In-Veneto: informazione tra il carcere e il territorio Edizione n° 59, del 12 marzo 2009 Notizie da Padova Notizie da Venezia Notizie da Verona
Appuntamenti Notizie da Padova
Il Diritto Penale Minorile spiegato ai liceali
Nell’ambito del progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere" il 4 marzo si è svolto l’incontro di 5 classi, 3 quarte e 2 quinte, del liceo scientifico "I. Nievo" di Padova con la professoressa Elisabetta Palermo, docente di Diritto Penale Minorile all’Università di Padova. Due ore intense in cui l’insegnante ha spiegato agli studenti l’importanza degli studi compiuti sinora dalla scienza giuridica, partendo da Cesare Beccaria e dall’idea che "La pena non è vendetta e deve servire a far sì che lo stesso reato non si ripeta", e ripercorrendo la storia dei moderni studi giuridici fino ad arrivare alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, di cui lo scorso anno si sono festeggiati i sessant’anni. Elisabetta Palermo ha anche voluto mettere l’accento sul pericolo, che stiamo correndo, di regredire. La docente si è poi dedicata a spiegare in termini più tecnici la particolare giurisprudenza minorile, sottolineando l’importanza di istituti come la "messa alla prova" e la "mediazione penale" finalizzata alla responsabilizzazione del reo attraverso un delicato percorso che porta a un incontro tra vittime e autori di reato. Il carcere, nel caso dei minori, deve essere l’extrema ratio da usare. Anche in questo caso, per meglio far intendere il percorso attraverso il quale si è giunti a questo, la dottoressa Palermo ha ripercorso la storia della giustizia minorile sottolineando come il "diritto all’educazione" sia nel caso di minori uno dei diritti principali e come quindi i provvedimenti debbano essere educativi e non punitivi. Al termine gli studenti hanno potuto fare delle domande, approfondire alcuni dei temi trattati e riflettere sul senso della pena.
Don Gallo (Comunità S. Benedetto al Porto) a Padova
Trascinante e ironico, Don Gallo ha parlato, purtroppo molto tardi, all’incontro organizzato dal centro sociale Pedro, sulla liberalizzazione delle droghe leggere. Dapprima doveva essere un incontro in Piazza delle Erbe, ma, vista la pioggia battente, ci si è dovuti spostare nella Sala Anziani del Comune, motivo per cui la partecipazione ne ha risentito, ma la sala era comunque piena. È intervenuto tra gli altri Franco Corleone, presidente del Forum Droghe e Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Firenze, che ha parlato di politica e droghe, anzi, della "politica delle droghe", che aiuta a capire lo scontro tra una visione da stato etico e una visione liberale, dove lo stato etico interviene con leggi ad hoc per regolamentare le scelte dei comportamenti "morali" dei cittadini. Le leggi proibizioniste vanno in quella direzione. I comportamenti che lo stato decide come immorali vanno penalizzati. Non più quindi una questione tenuta su un piano educativo, ma una questione portata su un piano penale, che è diventata una piccola questione, in mezzo alle altre, di ordine pubblico. Forti sono le critiche, da parte di Corleone, rivolte alle competenze del sottosegretario Giovanardi e alla presentazione alla stampa del nuovo portale, Drugfree, contro il consumo di droga (ma che dal nome si potrebbe intendere in tutt’altro modo). Insomma, una politica fatta di spot ma con poca o inesistente sostanza, dove i messaggi possono essere interpretati al contrario. Dove non si parla più non solo di "legalizzazione" ma neppure di "riduzione del danno". Riduzione del danno, continua Corleone, che secondo questa concezione è "contro la vita", espressione abusata in questi ultimi tempi. Secondo alcuni calcoli fatti da Corleone, dal ‘90 a oggi in carcere per reati legati al consumo di droga sono finite 250.000 persone che, supponendo si siano fatte "solo" un anno, hanno accumulato 250.000 anni di carcere scontati! Come è possibile che in questo Paese si crei una criminalizzazione di massa di questo genere e la società civile se ne stia in silenzio? E ora, con la legge ex Cirielli sulla recidiva e la Fini-Giovanardi sulla droga gli anni di carcere aumenteranno, visto il nuovo reato di "spaccio presunto" che parte dalla semplice detenzione di sostanza. Delle carceri il garante dice che nella situazione attuale sono un grande esempio di illegalità, e che le varie leggi che si continuano a varare vanno nella direzione di un aumento di tale illegalità. Tina Ceccarelli, presidente dell’associazione "Noi-famiglie padovane contro l’emarginazione e la droga", in prima linea nell’affiancare persone con problemi di dipendenza, ha fatto poi un breve intervento in cui ha spronato i giovani a creare situazioni culturali di piazza, per riappropriarsi degli spazi comuni e combattere il degrado: non sono certo le ronde a mantenere la città viva e ordinata! Alla fine della serata è finalmente intervenuto Don Gallo con la sua travolgente vitalità, ironia, passione. Don Gallo ha iniziato esortando i giovani che "sono chiamati a costruire la democrazia" ricordando un’altra nascita di democrazia, quella del 1948. Ha invitato a stare all’erta, ha incitato a non abbassare la guardia, ha ricordato come il "progetto" di Licio Gelli, quello della P2, sia praticamente stato attuato, per cui la nostra rischia di essere una democrazia solo nominale. Ha parlato di Costituzione e del sangue che è stato versato per averla così "bella", di memoria storica, di libertà. Quello che colpisce nei discorsi di Don Gallo è la lucidità politica, la memoria prodigiosa, ma soprattutto la passione profonda per quello per cui a più di ottant’anni ha sempre lottato e continua a lottare.
Il teatro in carcere, con il Tam Teatro Musica
L’associazione Tam Teatro Musica ha attivo un progetto nella Casa di Reclusione di Padova. Fra gli obiettivi generali quello importante è l’ideazione e rappresentazione di uno spettacolo teatrale sul tema della realtà carceraria che consideri la storia personale e la provenienza sociale e culturale di ogni singolo detenuto/attore e, di conseguenza, creare percorsi di integrazione culturale delle persone detenute e sensibilizzare l’opinione pubblica ai fini di un reinserimento sociale e culturale. Partendo da spunti artistici (fra i quali "Volario" di Alfredo Cattabani) si arriverà a una rielaborazione drammaturgica attraverso l’intensità delle emozioni personali degli attori; il gruppo è costituito da una cinquantina di detenuti-attori che lavoreranno ancora per mesi per arrivare alla realizzazione di uno spettacolo teatrale che si svolgerà all’interno del carcere portando "dentro" fino a 200 persone. Spettacolo che verrà ripresentato poi al Teatro Maddalene di Padova e in relazione a cui si svilupperanno un convegno (sull’utilità di tali attività in carcere) e un DVD che filma il percorso completo. Una forte caratteristica del progetto è sia l’aspetto educativo - emozionale (gestire il proprio "io" inserito in un gruppo, gestire le relazioni e le emozioni, imparare a comunicare meglio con gli altri), sia l’aspetto educativo - sociale (sensibilizzazione del territorio sui temi del carcere attraverso uno spettacolo teatrale). Oltre alla gestione dei laboratori teatrali, la presenza dell’associazione dentro al carcere ha anche funzioni diverse: da quest’anno l’esperienza di Teatro Carcere si sta rafforzando nel rapporto con il territorio padovano e si è pensato così di istituire un laboratorio esterno (per cittadini) e di organizzare all’interno del Due Palazzi una serie di appuntamenti con artisti che operano in campo culturale/sociale su temi di grande rilievo civile. Ricordiamo i 4 incontri: 1) immaginafrica incontro con lo scrittore algerino Karim Metref sul tema dell’esilio; 2) spettacolo/incontro di Andrea Pennacchi "Omero Non Piange Mai" Storie dall’Iliade; 3) spettacolo/incontro con Giuliana Musso "Sexmachine" (mosaico di storie, voci e testimonianze, considerate veri e propri tabù), 4) spettacolo/incontro con Andrea Brunello "Alexander Langer. Profeta tra gli stupidi" (storia di un pacifista). A questi incontri hanno partecipato degli esterni iscritti al corso di teatro, gli attori-detenuti e anche detenuti iscritti ai corsi scolastici nel Due Palazzi. La finalità è portare testimonianze di solidarietà e pensieri "civili" all’interno del carcere per bilanciare l’idea/preconcetto che il fuori sia solo "contro" (come rappresentato per lo più da molti mezzi di informazione). Allargando ulteriormente l’utilità di questi percorsi pedagogici e didattici. se ne sono creati altri due: il primo, in collaborazione con il corso di laurea in Scienze dell’Educazione e DAMS Università di Padova, docente Prof.ssa Elena Randi, prevede un percorso di studio e scambio tra studenti e persone detenute del laboratorio di teatro sia all’interno dell’Istituto che al Teatro Maddalene. La finalità è l’approfondimento dei temi rieducativi e di socializzazione inerenti l’esperienza teatrale; il secondo, in collaborazione con il Cirssi (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Servizi per gli Studi Interculturali Università di Padova) con la Prof.ssa Silvia Failli, la cui finalità è l’approfondimento del dialogo interculturale. Il laboratorio svolto a Padova per i cittadini, per così dire, "liberi" è aperto a tutti coloro che intendono avvicinarsi al teatro civile, inteso come percorso in cui i temi sociali dialogano con l’arte (relazione tra aspetti etici ed estetici, in cui la scelta di un tema artistico e di carattere sociale diviene terreno di confronto con luoghi, soggetti e contesti che rappresentano istanze civili). Fino a fine maggio ci saranno incontri settimanali dove, oltre alla formazione relativa al lavoro d’attore, si svilupperà un confronto artistico e umano con il gruppo di detenuti-attori che culminerà nella realizzazione di un evento finale da presentare sia al Teatro Maddalene che all’interno del Due Palazzi. In sintesi il filo rosso che lega le attività è l’aspetto di relazione, di scambio e dialogo tra realtà esterna e interna. Gli operatori lavorano con persone detenute che vivono una doppia esclusione: come reclusi e come stranieri. Da qui la necessità di colmare, in parte, il vuoto relazionale attraverso il collegamento con il laboratorio esterno (che vede circa 20 partecipanti) e incontri con personalità artistiche impegnate sul piano civile.
Notizie da Venezia
Rio Terà a Santa Maria Maggiore
Gian Pietro D’Errico, presidente di Rio Terà dei Pensieri, cooperativa attiva nelle carceri veneziane dal 1994, ci ha spiegato quale sarà l’offerta formativa e lavorativa della cooperativa all’interno della Casa circondariale di Santa Maria Maggiore. Oltre ai corsi che inizieranno a metà aprile, quello cioè di pelletteria - ricordiamo le belle borse che ci sono nei mercatini dove Rio Terà è presente e nel punto vendita di Campo Santo Stefano, e che la scorsa estate alla Mostra del Cinema di Venezia hanno avuto un gran successo - e quello di serigrafia su stoffa, si sono aggiunti quello di disegno e costruzione di modelli, sempre per borse, e quello di serigrafia su carta. Novità è il corso di formazione per operatori di call center che la cooperativa veneziana tiene in collaborazione con la Co.Ge.S, che si occupa nello specifico di corsi per inserimento dati. La novità però è un progetto sostenuto dal Fondo Sociale Europeo in partnership con varie realtà veneziane vicine al carcere - cooperativa il Cerchio, associazione Granello di Senape e altri - che parte formalmente il 19 marzo con un duplice obiettivo: da una parte il reinserimento lavorativo nel mercato del lavoro del settore del profit di 20 persone in 15 mesi, e dall’altra la costruzione di una rete che faciliti, oltre i quindici mesi, tale reinserimento. Per finire, in collaborazione con il Ciofs-Fp (Centro Italiano Opere Femminili Salesiane - Formazione Professionale), Rio Terà seguirà un progetto "multinazionale", finanziato sempre con il Fondo Sociale Europeo, di "Studio delle Competenze dei Detenuti" al fine di definirne un modello internazionale.
Nel carcere della Giudecca le donne hanno fatto festa
Giornata della Donna: il 9 marzo nella Casa di Reclusione Femminile della Giudecca, si è svolta una festa, che ha coinvolto le detenute, ma anche il personale, la direzione del carcere, il volontariato, il terzo settore e ha portato all’interno del carcere la rappresentanza di quella rete di persone e soggetti istituzionali, che hanno scelto di sostenere il reinserimento di coloro che hanno concluso o stanno concludendo il percorso di detenzione. L’appuntamento è stato organizzato dall’Associazione "Il Granello di Senape", in collaborazione con la Direzione degli Istituti Penitenziari e le cooperative sociali "Il Cerchio" e "Rio Terà dei Pensieri" e ha avuto il sostegno del servizio Cittadinanza delle Donne e Cultura delle Differenze del Comune di Venezia. Il programma ha previsto la condivisione del pranzo offerto alle detenute, la consegna ad ognuna di un omaggio ed il concerto della fisarmonicista Miranda Cortes, che ha proposto una scelta di generi diversi, dal folk dell’est Europa alla musica contemporanea per fisarmonica Bayan, al tango. Diverse le personalità presenti: oltre naturalmente alla Direttrice degli Istituti veneziani, Gabriella Straffi, erano presenti l’assessore provinciale alle Politiche Sociali e Volontariato Rita Zanutel, le assessore del Comune di Venezia Mara Rumiz e Laura Fincato, l’onorevole Delia Murer, Franca Marcomini, presidente della Consulta delle Cittadine del Comune, Gabriela Camozzi responsabile del servizio Cittadinanza delle Donne e Cultura delle Differenze e Mario Costantini, responsabile del Servizio Adulti del Comune.
Notizie da Verona
Montorio scoppia e i detenuti chiedono dignità
Mentre nella Casa Circondariale di Montorio si è da poco concluso lo "sciopero pacifico" dei detenuti, un volontario dell’associazione La Fraternità, Francesco, ha scelto di aderire alla loro protesta con alcune riflessioni. Per l’occasione si è riallacciato ad alcune sue considerazioni elaborate durante la Missione diocesana francescana svoltasi nel carcere veronese lo scorso dicembre. Scrive il volontario: "Non ero mai entrato così da vicino a vedere dove vivono e come vivono i detenuti: è stato un impatto molto duro e traumatico. Non era la prima volta che entravo in carcere, perché da oltre due anni seguo un detenuto sia con la corrispondenza che con i colloqui; ma una cosa è entrare in una stanza dove ci sono sette o otto tavoli con altrettanti detenuti che fanno i colloqui con i loro parenti e amici, tutt’altra cosa è vederli nelle loro celle. I detenuti sono in celle di 11-12 metri quadrati, con quattro letti a castello e a volte anche il quinto letto. Vedere quattro persone in un luogo così angusto, dove a malapena potrebbero starci due persone, è veramente scioccante. Spesso, per mancanza di spazio, sono costretti a darsi i turni tra chi deve stare a letto mentre gli altri sono in piedi. La cella è chiusa da un’inferriata che si affaccia sul corridoio. Più che di celle si può parlare di gabbie, se non fosse offensivo per la dignità della persona. Non nascondo che il primo giorno della missione ero un po’ emozionato: pensavo di essere considerato uno che va a fare visita per curiosità, per intromettersi nella loro sfera privata e, pertanto, temevo di non essere accettato o di essere considerato un intruso. Niente di tutto questo: fin dal primo momento ho notato che i detenuti si avvicinavano all’inferriata per salutarci e scambiare qualche parola; spesso ci offrivano il caffè o altre bibite comprate nello spaccio interno. Purtroppo, per ragioni di sicurezza, non ci è stato consentito di entrare in cella e di condividere il pasto con loro, come era avvenuto in altre precedenti missioni. Nel pomeriggio ci è comunque stata data la possibilità di conversare con alcuni di loro, una quindicina, e i detenuti hanno potuto parlare più liberamente dei loro problemi (…). Il carcere di Montorio scoppia, come tutti gli altri, ed è pieno di poveracci e di nuove povertà: circa il 70 per cento di stranieri, poi tossicodipendenti, manovalanza della criminalità, persone emarginate. Sembra che la risposta al sovraffollamento sia quella di costruire altre strutture. Mi domando: se non si hanno soldi per la manutenzione e la pulizia di quelle esistenti, come si pensa di spendere miliardi di euro per costruirne ancora? E poi per la loro costruzione si impiegherebbero anni e intanto i detenuti aumentano a dismisura, soprattutto con le leggi al momento in vigore".
La realtà del carcere su "Azione nonviolenta"
Nell’ultimo numero della rivista "Azione nonviolenta" di gennaio/febbraio, il Movimento Nonviolento ha scelto di dedicare ampio spazio alla realtà carceraria italiana. Molti gli interventi su diversi temi d’attualità: il ripensamento del senso della pena secondo Daniele Lugli, presidente del Movimento Nonviolento e Difensore Civico della Regione Emilia Romagna; la destrutturazione dei pregiudizi con uno sguardo sulla devianza sociale attraverso Giuseppe Mosconi, docente di sociologia del diritto all’Università di Padova e membro dell’associazione Antigone; il fallimento dell’indulto; l’alta percentuale di suicidi tra le mura delle carceri; il rapporto tra migrazione e carcere in una ricerca negli istituti penitenziari di Palermo; la figura del garante delle persone private della libertà personale; l’efficacia dell’Istituto sperimentale di custodia attenuata in Calabria; la Messa alla Prova come via d’uscita per i minori; la mediazione penale come possibile incontro tra vittima e carnefice. Non mancano anche racconti su esperienze ludiche, creative e artistiche come quella positiva dei laboratori teatrali del Teatro dell’Oppresso e il gioco "Criminal Mouse" che propone di sperimentare la quotidianità del carcere mettendosi nei panni di simpatici topi detenuti. Possibilità di approfondimento della realtà delle carceri italiane sono date dall’elenco di alcuni siti utili. Vi è poi una "Lista d’onore dei prigionieri per la pace", con gli indirizzi delle carceri in cui sono rinchiusi, e dove possono essere inviati loro saluti, auguri e messaggi di solidarietà. Per la copia della rivista e ulteriori informazioni, è possibile contattare la sede del Movimento Nonviolento in Via Spagna, 8 a Verona. Telefono 045.8009803, sito internet http://nonviolenti.org.
L’immigrazione non è un problema di sicurezza
"Migrare e spostarsi sulla terra è un qualcosa che fa parte della stessa natura dell’uomo. L’Italia è stata un Paese di emigrazione per oltre un secolo, e adesso si ritrova ad accogliere". Matteo Danese del Centro studi immigrazione di Verona, parte da questa premessa per sottolineare come la necessità di accoglienza sia ancora più forte in città come Verona, dove la presenza di 86 mila immigrati corrisponde a circa il dieci per cento della popolazione. Dieci cittadini su cento residenti a Verona provengono quindi da altri Paesi, e si stima che il numero di irregolari potrebbe corrispondere approssimativamente a circa un ulteriore 20 per cento rispetto alle presenze totali degli stranieri. Di questi irregolari, molti non compaiono e non hanno diritti, ma lavorano, anche se in nero. Ne sa qualcosa Gianpaolo Trevisi, vice dirigente della Squadra Mobile di Verona, autore del libro "Fogli di via. Racconti di un vice questore". Durante l’incontro sul tema "Ero straniero e mi avete accolto", organizzato dall’Unione Allievi e dal Collegio Universitario don Mazza, Trevisi - che prima di diventare vice dirigente della Squadra Mobile ha lavorato per sette anni all’ufficio immigrazione della questura - ha dichiarato che "in Italia ci vorrebbe un Ministero per l’immigrazione. Il fenomeno dell’immigrazione viene gestito dalla questura, ossia dai poliziotti. Ma non è un problema di sicurezza. Tra l’altro chi va in questura di solito deve richiedere o rinnovare il permesso di soggiorno. Tra gli irregolari poi non sono certo tutti delinquenti. Molte donne sono badanti e gli uomini, qui a Verona, spesso lavorano in posti come le cave del marmo della Valpolicella". Secondo il vice questore, chi delinque non ha interesse a "venire alla luce". Ed è proprio questa la sfida: "cercare di permettere loro di uscire allo scoperto e di avere la possibilità di scegliere di vivere diversamente".
Orientadonna: uno sportello per dare lavoro alle donne migranti
È nato per poter far fronte alle esigenze delle donne migranti, e dallo scorso settembre è operativo nella città scaligera con uno sportello di orientamento al lavoro, grazie all’associazione Le Ninfee e all’assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Verona. Si tratta del progetto Orientadonna, ideato e gestito dalla stessa associazione Le Ninfee all’interno del Centro Interculturale Casa di Ramia, nel quartiere multietnico di Veronetta in Via Nicola Mazza, 50. Spiega Vedrana Skocic, responsabile del progetto: "Si tratta di un servizio che nasce dalla consapevolezza che il lavoro è un elemento fondamentale per la propria autonomia e la realizzazione di sé, soprattutto per chi sta vivendo o rivivendo ogni giorno una condizione di sradicamento dal proprio ambiente socio-culturale con tutte le conseguenze che questo comporta". L’obiettivo dello sportello è quello di facilitare l’inserimento lavorativo delle donne straniere, offrendo loro la possibilità di una guida per orientarsi nel mondo del lavoro attraverso una prima accoglienza individuale, con informazioni sulle tecniche di ricerca del lavoro e sulle problematiche relative al mondo del lavoro; la stesura del curriculum vitae e l’inserimento nella banca dati dello sportello; la verifica in rete di nuove offerte di lavoro o corsi di formazione e stage; la ricerca attiva di lavoro e pubblicazione del curriculum vitae sulla rete, con il contatto diretto con gli enti, associazioni, agenzie, cooperative di interesse. Il tutto nel più totale rispetto della legge sulla privacy. Nella maggior parte dei casi, le donne ascoltate fino a oggi erano disoccupate o occupate in cerca di una nuova situazione lavorativa, in possesso di un contratto non in regola, precario o in scadenza, che spesso crea problematiche relative anche al rilascio del permesso di soggiorno. Racconta Ottavia Dosso, presenza attiva allo sportello: "I casi più disperati sono quelli per il rinnovo del permesso, come quello di una donna che è in Italia da vent’anni ma sta rischiando di non riottenerlo per la mancanza momentanea di un contratto di lavoro. Ricordo poi il caso di una donna irregolare che, alla nostra richiesta di un documento finalizzata allo scrivere correttamente il suo nome, è scappata via impaurita". Fino ad oggi le donne intervistate sono state una cinquantina, "un numero superiore alle nostre aspettative" confida la responsabile. Le utenze sono le più diverse: da chi non parla l’italiano, a chi è in possesso di una laurea e sta cercando di specializzarsi o realizzarsi. Anche le età si differenziano, e vanno dai venti ai cinquant’anni. Nella maggior parte sono spinte a emigrare per ricongiungimenti familiari, oppure per motivi politici o economici. Riporta Ottavia dalla sua relazione scritta sull’esperienza: "Durante l’attività è emerso che l’80 per cento delle donne ha una formazione specializzata e certificata nel paese di origine - il 50 per cento del totale è laureata in ambito linguistico, medico-scientifico, economico-giuridico, l’altro 50 per cento del totale è diplomato in istituti tecnico-professionali - ma, nonostante l’alto livello di scolarizzazione, quasi la metà delle donne trova occupazione come badante o addetta alle pulizie, cameriera ai piani, commessa. Ad esempio Nina, moldava, 42 anni, laureata in economia e commercio a Chisinau in Moldavia, ha lavorato per 14 anni come impiegata allo sportello in banca, in Italia lavora come badante. Oppure Mariya, ucraina, 46 anni, laureata in medicina in Ucraina, ha lavorato per 20 anni in un laboratorio di analisi cliniche presso l’ospedale, in Italia lavora come badante". Le zone d’origine da cui provengono le donne sono principalmente l’Africa (Nigeria, Marocco, Repubblica del Congo), l’Europa dell’est (Ucraina, Moldavia, Serbia), Cina e Sud America (Ecuador, Argentina). "Durante i colloqui, raggiunta un po’ di confidenza, la parola assume un ruolo importante, che aiuta a esprimere quello che è il bisogno di queste donne: il lavoro prima di tutto, ma anche la necessità di integrare la conoscenza della lingua italiana, tessere nuove relazioni con altre donne, discutere dei propri problemi, dei proprio figli, della lontananza dal Paese d’origine, della difficoltà d’integrazione, dei rapporti familiari" continua a spiegare Ottavia, che prosegue: "In questo modo si crea un ponte che fa da tramite tra l’utente straniera e l’accesso ai servizi come la scuola, la questura, i servizi sociali. Per raggiungere un buon livello di qualità del servizio e costruire percorsi di accompagnamento nel mondo del lavoro, è stato importante il contatto diretto con altri enti (Cittimm, Caritas, Cgil, Ulss 22, Camera del Lavoro, Informagiovani, Comuni della provincia), Agenzie per Badanti e Centro per l’Impiego che si occupano di migranti e forniscono informazioni relative ai contratti e ai documenti". Conclude Ottavia: "Lo scopo finale di tutto il percorso è quello di far acquisire a queste donne l’indipendenza di muoversi sul territorio. Noi cerchiamo di aiutarle agevolando la loro crescita professionale attraverso l’acquisizione di informazioni e conoscenze del mercato del lavoro, delle tecniche di ricerca delle attività lavorative nel territorio, ma anche cercando di stimolarle a prendere coscienza di quelle che sono le proprie competenze e capacità. Il lavoro è indispensabile per dare dignità a una persona". Gli attuali finanziamenti prevedono ancora un mese di attività. La soddisfazione di quanto fatto è grande, come spiega ancora la responsabile del progetto, Vedrana: "Dopo una fase di ricerca di soluzioni per la sopravvivenza, la domanda su cui puntiamo come sportello è "Che cosa vuoi fare dopo?" "Come ti vuoi qualificare?". E ci sentiamo veramente appagate quando vediamo che le donne di fronte a noi iniziano a guardarsi con occhi diversi, capiscono il proprio valore e non sentono, o sentono meno, il disagio". E aggiunge: "Un dovere che loro come mamme - e la società intera - dovrebbero sentire, è quello in particolare nei confronti dei figli, che hanno un futuro già compromesso di fronte a situazioni e sensazioni di disagio. Oggi il disagio si sente davvero tanto, e prima o poi la situazione rischia di scoppiarci tra le mani".
Mimose e non solo con Progetto Carcere
Festa delle donne anche per le detenute recluse a Montorio, grazie all’associazione Progetto Carcere 663 che sabato, oltre alle consuete mimose, ha regalato loro anche un momento di svago: un incontro di volley, allietato da un caldo sole primaverile. A inizio settimana per le detenute l’associazione aveva organizzato un concerto con il duetto veronese Grazia de Marchi e Giuseppe Zambon. Continuano gli appuntamenti con la musica dal vivo anche nelle diverse sezioni del maschile che, la settimana prossima, avranno inoltre l’occasione di parlare di montagna con la guida alpina Marco Heltay: un momento d’evasione e di spazi allargati, almeno in foto. Da lunedì prossimo Progetto Carcere darà il via all’iniziativa Carcere & Scuola, che ormai da anni organizza momenti di incontro tra detenuti e giovani studenti.
Appuntamenti
Mestre - Venezia: rassegna "Adolescenze Difficili"
Dal 28.01.2009 al 23.04.2009 dalle ore 9 alle 14. Storie, biografie, autobiografie incontri di riflessione e confronto per operatori sociali. Iniziativa con il patrocinio della Regione del Veneto e Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e con il contributo della Fondazione Lions Clubs, Distretto 108 TA3. Mercoledì 11 marzo ore 9.00. "Un’esperienza con adolescenti"
Verona: ciclo di incontri "Stranieri per sempre?"
Verona (Zevio) - Istituto Padri Venturini, Via Vittorio Veneto, 34 a Zevio. Giovedì 12 marzo alle 20.30 primo appuntamento con il ciclo di incontri "Stranieri per sempre? Cittadini o intrusi a Verona". Tema della serata "Il grande imbroglio dei media: i giornali e la paura degli stranieri" con Maurizio Corte, giornalista dell’Arena e docente di Comunicazione e Giornalismo interculturale all’Università di Verona, dove collabora con il Centro Studi Interculturali dell’Ateneo. Direttore: Ornella Favero Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella. Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto" |