In-Veneto: informazione tra il carcere e il territorio Edizione n° 54, del 2 febbraio 2009 Notizie da Padova
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"È la stampa bellezza!": numero 7-2008 di Ristretti Orizzonti
Il numero 7 del 10° anno (dicembre 2008) di Ristretti Orizzonti è uscito. Il tema è di quelli di cui si parla molto, l’informazione. Giusto sabato in occasione della festa del patrono della stampa, S. Francesco di Sales, il Patriarca di Venezia, Angelo Scola, ha incontrato i giornalisti dell’Ordine del Veneto e Lucia Annunziata, e ha richiamato la stampa alle sue responsabilità dicendo che "il peccato dei giornalisti è quello dell’arroganza, della superficialità e della vanità....", mentre a Padova anche il Vescovo Mattiazzo ha parlato di informazione. "È la stampa bellezza!" è il titolo di copertina di Ristretti, mentre quello dell’editoriale del direttore Ornella Favero è: "È già fuori", ironizzando su quello che scrivono i giornali o dicono i tiggì quando una persona viene fermata e accusata di un qualche reato. È già fuori, senza però aggiungere che è fuori in attesa di processo, e che in nessun Paese civile si tiene in carcere una persona non condannata, se non è ritenuta pericolosa. Senza dire che in tanti Paesi per stare fuori in attesa di processo basta pagare la cauzione, senza dire che finiti i tre gradi di giudizio chi verrà condannato entrerà in carcere a scontare la pena inflittagli, senza dire che le ingiuste detenzioni in Italia sono un numero spropositato e che lo Stato paga ogni anno milioni di euro per risarcire queste persone ingiustamente detenute (dal 2003 al 2007 compresi lo Stato ha sborsato 212.979.100 euro per risarcire chi è stato in carcere ingiustamente!). insomma, l’informazione in Italia è malata, i processi invece che nelle aule di tribunale vengono spesso fatti a Porta a Porta, e molti giornalisti si adattano a questo malcostume. Tre gli incontri in redazione, sui temi dell’informazione, di cui parla questo numero di Ristretti: con Omar Monestier, Direttore del Mattino di Padova, quotidiano che ospita settimanalmente - il lunedì - le "Lettere dal carcere"; con il Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, Gianluca Amadori; con i Magistrati di Sorveglianza di Padova Giovanni Maria Pavarin e Marcello Bortolato. Discussioni, scambi di idee e pareri sulla responsabilità dell’informazione e sulla possibilità di organizzare in carcere momenti di incontro e formazione per giornalisti che si occupano di cronaca nera e giudiziaria. Ristretti Orizzonti, a undici anni dalla sua nascita, è diventato un interlocutore ascoltato e consultato, ma visti i tagli ai finanziamenti per il sociale rischia di esserlo ancora per poco. Sosteniamolo con gli abbonamenti: al prezzo di 20 euro si ricevono a casa i 7 numeri che escono annualmente e si aiuta una voce "onesta dalla galera".
Telefono Azzurro entra nella sezione "Protetti"
Si è parlato più volte dell’attività dell’associazione "Telefono Azzurro", che all’interno della Casa di Reclusione gestisce la ludoteca, nella quale si svolgono i colloqui dei detenuti che hanno figli piccoli, con l’obiettivo di agevolare le relazioni familiari e i rapporti dei padri reclusi con i figli. Una novità per il mese di febbraio è che, a fronte del lavoro efficace svolto dai volontari, la direzione del carcere assieme al coordinamento dell’associazione hanno deciso di offrire questa possibilità anche alle persone detenute in area "Protetti". È un modo per offrire uno spazio in più a dei reclusi che hanno pochi spazi di gestione della propria vita carceraria e spesso vivono in una condizione simile all’isolamento. Il primo e il terzo mercoledì di ogni mese, a partire da metà febbraio, i "protetti" potranno incontrare le mogli e i figli in questo spazio-gioco e sarà un primo piccolo passo per la ricostruzione di un percorso familiare, compromesso dal reato commesso.
Notizie da Venezia
Cristina e la sua vita "in sospeso"
Una delle donne detenute, che è stata a lungo redattrice di Ristretti Orizzonti alla Giudecca, non è più in carcere, ma non è neppure fuori! Abbiamo sentito in questi giorni Cristina, in carcere per reati legati allo spaccio da circa 4 anni, che lavorava nell’Orto della Giudecca, si è diplomata in carcere all’Istituto per il Turismo, e ha collaborato con Ristretti per tutto il tempo che ha trascorso alla Casa di Reclusione. Alla fine di dicembre, improvvisamente l’hanno scarcerata per decorrenza termini di uno dei suoi processi, l’ultimo. Il processo d’appello, quello per il quale è stata scarcerata, si celebrerà il 16 febbraio, e, nel caso venga confermata la sentenza di primo grado, Cristina dovrà far rientro in carcere, a meno che, ma questo non è così probabile, non riesca ad ottenere una misura alternativa, visto che le mancherebbe poco più di un anno per finire la sua pena. Ma quello che volevamo sapere da lei è come ci si sente ad assaporare un po’ di libertà sapendo però che con molta probabilità dovrà far rientro in carcere. Cristina è una donna forte, intraprendente, non le manca la voglia di lavorare e di migliorarsi, in questi anni di carcere è cambiata in meglio, ha voglia di riscattarsi ma... non può fare progetti, non può cercarsi un lavoro, non può tentare, a 37 anni, di ricostruirsi una vita onesta perché non sa se dovrà rientrare, non sa se e quando le daranno l’affidamento ai servizi sociali, perché dal momento del processo d’appello a quando le fisserebbero la Camera di Consiglio al Tribunale di Sorveglianza potrebbero passare anche 7, 8, 10 mesi. Ma allora ci si chiede cosa dovrebbe fare una persona in quella situazione per mantenersi, per trovare una casa e potersela pagare, per cercare di non ricadere nell’illegalità? Perché Cristina ci ha detto chiaramente che non vuole più tornare alla vita di prima, ma come mantenersi? Allora vogliamo tornare sul vero problema della giustizia italiana: la sua lentezza e la sua macchinosità, per colpa delle quali succede che ci siano persone che, pur volendo non commettere più reati, fanno una enorme fatica a restare nella legalità. Se i processi si fossero celebrati in modo più celere lei sarebbe già da tempo "definitiva" e avrebbe potuto iniziare ad accedere ai benefici molto prima. Crediamo che quattro anni per arrivare all’appello siano veramente troppi, specie se il reato è di piccolo spaccio, per cui può capitare che prima di arrivare alla sentenza definitiva una persona abbia già scontato tutta la pena in carcere! Insomma, Cristina si sente di vivere in una sorta di "limbo" in cui non vive pienamente: una vita, appunto, "in sospeso".
Notizie da Verona
Pochi permessi: lettera dei detenuti al Magistrato di Sorveglianza
Riportiamo per intero la recente lettera inviata dai detenuti delle sezioni quarta e quinta di Montorio al Magistrato di Sorveglianza di Verona, per chiedere che vengano concessi più permessi premio a chi ne potrebbe usufruire. "I detenuti della C. C. di Montorio, con la presente, premesso che un buon numero di detenuti della C. C. di Montorio hanno presentato ripetutamente istanze di concessione dei permessi premio alla S.V. Ill.ma (art. 30 ter L. 354/75) e che buona parte di essi possedeva i requisiti per ottenere il suddetto permesso. Requisiti riguardanti: la condanna definitiva - il parere del direttore - le informazioni rese da P.S. O dai C.C - la regolare condotta in istituto - l’assenza di particolare pericolosità sociale con riferimento: alla natura del reato commesso, all’epoca del reato stesso, ai precedenti ed alle pendenze penali - alla condotta inframurale - assenza di reati dolosi commessi durante la carcerazione - espiazione del periodo minimo di pena previsto. Visto che agli stessi è stato sempre notificato decreto di rigetto o di inammissibilità della propria istanza di permesso emesso dalla S. V. Ill.Ma. Reclamando il fatto che spesso il giudizio emesso non è condivisibile visti i requisiti positivi suddetti. Visto che: "l’esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento" (art. 30 ter comma 3). Considerato che una impugnazione alla Magistratura di sorveglianza di Venezia richiederebbe dispersione di denaro pubblico e lungaggini burocratiche di un sistema che non è già privo di difficoltà. Si auspica che, in futuro, il Magistrato di Sorveglianza possa riformare le proprie decisioni, con un occhio più benevolo e, fidandosi di noi, conceda più permessi, naturalmente con le cautele previste dal regolamento. Con tale richiesta non si vuole certo svilire e non apprezzare i delicati poteri rilevanti di responsabilità, attenzione, cautela, equilibrio e misura che tale compito decisionale e discrezionale richiede. Ma si ricorda che per quanto riguarda il trattamento di rieducazione, già all’art. 1 del regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario (L. 26 luglio ‘75, n°354 D.P.R. 30 giugno 2000 n° 230) si afferma che nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attivato un trattamento rieducativo finalizzato al loro reinserimento sociale. Mentre la legge favorisce l’incentivazione dei rapporti sociali interpersonali ed affettivi, anche all’esterno, attraverso il trattamento extra murario, che concerne le misure alternative alla detenzione, consistente anche nell’uscita temporanea dal carcere con la concessione dei sospirati permessi premio, nella applicazione della legge, si riscontra una negazione degli stessi permessi. Argomento del contenzioso sono dunque questi ambiti permessi premio. Per noi detenuti che dopo anni di buona condotta all’interno delle mura, dopo aver riportato la sentenza definitiva di condanna ed essere dunque giunti alla desiderata meta di potere beneficiare delle pene alternative alla detenzione, renderci conto che le leggi non contano nulla se non le si applica, ci costringe a pensare che qualcosa non funzioni, non vi sia volontà politica di applicarle, o meglio, ci costringe a pensare che la magistratura subisca pressioni politiche mirate ad una "certezza della pena alternativa mai". Diciamo questo perché riteniamo precostituito l’attuale parere negativo delle istanze. Intravediamo una valutazione strumentale atta a negare "sui generis" l’uscita dei detenuti dalle mura carcerarie per evitare la scomoda responsabilità di offrire ai detenuti un sacrosanto "diritto". Ci si chiede se la valutazione, spesso ripetuta, di un mancato processo di riflessione critica (accertato?) delle condotte criminose, non nasconda forse il fallimento e l’incapacità di utilizzo degli strumenti per indagare e valutare il comportamento e l’eventuale processo di reinserimento del detenuto. Rinnoviamo dunque la richiesta di una revisione delle valutazioni di permessi premio, auspicando di avere un confronto aperto e diretto con la S.V. presso la Casa Circondariale, per avere delucidazioni costruttive a tale riguardo. (ai sensi dell’art. 75 del D.P.R. 30/06/2000 n° 230)". Seguono ringraziamenti e firme
Il parere delle associazioni: permesso o permessi premio?
Sono trascorsi pochi giorni da quando i detenuti di Montorio hanno inviato una lettera al magistrato di sorveglianza di Verona, perché possa "riformare le proprie decisioni" in merito alla concessione dei permessi premio. Nel frattempo, domenica scorsa, l’associazione Don Tonino Bello ha organizzato l’ennesimo appuntamento mensile pensato per raccontare la realtà del carcere alle varie parrocchie veronesi. Ma quella che per l’associazione dovrebbe essere "la domenica dei permessi", da dopo l’indulto è diventata l’occasione di incontro di uno o al massimo due detenuti. Spiega Zeno Corso, volontario dell’associazione: "Organizziamo queste giornate da trascorrere in compagnia dei detenuti presso le parrocchie che si rendono disponibili e investiamo ogni volta grandi energie, aspettative e risorse materiali ma, fino a qualche sera prima, non si sa se e quanti detenuti potranno uscire. E ancora più deludente è il fatto che da mesi ormai la risposta è sempre la stessa: un solo detenuto e sempre lo stesso". Ultimamente è Antonio, "il" detenuto in permesso premio, ormai all’ennesima uscita con l’associazione. Continua il volontario: "È sempre grato e felice di poter trascorre una giornata all’aria aperta e la sua testimonianza obbiettiva è senz’altro preziosa per la comunità, ma il fatto che al momento ci sia permesso di incontrare uno solo degli oltre 800 detenuti reclusi a Montorio ci sembra un modo per "accontentarci". Prima dell’indulto portavamo fuori fino a dieci detenuti e anche alcune donne, che però ormai non escono da anni. Adesso il numero dei detenuti è di nuovo alto e di certo non manca chi possa beneficiare dei permessi premio. Forse mancano gli educatori e i tempi per le sintesi necessarie all’uscita sono allungati. Oppure vi è una certa cautela nell’esporsi e assumersi i rischi che comporta la concessione di un permesso, una cautela dovuta forse al clima mediatico in corso. Ma così vengono negati dei diritti e inoltre i permessi gioverebbero anche alla struttura penitenziaria, cui verrebbero restituiti dei detenuti senz’altro più sereni". Anche il presidente dell’associazione Progetto Carcere 663, Maurizio Ruzzenenti, conferma "il dato di fatto che i permessi sono pochissimi". Continua Ruzzenenti: "Prima dell’indulto avevamo dai tre ai dieci detenuti, ma da allora non ne sono mai usciti più di quattro e per alcuni periodi persino nessuno. Abbiamo rilevato un calo drastico dei permessi sia a Verona che a Vicenza. Il magistrato Omarchi ha senz’altro le sue ragioni per non fare uscire i detenuti che, a quanto pare, non hanno i titoli per usufruire di questi benefici. In questo modo non riusciamo però a realizzare la nostra opera di convinzione all’esterno, sul fatto che i detenuti sono persone come le altre. Forse bisognerebbe modificare le leggi per agevolare tale processo e non rischiare un distacco sempre più marcato e pericoloso tra carcere e territorio". Secondo Roberto Sandrini, presidente dell’associazione La Fraternità: "I detenuti fanno sempre meno istanze per l’uscita in permesso premio perché ormai sono abituati a risposte negative e hanno perso la fiducia". Conclude Sandrini: "Ci chiediamo poi che fine abbiano fatto i concorsi per educatori a Montorio. Per fortuna all’interno c’è la valvola di sfogo rappresentata dall’azienda Lavoro&Futuro che dà lavoro a una sessantina di detenuti". In altra occasione uno dei due magistrati di Sorveglianza di Verona, Lorenza Omarchi, aveva già dichiarato: "Noi diamo la massima garanzia che applichiamo la legge. I permessi premio vengon rilasciati solo in presenza di determinati presupposti come la buona condotta dei detenuti, il fatto che abbiano espiato una certa parte della pena e che siano dei soggetti non ritenuti socialmente pericolosi. L’articolo 30 è chiaro, e prima di rilasciare un permesso bisogna mettere in atto una vera e propria istruttoria".
Guida spirituale ortodossa, il permesso c’è
Padre Gabriel Codrea, guida spirituale della popolazione ortodossa detenuta nella Casa Circondariale di Montorio, ha il permesso per continuare ad entrare in carcere per colloqui di sostegno a margine del progetto di intercultura organizzato dall’associazione La Fraternità, pensato per favorire la conoscenza reciproca tra le diverse etnie presenti a Montorio (vedi notizia che segue). A seguito del recente articolo uscito a Verona su Dnews in cui il sacerdote lamentava di non aver ancora ricevuto risposta circa il rinnovo del suo permesso d’entrata, scaduto lo scorso maggio, la dottoressa Enrichetta Ribezzi, responsabile dell’area educativa-trattamentale della casa circondariale, chiarisce l’equivoco. Spiega la Ribezzi: "Padre Codrea, e con lui sua moglie, possono entrare a Montorio a margine del percorso di Intercultura. Il progetto della Fraternità è stato approvato a settembre e, in automatico, è stato rinnovato il permesso d’entrata per le persone coinvolte nel progetto, tra cui appunto il sacerdote ortodosso. Forse il malinteso deriva da una mancata comunicazione della ripresa dell’attività da parte dell’associazione stessa".
Come essere felici in tutte le lingue? Detenuti al corso di intercultura
"Abbiamo scelto come titolo del corso "Come essere felici in tutte le lingue?". Siamo soddisfatti della scelta fatta e continueremo con questo tema". A parlare è Maurizio, uno dei volontari dell’associazione La Fraternità, responsabile del corso di intercultura che si è svolto tra le mura del carcere di Montorio fino allo scorso dicembre. È ormai da otto anni che la Commissione immigrati, costituita dall’associazione La Fraternità, promuove questo progetto interculturale. Anche quest’anno i corsi proposti sono due, di otto incontri ciascuno e portati avanti da due gruppi di volontari diversi. Con suor Alma, Maurizio ha appena portato a termine quello del primo periodo. Ogni incontro si è svolto su di un tema diverso: la felicità che deriva dalle immagini, dalla musica, dai volti, dai fumetti, la felicità attraverso biglietti di auguri. All’inizio di ogni lezione si condividevano le riflessioni su quella precedente, si rifletteva sul nuovo tema e si concludeva con qualche lavoro manuale, giochi, cartelloni che permettevano di sfogare manualità e creatività. Come ogni corso che si rispetti, infine, l’ultimo giorno è stato dedicato alla consegna degli elaborati, degli attestati di partecipazione e alla festa conclusiva "Festa insieme di Felicità". "Il numero massimo di partecipanti accettato è di quindici unità - spiega Maurizio - ma mentre l’anno scorso il primo corso è andato avanti anche con la partecipazione di uno o al massimo tre detenuti e il secondo si è dovuto interrompere perché non partecipava nessuno, quest’anno è stata significativa la costante partecipazione di quasi tutti gli iscritti". Al di là dei ritiri a inizio corso e di alcune sostituzioni, le assenze sono state pochissime e motivate da colloqui o telefonate non rimandabili, per una quasi costante partecipazione di dodici detenuti. I luoghi di provenienza dei partecipanti sono per la maggior parte Romania e Albania, ma ci sono anche detenuti di Nigeria, Cile, Croazia e Perù. "Per il secondo corso il passaparola è stato tale che ci sono già quindici richieste oltre alla conferma di undici di quelli che hanno appena partecipato". La soddisfazione è tanta ripensando all’opposto andamento dell’anno precedente. Ma cosa è cambiato? Prosegue Maurizio: "Sicuramente l’anno scorso si respirava ancora aria d’indulto e i detenuti speravano di uscire presto, ma anche l’accavallamento con altri corsi spesso metteva questo dell’interculturalità in secondo piano. I detenuti preferiscono partecipare a corsi scolastici spendibili una volta usciti o con qualche possibilità remunerativa". Tra le ragioni del successo di questo corso, continua a spiegare il volontario, "al di là di questi motivi materiali, molto importante è stata la collaborazione dell’équipe e degli agenti". A questi spetta il compito di chiamare i detenuti, che sono sotto la loro responsabilità. Il corso si è svolto con una certa ufficialità, con tanto di cartellini riportanti nome e nazionalità, quaderni e penne personali, ma si costruiva principalmente su momenti di riflessione e lavori di manualità condivisi. Questi ultimi, secondo Maurizio, sono stati fondamentali per non far calare l’interesse e la concentrazione, lasciando spazio alla fantasia e alla creatività: gli unici stati mentali in grado di far percepire ai partecipanti la sensazione di "aver goduto di un’ora e mezza di libertà". Conclude il volontario: "Il vero segreto del successo di quest’anno secondo me è stata la grande complicità, fiducia e intesa con suor Alma. Il suo intuito e la sua esperienza sanno capire e arrivare al cuore, l’unico modo per tirare fuori l’emotività di ciascuno".
Volontari uniti per una corretta opinione sul carcere
Dopo la Missione Francescana Diocesana che tra l’8 e il 21 dicembre scorsi ha portato nella Casa Circondariale di Montorio - su mandato del Vescovo di Verona - un centinaio di persone tra volontari e frati, la Cappellania del carcere e i rappresentanti delle associazioni coinvolte si sono incontrati per una prima riflessione comune sull’esperienza passata. Un’esperienza valutata da tutti come positiva. Commenta il cappellano della Casa Circondariale, Don Maurizio: "Sentirsi meno solo è sempre una percezione importante per un detenuto. Poter incontrare altre persone, starci a contatto, guardarsi negli occhi, essere ascoltati con attenzione, è sicuramente un bene. I volontari che hanno vissuto per la prima volta questa esperienza l’hanno descritta con tutto il carico di emotività, empatia e com-passione che è riuscita a creare. Tuttavia, chi aveva già partecipato ad altre missioni, ha parlato con rammarico della mancata possibilità di incontro anche dentro le celle, come era avvenuto con successo in esperienze passate. "Sembrava di vedere tanti polli affacciarsi alle gabbie", commenta un volontario. "Era come essere al canile con tutti i cani nelle diverse gabbie", continua un altro. Di fronte alle disumane condizioni di vita imposte dal sovraffollamento e dai tagli di bilancio, Don Maurizio ritiene molto positivo l’incontro post missione delle diverse associazioni scaligere operanti dentro le mura carcerarie. "A Verona il volontariato in carcere è tanto - conclude il cappellano - ma bisogna unirsi e diventare una forza che può fare opinione".
Detenuti "vecchi poveri", ultimi fra gli ultimi
Affitto, bollette e spese alimentari sono problemi da poco? Non la pensano così il 12 per cento delle persone che a Verona si rivolgono al difensore civico per questioni che, a detta dello stesso difensore, Anna Tantini "non riguardano la tutela dei diritti civili, ma esigenze primarie, che hanno a che fare con i diritti umani". Se ne è parlato venerdì scorso durante la tavola rotonda dedicata alle nuove povertà organizzata dallo stesso difensore civico e dall’assessore ai servizi sociali Stefano Bertacco. Coinvolte anche Caritas, Mag, Gruppi Vincenziani, Casa di Ramia e Ronda della carità, che hanno tutte rilevato l’aumento delle richieste di aiuto e ascolto da parte di persone che non riescono più a vivere dignitosamente in modo autonomo. Il fondatore dell’associazione La fraternità, Fra Beppe Prioli, è intervenuto a portare l’esperienza dei detenuti, i "vecchi poveri", ultimi fra gli ultimi da sempre, descrivendo il disagio materiale in cui si trovano a vivere quotidianamente. Lo ha fatto leggendo parte della lettera che un gruppo di detenuti ha scritto appositamente per l’occasione, dove si racconta della mancanza del sapone per lavarsi e dei vestiti per cambiarsi, di un servizio sanitario spesso inefficiente e della difficoltà, soprattutto per gli stranieri, di riuscire a racimolare i soldi per una telefonata a casa o addirittura di trovare qualcuno in carcere con cui parlare. Insieme alla mancanza del garante e dell’applicazione di misure alternative per chi ha avuto una condanna definitiva, fra Beppe vede nelle problematiche descritte dai detenuti una "mancanza del rispetto della dignità della persona." Nella notizia che segue, riportiamo la versione integrale della lettera scritta dai detenuti.
Una testimonianza dal carcere di Montorio
Lettera scritta dai detenuti di Montorio, in occasione del convegno dedicato alle nuove povertà, che si è svolto a Verona venerdì scorso. I detenuti della casa circondariale di Montorio, in occasione del convegno "Il disagio nel mondo del carcere", sentono la necessità di segnalare i problemi del carcere, con qualche timido accenno alla grave situazione di sovraffollamento. Lo stesso ministro Alfano, cosciente della difficile realtà carceraria, ha più volte espresso l’urgenza di applicare un provvedimento per l’attuale situazione. Elenchiamo alcune difficoltà che viviamo nel carcere di Montorio: siamo attualmente 800 detenuti, comprese le donne, per una capienza massima ammissibile di 600 detenuti. Viviamo in una cella di circa 12 metri quadrati in 4 persone. In tre quarti delle celle mancano le docce e l’acqua calda. I colloqui con i parenti sono difficoltosi: lunghissime attese fuori dal carcere per i parenti, colloqui di massimo mezz’ora. Servizio sanitario non in grado di raggiungere tutti in tempi ragionevoli. Vitto scadente. Prezzi alti per le spese di sopravvitto (per una legge del carcere i prezzi sono adeguati al supermercato più vicino al carcere). Area per l’ora d’aria costituita da 6 cortili in cemento, con pochissimo spazio per muoversi. Scarsa opportunità di attività sportiva. Campo di calcio praticabile una volta al mese. Palestra utilizzabile una volta al mese, ma attualmente chiusa per riparazioni. Numerose le perdite idrauliche, le finestre rotte, le crepe nei muri. Luce carente nelle stanze. Queste sono le più evidenti carenze e problematiche che aggravano la nostra situazione e non tengono conto dei nostri diritti umani. A questo si aggiunge un’estrema lentezza dei giudici e la mancata applicazione delle misure alternative per chi è stato definitivamente processato. Lentezza che va a discapito della possibilità di alleggerire il carcere in questa difficile situazione. Facciamo inoltre presente che molti detenuti sono in attesa di giudizio. Con questo non chiediamo che ci venga regalato nulla, tantomeno la libertà, ma intendiamo evidenziare che, oltre alla necessità di un’urgente iniziativa del ministero, a breve e lungo termine, sarebbe già risolutivo applicare le leggi che esistono da tempo. Nel caso specifico del carcere di Montorio, soffriamo di una fortissima resistenza da parte dei giudici del tribunale di Verona: i permessi di semilibertà e affidamento in prova, pur previsti dalla legge, vengono nella gran parte dei casi rigettati. Il problema è diventato squisitamente di scelte politiche, e noi, dietro le sbarre, staremo inermi a guardare… finché il carcere non scoppia!
Appuntamenti
Padova: Fornace Carotta, via Siracusa 62 31.01.2009 dalle ore 9 alle 13. Convegno sull’Advocacy in occasione del trentennale del Mo.V.I.
Un’occasione per leggere e recuperare cosa è stato storicamente in Italia il fenomeno del volontariato, per capire se esiste ancora, in maniera diversamente organizzata, non solo la solidarietà ma anche la gratuità. Saranno presenti: Giovanbattista Arrigoni, Elisabetta Bonagiunti, Vanni Franceschi, Rita Dal Molin, Giovanni Grillo, Giorgio Ortolani, Bruno Pivetta - Presidenti dei coordinamenti delle Associazioni di volontariato delle Province Venete, Stefano Valdegamberi Assessore Regionale alle Politiche Sociali, Giovanni Busnello, presidente della Conferenza Regionale del Volontariato, Emanuele Alecci, presidente del Mo.V.I Federazione delle Province Venete.
Padova: Aula Magna Cesarotti - Università di Padova, via Cesarotti 12 6.02.2009 dalle ore 9.30 alle 16.30. Adolescenti e percorso penale: Una riflessione sulle pratiche di accoglienza nelle comunità socio-educative.
Seminario curato in collaborazione con l’Ufficio studi, ricerche e attività nazionali del Dipartimento della Giustizia minorile e il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova.
Concorso: "Uno scatto nel sociale"
La Regione Veneto, l’Osservatorio Regionale Devianze Carcere e Marginalità Sociali, in collaborazione con R.C.E. Foto e il Gruppo Fotografico Antenore hanno promosso il concorso di arte visiva e scrittura: "Uno scatto nel sociale" rivolto agli studenti delle scuole medie superiori della regione sul tema della povertà economica, sociale e relazionale. La finalità è di stimolare i giovani alla riflessione rispetto a questa tematica. I ragazzi possono così offrire il loro modo di entrare in contatto con le persone che vivono situazioni di vulnerabilità e marginalità sociali. Info: www.unoscattonelsociale.it. Scade il 31.03.2009
Mestre (Ve): Centro Culturale Candiani Dal 28.01.2009 al 23.04.2009 dalle ore 9 alle 14. AdolescenzeDifficili
Storie, biografie, autobiografie incontri di riflessione e confronto per operatori sociali. Iniziativa con il patrocinio della Regione del Veneto e Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e con il contributo della Fondazione Lions Clubs, Distretto 108 TA3.
Verona - Teatro della parrocchia dei Santi Apostoli, vicolo Dietro Santi Apostoli, 2 (accanto alla chiesa, zona Corso Cavour)
Venerdì 6 febbraio alle 17,30 presentazione del libro "40 anni tra i lupi. Diari dell’associazione "La Fraternità", dal 1968 accanto ai carcerati". Per saperne di più su com’è veramente oggi la situazione nelle carceri e su cosa fanno i volontari che si occupano di giustizia e di pena. Intervengono fra Beppe Prioli, fondatore della Fraternità, e alcuni volontari che hanno condiviso parte del suo cammino nel mondo della pena. Coordina Francesca Martini, giornalista di Telepace. Il libro, uscito in occasione dei quarant’anni di vita dell’associazione La Fraternità, è ricco di testimonianze, foto e ricordi di gruppo - raccolti dalla giornalista Emanuela Zuccalà - in cui i volontari raccontano come e perché sono arrivati a far parte della Fraternità, le loro vicende, motivazioni, attività, aspettative, valutazioni. Voci di riferimento per chi vuole conoscere l’anima del volontariato in generale, e di quello che si occupa in particolare di giustizia. Direttore: Ornella Favero Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella. Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto" |