In-Veneto: informazione tra il carcere e il territorio Edizione n° 58, del 4 marzo 2009 Notizie da Padova Notizie da Venezia Notizie da Verona Appuntamenti
Notizie da Padova
Quanto è difficile la prevenzione dei suicidi in carcere!
La Direzione della Casa di reclusione di Padova, nel quadro di un progetto di promozione della salute voluto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha organizzato una giornata di sensibilizzazione dal titolo "Prevenzione dei suicidi e tutela della vita e della salute delle persone detenute". Venerdì 27 febbraio erano presenti nell’auditorium del carcere circa centoventi persone: operatori, agenti di polizia penitenziaria, esperti, assistenti volontari ma anche detenuti. Il Direttore della Casa di reclusione, Salvatore Pirruccio, ha introdotto la Giornata parlando del lavoro che la direzione svolge per preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e in particolare si è soffermato sui corsi volti alla formazione degli agenti penitenziari e degli operatori, che devono essere messi in grado di capire situazioni di particolare disagio delle persone detenute ed eventuali intenzioni suicide e intervenire con professionalità. É seguito poi l’intervento del dottor Daniele Berto dell’Osservatorio Regionale Devianze, Carcere e marginalità sociale, che ha analizzato le misure di prevenzione dei suicidi in ambito europeo, a partire dal fatto che "ci sono alcuni fattori predisponenti che aiutano a capire il fenomeno, come precedenti tentativi di suicidio, malattie psichiatriche, la condizione detentiva, l’esistenza o meno di un sopporto famigliare". Secondo Berto le aree di intervento dovrebbero prevedere un’ampia attenzione alle dinamiche che coinvolgono il personale interno, e non è un caso, per esempio, che in Gran Bretagna le carceri più ad alto rischio sono state quelle date in gestione a privati, dove si opera con una logica diversa da quella che devono invece avere gli operatori nelle nostre carceri, in cui le attività dovrebbero essere finalizzate alla rieducazione. É importante anche aumentare le opportunità di contatto con le famiglie, prevedere più attività lavorative in carcere e maggiore concessione delle pene alternative. Altrettanto importante è facilitare l’easy-coming degli assistenti volontari, perché in parecchie carceri i volontari fanno ancora molta fatica ad entrare e a svolgere la loro attività di aiuto e assistenza ai detenuti. Livio Ferrari, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Rovigo, nella sua analisi è partito invece dal fatto che le carceri italiane stanno attraversando momenti di particolare gravità. Il fenomeno dei suicidi non fa altro che riflettere i tanti problemi del sistema penitenziario italiano, come quelli legati all’aspetto sanitario, ma soprattutto rimanda all’assenza dell’affettività, un ambito questo in cui il carcere irrompe con tutta la sua severità. Per il Garante di Rovigo non esistono purtroppo nelle carceri italiane spazi per qualsiasi dimensione di intimità e di affettività e questo va contro ogni politica di prevenzione, che dovrebbe mettere al centro i legami famigliari delle persone detenute. Sono anni che chi legifera demanda al carcere problemi che sono spesso di carattere sociale, e questo non può portare altro che disastri, dentro e fuori. Ma soprattutto dentro le condizioni di vita andranno a peggiorare ulteriormente. Il professor Giuseppe Mosconi, docente di Sociologia della Devianza presso l’Università di Padova, è intervenuto sottolineando che c’è un paradosso di fondo nel rapporto società-detenuto, visto che da un lato al condannato si chiede di "guarire" dalle sue anomalie che lo hanno portato a compiere il reato, ma dall’altro lato non si è in grado di fornirgli strumenti adatti o diversi da quelli con cui il soggetto è venuto in contatto e che lo hanno formato. Quindi l’istituzione può solo adempiere all’istanza afflittiva della pena, mentre dovrebbe lavorare anche sul recupero del soggetto. Il rischio suicidi, così come molti problemi legati alla condizione delle persone detenute, è comunque legato al grado di salute che si riesce a garantire in carcere e al rispetto dei diritti che il soggetto ha. Sono intervenuti poi Antonella Reale, direttrice della Casa circondariale di Padova, che ha parlato delle modalità di accoglienza dei nuovi giunti e del lavoro svolto dagli operatori per prevenire i suicidi, ma ha messo in luce anche le condizioni di sovraffollamento che rendono questo lavoro sempre più difficoltoso, mentre Graziella Palazzolo, direttrice dell’Ufficio Esecuzione penale esterna, ha parlato del contributo che gli operatori dell’Uepe possono portare alla tutela della vita e della salute delle persone detenute. Vittorio Svegliado, del Gruppo operatori carcerari volontari, ha raccontato il lavoro dei volontari che attraverso i gruppi di ascolto fanno ogni giorno un lavoro di prevenzione andando nelle sezioni per parlare direttamente con le persone considerate a rischio. Un lavoro prezioso, che però ultimamente ha incontrato difficoltà dovute alla riduzione dell’orario d’ingresso in carcere per i volontari, che è stata introdotta per la cronica carenza di personale tra gli agenti di custodia. Dell’importanza dell’ascolto ha parlato anche Ornella Favero, direttrice della rivista Ristretti Orizzonti, portando l’esperienza dello Sportello di orientamento giuridico e di segretariato sociale che da un anno non offre solo consulenza giuridica, ma si occupa un po’ di tutti i problemi dei detenuti che si avvicinano al fine pena e devono affrontare le difficoltà dell’uscita. Laura Baccaro, psicologa, collaboratrice di Ristretti Orizzonti, ha riferito di uno studio recente fatto in collaborazione con Francesco Morelli, che si occupa del Dossier suicidi e del sito di Ristretti, dal titolo "In carcere: del suicidio ed altre fughe". Analizzando i dati dal 1980 ad oggi, si scopre così che ci sono stati 1371 suicidi. L’indice dei suicidi fuori dal carcere è di uno ogni ventimila cittadini, mentre dentro si toglie la vita ogni anno uno ogni 924 detenuti, e uno su tre di coloro che si suicidano lo fa mentre si trova in una cella d’isolamento. Il tasso è altissimo, ma, ha sostenuto Laura Baccaro, togliersi la vita non può essere visto come una colpa, dal momento che spesso diventa per il detenuto l’unica via di fuga da una condizione di vita intollerabile. Le motivazioni che spingono al suicidio sono diverse, ma le condizioni di vita sempre più dure a causa del sovraffollamento di sicuro hanno un ruolo importante nell’alto tasso di suicidi che continua a verificarsi nelle carceri italiane, ha detto infine Elton Kalica, in rappresentanza della redazione di Ristretti, ponendo l’attenzione sulla fascia più giovane dei detenuti, che sono i soggetti più a rischio di suicidio. "Io l’ho vissuta in prima persona, al momento dell’arresto, questa sofferenza, dovuta alla vergogna verso i genitori, che spesso diventa un macigno più pesante della galera stessa" ha sostenuto Kalica, "la prevenzione deve tenere conto anche di queste dinamiche, perciò una idea concreta potrebbe essere quella di prendere l’esperienza della mediazione penale minorile, che ha dato buoni frutti nel rapporto tra vittime e autori di reato, ed estenderla al rapporto tra giovani delinquenti e le proprie famiglie, che spesso è motivo di grandi sofferenze e di uno stato di disagio che porta anche al rischio di suicidio". I lavori della giornata sono stati conclusi da un detenuto che frequenta la scuola in carcere, e che ha richiamato l’attenzione in particolare sullo stato di abbandono che vivono quelle persone detenute che non sono impegnate in nessuna attività.
Una delegazione europea visita il Due Palazzi
Il progetto europeo Synthesis: health and social services integration for the most vulnerable di cui il Comune di Padova, Settore Servizi Sociali e i partners Azienda Ulss 16 e Irecoop Veneto - Istituto regionale per l’educazione e studi cooperativi, fanno parte, ha portato a Padova per il VI Meeting Transnazionale dal 22 al 27 febbraio, alcune delegazioni di paesi europei che vi hanno aderito. Finanziato dalla Commissione Europea, vede capofila il Ministero del Lavoro, Famiglia e Pari Opportunità della Romania e partner partecipanti enti pubblici e del privato sociale di Italia, Belgio, Grecia, Spagna, Francia, Finlandia, Polonia, Lituania e Slovenia. Queste delegazioni martedì 24 febbraio hanno visitato la Casa di reclusione "Due Palazzi", con la presentazione del Progetto Carcere del Comune di Padova e delle attività all’interno del carcere della Cooperativa Giotto, dell’Associazione Granello di Senape, della cooperativa AltraCittà e della redazione di Ristretti Orizzonti. In particolare, è stato presentato il progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere" mentre era in corso un incontro tra studenti e insegnanti e i detenuti e i volontari di Ristretti Orizzonti. Il progetto europeo si occupa di inclusione sociale di soggetti svantaggiati, del loro accesso a servizi socio-sanitari, ma anche del ruolo delle organizzazioni del terzo settore negli interventi e nei servizi sociali. Si cerca di seguire le esperienze migliori dei vari paesi in uno scambio di pratiche e competenze, guardando alla programmazione, attuazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie, e all’incentivazione di forme di partenariato e gestione associata tra soggetti pubblici e privati. Altro obiettivo del progetto è la creazione di una rete europea, tra soggetti pubblici e organismi del privato sociale, dei Paesi che hanno aderito all’iniziativa. Sicuramente la scelta da parte del Comune di Padova di far visitare alla delegazione la Casa di reclusione padovana con le sue importanti attività di inclusione sociale è una delle iniziative che si possono ritenere "di supporto per il trasferimento di buone prassi e esperienze relative all’inclusione sociale e lavorativa delle persone svantaggiate".
Notizie da Venezia
S. Maria Maggiore: purché se ne parli
In merito alla notizia di martedì 24 gennaio, pubblicata sul Gazzettino di Venezia che riguardava la cronica carenza di personale, di fondi per la manutenzione, il sovraffollamento, le difficoltà degli agenti a svolgere il loro lavoro, nella Casa Circondariale S. Maria Maggiore di Venezia, abbiamo parlato con Mario Piraino, educatore. Mentre si parla di costruire nuove carceri, non si hanno i soldi neppure per gestire quelli già esistenti. Piraino dice che il problema non è nuovo, meno male che ogni tanto se ne parla. A fronte di una capienza di 170 detenuti, ce ne sono ben 305, di 25 nazionalità diverse, con i conseguenti problemi di igiene e promiscuità. Sicuramente è un istituto difficile. Ma non ci sono solo problemi a S. Maria Maggiore. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare in una situazione del genere, il carcere veneziano è estremamente operoso sul fronte trattamentale, con molteplici attività. Come ci hanno confermato anche volontari e rappresentanti delle cooperative che sono presenti a S. Maria Maggiore, ci sono molti cosi di formazione, laboratori, attività culturali - la scuola per prima - che, anche grazie alla buona volontà del corpo della Polizia Penitenziaria che, seppur sotto organico, sa quanto siano importanti queste occupazioni, vengono seguite da un numero notevole di detenuti rispetto al tipo di realtà di un carcere giudiziario. Infatti, in un carcere giudiziario la maggioranza degli ospiti sono persone o appena arrestate e in attesa di giudizio o con pene brevi, per cui è difficile dare continuità alle iniziative. A Santa Maria Maggiore entrano 120-130 tra volontari e operatori esterni. 150 sono stati, lo scorso anno, i detenuti che hanno partecipato con continuità alle diverse attività. Per ciò che concerne il lavoro, la cooperativa Rio Terà dei Pensieri è presente con i laboratori di pelletteria, di serigrafia, per cui la stessa tiene anche dei corsi di formazione, e con un laboratorio di assemblaggio. Lo scorso anno si sono tenuti 2 corsi per pizzaiolo e uno di pasticceria, e è in progetto un corso di alta cucina. A breve prenderanno il via 5 corsi di formazione informatica: uno di web program, uno di help desk, 2 di data entry e uno per call center, ognuno dei quali di 150-200 ore e nel più breve tempo possibile (anche 5 giorni alla settimana) per permettere a più persone possibile di portarli a termine. Le attività culturali spaziano dal cineforum di cui si occupa l’associazione Cinit, alla filosofia e yoga e filosofia e tai chi, corsi tenuti dalla cooperativa Coges, dal teatro di cui si occupa l’associazione Balamos di Ferrara con il contributo del Comune di Venezia, all’educazione al linguaggio, al linguaggio delle emozioni e dell’arte con la presenza dell’associazione Granello di senape di Venezia, oltre, naturalmente, all’attività scolastica. Lo scorso anno hanno preso la licenza di scuola media inferiore ben 10 detenuti. C’è infine Time Out, un’attività che vuole preparare i detenuti all’uscita, visto che il passaggio dentro-fuori, dice Piraino, è molto delicato per il reinserimento del detenuto. Esiste un forte coordinamento tra tutti coloro che operano in questa realtà e attraverso l’apporto di tutte le esperienze si affinano le modalità più efficaci per ottenere i risultati migliori. "Venezia - dice l’educatore - è comunque una città dove le carceri sono assolutamente inserite nel territorio".
Contro la violenza alle donne
DUG sta per Diritti Umani di Genere. Il Comune di Venezia in collaborazione con il Dipartimento delle Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri, il Comune di Adria, il Comune di Rovigo, il Comune di Schio, l’Aied, la cooperativa sociale Iside e l’Associazione Questa Città, gestisce un progetto contro la violenza sulle donne. La responsabile scientifica è Franca Bimbi, Deputato e docente all’Università di Padova che ha aperto i lavori con il primo della serie di 6 seminari dal titolo "Pratiche di Autorevolezza delle Donne e Discorsi Pubblici". Al Centro Candiani di Mestre si è parlato di "Diritti di Genere e Discorsi pubblici" con interventi di Renate Siebert, docente di Sociologia del Mutamento presso l’Università della Calabria, Massimo Cacciari, sindaco di Venezia e docente di Estetica a Milano e della stessa Bimbi. La Siebert ha parlato delle "Costruzioni Culturali del sessismo e del razzismo", facendo una carrellata storica del pensiero razzista e della sua nascita e un parallelo con il sessismo come forma particolare di razzismo, chiamando in causa Hannah Arendt e Adorno. Il Sindaco di Venezia che avrebbe dovuto, secondo programma, dare il benvenuto, ha preferito invece intervenire dopo la Siebert, partendo da un punto di vista filosofico per parlare di razzismo, ma anche per sottilmente contestare una frase della sociologa sul razzismo degli italiani e sulla loro capacità di "rimuovere" le loro malefatte. La Bimbi, dopo il Coffee Break è intervenuta su "Contesti e interpretazioni della violenza di genere" e poi è iniziato il dibattito coordinato da Alberta Basaglia, responsabile tecnica del Centro Antiviolenza del Comune di Venezia e da Gabriella Camozzi responsabile del Centro Donna dello stesso comune. Dopo la pausa pranzo la giornata è continuata con un laboratorio "Letture e parole dalle esperienze" con il coordinamento di Genny Giordano del Centro Antiviolenza della Cooperativa Iside. Il seminario è proseguito sabato mattina con il "Laboratorio per le linee guida gender sensitive" con il coordinamento di Nadia Pavanello della Rete Servizi Antiviolenza di Venezia e da Patrizia Marcuzzo del Centro Antiviolenza. Come ha detto Franca Bimbi e come ha ribadito anche il sindaco Cacciari, il costruire una Rete Veneta tra diverse professioni e diversi servizi territoriali, pubblici e di privato sociale attraverso i seminari, che sono spazio di riflessione e confronto allargato sugli strumenti di riconoscimento e sulle pratiche di contrasto della violenza utilizzando una prospettiva di genere può contribuire a iniziare un discorso sulla violenza alle donne che non sia solo uno spot elettorale
Festa della donna alla Giudecca il 9 marzo
Pubblichiamo il comunicato stampa del "Granello di Senape di Venezia" in occasione della festa della donna. Si terrà lunedì 9 marzo, in occasione della Giornata della Donna, l’iniziativa, giunta ormai alla nona edizione, organizzata dall’Associazione "Il Granello di Senape" e rivolta alle detenute della Casa di Reclusione Femminile della Giudecca. L’appuntamento, non aperto al pubblico, è stato pensato in collaborazione con la Direzione degli Istituti Penitenziari, le cooperative sociali "Il Cerchio" e "Rio Terà dei Pensieri" e promosso con il sostegno del servizio Cittadinanza delle Donne e Cultura delle Differenze del Comune di Venezia. L’iniziativa ha l’obiettivo di far incontrare donne libere e donne a cui momentaneamente la libertà è stata negata e portare all’interno del carcere la rappresentanza di quella rete di persone e soggetti istituzionali, che hanno scelto di sostenere e supportare il reinserimento di coloro che hanno concluso il percorso di detenzione. Il programma prevede la condivisione del pranzo offerto alle detenute, la consegna ad ognuna di un omaggio ed il concerto della fisarmonicista Miranda Cortes che proporrà una scelta di generi diversi che varierà dal folk dell’est Europa alla musica contemporanea per fisarmonica Bayan, al musette francese e al tango, e suonerà musiche di autori riversi tra cui Galliano, Piazzola e Semjonov.
Notizie da Verona
I detenuti si fanno sentire con una protesta pacifica
Suoni di pentole, di fischi e di oggetti battuti. Sono quelli che escono dal carcere di Montorio in questi giorni, a testimonianza dello sciopero pacifico iniziato venerdì scorso da chi vi è recluso, per "denunciare pubblicamente il disagio che i detenuti vivono nelle carceri italiane e, nello specifico, in quella veronese". Domenica, fuori dal carcere, si sono raccolti i rappresentanti di alcune associazioni, oltre al cappellano e ai familiari di qualche detenuto. Tra loro anche Mauro Peroni del Pd e suor Alma, "la mamma dei detenuti". Uniti per sostenere con canti e preghiere una protesta che - a detta di Paolo Bottura dell’associazione Ripresa Responsabile - è "uno scatto d’orgoglio che non chiede commiserazione, perché l’orgoglio viene percepito come confine della propria umanità, e scatta quando la si avverte in pericolo". La pena non dovrebbe essere caratterizzata da un passare del tempo sempre uguale, ma piuttosto dovrebbe essere scandita da percorsi rieducativi perché, prosegue Bottura, "si fa un gran parlare di certezza della pena, ignorando le lungaggini processuali e le non risposte del sistema giudiziario, ma soprattutto, non si parla quasi mai per quanti hanno pagato il loro debito della certezza del reinserimento garantito dalla Costituzione". Lo sciopero proseguirà fino al 3 marzo come "atto dimostrativo che precede eventuali altri futuri, per chiedere la soluzione dei molteplici problemi già noti da tempo". Una protesta pacifica cui hanno aderito la maggior parte dei reclusi che da venerdì - oltre a battere le sbarre per farsi sentire all’esterno - non mangiano e non acquistano niente. A fine gennaio i detenuti di Montorio erano 876 a fronte di una capienza regolamentare che non dovrebbe superare le 560 unità e di una tollerabile che si aggira sulle 850 presenze. "Bisogna trovare una soluzione a questa situazione", dichiara Fra Beppe, fondatore della Fraternità e della cappellania del carcere. Continua il frate: "una soluzione potrebbe essere quella di trasferire in altre carceri più vuote gli stranieri definitivi. E poi incrementare l’utilizzo di misure alternative come l’affidamento, la semilibertà e gli arresti domiciliari". Fra Beppe domenica ha anche sottolineato il fatto che i detenuti chiedono assistenza per i loro familiari. "Sono ormai 16 anni che ci rivolgiamo alle diverse amministrazioni per ottenere un centro d’ascolto davanti al carcere, che possa dare informazioni ma anche solo un riparo dal freddo e dalla pioggia ai parenti dei detenuti in attesa del loro turno per i colloqui. Speriamo che presto diventi una realtà, come sembra". Il cappellano del carcere, Don Maurizio, ha poi concluso la giornata di domenica con la speranza che anche la Chiesa sia più presente e si metta in dialogo con il carcere, rafforzando la richiesta già avanza da Ripresa Responsabile: "una vera pastorale dedicata all’area penale".
Dove sono i permessi?
È ancora delusione per le associazioni che ruotano intorno al carcere e organizzano giornate dedicate all’uscita dei detenuti in permesso premio. Dice una volontaria del Don Tonino Bello, che di recente ha organizzato l’appuntamento mensile con quella che l’associazione ha battezzato "la domenica dei permessi": "I definitivi presenti nella Casa Circondariale di Montorio al 31 gennaio erano 305: dispiace che di fronte a questa cifra siano solo due i detenuti a poter godere dei permessi premio". Continua la volontaria: "Un tempo partecipavano anche le famiglie dei detenuti e si respirava davvero aria di un’accogliente e numerosa comunità. L’ultima domenica uno dei detenuti con il permesso - che poi ultimamente è diventato "il" detenuto, dato che spetta sempre a lui - ha incontrato la propria famiglia di Napoli e quindi non si è potuto unire alla giornata con noi volontari. L’altro detenuto ormai da mesi usa la sua giornata premio per telefonare alla famiglia, in Belgio". Anche la situazione esterna attualmente non è delle più favorevoli. "Sono molte le fatiche per organizzare le giornate nelle parrocchie, ed è triste non lasciare nemmeno un segno. Nelle parrocchie il carcere è spesso un argomento tabù. Importantissima, per stimolare i giovani e la comunità, è la una figura guida trainante. Ad esempio, ottima esperienza è stata quella del Tempio Votivo, grazie agli attivissimi ecumenici e al parroco frate, ma poi anche queste persone talvolta vengono a mancare".
La comunità vada incontro ai detenuti
Continuano le presentazioni del libro "40 anni tra i lupi. Diari dell’associazione "La Fraternità" dal 1968 accanto ai carcerati". L’ultimo incontro al cinema Aurora è stato organizzato dai ragazzi dei gruppi canori di animazione delle Messe in carcere: venticinque ragazzi di venticinque parrocchie. Gran parte delle riflessioni sul rapporto tra i detenuti, la loro comunità di appartenenza e la comunità in genere, sono state condivise dal diacono Carlo che - oltre ad essere volontario dell’associazione "Don Tonino Bello" - fa parte della Cappellania della Casa Circondariale di Montorio. Sottolineando l’importanza del canto, come presenza che si nota e coinvolge i detenuti, il diacono racconta: "Sono entrato per un obbligo ecclesiastico che doveva consumarsi in un anno, poi gli anni sono diventati sette e ora non me ne andrei mai". Di fronte a una situazione disarmante di poveri e abbandonati - come quella di un ragazzo che in vent’anni non aveva mai preso una carezza - il diacono si aspetterebbe un’offerta di aiuto da parte della comunità, invece del diffondersi di sempre più giudizi spregiudicati. "In una cattolicissima Verona non dovrebbe esserci un carcere così - conclude -. Il numero dei detenuti cresce di giorno in giorno e noi cappellani non sappiamo da dove partire per i colloqui". Anche Roberto Sandrini, presidente dell’associazione "La Fraternità" ricorda che "il mondo del carcere non è così lontano come l’opinione pubblica pensa" e si augura che, magari tra altri quarant’anni, si sia trovata un’alternativa al carcere, che forse avrebbe davvero un senso solo per persone con elevata pericolosità sociale. Rachele, socia dell’associazione, raccontando di una sua vicenda personale correlata alla detenzione di un suo affezionato zio, sottolinea poi come la vergogna e l’isolamento vissuti con sofferenza in mezzo alle persone della sua comunità, fossero lontani anni luce dagli sguardi di comprensione e accoglienza che aveva trovato fra gli altri familiari dei detenuti durante l’attesa ai colloqui in carcere. Sensibilizzare la stessa parrocchia dove si abita avrebbe un significato molto importante. Il diacono Carlo ricorda di aver visto "in sette anni solo un parroco a colloquio. Non c’è la volontà politica perché non c’è la volontà della comunità, dobbiamo partire da noi".
Appuntamenti
Mestre (Ve): incontri su "Adolescenze Difficili"
Centro Culturale Candiani - Mestre. Dal 28.01.2009 al 23.04.2009 dalle ore 9 alle 14 Storie, biografie, autobiografie incontri di riflessione e confronto per operatori sociali. Iniziativa con il patrocinio della Regione del Veneto e Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e con il contributo della Fondazione Lions Clubs, Distretto 108 TA3. Mercoledì 11 marzo ore 9.00. "Un’esperienza con adolescenti"
Verona: incontro sul tema "Ero straniero e mi avete accolto"
Teatro dell’Istituto Don Nicola Mazza in via San Carlo, 5. Sabato 7 marzo alle 16 incontro sul tema "Ero straniero e mi avete accolto". Un dialogo tra Antonio Ribaldi, Vescovo emerito di Acerra e Gianpaolo Trevisi, scrittore e vice questore di Verona. Conduce il sacerdote Don Carlo Vinco. Per informazioni: tel. 045.8348536, info@donmazza.org
Verona: inizia il ciclo di incontri "Stranieri per sempre?
Verona (Zevio) - Istituto Padri Venturini, Via Vittorio Veneto, 34 a Zevio. Giovedì 5 marzo alle 20.30 primo appuntamento con il ciclo di incontri "Stranieri per sempre? cittadini o intrusi a Verona". Si parlerà di "Storie di ordinaria immigrazione. Numeri, statistiche, persone" con Matteo Danese del Centro Studi Immigrazione di Verona e Gianpaolo Trevisi, vice dirigente della Squadra Mobile di Verona, autore del libro "Fogli di via. Racconti di un vice questore". Direttore: Ornella Favero Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella. Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto" |