In-Veneto: notiziario settimanale sul carcere realizzato nell'ambito del Progetto "Dal Carcere al Territorio" Notiziario n° 7, del 28 gennaio 2010 Notizie
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Appuntamenti
Mediazione
dei conflitti: 2° incontro Il
secondo incontro, dei sei previsti sulla mediazione dei conflitti a scuola, si
è svolto martedì 26 gennaio all’istituto Natta con la partecipazione di una
trentina di insegnanti. Organizzati
dall’associazione “Granello di Senape Padova Onlus” e dalla cooperativa
Dike di Milano, di cui fanno parte i mediatori dell’Ufficio per la Mediazione
penale, ha visto relatori Carlo Riccardi, criminologo, e Biagio Bellonese,
consulente pedagogico e ex educatore all’IPM Cesare Beccaria di Milano. La
lezione “Giudicare/Mediare” parte dalla considerazione che la mediazione
“dà spunti per vedere in modo diverso il conflitto, per trovare soluzioni
diverse”. La mediazione incontra le persone e per questo non ci può essere
una tecnica valida per tutti, una regola “generale”, ma, come ci ha spiegato
Riccardi, ci deve essere una “pratica”. Dopo questa premessa si è
introdotto il concetto di “male” e i suoi possibili rimedi. Al crimine, il
“male” più comune, quello che un soggetto compie nei confronti di un altro
soggetto, si risponde di solito con altro “male” di tipo retributivo, che è
la punizione, ma il sistema ha scarso successo, specie se non c’è
l’immediatezza della pena, che deve avere anche e soprattutto funzione
risocializzante. L’attenzione del sistema è comunque tutta spostata verso il
reo, poco o nulla verso la vittima, ed è importante “ristabilire equilibrio
tra gli attori del fatto”. Secondo Riccardi, i danni subiti dalla vittima,
soprattutto a livello psicologico, vanno riparati e la riparazione deve essere
operata da che il danno l’ha provocato. Purtroppo nella giustizia
“tradizione” il reato è visto come violazione dell’apparato statale,
mentre il fatto che sia contro una vittima passa in secondo piano. Lo stato con
la pena ristabilisce la legalità, ma non è detto che ristabilisca la
giustizia. Il
senso di giusto e ingiusto,
per ciò che ci riguarda, lo abbiamo insito, cioè è giusto per ognuno di noi
ciò che sentiamo ci sia dovuto. La domanda che spesso si pone la vittima è:
“Perché proprio io?” Il Diritto non può rispondere a questo quesito,
l’unico che può farlo, l’unico che può “riparare” è il colpevole. Per
questo si parla di Giustizia Riparativa,
è importante comprendere come la responsabilità del reo non è verso qualcosa,
ma verso qualcuno. La
mediazione cerca l’incontro tra i protagonisti in uno spazio protetto, dove
essi possano incontrarsi e parlarsi, con l’aiuto dei mediatori che sono sempre
almeno tre. La
mediazione è volontaria, ma soprattutto i mediatori devono essere
“asettici”, nel senso che non devono giudicare, non devono prendere
posizioni, non devono porsi il problema della verità oggettiva. La
realtà in caso di conflitto è infatti soggettiva e le due storie, quella che
raccontano le due parti in gioco, devono diventare una sola storia, una nuova
storia. L’incontro
è stato spezzato dalla visione di un episodio del film di Sandro Baldoni, Strane
storie, che ha costituito poi materia di discussione nella seconda parte
della lezione: nel film si mostrava un conflitto condominiale degenerato in una
specie di guerra, a cui però non si riusciva a dare un inizio. In che momento
era iniziato il conflitto? Di chi era la responsabilità di questo inizio?
(questo naturalmente non vale per le mediazioni penali). Il
mediatore ascolta, cerca di restituire le emozioni che le parole provocano. Non
si interpreta quello che viene detto, si restituisce ciò che la parola crea
come emozione, non come significante. Si usa la parola come veicolo per
comunicare uno stato d’animo. Il mediatore deve “sentire” le parole, non
le deve solo ascoltare. Biagio
Bellonese parla di conflitto che “satura”, che fa sì che non si riesca a
pensare ad altro, che il tuo spazio interiore sia completamente occupato dal
conflitto: i conflitti vanno risolti perché fanno vivere male! Purtroppo spesso
cerchiamo di fuggire dal conflitto senza “sostarci dentro”, perché abbiamo
tutti la tendenza a non ascoltare l’altro, ma ad ascoltare solo noi stessi. E
in questi casi la parola isola ulteriormente. Gli
insegnanti presenti non sono stati spettatori passivi. Sono intervenuti, hanno
interagito con i relatori chiedendo chiarimenti, ma anche portando esempi
concreti di situazioni reali nelle loro classi da cui è scaturito anche un
altro punto importante: quello delle aspettative. Secondo Riccardi e Bellonese
le aspettative spesso creano ansia e sofferenza, nel momento in cui si dice a
qualcuno “mi hai deluso!”, le aspettative rendono “sordi” all’altro. Alla
fine non si è riusciti a fare una parte “pratica” in cui si sarebbe creata
una situazione di “mediazione” perché, malgrado le quattro ore di incontro,
il tempo è volato. C’è stato solo il tempo per fare le ultime
considerazioni, ossia: che la mediazione si fonda sulla libertà
di scelta degli interessati, che il mediatore deve fare largo uso del silenzio
che significa non-giudizio, capacità
d’ascolto, empatia. Il mediatore deve avere spazio per raccogliere le
parole dell’altro. La
data del prossimo incontro deve essere ancora stabilita, perché la data
precedentemente fissata era il 16 febbraio, ma per il carnevale le scuole sono
chiuse. Al prossimo incontro si parlerà di “Incontrare un conflitto”,
sempre presso l’istituto Natta e sempre con la partecipazione dei due relatori
Riccardi e Bellonese. Gherardo
Colombo al “Natta” Ancora
il “Natta” luogo di incontro sulla legalità e i problemi ad essa connessi.
Il professor Stefano Cappuccio, molto attivo su questo fronte, in collaborazione
con i colleghi e la presidenza, è riuscito a portare a Padova - lo scorso anno
era stato l’istituto Marconi a invitarlo - l’ex Magistrato Gherardo Colombo,
molto impegnato ora nell’educazione alla legalità. “Voglio
incontrare i giovani e spiegare loro il senso della giustizia” aveva detto
lasciando la magistratura, ancora giovane - sessantenne - e al culmine di una
carriera importante, dato era stato promosso alla Corte di Cassazione. Da quasi
tre anni incontra migliaia di studenti in tutta Italia. Ieri era infatti a
Treviso, stamane a Padova, nel pomeriggio sarà a Verona, la mattina successiva
a Mezzolombardo, vicino Trento, per poi tornare a Verona. La comunicazione con i
ragazzi gli riesce molto bene. Infatti, nelle due intense ore di incontro
nell’aula magna del Natta, dove gli studenti delle terze e quarte erano
davvero molto numerosi, l’ascolto, la partecipazione, la voglia di capire si
toccavano con mano. Colombo
ha iniziato coinvolgendo subito gli studenti con le sue domande su quello che è
il fine della scuola - che deve dare metodi
e informazioni - e l’importanza della capacità
di scelta che si ottiene
attraverso i metodi e le informazioni. La capacità di scelta è in stretta
relazione con le regole: esse interferiscono nelle scelte? Come distinguere le
regole penalizzatrici da quelle utili? Sono legate alla possibilità di
raggiungimento della felicità o interferiscono con tale raggiungimento? Per
spiegare concetti così complicati, specie per giovani che non hanno nessuno
studio di filosofia o di diritto che li possa sostenere, ha portato esempi
storici come la schiavitù o il voto femminile in Italia, conducendo per mano i
ragazzi nel suo ragionamento e cercando di far capire loro come la civiltà non
sia immobile, come non sia impossibile cambiare le cose, come cose che 50 anni
fa sembravano impossibili da realizzare adesso le diamo per scontate, come,
specie i giovani, non debbano credere che nulla si possa cambiare, come quello
che oggi vediamo come utopia irrealizzabile possa domani essere normalità. Ha
spiegato che le regole l’uomo se le impone per la sua stessa sopravvivenza,
per il suo stesso benessere, portando d’esempio la lingua: un insieme di regole che servono a comunicare. Altri esempi sulla possibilità di
cambiamento del pensiero e di conseguenza della società, quello sui sacrifici
umani - la storia di Agamennone nell’Iliade - ora impensabili ma all’epoca
altrettanto assurdo pensare di non usarli come metodo per ingraziarsi gli dei, e
poi anche l’elezione di Obama a meno di 50 anni dalla cancellazione della
segregazione in SudAfrica. Insomma, la storia usata per capire. Colombo ha
parlato di regole, utopia, crescita, scelta, libertà, impegno, fatica, volontà
di cambiare, ma soprattutto di pensiero,
del dovere di usare l’intelletto, non demandando le responsabilità di scelta
ad altri perché “così è più semplice e meno faticoso”. La libertà -
dice Colombo - è possibilità di scelta, ma porta con sé responsabilità. Una
bella lezione di democrazia partecipativa. L’ex
magistrato ha parlato anche di giustizia, della sua lentezza, delle
responsabilità di tale lentezza - governo, parlamento, magistratura, avvocatura
tutti responsabili a vario titolo - e, incalzato da alcune domande su casi
particolari, (e qui dobbiamo aprire una parentesi su come questi giovani vengano
informati delle vicende giudiziarie) ha dato alcune spiegazioni tecniche, ma con
parole ed esempi così semplici che tutti sono riusciti a comprendere. Ha
insistito molto sul fatto che il futuro e la forza sono dei giovani, che gli
adulti hanno già fatto molte scelte che devono giustificare e che, in questo
senso, i ragazzi son più liberi. Che non si deve essere sfiduciati e che la
violenza non porta i cambiamenti - e qui come esempio viene portato quello della
Rivoluzione Francese: a una società verticale, in quel caso non se ne è
sostituita una di orizzontale, è semplicemente cambiato il vertice della
piramide. Alla
fine si è arrivati a dire che il problema della legalità in Italia sta anche
nel fatto che nel nostro Paese si rispettano poco le regole, e se vogliono
cambiare qualcosa i ragazzi dovrebbero partire proprio da questo, un maggiore
rispetto delle regole, anche quelle che possono sembrare le più banali. Ma con
la consapevolezza dell’importanza delle garanzie: meglio un colpevole fuori
che un innocente in galera! Tutti questi temi, compreso un accenno a mani
pulite e alla reazione della popolazione a quelle indagini, reazione di
sdegno iniziale ma poi perdita di interesse totale fino ad arrivare a una
critica aggressiva nei confronti della magistratura, sono state affrontate in
risposta alle domande degli studenti, che più il tempo passava, più sembrava
non volessero chiudere l’incontro, fino al punto di chiedere a Gherardo
Colombo di prendere il treno successivo per fare un pezzo di strada con loro
cosicché potessero ancora fargli domande. Riaccompagnandolo
in stazione una redattrice di Ristretti Orizzonti è riuscita a fare all’ex
magistrato una breve intervista per conoscere la sua opinione sulle nuove
proposte di edilizia penitenziaria, e sul fatto che la sola risposta ai problemi
di sicurezza sia “più carcere”. E Gherardo Colombo non ci ha deluso dicendo
che il carcere ormai non è più una risposta, che bisogna pensare a nuove vie,
che bisogna ripensare tutto l’impianto, anche teorico, della giustizia
nell’affrontare questo tema,. Oggi però sembra che in questo senso
l’evoluzione si sia bloccata, e proprio le nuove generazioni sono la nostra
speranza di evoluzione e di cambiamento. Questo è il motivo del suo impegno. Notizie
da Venezia Inserimento
lavorativo: le cooperative di Venezia ci sono Nell’ambito
del POR - Progetto Operativo Regionale - 2007/2013, finanziato dal Fondo Sociale
Europeo e dalla Regione Veneto, in accordo con il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, è stato pubblicato il 4° bando per l’inclusione sociale
“Interventi per migliorare l’integrazione e/o l’inserimento lavorativo dei
soggetti svantaggiati”. Il Decreto Direzione Regionale Lavoro n. 2143 del 18
dicembre 2008 ha approvato il progetto
“Creazione di una rete territoriale per l’inserimento lavorativo di persone
provenienti dall’area detenzione”. Tale progetto è rivolto a persone
disoccupate ex detenute, persone detenute ammesse alle misure alternative alla
detenzione e persone ammesse alle misure alternative dalla libertà, di
cittadinanza italiana, comunitaria o extracomunitaria con permesso di soggiorno
che vogliano inserirsi o reinserirsi nel mondo del lavoro. I destinatari
previsti nel progetto sono 20 e a ciascun partecipante viene richiesto un
impegno di 150 ore così suddivise: 20 ore di orientamento con colloqui
individuali e costruzione del bilancio di competenze, 50 ore di attività di
formazione professionalizzante e 80 ore di stage in azienda. La
domanda di partecipazione dovrà essere corredata di curriculum vitae aggiornato
con autorizzazione al trattamento dei dati, fotocopia o autocertificazione del
titolo di studio, fotocopia fronte e retro di un documento di identità in corso
di validità e potrà essere ritirata a Venezia presso la sede della coop. soc.
Rio Terà dei Pensieri, S. Croce 495/b, fondamenta Santa Chiara, dalle 9.00 alle
12.30 e dalle 14.00 alle 16.00, presso la sede dello Sportello Carcere Esterno,
Dorsoduro 3687, il martedì e il giovedì dalle 15.00 alle 17.00, o scaricata
dal sito www.ristretti.it. La
domanda compilata dovrà pervenire entro il 5 febbraio 2010 con le seguenti
modalità: spedita o portata a mano alla sede della coop. soc. Rio Terà dei
Pensieri, inviata via fax allo 041.2960658 o via mail al seguente indirizzo coordinamentofse@libero.it. Le
persone che avranno fatto domanda di partecipazione saranno chiamate ad un
colloquio di selezione che avrà luogo il 9
e 10 febbraio presso la sede della coop. soc. Rio Terà dei Pensieri. Per
qualsiasi informazione si potrà far riferimento alla coop. soc. Rio Terà dei
Pensieri tel. 041.2960658 dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 16.00 o allo
Sportello Carcere Esterno tel. 041.5285259 il martedì e il giovedì dalle 15.00
alle 17.00. Cooperativa
Il Cerchio: un reinserimento lavorativo efficace e “di qualità” L’azione
della cooperativa si rivolge soprattutto alle problematiche di detenuti ed
ex-detenuti; le attività sono iniziate nel febbraio 1998, con la contestuale
assunzione di un socio lavoratore ex-detenuto e ad oggi sono transitati 817
lavoratori, di cui 447 svantaggiati. Attualmente
i soci in servizio sono 132, di cui 42 svantaggiati a vario titolo (art. 21,
affidamento, utenti Ser.T), a cui si aggiungono 12 soci volontari, per un totale
di 144 soggetti. La
cooperativa svolge varie tipologie di servizi
esterni, nel centro storico e nelle isole di Venezia, tra cui, nello
specifico: servizio di ristorazione Ai Campi Sportivi, nell’isola Sacca San
Biagio; custodia e manutenzione dell’isola della Certosa; attività di
raccolta rifiuti, manutenzione del verde e pulizia delle spiagge del Lido e
dell’isola di Pellestrina; servizio di controllo nei pontoni d’attracco dei
pontili dell’ACTV; gestione dei bagni pubblici nel centro storico veneziano. A
queste attività esterne, nel 2003, si è aggiunto il lavoro all’interno della Casa Reclusione femminile della Giudecca:
sono stati creati un laboratorio di sartoria e, nel 2004, una lavanderia
industriale. Nel
laboratorio di sartoria lavorano, al
momento, 4 detenute con borsa-lavoro e 1 assunta, che producono modelli e accessori
su proprio disegno e realizzano anche abiti storici di grande pregio. Nel
marzo 2003, infatti, Il Cerchio, con la collaborazione dell’Associazione di
volontariato sociale Il Granello di Senape e del prof. Burigana, docente nella
Casa di Reclusione, ha iniziato a realizzare costumi settecenteschi di alta
qualità, confezionati con preziosi tessuti e creati secondo un attento lavoro
di ricostruzione filologica. Tali costumi sono stati presentati al Museo di
Palazzo Mocenigo, Centro di Studi del Tessuto e del Costume del Comune di
Venezia. Nel
maggio 2003, con il contributo della Regione Veneto, della Provincia e del
Comune di Venezia è stato aperto un negozio
a Castello n. 3478/a, Salizada S. Antonin (Banco Lotto n° 10, Artigianato dal
Carcere), in uno dei percorsi più suggestivi e ricchi di storia di Venezia, che
commercializza le esclusive creazioni della sartoria del carcere. Vi si trovano
giacche, abiti e borse apprezzati da affezionati clienti locali, ma anche da
turisti sia europei che da tutto il mondo, che spesso ritornano, affascinati
dalla raffinatezza dei prodotti e del luogo. Sono
state organizzate anche diverse sfilate di abiti realizzati presso la sartoria
della Casa di Reclusione della Giudecca: nell’ottobre 2003, al Lido presso il
Grande Albergo Ausonia & Hungaria; nel 2004 nell’isola di San Servolo, con
la collaborazione della scuola del carcere, del prof. Burigana e dell’arch.
Isabella Fabrizi, esperta in storia dell’arte (in questa occasione il lavoro
è stato impostato su una ricerca iconografica sull’opera di pittori veneziani
e artisti stranieri, dal ‘400 al ‘900, cui è seguita la realizzazione di 10
abiti, 2 per ogni secolo). Nel
dicembre 2006, in occasione del Concerto di Natale, presso le Sale Apollinee del
Teatro Dal
2 al 6 giugno 2009, la prestigiosa Casa da Gioco del Principato di Monaco
(Montecarlo) ha realizzato la settimana veneziana. Nella galleria
del Casinò di Montecarlo è stata allestita una mostra dei 12 costumi
sopraddetti. Dal 2 al 12 settembre 2009 gli stessi costumi sono stati
esposti nella terrazza del Grande Albergo Ausonia & Hungaria, per la durata
della Mostra del Cinema di Venezia. Nel
2008 la sartoria ha realizzato il costume della protagonista del Barbiere di
Siviglia, rappresentato al Teatro de In
occasione del Carnevale 2009, presso L’altra
importante attività che si svolge presso l’Istituto Penitenziario della
Giudecca ha avuto inizio nel 2004, quando Da
luglio 2007 al Molino Stucky è stato aperto un nuovo albergo di 380 stanze: la
Direzione dell’Hilton Hotel e Dal
2004 ad oggi, la cooperativa ha effettuato numerosi investimenti per migliorare
le condizioni di lavoro e di vita delle detenute, risistemando gli ambienti e
comprando apparecchiature e macchinari più sicuri ed efficienti. In
questi anni il fatturato della lavanderia è aumentato notevolmente, grazie a un
incremento dell’occupazione: attualmente vi operano 3 Soci lavoratori esterni
e 14 Socie lavoratrici ristrette. L’incremento
di lavoro e la qualità richiesta, comportano l’esigenza di una maggiore
professionalità: pertanto si rendono sempre più utili e necessari corsi di
formazione, sia per le lavandaie che per le sarte, che potrebbero essere
organizzati in quegli spazi. La
serietà, i prezzi contenuti e la molteplicità delle prestazioni offerte,
all’interno e all’esterno del carcere, rendono la cooperativa Il Cerchio
appetibile per una miriade di interventi e, pressoché quotidianamente, arrivano
richieste di lavoro da detenuti degli istituti penitenziari di tutta Italia. Il Cerchio, oltre a rappresentare un’ancora di salvezza e uno stimolo alla rinascita per molti detenuti, racchiude in pieno la realtà multi-culturale di quest’ultimo decennio: nella cooperativa sono occupate, infatti, persone provenienti da ogni parte del mondo, che lavorano assieme e si confrontano quotidianamente, dimostrando come sia possibile un’interazione positiva. Purtroppo, però, per gli stranieri detenuti ciò viene drasticamente interrotto al momento del fine pena, in quanto con la legge Bossi-Fini, quando essi terminano di saldare il conto con la giustizia, devono venir espulsi, nonostante molti di loro si siano reinseriti positivamente, sia dal punto di vista lavorativo, che sociale.
Notizie
da Treviso Un
progetto “a più mani” per la Cooperativa Sociale Servire La
Cooperativa Sociale Servire, nata nel
1989, su promozione della Caritas diocesana di Treviso, Da
tempo vengono realizzate collaborazioni con diverse realtà pubbliche e private
e, in particolare rispetto all’area della prevenzione del disagio, gli
educatori della cooperativa, assieme a quelli dell’AULSS 9, hanno attivato
gruppi di confronto tra giovani con disagi e devianza conclamata (Gruppi Focus),
Forze dell’Ordine, Caritas Tarvisina, varie agenzie che lavorano con
l’Immigrazione (Provincia, Sportelli Informazione Stranieri, Amministrazioni
Locali), Centro per l’impiego della Provincia, e alcune agenzie di lavoro
interinale. Un’altra
importante rete, che riguarda ancor più nello specifico l’area carceraria, è
quella realizzata con Uepe, carcere, Acli - Enaip, operatori e mediatori di
strada del Progetto delle Parrocchie di Treviso, operatori dell’Azienda Ulss 9
e volontari dell’Associazione CDC (composta da avvocati), che ha portato a
condividere una lettura puntuale delle esigenze di persone affidate ai servizi
dell’Uepe. Dalla
lettura sono emerse le seguenti aree di bisogno: legalità e cittadinanza
responsabile; inserimento e reinserimento lavorativo; difficoltà di relazione,
gestione dei conflitti e dell’emotività, riflessione sulla riparazione del
danno; dipendenze e uso di sostanze; disagio abitativo. Sulla
base di questi bisogni, i suddetti soggetti hanno elaborato un progetto”a più
mani”, che realizzeranno assieme (in tutte le sue fasi: dalla progettazione,
al coordinamento, al coinvolgimento di altri soggetti della rete, al
monitoraggio e la verifica) durante il 2010, su finanziamento della Regione
Veneto. L’Uepe
ha individuato 25 persone detenute in affidamento ai servizi sociali, di varie
età (tra i 22 e i 50 anni, con una prevalenza di 25-30enni), italiani e
stranieri, uomini e donne, che effettueranno un percorso formativo di gruppo su
diverse aree. Per esigenze organizzative, i partecipanti sono stati poi
suddivisi in due sottogruppi: il primo svolgerà il percorso da gennaio a giugno
e il secondo da luglio a dicembre. Il
percorso, che mira ad attivare una sorta di “presa in carico di gruppo”, si
concentrerà su tre ambiti: 1)
inserimento e reinserimento
lavorativo: le Acli - Enaip
organizzeranno momenti formativi su varie tematiche che rientrano in
quest’ambito, e forniranno indicazioni pratiche rispetto a curriculum,
colloqui, percorsi ad hoc, ecc.; 2)
questioni legali: gli avvocati
dell’Associazione CDC daranno informazioni di carattere legale rispetto a
problemi, bisogni, richieste dei partecipanti; 3)
socialità, rieducazione e
riparazione del danno: gli educatori e gli operatori di strada della Cooperativa
Servire e dell’Azienda Ulss 9
lavoreranno, con un’ottica educativa e di aggregazione, per favorire la
conoscenza, il confronto, la riflessione comune e l’auto-aiuto tra i membri
dei gruppi. Per
ognuno di questi ambiti verranno realizzati tre incontri, mentre altri tre
saranno dedicati alla conoscenza, all’emersione dei bisogni e alla verifica e
conclusione del percorso. Gli incontri si svolgeranno in una sede che si trova
in centro a Treviso, per favorire ulteriormente lo scambio con il territorio. Notizie
da Verona Minori
e disagio. A Verona 200 denunce all’anno I
minori che commettono reato sul territorio di Verona e provincia sono circa 200
all’anno. Di questi, circa la metà sono seguiti dai servizi sociali (la metà
di loro sono stranieri), mentre gli altri non arrivano al processo perché
beneficiano di una qualche misura alternativa al procedimento penale. I
dati arrivano dalla Comunità San Benedetto dell’Istituto Don Calabria che,
dallo scorso maggio, ha attivato un Centro di documentazione sulla giustizia
minorile, all’interno di un progetto più ampio di monitoraggio sulle
condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza sul suolo scaligero, avviato in
collaborazione con Unicef e l’Istituto Civico di Servizio Sociale di Verona,
con cui è stato fondato il Centro Studi GB Rossi Infanzia Adolescenza. Sul tema
della giustizia minorile il centro ha già prodotto due dossier (uno dei quali,
“Prospettive nella mediazione di conflitti con minorenni e giovani autori di
reato”, è scaricabile dalla sezione giustizia del sito
http://www.centrostudigbrossi.it) e approfondito, a livello internazionale,
tematiche rivolte anche all’aiuto delle vittime di reato. Circa
la tipologia dei reati commessi, il direttore della Comunità San Benedetto,
Alessandro Padovani, anche giudice onorario presso la corte d’appello,
chiarisce: “I ragazzi stranieri sono spesso inseriti in circuiti illegali più
grandi di loro. Arrivano qua con l’idea di fare soldi in tempi rapidi e
commettono principalmente furti o attività legate allo spaccio. Tra gli
italiani è invece preoccupante un crescente bullismo a sfondo sessuale. Altro
dato allarmante è poi quello del numero di reati commessi da ragazzi con
disturbi psicologici, affetti da una sofferenza psicologia non precedentemente
compresa”. La Comunità San Benedetto segue circa un centinaio di minori ogni
anno e per molti di loro (tra il 50 e il 60 per cento) il recupero c’è.
Continua Padovani: “A Verona riusciamo a realizzare una buona integrazione dei
ragazzi con il territorio perché c’è chi ce lo permette, come i molti
artigiani e imprenditori che offrono loro lavoro e percorsi formativi. O la
scuola che, grazie all’Ufficio scolastico provinciale, favorisce percorsi
rieducativi indispensabili a un vero reinserimento sociale”. Più in generale il Centro Gb Rossi la settimana scorsa ha presentato a Verona una serie di dati sugli stili di vita dei giovani veronesi. Ne è emerso che, nonostante i bambini e i ragazzi veronesi non stiano particolarmente male, è comunque urgente che adulti e istituzioni si occupino seriamente di loro. I dati più allarmanti riguardano l’utilizzo costante di alcol da parte del 42,5 per cento dei quindicenni intervistati ( (5,2% quello tra 11 e 13 anni e 12,6% i tredicenni) e lo stress che riguarda il 55 per cento dei giovani in età scolastica.”Si tratta di una percezione dello stress - dichiara il dirigente dell’ufficio scolastico provinciale di Verona, Giovanni Pontara - che senz’altro non è riconducibile a un solo fattore, ma a una serie di motivazioni tra cui orari, insegnanti, aspettative della famiglia”. Per quanto riguarda invece l’integrazione scolastica Pontara sembra rassicurare. “Nella nostra provincia ci sono 15.563 alunni non italiani, di cui il 46 per cento è nato in Italia. E gli altri, per la metà dei casi, hanno già tre anni di scuola alle spalle”. Un rapporto complesso quello che si instaura tra le vittime dei reati e il percorso educativo-terapeutico finalizzato alla “dimissione sicura” di chi i reati li ha invece commessi. Ne sa qualcosa Filippo Nocini, psicologo all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, che venerdì scorso ha dato il via al corso di formazione organizzato dall’associazione La Fraternità e dall’Asav (Associazione scaligera assistenza alle vittime di reato) per un approccio del volontariato alla giustizia riparativa e alla mediazione penale in vista dell’apertura ormai prossima del centro di ascolto di fronte al carcere di Montorio. Dopo aver illustrato il funzionamento del suo istituto e la composizione dei pazienti (ed è già significativo di un approccio non penitenziario che si dica “pazienti” e non “detenuti”) Nocini ha delineato, ai ben 38 iscritti presenti, il lavoro svolto da chi opera in carcere per produrre cambiamento e infine rinascita in chi ha commesso un reato, facendo emergere in lui nuove risorse, prima sopite e insospettate, a sostegno di un progetto di vita senza pericolosità. Si
tratta di un percorso strettamente istituzionale e professionale, eppure i
volontari in ascolto hanno potuto cogliere numerosi spunti traducibili in motivi
ispiratori e suggerimenti di metodo per la loro stessa attività. La
vittima, all’ingresso del “paziente”, è sostanzialmente ignorata. Dalle
carte che l’accompagnano si sa del reato, non della persona che l’ha subito.
Il reo stesso può essere considerato in qualche misura vittima: del suo
disturbo mentale ma anche delle sue condizioni familiari, sociali, economiche,
culturali. Non interessa l’investigazione del passato, ma creare una situazione che consenta di aprirsi, di ricostruire la verità per riorganizzare il presente. La
rielaborazione comporta sofferenza, è come attraversare un lutto, riconoscere
la propria follia o colpa. Richiede una buona compensazione. In un primo tempo
la vittima stessa è criminalizzata, ripensata come corresponsabile del fatto.
Gli operatori ne acquisiscono una conoscenza indiretta, tramite le informazioni
provenienti dagli altri servizi, ma anche diretta con incontri personali. Come
soggetto debole, la vittima può essere tutelata giudizialmente nei vari tipi di
danno che ha subito. Ma può essere valorizzata come parte nel percorso, per
vedere come il paziente interagisce nella relazione (se si tratta di familiari),
come si rende conto delle conseguenze del reato. Questa
valutazione è finalizzata ad una dimissione sicura, che deve considerare, oltre
alle nuove condizioni del paziente, anche la famiglia, la comunità in cui si
inserisce, l’équipe dei servizi che lo prenderanno in carico. L’obbiettivo,
si dice, è “staccare un biglietto di sola andata”, senza ritorni nel reato. Nocini sarà ancora tra i relatori del corso il 12 febbraio, per parlare di ambiente e strumenti idonei per facilitare l’ascolto e la comunicazione. I prossimi due venerdì (29 gennaio e 5 febbraio) a parlare sarà invece Federico Reggio, avvocato e dottore di Ricerca in Filosofia del Diritto, che interverrà sui lineamenti della giustizia riparativa e il concetto di mediazione e l’etica del dialogo. Seguirà poi, sempre con Reggio, una giornata di laboratorio interattivo, con giochi di ruolo e simulazioni per mettere a fuoco argomenti e acquisire abilità. Il 26 febbraio si guarderà poi alla mediazione nell’ordinamento penale italiano con la criminologa Emma Benedetti e l’avvocato Elisa Lorenzetto, mentre il 5 e il 12 marzo esperienze e strumenti di giustizia riparativa e di mediazione con Leonardo Lenzi, mediatore presso l’Ufficio per la Giustizia Riparativa della Caritas di Bergamo e docente all’Università Cattolica di Milano, ed esperienze di volontariato nella mediazione penale con Silvio Masin, pedagogista, mediatore e coordinatore dei servizi di mediazione Veneto e Sicilia. Per
maggiori informazioni e il programma completo visitare il sito www.lafraternita.it
o contattare l’associazione La Fraternità: telefono 045-8004960, mail info@lafraternita.it Le
parrocchie per i detenuti, e la Comunità risponde oltre le
attese Raccogliendo
l’indicazione della Caritas diocesana, le parrocchie di S. M. Maggiore e
Cristo Risorto di Bussolengo hanno deciso di dedicare l’Avvento 2009 alle
problematiche riguardanti la Giustizia e l’esecuzione penale. “Non si tratta
di un coinvolgimento emotivo per le notizie che in questi giorni, con frequenza
preoccupante i media riportano sulle carceri italiane, sovraffollate, sempre più
povere di risorse, martoriate dalla violenza e dal terribile fenomeno
dell’autolesionismo e suicidio”, spiega Paolo Bottura dell’associazione
veronese Ripresa responsabile.
“Non si tratta di rispondere a un’emergenza - continua - ma piuttosto a una
grave crisi della Giustizia, di cui l’esecuzione penale rappresenta uno dei
diversi segmenti, quello sempre più fallimentare. In queste nostre comunità si
sta cercando, sulle linee di confine della povertà e marginalità più marcata,
una fedeltà al vangelo che non sia troppo episodica. In tal senso crediamo vada
inteso un ritorno costante ai temi della devianza, dell’emarginazione e del
conseguente bisogno di Giustizia che questi evocano. La scelta di dedicare
l’Avvento, un intero periodo liturgico, a queste problematiche, e non più la
semplice giornata di solidarietà, va vista in questa prospettiva”. Il
programma, articolato in diversi momenti, è iniziato con l’incontro per gli
operatori di pastorale delle due parrocchie con Don Maurizio Saccoman,
cappellano della Casa Circondariale di Montorio, per un’informazione sulla
complessa realtà del carcere. Fissando come punto di riferimento alcuni testi
delle Sacre Scritture, don Maurizio ha presentato la difficile situazione in cui
versa il carcere veronese. Con parole inequivocabili ha indicato le condizioni
“disumanizzanti” che ogni giorno devono affrontare le persone detenute, ma
anche gli agenti e tutti gli operatori dell’Istituzione, nel clima di tensione
e violenza che si sta creando per il sovraffollamento, la carenza sempre più
palpabile di personale, di spazi, di risorse. Il tono pacato di don Maurizio non
ha lasciato tuttavia dubbi sul fatto che la situazione nel carcere di Montorio,
e più in generale nelle carceri italiane, possa arrivare a una perdita
preoccupante sul piano della dignità e umanità. Il carcere, di fronte a certi
reati può rendersi necessario, ma non così, non con queste modalità di
carcerazione indiscriminata, e soprattutto, in simili condizioni di vita. “Un
reato rappresenta una violazione di un patto sociale che va ripristinato, per
rispetto alle vittime, alle leggi e agli stessi colpevoli che, in molti casi,
prendono coscienza di aver contratto un debito con la società che deve essere
ripianato”, sottolinea ancora Bottura. “Codici solenni, che fanno onore alla
nostra storia stabiliscono come deve avvenire l’esecuzione della pena, che non
può essere semplicemente afflittiva o vendicativa, bensì finalizzata al
risarcimento delle vittime e al recupero di chi si è reso responsabile di un
reato, rispettandone e preservando la sua dignità e umanità. Quando
dal carcere, dopo aver scontato la propria condanna le persone escono peggiori
di come sono entrate, e dall’altra parte, le vittime non comprendono che tipo
di giustizia s’è compiuta, ci troviamo di fronte a un corto circuito, un
fallimento che come società e comunità cristiane non può lasciarci
indifferenti”. Per
tutto il periodo dell’Avvento si sono realizzati diversi momenti di
riflessione e solidarietà concreta perché, ai margini della città, il carcere
resta pur sempre anche un grande contenitore di povertà, un simbolo doloroso
della marginalità, del disagio e della incapacità di accoglienza di una città
che sembra chiudersi sempre più in se stessa: i detenuti dietro le sbarre, la
società nelle sue paure, senza possibilità di incontrarsi mai, per capire
insieme cosa non funziona. Volontari
ed ex detenuti si sono incontrati con i responsabili dei Gruppi Missionari della
Vicaria, con i Gruppi Giovanili, gli Scout. Sono stati raccolti prodotti per
l’igiene personale e biancheria nuova per il magazzino interno alla casa
Circondariale; è stata organizzata una vendita di oggetti prodotti
all’interno della Sezione Femminile e alcuni volontari si sono resi
disponibili per una ampia riflessione all’omelia delle messe domenicali, le
offerte raccolte in queste messe sono state donate al fondo gestito dai
cappellani. Tramite le catechiste sono stati coinvolti anche i più giovani, che
hanno inviato messaggi augurali e francobolli ai detenuti. La
risposta delle Comunità è andata oltre le attese; aver lavorato
sull’informazione attraverso il coinvolgimento dei Consigli Pastorali, i
“Fogli Parrocchiali”, gli incontri con le diverse categorie di persone ha
creato le giuste condizioni per una buona riuscita delle varie iniziative, sia
sul piano della sensibilizzazione che della solidarietà concreta. Studenti
delle Seghetti incontrano un detenuto Continuano
gli incontri dei giovani studenti veronesi con la realtà del carcere. Una realtà
che, grazie all’associazione Progetto Carcere 663, talvolta riesce a
oltrepassare le strette sbarre della restrizione per raccontarsi alla comunità
esterna. È quanto è avvenuto la settimana scorsa alle scuole Seghetti, dove un
detenuto in permesso ha avuto modo di incontrare gli studenti delle classi
quinte e di togliere loro qualche dubbio su chi e come si vive all’interno
delle strutture penitenziarie. Presenti anche il direttore del carcere Antonio
Fullone e la responsabile dei servizi sociali dell’Ufficio esecuzione penale
esterna, Antonella Salvan. Prossimamente Progetto Carcere sarà anche al
Pindemonte, a Castelletto di Brenzone, al CSF Provolo, al Roveggio di Cologna,
all’IPSAA di Legnago ed al Medi di Villafranca e probabilmente anche alle
Stimate. Appuntamenti Verona:
convegno “A scuola di bullismo. Progetti di prevenzione” Giovedì 28 gennaio dalle 14,15 alle 18 nell’Aula Magna dell’Ufficio scolastico provinciale di Verona (Viale dei Caduti del Lavoro 3) si terrà il convegno organizzato da “Energie Sociali Cooperativa Sociale Onlus” sul tema “A scuola di bullismo. Progetti di prevenzione”. Giovedì 4 febbraio 2010 dalle 9,30 alle 13 a Corte Molon in Via della Difa 17 si terrà il convegno organizzato da “Energie Sociali Cooperativa Sociale Onlus” sul tema “La strada verso la mediazione giovanile tra animazione ed educativa”. Info: http://www.energiesociali.it/ Vicenza:
incontro
“Migranti: regole, diritti, doveri di una società” Lunedì 1 febbraio alle 20.30 alla Cooperativa Insieme di via B. Dalla Scola 253, “primolunedìdelmese” (Progetto Ambiente, Pace, Diritti) organizza l’incontro “Migranti: regole, diritti, doveri di una società che si vuole civile”. Se ne parla con Gabriele Del Grande (studioso delle migrazioni, blogger di Fortress Europe e collaboratore di varie testate, autore di Mamadou va a morire (2007) e Roma senza fissa dimora (2009) e Enrico Varali, avvocato, referente veneto dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). E con rappresentanti delle associazioni di immigrati e operatori del settore. Venezia: seminario
“Pratiche sociali e discorsi penali” “Pratiche
sociali e discorsi penali”, presso la Fondazione Querini Stampalia campo Santa
Maria Formosa. Il seminario è l’ultimo del ciclo di
“Laboratori per una Rete Veneta 2008-2010. Pratiche di autorevolezza delle
donne e discorsi pubblici”, parte integrante del Progetto DUG, Rete Integrata
di Servizi e di Iniziative per i Diritti Umani di Genere, finanziato dal
Ministero delle Pari Opportunità. Le tematiche affrontate nella mattinata di
studi riguarderanno le “Politiche della città tra pratiche sociali e discorsi
penali” e i “Patti territoriali contro la violenza, riconoscere, formare,
promuovere l’ascolto” L’iscrizione è gratuita e obbligatoria ai fini
della partecipazione. Il modulo di partecipazione si può scaricare dal sito
www.comune.venezia.it/c-donna.
Il Progetto "Dal carcere al territorio" è finanziato dall'Osservatorio Nazionale per il Volontariato - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direttiva 2007 sui progetti sperimentali delle Organizzazioni di Volontariato. |