IN-VENETO: INFORMAZIONE TRA IL CARCERE E IL TERRITORIO Edizione n° 29, del 9 luglio 2008
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La "marcia in più" di chi arriva dal carcere
Chi proviene dal carcere spesso lavora con una marcia in più. La New Metal ha sei dipendenti altamente specializzati, più uno in esecuzione penale esterna, ma altrettanto abile e competente, perché "il lavoro non deve essere un atto di beneficienza ma un qualcosa che ognuno si merita". Sotto la voce "New Metal" nelle Pagine Gialle si legge: "Progettazione e realizzazione di impianti "chiavi in mano", di cappe autoaspiranti ideali per l’aspirazione in locali cucina di piccole dimensioni; cappe ad aspirazione separata per problemi di aspirazione in cucine di medie e grandi dimensioni che necessitano di aspiratore esterno; realizzazione di ogni tipo di lavorazione di carpenteria leggera". Questa è la New Metal: un’azienda altamente specializzata, che non conosce il lavoro in serie ma produce ad hoc ogni singolo pezzo. Ai suoi sette dipendenti viene richiesto di leggere il disegno e ricavarne "il pezzo", attraverso l’uso di una macchina a controllo numerico. Un lavoro che necessita di anni e anni di formazione e perciò tanta voglia di imparare, una professione che deve piacere al punto da diventare una passione. Così è specialmente per uno dei sette lavoratori della New Metal, che sconta la sua condanna in esecuzione penale esterna, come ci racconta il titolare dell’azienda Walter Cavinato.
Come avete incontrato questa persona? Tramite un’azienda con la quale eravamo in contatto. Sicuramente nella nostra scelta ha contato il fatto che questa persona aveva la preparazione professionale da noi richiesta, era portata per questo tipo di lavoro. E poi c’è stata la motivazione umana che ha contato moltissimo: si trovava in una situazione difficile, aveva bisogno di lavorare. Abbiamo deciso di assumerlo quando era ancora in attesa del giudizio definitivo per il reato del quale era stato accusato: si è sempre comportato benissimo, poi, un giorno, è arrivata la sentenza finale e la polizia è venuta a prenderlo.
Come vi siete comportati allora? Ci siamo attivati in ogni modo perché potesse continuare a lavorare qui da noi, finché gli hanno concesso di scontare la condanna in esecuzione penale esterna qui alla New Metal. Il fatto che ci fossimo noi fuori pronti ad offrirgli il posto di lavoro è stato determinante nella concessione della misura alternativa. E una volta uscito ha continuato ad essere la persona precisa di sempre, perfetto direi. Lo trovano sempre al suo posto quando ci sono i controlli, non sgarra mai di una virgola, in nulla.
Cosa sente di dire ai suoi colleghi imprenditori? Che chi proviene dal carcere ha una marcia in più per quanto riguarda il lavoro, perché se manca questo manca letteralmente loro la terra sotto ai piedi. Parlo perché lo vedo nel mio dipendente tutti i giorni, tutte le mattine quando apriamo e tutte le sere in chiusura di giornata. La possibilità di lavorare per queste persone è un’ancora di salvezza e insieme una chance di riscatto a nuova vita. Per altri, magari un’occupazione vale l’altra, per loro non è così: perdere il posto può significare il ritorno dietro le sbarre, una situazione che - a quanto mi è stato raccontato - non è molto gradevole.
È favorevole all’assunzione nelle aziende di persone in esecuzione penale dunque? Guardi, il lavoro non deve essere un atto di beneficienza ma un qualcosa che ognuno si merita. Nel nostro settore, che è così specializzato, la selezione è davvero fortissima, e comincia dalla giovane età che chiediamo per formare i ragazzi e dalle competenze che già dimostrano di avere. Certo è che, specie ai colleghi imprenditori che hanno la possibilità di offrire posti di lavoro dalle mansioni semplici - e con ciò non intendo dire umili, ma solo semplici -, consiglierei di sicuro di mettere alla prova anche condannati in esecuzione penale esterna.
Ecco perché il lavoro mi ha salvato
Ecco perché il lavoro mi ha salvato. L’esperienza di due detenuti che lavorano in aziende profit, fianco a fianco con persone "regolari". Forse nessuno è in grado di spiegare qual è il valore del lavoro per un condannato meglio di chi sta scontando la pena in esecuzione penale. Il detenuto, di cui riportiamo qui la testimonianza, è stato condannato a quattro anni e due mesi, ma la condanna è arrivata dopo undici anni passati ad attendere la sentenza definitiva. Alcuni mesi di detenzione al Due Palazzi, e poi è uscito in affidamento e ora lavora in una delle più affermate aziende della provincia di Padova, che gli ha "tenuto" il posto mentre era dentro. "Senza un lavoro io da lì non uscivo" ci spiega a chiare lettere, "per uscire uno deve avere sia casa che lavoro, la casa da sola non basta". E anche se dentro ci è rimasto poco, quel poco è bastato perché le regole ferree, e gli orari e i controlli sempre uguali che scandiscono il passare delle ore e dei minuti, gli cucissero addosso un’altra identità. Colazione, doccia, controllo, tv; ora d’aria, tv, controllo, cena; tv, tv, tv… "La galera nella mia testa era divenuta la mia casa, la mia famiglia, la mia comunità… chiunque ci mette piede ne esce diverso, specie chi non ha un carattere molto forte. Non potevo più immaginare un modo di vivere differente da quello, mi pareva di non riuscire ad agire altro che così, come facevo là dentro: il mondo normale mi sembrava Marte". Così gli ci sono voluti mesi prima di tornare a pranzare alle 13.00 invece che alle 11.00, e cenare alle 20.00 invece che alle 17.00. Mesi per liberarsi dai discorsi ripetuti ininterrottamente da alcuni suoi compagni: "Ho conosciuto persone capaci di parlarti delle solite cose per giorni e giorni: del bere, di come passavano le serate quando erano fuori, del picchiare. Qualcuno anche invidioso, che - siccome tu hai da farti meno galera di loro - cavalca le tue paure e le tue paranoie, dicendoti che neppure tu uscirai tanto presto". "Quando è arrivato il momento di uscire - racconta - quasi non avrei voluto farlo. È strano, ma la galera è come un vortice che ti risucchia e ti impedisce di tornare a galla. Ecco perché il lavoro mi ha salvato. Se avessi dovuto scontarmi tutta la pena dentro, sono sicuro che sarei uscito non a posto con la testa, in realtà non so nemmeno se ci uscivo da lì, perché alle volte la galera ti porta a fare dei pensieri strani". E mesi gli ci sono voluti per riprendersela in mano questa sua vita: "Mi è rimasta questa cosa di tenermi alla larga dai guai: al lavoro ora - quando alcuni colleghi si bisticciano - mi viene spontaneo calmarli, perché tanto gli unici a rimetterci sono loro. Rispetto a prima, sono più consapevole delle cose che faccio, prima di agire ci penso mille volte, ed evito in ogni modo i problemi, a questo penso sempre, anche per il futuro: starne fuori". I suoi datori di lavoro lo conoscevano da anni prima che gli arrivasse la condanna, perciò non l’hanno licenziato. "Sono stato fortunato. Ci sono aziende che piuttosto che assumere detenuti rimangono a corto di personale. Ma senza lavoro non ce la si fa, non ce la fanno ad arrivare a fine mese quelli regolari con un’occupazione: come potrà mai farcela senza lavorare, addirittura uno con percorsi penali alla spalle? Manca il lavoro, manca tutto: non puoi fare nulla, non hai valvole di sfogo, sei dipendente dagli altri". Pure - dovesse ipoteticamente perdere il lavoro - lui giura che non ricommetterebbe un reato: "Non voglio tornare dov’ero prima, non avevo idea che il carcere fosse così. Ma io - ammette - ho una donna accanto che mi vuole veramente bene e mi sostiene: è soprattutto per e grazie a lei che non ricadrei nella trappola della recidiva". Lavoro e legami affettivi, reinserimento nel tessuto produttivo e in quello socio-relazionale: le due sfere sono entrambe importanti, se si vuole davvero abbandonare la strada dell’illegalità. E che il lavoro salva letteralmente le persone lo dice anche D., sebbene lui il carcere da dentro non l’abbia mai sperimentato avendo iniziato a scontare sin da subito la sua condanna in misure alternative alla detenzione. Lavora presso l’Elettra s.r.l., conosciuta azienda della nostra zona, specializzata in prodotti elettrotecnici Aeg, prodotti elettrotecnici per bassa tensione, prodotti elettrotecnici per applicazioni industriali. "Il lavoro è vita: mi permette di mantenere la mia famiglia e mi fa stare a contatto con tante persone, coi colleghi vado d’accordo e questa è una cosa fondamentale, il lato delle relazioni umane intendo". La possibilità dunque di rapportarsi con persone regolari - cosa che avviene meno nelle cooperative sociali dove si è tutti accumunati da un certo tipo di passato - aiuta a rifarsi una vita, ed è un lato positivo del profit. Il suo lavoro poi ha altri lati positivi: "Mi pagano ferie e malattie, ma soprattutto non sono uno schiavo: faccio il lavoro che ho scelto e che mi piace, e ho gli spazi e i tempi per organizzarmelo come voglio, senza nessuno che mi insegua minuto per minuto dicendomi cosa devo fare. Ci sono sempre più giovani italiani - continua - con poca voglia di lavorare, mentre chi ottiene di uscire per scontare la pena in esecuzione penale esterna per lo più ha davvero deciso di cambiare vita, a iniziare dal lavoro: assumeteli, assumeteli tutti quanti."
Notizie da Venezia
Intervista a Francesca Bortolotto, Presidente dell’Hotel Bauer
Volevo offrire un prodotto concepito ed elaborato artigianalmente. Sono prodotti completamente veneziani i cosmetici che le donne detenute alla Giudecca producono per l’Hotel Bauer. Francesca Bortolotto è la Presidente di uno degli alberghi più prestigiosi e rinomati di Venezia, l’Hotel Bauer. Da qualche anno il Bauer utilizza prodotti realizzati all’interno del carcere femminile della Giudecca, ed è con la curiosità di capire da dove è nata questa idea che l’abbiamo intervistata.
Come è iniziata questa particolare collaborazione? Anni fa ho conosciuto l’attività della Cooperativa "Rio Terà dei pensieri" sulla stampa locale e sono rimasta affascinata dall’idea di adoperarmi con la mia azienda per collaborare con il laboratorio delle carceri che produceva cosmetici, realizzati con le erbe officinali degli orti della Giudecca. I prodotti spaziano dal tonico alla crema viso, crema corpo, prodotti per i capelli quali shampoo e balsamo, gel doccia. In una seconda fase abbiamo anche realizzato prodotti in pelletteria e tessuti con il carcere maschile.
Da quanto dura questa esperienza? Da cinque anni, duranti i quali abbiamo realizzato il marchio Santa Maria degli Angeli e creato anche prodotti nuovi come la fragranza per l’ambiente Aria di B e l’idroaroma Acqua di B per vasca Jacuzzi.
Quali sono gli aspetti che l’hanno colpita di più di questa esperienza? Era da tempo che cercavo un prodotto per la linea cortesia dell’albergo, che in qualche modo uscisse dai soliti paradigmi di commercializzazione e con un’identità reale, volevo offrire un prodotto completamente veneziano, concepito ed elaborato artigianalmente e che poteva venire controllato durante la produzione, modificato e migliorato man mano, seguito anche nella fase che riguarda la confezione.
Parliamo di utilità nelle sue varie sfaccettature. C’è qualche vantaggio di natura economica in questo tipo di collaborazioni? Potendo avere un contatto diretto con il produttore, si vengono a risparmiare i costi di mediazione e di rappresentanza del prodotto. Si tenga anche in eventuale conto il fatto che, essendo un laboratorio di natura artigianale ed ecocompatibile con operatori all’interno di una cooperativa, i prezzi di base sono concorrenziali a quelli che si trovano attualmente in commercio Si cerca anche di rispettare l’ambiente, rinunciando ad una confezione elaborata che poi risulterebbe obsoleta, utilizzando vetro che poi è riciclabile.
Ritiene che vi siano altri tipi di utilità, per esempio a livello sociale, civile e umanitario, che nascono dall’offrire una possibilità lavorativa alle detenute? Senza dubbio. Il loro lavoro, senza un’applicazione pratica nel reale, non darebbe le stesse garanzie di soddisfazione a livello umano. Così invece è un lavoro che dà la forza di accettare la loro difficile situazione, e di crearsi una prospettiva per il presente e per il futuro che funga da leva alla riabilitazione.
Se lei dovesse consigliare questo tipo di esperienza a un’altra azienda quali, motivazioni addurrebbe? Ai motivi già elencati aggiungerei il recupero di una tradizione che apparteneva alla città di Venezia per molti secoli e che negli anni è stata via via dimenticata a favore di attività meramente commerciali e di esportazione.
Intervista ad Onofrio Spitalieri, responsabile della Picture Srl
Bisogna essere capaci di Ascoltare. Se si decide di assumere personale composto da ex detenuti, prima di aspettarsi una risposta lavorativa ottimale, bisogna mettere in preventivo un forte impegno nei rapporti umani con queste persone La Picture srl - Pubblifantasy snc è una azienda nata negli anni novanta come ditta pubblicitaria e che si è poi specializzata nel campo delle affissioni di manifesti. Infatti, dopo alcuni anni, diventa leader a Roma nel settore affissionistico e, dal 1996, appaltatrice del Comune di Roma per le pubbliche affissioni. Inoltre, dal 2003 al 2005, incomincia a lavorare anche in altri Comuni tra cui Milano, Verona, Livorno e, nel 2006, vince l’appalto con il Comune di Venezia-Mestre, che chiede di assumere, fra gli operatori atti al servizio di affissione, del personale svantaggiato. Parte da qui la nostra chiacchierata con Onofrio Spitalieri, che di questa ditta è responsabile.
Come è iniziata l’esperienza con ex detenuti? Per rispondere alla richiesta del Comune di Venezia, all’inizio ci siamo rivolti alla Regione Lazio, all’Ufficio del Garante per i diritti dei detenuti, già contattato per esigenze lavorative nel Comune di Roma, e loro ci hanno consigliato di consultare il sito di Ristretti, Centro di documentazione sul carcere. È la redazione che ci ha fornito il numero dello Sportello Carcere Esterno di Venezia, a cui abbiamo domandato se conoscevano alcune persone disponibili a lavorare in questo settore. L’esperienza dura da circa 18 mesi e posso ritenerla molto soddisfacente, soprattutto a livello di arricchimento morale, oltre che per l’aspetto materiale e lavorativo. Sicuramente venire a contatto con persone che nella loro vita hanno avuto storie dure come quella del carcere e vedere come cercano di riacquistare il loro posto in società, ti dà modo di crescere. Perché aiutare delle persone, dandogli un posto di lavoro e, soprattutto, facendole sentire a loro agio con chi gli è vicino, come i colleghi o i datori stessi, ti fa sentire bene e ti fa riflettere molto.
Può raccontarci quali sono i criteri di assunzione di questi particolari dipendenti e le eventuali difficoltà incontrate nel loro inserimento? I criteri di assunzione sono dettati dalle caratteristiche dell’appalto. A volte sono proprio i Comuni a richiedere del personale svantaggiato. Nel nostro campo c’è poco da valutare a livello pratico, visto che il lavoro è eseguito da operai che affiggono manifesti, ma certo che si tiene conto della serietà, della puntualità, della disponibilità verso il lavoro e del rispetto tra i colleghi. In questo caso per valutare chi assumere abbiamo contattato lo Sportello che si occupa del reinserimento di persone con un passato carcerario. Abbiamo così organizzato dei colloqui per verificare la disponibilità e le motivazioni dei candidati. Dopo aver appurato la reale volontà di intraprendere questa esperienza lavorativa, il personale è stato gradualmente inserito in un contesto insieme ad altri operai senza alcun tipo di discriminazione. Tutti i colleghi erano a conoscenza del passato del personale in questione e grosse problematiche non ci sono mai state. Inoltre, mi sento di sottolineare che molti ex-detenuti hanno aiutato i loro colleghi, spesso più giovani, nell’apprendimento e nel rispetto del lavoro e del rapporto quotidiano con i colleghi.
Com’è stato il livello di inserimento tra gli ex-detenuti e i colleghi? Vorrei sottolineare l’esperienza avuta con uno dei "giovanotti" inseriti: parlo di un giovane di 65 anni che si è dimostrato molto efficiente nel lavoro e molto umile dal punto di vista umano, dato che, nonostante la sua età e il suo passato da imprenditore, si è messo sempre a disposizione come semplice operaio in un lavoro molto faticoso.
Alla luce di quest’esperienza, com’è cambiata - se è cambiata - la sua percezione di questo mondo? È cambiata nel senso che si è arricchita a livello conoscitivo, ma il contesto mi era abbastanza chiaro già prima, e forse è proprio per questo che siamo andati incontro alle difficoltà con coraggio e molta pazienza.
Quali sono gli aspetti che l’hanno colpita di più? Non ci sono aspetti particolari che mi hanno colpito più di altri, però uno forse sì: l’umiltà con cui alcuni di questi ragazzi hanno ricominciato a vivere è senz’altro da mettere in evidenza.
C’è qualche vantaggio di natura economica in questo tipo di collaborazioni? Per quanto riguarda la nostra società non c’è stato nessun vantaggio a livello fiscale, contrattuale ed economico. L’unico vantaggio è quello di aver potuto partecipare all’appalto del Comune di Venezia. Come dicevo in precedenza, nella storia della nostra società l’esperienza di assumere personale svantaggiato era stata già fatta a Roma anche se in quel caso si trattava di ex-tossicodipendenti, e anche allora il risultato è stato soddisfacente.
Ritiene che vi siano altri tipi di utilità, per esempio a livello sociale, civile e umanitario, che nascono dall’aver assunto ex-detenuti? Sicuramente collaborare con personale che nella propria vita ha avuto diverse forme di disagio non è semplice; molto spesso queste persone si sono costruite un proprio mondo ed entrarne a far parte, per poi provare a correggere quelle che sono le convinzioni sbagliate che si sono create, è molto difficile. Per esempio, la convinzione che le persone che si trovano davanti a loro non li accettino, questa è una delle situazioni che mi è parsa più lampante. Ma posso dire che conoscere storie così tristi e situazioni così precarie, aggiunge alla nostra vita la convinzione che l’aspetto umano deve sempre essere la priorità fondamentale nei rapporti e nelle collaborazioni.
Se lei dovesse consigliare questo tipo di esperienza a un’altra azienda, quali motivazioni addurrebbe? Mi domandate se vorrei consigliare a un’azienda di assumere personale composto da ex detenuti? Vi rispondo di sì, ma devo premettere che prima di aspettarsi una risposta lavorativa ottimale, devono mettere in preventivo un forte impegno nei rapporti umani con queste persone e, inoltre, devono essere pronti a confrontarsi col fatto che spesso noi tutti dimentichiamo un aspetto fondamentale della vita, e cioè quello di ascoltare.
Notizie da Verona
Detenuti al lavoro! In un tascabile
Quest’estate andrà in stampa "Lavoro!", un libretto di circa quaranta pagine che raccoglie riflessioni, esperienze e speranze di alcuni detenuti di Montorio, sullo scottante tema del lavoro. Si tratta del quinto tascabile prodotto all’interno del carcere di Verona, su impulso dell’associazione La Fraternità. Tematiche precedenti: la libertà, il tempo e i passatempi, nascite e matrimoni nel mondo e le favole narrate da chi è recluso. Con quest’ultima opera, l’obiettivo è quello di sensibilizzare chi sta fuori sull’importanza di lavorare all’interno del carcere e trovare un’occupazione una volta usciti. Nel libretto tra l’altro emergono le frustrazioni e umiliazioni subite dai detenuti nel tentativo di inserirsi nel mondo del lavoro.
Una nuova cooperativa per dare lavoro a detenuti ed ex detenuti
Con la fine di giugno è nata "Segni", la cooperativa sociale di tipo B - con chiaro spirito imprenditoriale - pensata per dare lavoro sia a detenuti ed ex detenuti, che a chi gode di misure alternative. Menti ideatrici quelle di Giuseppe Ongaro ed Edgardo Somma, già attivamente impegnati nel lavoro "in e per" il carcere, con l’azienda s.r.l. "Lavoro & Futuro" che ha sede nella casa circondariale di Verona. Spiega Ongaro: "punti di partenza del progetto saranno la formazione e il lavoro svolto in carcere che permetteranno - a chi meritevole - di continuare a lavorare all’esterno, al momento della scarcerazione". Il tutto è collegato a un più grande serbatoio: Redium (recupero di dignità umana), una onlus che vuole garantire, a chi in uscita dal carcere, un vero microcredito, senza necessità di garanzie particolari, ma a fronte di due soli fattori: un precedente percorso formativo del detenuto e un suo periodo di tutoraggio una volta uscito. "Se non sbaglio saremo i primi in Europa a fornire un microcredito all’ex detenuto che va fino ai 25mila euro - spiega ancora Ongaro, che precisa: "si tratta di una cifra tutto sommato piuttosto consistente. Proviamo noi a farci dare da una banca 25mila euro senza garanzie". Quello a cui mira il progetto è l’attivazione di un contenitore di capacità progettuali, che possa offrire ai detenuti l’opportunità di riprendere a fare quello che già sapevano fare prima della reclusione, o di aprire nuove attività in base alla formazione ricevuta in carcere. È ancora Ongaro a parlare: "la cooperativa Segni - con i suoi 5 soci fondatori e la presidenza di Mario Mala - rappresenta un anello di congiunzione tra lavoro intra ed extra murario. Cercherà di creare continuità tra il dentro e il fuori anche con un immediato atto di fiducia verso i detenuti, che già in carcere potranno diventare soci lavoratori della cooperativa". A breve la commissione sicurezza del comune di Verona entrerà in carcere a visitare l’azienda "Lavoro&Futuro" che, avviata nel 2005, oggi conta circa 55 detenuti tra i suoi dipendenti. Conclude il socio imprenditore Ongaro: "ci stiamo muovendo per ottenere l’utilizzo del parco dell’Adige intorno a Corte Molon e Corte Marini, dove potremmo recuperare una serie di lavori rivolti alla cittadinanza. In questa sorta di città dei mestieri sarebbero presenti una serie di professionalità: dall’idraulico all’impagliatore di sedie, al viticoltore. Un modo per dare lavoro, oltre a chi incontrato direttamente in carcere, anche a chi è in "forte necessità lavorativa". Tra le varie proposte quella di trattenere parte dello stipendio di chi lavora in carcere come contributo riparativo per la vittima. Ma su questo Ongaro non si vuole sbilanciare e conclude: "abbiamo in cantiere molte idee. A seconda delle possibilità alcune andranno in porto, altre forse no. Ciò che conta per noi è riuscire a creare un futuro e una possibilità di reinserimento lavorativo sicuro a chi si trova, o si è trovato, in una condizione di detenzione".
Progetto Carcere 663: continua qualche attività ma i detenuti non escono
"Si tratta dell’ennesimo tentativo di portare fuori un detenuto in permesso. Con la richiesta di giovedì 26 giugno, per il terzo mese di fila il Magistrato di Sorveglianza non ha firmato alcun permesso. La situazione è ormai al collasso. Cercheremo di avvicinare il Magistrato e capire cosa succede". A parlare è Maurizio Ruzzenenti di Progetto Carcere 663 che, amareggiato, conclude: "da parte nostra riteniamo che nessun permesso su una trentina di domande e su quasi 200 definitivi sia uno scandalo, ma non siamo noi a poter firmare". Nel frattempo si è conclusa la ventesima edizione di "Carcere & Scuola", l’iniziativa ideata dallo stesso Ruzzenenti per che, a partire da metà marzo e fino a giugno, ha portato nella casa circondariale di Montorio quasi 1.150 persone tra studenti e insegnanti. Grazie agli incontri sportivi tra detenuti e studenti, il carcere è diventato luogo di incontro e confronto tra due realtà che altrimenti difficilmente potrebbero comunicare. Spiega Ruzzenenti: "quest’anno è stata rafforzata la nuova esperienza, iniziata lo scorso anno, di una giornata più lunga in carcere per incontrare i detenuti e la dirigenza e potersi fare un’idea più completa della realtà carceraria. Si tratta di un’esperienza da ripensare e ripresentare, anche se molto onerosa per noi e l’amministrazione". Carcere & Scuola 2008 è stato anche opera di formazione nelle scuole e per le scuole con "Corsi di Educazione alla Legalità" in alcuni istituti veronesi. Progetto Carcere continuerà a essere presente in carcere anche durante l’estate. Lo scorso giovedì l’associazione ha organizzato una partita di arrivederci nella sezione femminile di Montorio dove, a partire dall’8 luglio inizierà un corso di pasticceria tenuto dal noto pasticcere Antonio Rossini. L’1 luglio si è svolta anche la finale del torneo maschile di tennis da tavolo, che lascia il posto a nuovo torneo estivo di calcio destinato a oltre 150 detenuti, suddivisi in sette squadre e 2 gironi. Previste per metà agosto semifinali e finalissima.
Firmata la convenzione tra Università e carcere di Verona
Al protocollo di intesa firmato lo scorso dicembre tra Università, Casa Circondariale e Ufficio di esecuzione penale esterna di Verona, segue ora un secondo atto: la convezione di durata triennale firmata il 3 luglio a Palazzo Giuliari. Con essa si potrà dare il via definitivo al progetto "Università e mondo della pena", ideato per mettere in relazione diverse realtà sociali e avviare uno scambio che possa essere utile, educativo e formativo per ciascuna di esse. Protagonisti del dialogo studenti universitari e detenuti. Il progetto prevede l’apertura di uno sportello di informazione giuridica gestito dagli studenti di Giurisprudenza - sotto la guida di avvocati e docenti - all’interno della Casa Circondariale. Altro sportello in programma quello affidato agli studenti di Scienze della Formazione che, rispetto a quanto stabilito dal progetto d’intesa, non verrà aperto in carcere ma nella sede dell’ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Verona e Vicenza. Gli studenti verranno formati con seminari sia interni all’ateneo che interdisciplinari, da svolgersi all’interno del carcere e dell’Uepe. Daniele Butturini, assegnista di ricerca in diritto costituzionale all’Università di Verona e referente del progetto, si augura che i primi passi concreti dell’iniziativa possano essere percorsi a partire dal prossimo autunno.
Un "rifugio" per i senza fissa dimora
Sta andando bene l’iniziativa della ronda della carità di Verona che, dallo scorso febbraio, si è attrezzata per fornire a chi bisognoso la possibilità di consumare il pasto serale seduto attorno a un tavolo. Il locale adibito a Rifugio, è situato in viale del lavoro nello stabile degli ex uffici del mercato ortofrutticolo. Spiega il presidente della Ronda, Marco Tezza: "fino a maggio le persone erano tra le 35 e le 40. Adesso, con il periodo estivo, il numero è un po’ calato e i frequentatori del Rifugio sono tra i 20 e i 30". La Ronda della Carità dal 1995 ogni notte offre a chi vive per strada un minimo di conforto con acqua, cibo, biancheria intima e qualche coperta nel periodo invernale. Di recente ha spostato il suo punto di ritrovo da piazza delle poste alle vicinanze di San Tommaso, per collaborare con l’amministrazione nell’intento di evitare la formazione di una sorta di ghetto in una zona turistica e centrale. L’area di ritrovo resta comunque la stessa e anzi, si pensa già a un altro Rifugio anche in centro. Queste le parole del presidente Tezza: "si tratta di un’esperienza davvero positiva, che permette a chi vive sulla strada di consumare un pasto con altre persone e con loro scambiare quattro chiacchiere. Ci stiamo muovendo per trovare un nuovo posto anche in centro storico, anche se la Ronda non smetterà certo di spostarsi per valutare le situazioni di disagio in tutte le zone della città".
Notizie da Rovigo
Festa del Patrono del Corpo di Polizia Penitenziaria
Lunedì 30 giugno 2008 presso la Chiesa del Cristo in Rovigo ha avuto luogo la celebrazione eucaristica nella memoria di San Basilide, martire, patrono del Corpo di Polizia Penitenziaria, a presiedere la celebrazione mons. Claudio Gatti, Vicario Generale della Diocesi di Adria e Rovigo, a concelebrare con il Vicario don Marino Zordan, sacerdote diocesano che presta il suo ministero presso la Casa Circondariale di Rovigo e mons. Vanni Cezza, direttore di "Porta Verta", struttura di accoglienza. Presenti molte autorità militari e civili, del mondo politico, delle istituzioni, del Corpo di Polizia Penitenziaria, e tra questi il direttore del Carcere Fabrizio Cacciabue, il comandante del Corpo di Polizia Penitenziario del Carcere di Rovigo dott.ssa Rosanna Marino, il vice prefetto, l’assessore provinciale Tiziana Virgili, il magistrato di sorveglianza Gianni Pavarin e Livio Ferrari della realtà del volontariato e delle varie associazioni che in modi diversi operano nel mondo carcerario. Il corpo di Polizia Penitenziaria del carcere di Rovigo è composto da una cinquantina di persone, uomini e donne, mentre i reclusi nell’Istituto, tra maschi e femmine sono un centinaio, molti gli stranieri immigrati. Don Marino ha ricordato l’opera importante della Polizia Penitenziaria accanto al detenuto, sottolineando che il carcerato è un fratello che ha sbagliato ma che deve essere aiutato a recuperare la sua dignità, la fiducia, la speranza nella sua vita, nelle persone, nella società. Mons. Gatti nell’omelia si è soffermato sulla figura del patrono san Basilide martire cristiano dei primi secoli del cristianesimo, egli era un soldato, vissuto attorno al 200 dopo Cristo, che aveva il compito di accompagnare i condannati al supplizio. È un grande testimone della fede, ha spiegato il Vicario, anche oggi ci sono testimoni, ha aggiunto, c’è bisogno di difendere la fede, di difendere chi crede. Il detenuto, ha aggiunto, è un fratello, una sorella che ha sbagliato, ma che deve essere amato e aiutato, un uomo e una donna che deve essere dai cristiani guardato con simpatia nonostante i sui errori, senza mai dimenticare che il detenuto anche nel suo errore rimane sempre una persona da accogliere, aiutare, amare, da reinserire nella società, un fratello, ha concluso mons. Gatti, che ha bisogno di ritrovare la luce e la speranza nella sua vita. Non si educa reprimendo la persona, ha aggiunto il sacerdote, ma aiutandola a credere nelle sue possibilità. La Polizia Penitenziaria, ha concluso mons. Gatti, è sempre in prima linea in un lavoro che non è sicuramente facile.
Notizie da Treviso
Teatrando... fuori e dentro…
Dopo il successo dell’anno scorso, si ripropone anche per quest’anno il percorso teatrale che unisce il mondo "di fuori" con quello "di dentro"; dal mese di luglio e per tutta l’estate si svolgerà il laboratorio di teatro che vede protagonisti i detenuti dell’Istituto Penale Minorile e alcuni studenti delle scuole superiori di Treviso. L’idea che ha dato vita a questa esperienza è stata stimolata dal laboratorio teatrale estivo che da qualche anno si svolge all’interno dell’Istituto Penale Minorile, condotto da Valentina Paronetto e Nicola Mattarollo; un’opportunità per i ragazzi di rivelare la propria creatività in modo costruttivo, un’esperienza educativa e di espressione artistica che coinvolge i ragazzi reclusi, la quale però rischia di rimanere limitata entro le mura del carcere. Da qui è nata la proposta, nell’estate 2007, di affiancare un gruppo teatrale esterno che, lavorando sul medesimo testo, potesse dare più forza e più stimoli alle voci di dentro; il risultato è stata una rappresentazione di video-teatro molto divertente e spiritosa, dal titolo "Banana show". Durante lo scorso anno, quindi, i due gruppi hanno lavorato separatamente, per condividere insieme la giornata finale. La novità per quest’anno è la possibilità, per i ragazzi "di fuori", di condividere in modo più concreto e intenso l’esperienza con i giovani detenuti, dal momento che è stata concessa l’opportunità di incontri settimanali all’interno dell’Ipm. Il percorso è diretto da Valentina Paronetto e Nicola Mattarollo, professionisti del settore, che da anni conducono il laboratorio teatrale estivo all’interno dell’istituto, e supportato dagli operatori del Laboratorio scuola e volontariato della provincia di Treviso.
Appuntamenti
Rovigo: il carcere in piazza, per non dimenticare
Rovigo: P.zza Vittorio Emanuele, venerdì 18 luglio ore 21.00. "Il carcere in piazza" (Per non dimenticare): serata di riflessione, musica, poesia e racconti sulla condizione carceraria in collaborazione con: Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Rovigo, Assessorato alle Politiche Sociali Provincia di Rovigo, Casa Circondariale di Rovigo. Recitano Ivana Monti e Andrea Bagno. Suonano e cantano Claudio Lolli, Paolo Capodacqua, Nicola Alesini. Regia Livio Ferrari. Testimonianze persone detenute della Casa Circondariale di Rovigo. Interventi dei volontari del Coordinamento di Rovigo.
Direttore: Ornella Favero Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella.
Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto" |