani parlavano i relatori, anche il dubbio che quello che viene segnalato viene in qualche modo manipolato e non viene reso nella sua interezza. Durante un convegno a Rebibbia sulla salute in carcere in cui si prospettava una sorta di tribunale del malato che operasse anche rispetto al carcere e alla salute in carcere, ho colto un aspetto, che riferisco come mio dubbio, che sulla segnalazione che si fa da parte dell’interno ci dovrebbe essere un’attenzione particolare da parte di chi controlla l’autenticità, non l’autenticità per falsificazione ma l’autenticità per oggettività di quanto si riferisce. La persona che è malata all’interno del carcere è una persona che soffre, che è in situazione di disagio e il disagio si esprime talvolta in una contrapposizione con chi tiene loro lì dentro che non è certo la sede migliore per riferire esattamente quello che accade. Sono avvenute alcune discussioni in questi giorni a Rebibbia e devo dire che mi ricordo sempre un problema dei malati di Aids che non prendevano certe terapie farmacologiche importanti. C’è stato il caso di un detenuto che diceva di non ricevere alcune terapie farmacologiche e, quando gli ho chiesto che malattia aveva, ho scoperto che non era malato di Aids e ovviamente le terapie non gli venivano date ma lui insisteva. Anche questa distorsione della comunicazione è una delle cose con cui tutti questi organi di controllo si devono avvicinare; distorsione della comunicazione ci può essere da parte dell’istituzione nei confronti del difensore civico, il difendersi e nascondersi ci può essere da parte di chi denuncia perché vive una certa situazione di disagio che si esprime anche nelle sue convinzioni e quel disagio sia indotto anche dalla stessa struttura. Il discorso che vi volevo fare in conclusione era questo: il difensore civico di cui ho letto il progetto è un difensore civico che non riguarda esclusivamente le carceri, riguarda tutta l’amministrazione pubblica e anche qualcosa nei dintorni della medesima. Quando lo si esamina nei confronti del carcere probabilmente dovrebbe farsi carico complessivamente di tutte le difficoltà della istituzione e in qualche misura il progetto che abbiamo tra il materiale del convegno se ne fa carico. Sicuramente, per esempio, i problemi che riguardano il personale dovrebbero entrare nell’oggetto della valutazione del difensore civico e tutto quello che viene detto dal personale dovrebbe anche questo, essere riferibile al difensore civico, determinati ambienti, delle città, sul fatto che si debba intervenire, che si debba recuperare tranquillità e che si trasforma spesso in una lotta molto ferma alla microcriminalità e ad un conseguente riempimento delle galere senza che i problemi reali degli ambienti sociali siano fatti oggetto di osservazione. Anche questo è, tutto sommato, un punto. Anche il diritto alla sicurezza dovrebbe essere riferibile a un qualche difensore civico, il quale a un certo momento dovrebbe cogliere non semplicemente gli aspetti delle violazioni di quel diritto ma le ragioni per cui quelle violazioni si consumano e cogliere quindi le insufficienze che la risposta sociale complessiva dà e sentirsi impegnato a segnalare anche questo. Ecco si passa a una figura di difensore civico che attua una specie di monitoraggio complessivo su quella che è la realtà sociale in cui si vive. Forse è una visione troppo complessa e troppo ambiziosa ma sarebbe sicuramente più significativa e più completa.

 

Stefano Anastasia

 

Grazie Presidente Margara per la sua relazione e passo subito la parola al Dott. Giancarlo Zappa, già Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia che terrà la prima relazione sulle funzioni di controllo della Magistratura di Sorveglianza a tutela dei diritti dei detenuti, argomento che sostanzialmente andiamo discutendo dalla fine di questa mattinata.

 

 

 

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