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Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti" L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute (La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova) Paola Cigarini (Associazione "Carcere e città" – Progetto Peter Pan)
Mi chiamo Paola e vengo da Modena, dove faccio parte di un piccolissimo gruppo di volontariato. Volevo portare la mia esperienza, però volevo anche parlare ai volontari dell’esperienza del volontariato in generale e dire soprattutto che noi dobbiamo osare molto di più, in un luogo dove da subito ci dicono che osare è peccato. Osare è una cosa che devi lasciare fuori, noi invece dobbiamo osare molto di più, dobbiamo osare perché ascoltiamo i detenuti, sentiamo i loro bisogni e, siccome diciamo a tutti che nell’istituzione carceraria i bisogni ed i diritti si dimenticano spesso, in nome di una pena e di una carcerazione, noi dobbiamo cercare di trasformare quelli che sono i bisogni dei detenuti, espressi negli incontri che abbiamo con loro, in qualcosa che cambi il carcere. Già dieci anni fa avevamo cominciato a fare delle piccole feste che chiamavamo "Feste di fine scuola". Ne facciamo una o due l’anno, utilizzando il campo sportivo, e le abbiamo sempre fatte coinvolgendo in primo luogo la città: ovvero siamo andati all’ARCI, a chiedere se ci davano il giocoliere; siamo andati al Comune, a chiedere se potevamo contare su di loro. Il concetto è questo: fino a quando il carcere lo viviamo come un luogo separato dalla città e dalla società, difficilmente noi avremo degli aiuti dall’esterno: aiuti dall’amministrazione comunale, che è un soggetto che ha dei doveri. L’amministrazione comunale deve capire che il carcere è un servizio alla città, che chi ci lavora non è una persona diversa dal lavoratore dipendente. Chi lavora in carcere è un cittadino, anche chi sta in carcere è un cittadino, e il carcere è un servizio alla collettività. Dobbiamo riuscire a far capire questo. Noi, per esempio, dopo la festa abbiamo fatto un progetto strutturato che si chiama "Peter Pan, essere genitori in carcere". Abbiamo messo attorno ad un tavolo l’amministrazione penitenziaria, i volontari, l’amministrazione comunale, l’ASL (per le competenze che ha) e abbiamo cercato lo psicologo che adesso viene a fare delle conferenze sul tema del carcere. Il C.S.S.A. è un’altra parte, sempre dimenticata, con le assistenti sociali del territorio che collaborano con l’amministrazione comunale al reinserimento, e poi a questo tavolo avevamo chiesto anche la partecipazione degli agenti di polizia penitenziaria, perché per noi è estremamente importante la loro partecipazione, per l’impatto che hanno con il bambino o l’adolescente quando entra in carcere per i colloqui. Ci terremmo molto che fosse una cultura che passa in questo modo, ed è una cultura del diritto alle relazioni positive. Adesso l’amministrazione comunale si è presa l’impegno di ristrutturare e fare la ludoteca, e la farà. Devo dire che siamo un pochino in lotta, perché vi ha messo molti soldi, mentre noi vorremmo cose semplici che poi non servissero a sbandierare i meriti… dalle mie parti si usa e, della città dei bambini, se n’è parlato molto. Ogni realtà, ogni piccolo gruppo, deve trovare un suo modo per fare queste cose, ed ai convegni abbiamo cominciato a chiedere: "C’è qualcuno di voi che ha fatto delle cose con i bambini?". Poi siamo andati in internet, uno del nostro gruppo stava studiando queste cose ed ha messo la sua esperienza, così abbiamo costruito un sito e lo abbiamo chiamato "Piccole cose". Queste esperienze non sono sempre esportabili, è esportabile il concetto che il carcere è un luogo dove comunque vivono cittadini che hanno dei diritti, che l’esterno non si deve dimenticare di questo luogo e che noi siamo, molto spesso, il tramite tra le due realtà. Quindi dobbiamo essere molto consapevoli della nostra funzione e di quelli che sono i nostri diritti. Il dovere che abbiamo verso i detenuti è di essere portatori del loro diritto, tant’è che adesso abbiamo stimolato tutta l’amministrazione su queste cose. C’è stato anche chi ci ha detto: "Basta con questi bambini, io mia moglie la vedo sempre da qua in su …, voglio poter vedere mia moglie intera, una volta tanto". Quindi, adesso incominceremo a batterci su questo discorso più generale delle relazioni, che diventi qualcosa che effettivamente si traduce in piccoli cambiamenti. Il volontariato deve essere creativo, rompiscatole.
Giovanni Anversa
Brava, sono assolutamente d’accordo con lei, perché abbiamo girato un po’ attorno a questo rapporto tra il carcere, la città e il territorio, ma questa è davvero la chiave di volta per accendere interesse e partecipazione attorno a questa vicenda. Spesso c’è una rimozione del problema, perché alla gente non gliene importa nulla di chi è in carcere e del carcere. Bisognerebbe fare quel lavoro che ci ha appena raccontato la nostra amica, perché sarebbe la chiave di volta anche per riagganciarci al dibattito che si è aperto sul tema della libertà.
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