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CONVEGNO "Difesa di ufficio e gratuito patrocinio: una difesa effettiva?" 21 settembre 2001 ore 9.00 presso la Casa di Reclusione di Padova, via Due Palazzi, 35/A
Avv. Luigi Pasini Ora c’è l’intervento del dottor Giovanni Tamburino, Direttore dell’Ufficio Studi e Ricerche del D.A.P., al quale lascio immediatamente la parola.
Dr. Giovanni Tamburino (Direttore dell’Ufficio Studi e Ricerche del D.A.P.)
Io credo che oggi si sia impostato un convegno sul tema della difesa, ma con un titolo particolare, che è quello della effettività, e io credo che questa sia stata una scelta buona, perché sono convinto che sul piano dello sviluppo delle garanzie normative, sul piano delle affermazioni delle leggi, il nostro sistema abbia raggiunto un livello, uno sviluppo, per cui è abbastanza difficile pensare a un avanzamento maggiore. Diciamo che è un sistema andato assestandosi, che si è portato sui livelli europei e sui livelli internazionali. Ciò che, invece, si può percepire abbastanza chiaramente è l’esistenza di un fossato, un fossato talvolta molto profondo tra le affermazioni normative, tra le affermazioni astratte, e la realtà concreta. E anche su questo vorrei essere chiaro: è un fossato che non è percepibile in tutte le direzioni, perché in certe direzioni, anche sul piano delle effettività, la difesa è attiva, starei per dire ultra-attiva e, in altre direzioni, invece, questa effettività è carente e quindi, io credo, appunto, che il problema sia impostato bene, venga affrontato bene, se lo si vede sotto il profilo della effettività. Il profilo della effettività che, ripeto, va ritagliato in un certo modo, cioè avendo con una certa chiarezza presente che, rispetto ad alcune direzioni, ad alcuni soggetti, alcuni strati, alcune situazioni, questa effettività di fatto è carente. Rispetto a questo problema così, diciamo, definito, voglio fare molto rapidamente e schematicamente (d’altra parte è una mattinata molto densa e il convegno poi proseguirà ancora, per cui credo ci sia anche un’esigenza di rapidità), vorrei indicare quattro profili di questo problema, che mi sembrano abbastanza interessanti: alcuni sono stati toccati e allora sarò ancora più rapido nel fare l’invio. Un primo profilo è quello della scelta del difensore: noi abbiamo parlato della difesa di ufficio, ma io credo sia importante ribadire un punto di partenza, se appunto ci poniamo il problema dell’effettività della difesa. Il punto di partenza è che occorrerebbe, prima di tutto, favorire la fiducia, cioè favorire, laddove è possibile, il rapporto di fiducia che risponde al desiderio dell’interessato, cioè la possibilità dell’interessato della scelta. Ora, io credo che rispetto a questo esista un problema: appunto, faccio riferimento a quelle direzioni, dove l’effettività è minore, a quegli strati, a quelle situazioni dove l’effettività è minore: una di questa situazione è sicuramente la detenzione. Allora, il problema della scelta, dell’orientamento della scelta, dei criteri della scelta, dei modi della scelta, io credo esista e parte, talora, appunto, persino dalla conoscenza o dalla conoscibilità. Tutti sappiamo, conosciamo il contenuto dell’articolo 25, se ricordo bene, delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale, che fa divieto di segnalare, consigliare, indicare l’avvocato, a tutto il personale penitenziario. Credo che, di fatto, una indicazione, una segnalazione dell’avvocato avvenga da parte dei con-detenuti, ad esempio, e credo che questo sia da un lato inevitabile e, da un altro lato, probabilmente anche giusto. Però, ecco, un problema di favorire la scelta della fiducia, favorire la scelta basata sulla fiducia, io credo esista e dovrebbe essere in qualche modo tenuto presente dalle associazioni forensi, dell’avvocatura, trovando dei mezzi corretti, trasparenti, di favorire questa conoscenza. Favorire la conoscenza vuol dire anche fare conoscere le specializzazioni. Ora la legge, la nuova legge sulla difesa d’ufficio, del marzo scorso (mi sembra, se non sbaglio, per la prima volta, o per una delle prime volte, certamente), prende in considerazione il problema della specializzazione, delle materie particolari. Lo prende in considerazione sotto due profili abbastanza importanti, perché in uno deroga, addirittura, al sistema generale di identificazione informatica, diciamo, automatica in qualche modo, del difensore d’ufficio, cioè fa prevalere l’esigenza di una specializzazione e dall’altro lato, appunto, fa obbligo ai Consigli dell’Ordine di fissare dei criteri per la nomina dei difensori, tenendo presente anche le competenze specifiche. Cioè comincia a farsi strada, all’interno dell’avvocatura, questo dato che è importante, io credo, sotto una serie di profili, senza dimenticare l’unità della professione, certamente, senza trascurarla, senza rinunciare a questo che a me sembra un elemento fondamentale, come peraltro anche per la magistratura. Ma certamente anche per l’avvocatura, ma tenendo presente l’esigenza della specializzazione, di una specializzazione e di farla conoscere; io credo che questo dato, che in fondo la legge, per la prima volta, se non erro, ci suggerisce, o per delle prime volte ci suggerisce, vada tenuto presente anche nel momento in cui si tratta di favorire la scelta. Favorire la scelta attraverso dei criteri oggettivi, facendo conoscere, quindi attraverso già l’albo, che deve essere reso noto, che deve essere fatto conoscere anche negli istituti; ecco, ma l’albo è poco, perché è un elenco di nomi: andare aldilà di questo e, ad esempio, cominciare con questa valorizzazione della specificità. Il secondo profilo, ecco è chiaro che, nell’ambito di questo rapporto fiduciario, che a mio parere, se vogliamo pensare all’effettività della difesa, va comunque considerato centrale, va comunque protetto e favorito, credo "difesa" vuole dire innanzi tutto "comunicazione" e comunicazione vuole dire "linguaggio". Ora, ha detto poco fa l’avvocatessa Alborghetti, che vi è una necessità dall’interpretato, dell’attività dell’interpretariato. Questa necessità è molto chiara nel momento in cui, in istituti come Padova, ma come in molte altre città del settentrione, sono oggi più gli stranieri che entrano che gli italiani, cioè abbiamo già varcato la soglia del 50% in vari istituti. Uno di questi è Padova, naturalmente, la Casa Circondariale, dove gli ingressi dei non italiani, degli stranieri, hanno superato già quelli dei cittadini italiani. Ora qui, certo, vi è un ruolo importante che spetta all’amministrazione, che l’amministrazione si sta sforzando di svolgere attraverso la traduzione dei testi, attraverso la messa a disposizione degli estratti della normativa, dei testi di leggi, attraverso una predisposizione di formulari o moduli nelle varie lingue. Direi che, anche sotto questo profilo, se pensiamo all’effettività della difesa, occorre probabilmente anche pensare a una formazione linguistica da parte dell’avvocatura, credo più importante ancora di quella che, pure importante, è quella del magistrato, ma con questa differenza: che oggi ancora gli atti giudiziari, il processo, si svolge (salvo eccezioni) nella lingua italiana. Per la difesa talora può essere importante, o addirittura necessario, passare, poter passare a una comunicazione, poter avere una comunicazione addirittura non mediata neanche da un’interprete. Ecco, dico questo perché a me sembra che sia un profilo abbastanza importante e rispetto al quale, nel nostro paese, insomma nel sistema complessivo, siamo alquanto in arretrato. È un’idea che ho da parecchio tempo ma che ancora non sono riuscito a vedere realizzata, quella di utilizzare anche le risorse, che non sono poche, che si trovano all’interno dello stesso mondo penitenziario. Noi abbiamo dentro migliaia e migliaia di detenuti stranieri, parecchie migliaia di detenuti stranieri: abbiamo circa 160 laureati stranieri e circa 600 diplomati stranieri. Ora, a me sembra che questa sia una ricchezza di un sistema, laddove sapesse utilizzarlo. Voglio dire questo a Padova, sia perché è questo sicuramente uno di quegli istituti sicuramente, sotto molti profili, dei più avanzati del nostro Paese, sia perché qui vi fu una remota esperienza, ma che ricordo, ancora degli anni ‘70, in cui si attuò una sorta di attività scolastica, modesta ma molto positiva, alla quale contribuirono alcuni degli studenti detenuti. L’avvocato Chiello la ricorda perfettamente, così come l’avvocato Antonelli, che saluto e vedo qui oggi. Alcuni studenti universitari collaborarono a questa attività scolastica, rivolta ad altri detenuti, che allora, erano anche altri tempi, non avevano neppure il diploma di scuola media. Ora, rispetto a questo, io credo si potrebbe trovare, appunto, ancora oggi, un modo per favorire il superamento di questo scarto, di questo stacco che, pur rimanendo solo sul piano linguistico, in realtà finisce certamente per rendere meno effettiva la difesa: è un ostacolo, a volte serio e effettivo, (almeno fino a che non c’è l’apprendimento della nostra lingua, che a volte è molto rapido, ma non sempre lo è, da parte del detenuto, dell’interessato) alla difesa effettiva. Il terzo profilo è quello delle garanzie di libertà e di rispetto del rapporto professionale che devono essere assicurate pienamente dalla amministrazione, sul piano delle prassi concrete. Ora, a riguardo vi è stata una serie di interventi da parte dell’amministrazione centrale, alcuni anche recenti, che vanno decisamente nel senso della protezione, del rispetto assoluto, di quest’area di confidenza, area di fiducia appunto tra il difensore, sia esso di ufficio, ovviamente, o di fiducia o di patrocinio di non abbienti, e il suo assistito. Vi sono delle prescrizioni che stanno portando, appunto, anche le prassi amministrative a livello richiesto dalle convenzioni internazionali, della giurisprudenza internazionale, sotto il profilo della protezione della segretezza, della confidenzialità, delle comunicazioni epistolari, telefoniche, dirette (e questo anche nel caso di udienze in videoconferenza) e in tutti gli altri casi in cui vi è questo rapporto tra il difensore e l’imputato. Sappiamo anche, inutile nasconderlo, che vi sono state delle situazioni in cui si è avuta l’impressione o il timore che questo non fosse osservato, ma direi che l’atteggiamento dell’amministrazione penitenziaria è decisamente, diciamo, nel senso di garantire questo piano che riguarda l’effettività della difesa. Ma vi è anche un piano più ampio, che discende da quelle indicazioni che si ricavano dalla sentenza 212 del ‘97 della Corte costituzionale, che è stata ricordata all’inizio dal direttore Cantone. In effetti, in questa sentenza, che è molto importante si riconosce che il rapporto fra il difensore e l’assistito e si colloca su un piano diverso da quello del trattamento penitenziario. Cioè, questo è un rapporto che riguarda un’altra dimensione, è un’altro diritto "altro" e a me sembra che giustamente la sentenza abbia colto questo fatto, e si avverte nella sentenza la difficoltà di incidere, cioè di dover dichiarare costituzionalmente illegittimo l’articolo 18 dell’Ordinamento Penitenziario che, in effetti, riguarda un’altra cosa, che riguarda i colloqui con i congiunti, i colloqui con le persone famigliari o amiche, etc., ma che non riguarda, non dovrebbe riguardare il difensore. Rispetto al difensore, una volta vi era un termine, oggi considerato arcaico: si parlava di "conferenza" con il cliente, più che di colloquio. Ora, questo termine è probabilmente improprio, comunque a questo oggi siamo abituati, quello che è importante è che si consideri, credo esattamente come ha già rilevato il dottor Cantone, che qui siamo in un’altra dimensione, rispetto al colloquio che fa parte del trattamento, che pure esso ha una caratteristica in un certo modo di diritto, in quanto parte del diritto, per così dire, al trattamento, ma è altra cosa dal colloquio con il difensore, che attiene alla difesa. Concludo con un ultimo profilo che riguarda un argomento delicato, ma che non vorrei eludere, cioè queste leggi, mi sembra, vadano a configurare una nuova figura di difensore. E, comunque, mi sembra si stia un po’ modificando la fisionomia della difesa, dell’avvocatura, dell’avvocato. Vi è un ruolo di grande rilievo che finisce insensibilmente per avvicinarsi a quello di un servizio pubblico. Pur mantenendo delle caratteristiche peculiari ed essenzialmente diverse, però non vi è dubbio che vi sono degli aspetti che spingono in questa direzione, come assimilazioni (che assomigliano, sia chiaro), a quelle di un servizio pubblico. E questo, a mio parere, pone un problema di responsabilità, di grande e nuova responsabilità, che va affrontato. Vi sono stati, vi sono, vi possono essere casi di abuso. Qui vi è l’intervento della magistratura penale, naturalmente: penso si possa riconoscere che forse sta un po’ diminuendo quell’atteggiamento di reattività corporativa, a mio parere inaccettabile, di fronte a questi interventi da parte della magistratura penale, che evidentemente sono doverosi. Tuttavia questo non basta, io credo che occorra una prevenzione che richiama quella tutela deontologica interna, anzitutto agli organi disciplinari dell’avvocatura. La formazione, la nuova formazione dell’avvocato deve essere anche e anzitutto formazione a un costume professionale. Ora, si dirà: "Che cosa c’entra, questo, con l’effettività?" No, io credo che questo c’entri, perché l’effettività della difesa è dare alla difesa quella capacità di realizzare tutto ciò, ma solo ciò, che l’ordinamento vuole dalla difesa stessa; non vi è l’effettività per la realizzazione di altro, rispetto a questo. Questo deve essere, io credo, chiaro a tutti e, quindi, questo è importante sempre, ma soprattutto in quella fase dell’esecuzione, alla quale si riferiva l’avvocatessa Alborghetti, che spesso è trascurata. Invece in questa fase la funzione difensiva si colloca, per sua natura, in un contesto di finalità di recupero del condannato che sarebbe compromesso da costumi di doppiezza o di finzioni. Grazie.
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