IN-VENETO: INFORMAZIONE TRA IL CARCERE E IL TERRITORIO Edizione n° 23, del 27 maggio 2008
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Un successo il convegno organizzato da "Ristretti Orizzonti"
Quotidiani come La Stampa, Repubblica, per parlare di quelli nazionali, e Il Corriere Veneto, Il Mattino di Padova, Il Gazzettino per quanto riguarda quelli locali, si sono interessati e hanno scritto sul convegno organizzato dal periodico "Ristretti Orizzonti", che quest’anno compie dieci anni, all’interno della Casa di reclusione di Padova. La Giornata di Studi, il cui titolo è "Sto imparando a non odiare" è stata organizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il Patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia, del Comune di Padova, della Provincia di Padova, della Regione Veneto e del CSV della Provincia. I lavori si sono aperti con il benvenuto del direttore Salvatore Pirruccio, i saluti del vicesindaco Claudio Sinigaglia, e quelli dell’assessore alla Cultura Massimo Giorgetti in rappresentanza della Provincia. Sono stati poi Ornella Favero, direttore responsabile di Ristretti Orizzonti, e Marino Occhipinti ed Elton Kalica, detenuti-redattori, a spiegare il significato della Giornata, e il difficile percorso fatto dalla Redazione della rivista per arrivare a questa iniziativa così delicata e importante. Dopo una relazione del Dirigente generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Presidente della Commissione "Mediazione Penale e giustizia ripartiva", Maria Pia Giuffrida che, tra le altre cose, ha richiamato la Risoluzione Internazionale del 2006 che invita a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle vittime di reati, la giornalista del TG2 Daniela de Robert ha introdotto gli ospiti che man mano sono intervenuti. Manlio Milani, Presidente dell’"Associazione familiari delle vittime di Piazza della Loggia", dopo aver raccontato in modo toccante gli accadimenti di quella mattina in cui ha visto a pochi metri la moglie morire, ha parlato di "diritto alla verità", e del dolore determinato dall’impossibilità di confrontarsi con i colpevoli, che dopo tutti questi anni sono ancora sconosciuti. Milani ha parlato di una proposta dell’associazione da lui presieduta, per la modifica dell’art. 111 della Costituzione e di parte del Codice Penale in modo da creare parità tra l’accusa e la parte civile, ma dalle sue parole è fondamentalmente emersa una grande volontà di cercare comunque il dialogo su questi temi. È stata poi la volta di Andrea Casalegno, giornalista al Sole 24ore,, figlio di Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa di Torino, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1977. Casalegno che sull’argomento ha appena pubblicato un libro, "L’attentato", aveva 33 anni all’epoca e militava in Lotta Continua. Oggi è convinto che le vittime non debbano avere voce in capitolo nel giudizio e nella punizione, perché, se così non fosse, si tratterebbe di "mostruosità giuridica", visto che le vittime sono le uniche ad avere diritto ad "odiare", e il processo deve essere celebrato tenendo fuori i sentimenti, perché i sentimenti inevitabilmente rendono poco obiettivi. Quello che però Casalegno ha voluto sottolineare è stato come la spersonalizzazione della vittima, che per le BR era solo un "obiettivo", un simbolo, e quindi la completa mancanza da parte degli assassini di qualsiasi sentimento personale nei confronti della vittima, renda questo omicidio una mostruosità. "Se si uccide senza odio, l’azione è molto più orribile". E questo fa sì che egli non abbia nessun desiderio di dialogo o di incontro con gli assassini. Quello che Andrea Casalegno si è sentito di chiedere è solo un maggiore riserbo da parte dei colpevoli. È stata la volta poi del professor Adolfo Ceretti, docente di criminologia all’Università di Milano-Bicocca e coordinatore scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano, intervento più "tecnico", ma che in qualche momento ha toccato argomenti che coinvolgono anche i sentimenti. "Provare rancore è bere un veleno e aspettare che altri muoiano, e la giustizia riparativa ha come fine di eliminare il rancore", e ancora "non c’è vero odio se non c’è un odio precedente. E allora, dove inizia la catena? Cosa precede l’odio di chi odia per primo?" È intervenuto poi Giuseppe Soffiantini, l’industriale bresciano rimasto per 237 giorni in mano ai suoi rapitori, raccontando che ha avuto così tanto tempo per pensare e ad una velocità molto maggiore di quella "normale", velocità dovuta alla sua situazione di assoluta incapacità di prevedere se il giorno seguente sarebbe stato ancora vivo, che è giunto a porsi questa domanda: "Un po’ di ragione ce l’avrà anche il mio sequestratore? Se non fossimo così indifferenti alla sofferenza, ai malesseri altrui, queste persone forse non arriverebbero a compiere certi reati?" E del perdono ha parlato come di una necessità e non di un atto di generosità, perché l’odio fa male a chi lo prova. Silvia Giralucci aveva tre anni quando un commando delle BR ha ucciso suo padre nella sede del MSI di via Zabarella a Padova. Lei ha parlato di cosa ha significato nella sua vita la mancanza del padre, del fatto che il primo momento in cui ha veramente realizzato l’accaduto è stato durante il processo, la cui sentenza definitiva è stata pronunciata ben 16 anni dopo l’accaduto. Poi è diventata giornalista e si è avvicinata al mondo carcerario ed è rimane interdetta: la società dei "giusti" infligge la stessa pena che ha subito lei ai bimbi dei detenuti! Quello che però non trova giusto è che molto spesso sembra che i diritti dei detenuti siano più importanti di quelli delle vittime. Olga D’Antona è una donna che ha scelto, dopo la morte del marito nel ‘99 per mano delle BR, di lasciare definitivamente il suo cognome da nubile, una donna che si ritiene fortunata perché non è capace di odiare. É stato durante una riunione nella redazione di Ristretti Orizzonti, alla quale lei ha partecipato, che è partita l’idea di affrontare un percorso sul rapporto vittime-autori di reato che poi si è sviluppato e concretizzato nel convegno di venerdì. Un intervento davvero toccante in cui la signora D’Antona ha detto di non aver mai sentito l’esigenza risarcitoria, ma piuttosto un senso di responsabilità verso la società. Ha voluto anche sottolineare quanto la ferisca il fatto che la sua condizione di vedova stia diventando "perpetua" come se lei non fosse una persona ma solo la "vedova"; poi come si sia incapaci di capire la sofferenza degli altri arrivando spesso a ferirli di più; e infine, ha osservato quanto possa essere sottile l’aggressività delle persone "perbene". Dopo il buffet preparato dalla Ristorazione Forcellini, cuochi i detenuti, e i dolci della rinomata pasticceria del Due Palazzi, i lavori sono ripresi con l’intervento di Giovanni Fasanella, giornalista e autore del libro "I silenzi degli innocenti", serie di interviste a vittime di reati legati al terrorismo, che non ha trovato editore per ben 12 anni, Federica Brunelli, mediatrice dell’Ufficio di mediazione Penale di Milano, Carlo Alberto Romano, docente di criminologia all’Università di Brescia e infine del prof. Mosconi docente di Sociologia del Diritto dell’Università di Padova. La giornata è stata lunga e "faticosa" per i temi trattati, ma estremamente interessante e toccante. Gli argomenti erano delicati e i partecipanti, più di 700 persone tra operatori, volontari, avvocati, magistrati, mediatori, detenuti, hanno seguito i lavori in modo molto attento e coinvolto. Una giornata che in tanti hanno definito "indimenticabile".
Discutiamo di disoccupazione?
L’associazione Granello di Senape Padova è stata invitata ad una tavola di concertazione nella quale si discuteva di disoccupazione, delle difficoltà nell’inserire a lavorare chi si trova in una condizione disagiata e bisognosa. A questo tavolo erano presenti rappresentanti di Acli, Ucid, Cna, Enaip, e diversi esponenti di Caritas e altre realtà composte di volontari che si occupano di cercare opportunità lavorative per chi si trova in difficoltà. L’associazione "Granello di Senape" era presente in quanto l’utenza cui si rivolge è costituita da detenuti ed ex detenuti, soggetti che per molti anni si trovano in una condizione di disoccupazione e il cui reinserimento richiede la stessa attenzione che si pone nei confronti di altre fasce deboli. Uno dei punti salienti del percorso di reperimento di un lavoro è certo la presenza di un operatore che conosca le aziende, gli imprenditori, il mercato del lavoro, in modo da creare un contatto e costituire una figura di riferimento esperta nella comunicazione con i possibili datori di lavoro; ma serve anche un facilitatore, un tutor che può essere utile sia per chi viene inserito che per l’imprenditore, e la cui presenza spesso è condizione essenziale, a parere di "Granello", per avviare dei percorsi credibili di reinserimento lavorativo dei detenuti. Altro punto essenziale è lo stabilire una rete con le aziende che si rivolgono regolarmente alle agenzie interinali per necessità di manodopera; conoscere quelle ditte che hanno l’obbligo di inserire una percentuale di lavoratori in categoria protetta e presentare loro i possibili candidati che si sono rivolti alle diverse associazioni. La rete è un punto fondamentale per agevolare il reperimento di opportunità lavorative e stabilire un rapporto di fiducia fra le parti chiamate in causa per questo obiettivo. Un fattore essenziale per le persone detenute, per essere collocate più facilmente, è seguire un corso di formazione che fornisca competenze spendibili sul mercato del lavoro. Corsi di formazione o di aggiornamento brevi e mirati all’acquisizione di una professionalità si possono organizzare ad hoc in collaborazione con agenzie specializzate in materia. Ci si incontrerà fra un mese per continuare questo percorso, pianificare prassi operative e studiare un progetto che sia fruibile da parte di chi si adopera nell’inserimento lavorativo.
Notizie da Verona
Nuova macchina da cucire per le donne di Montorio
Grazie al costante impegno dell’associazione La Libellula nella sensibilizzazione del territorio veronese su problematiche e necessità della realtà carceraria, anche la Confcommercio della città scaligera ha partecipato all’acquisto di una nuova macchina per cucire professionale, donata la settimana scorsa al laboratorio femminile di Montorio. "Questo ci rende felici e ci fa capire che ci sono tante persone sensibili verso il pianeta carcere", dichiara il presidente dell’associazione Giuseppe Amenduni, "basta credere in quello che si fa!".
Il lavoro come alternativa alla delinquenza
A breve la Commissione Sicurezza del Comune di Verona entrerà nel carcere di Montorio per visitare l’azienda "Lavoro & Futuro" che dal novembre del 2005 offre lavoro a oltre cinquanta detenuti, tra uomini e donne. Edgardo Somma e Giuseppe Ongaro, i due imprenditori che hanno dato vita all’attività, hanno di recente sottoposto alla Commissione il loro nuovo progetto in atto: quello di una cooperativa sociale di tipo B destinata all’assunzione di ex detenuti e detenuti in misura alternativa. "Il lavoro - secondo Ongaro - offre un’opportunità di riscatto a chi è, o è stato, recluso. Si tratta di un’alternativa alla delinquenza, che non può che portare beneficio a tutta la società". Una scelta coraggiosa e precisa quella della cooperativa che, basandosi su una chiara mentalità imprenditoriale, permetterebbe di dare continuità al lavoro gestito all’interno della struttura penitenziaria. Del resto, dichiara ancora Ongaro: "dopo l’esperienza decisamente riuscita di una s.r.l. all’interno del carcere, ci sentiamo pronti a tutto".
All’Isola d’Elba, per ricordare il passato e progettare il futuro
Pena dell’ergastolo, la realtà dell’isola di Pianosa e il desiderio di ricostruire i cambiamenti intervenuti in questi anni nel sistema giustizia e nelle relazioni tra i soggetti che ne fanno parte. Questi i grandi temi affrontati all’isola d’Elba durante il recente convegno di tre giorni, organizzato in occasione del 40° anniversario della Fraternità e del Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di volontariato penitenziario). Il titolo: "40 anni, tra memoria e (grandi) promesse", gli stessi che sono trascorsi dalla nascita dell’associazione La Fraternità, il cui fondatore fra Beppe Prioli incontrò il primo detenuto proprio a Porto Azzurro. Tra le figure di rilievo presenti al tavolo dei relatori, il senatore Elvio Fassone, l’ex Giudice di Sorveglianza e attuale Presidente della Fondazione Michelucci, Alessandro Margara e Maria Pia Giuffrida, Provveditore della Regione Toscana. Tra loro, molte le presenze non solo di chi opera nell’ambiente penitenziario come volontario, ma soprattutto di chi vi è recluso, come i due ergastolani di Porto Azzurro, da cui è arrivato un ulteriore spunto per riflettere sul senso di questa tipologia di pena. La giornata conclusiva, il 18 maggio, ha visto l’intervento del Vescovo con una Santa Messa nel Duomo di Portoferraio, e si è conclusa nel Palazzo Comunale, con un confronto sulla drammatica situazione che spesso vivono i familiari dei detenuti. Un confronto tra le diverse realtà e opportunità presenti nelle varie città toscane, a cui ha partecipato anche il Sindaco di Portoferraio, sinceramente interessato a questi temi così delicati. Le linee emerse dall’incontro hanno trovato i presenti concordi sull’importanza - più che della "certezza della pena" - della certezza del recupero e del reinserimento dei condannati, e sulla necessità di imboccare la strada delle misure alternative, soluzione non solo al problema del sovraffollamento, ma anche a quello della rieducazione (art. 27 della Costituzione). Altra tematica affrontata, quella di effettuare una sorta di "controinformazione" rispetto a quanto diffuso dai media, spesso colpevoli di spettacolarizzare i crimini, alimentando nella società il senso di paura e di insicurezza. Da qui l’esigenza di dare testimonianza non solo dei problemi che talvolta emergono durante i permessi premio dei detenuti, ma anche degli innumerevoli successi che vengono raggiunti, che di fatto passano sempre sotto silenzio. Per un resoconto più dettagliato visitare la sezione "Notizie" di www.lafraternita.it.
"Raccontamela giusta" anche a Siracusa
"Raccontamela giusta", il dvd multimediale realizzato nella Casa Circondariale di Montorio per dare voce ai detenuti e ricostruire un dialogo tra autori di reato e società offesa, è stato proiettato di recente a Siracusa durante il convegno: "Viaggio intorno al disagio: dalla società al carcere". Prodotto dall’associazione veronese La Fraternità, il dvd è stato molto apprezzato dal pubblico presente, in particolare per i video sul lavoro in misura alternativa, l’intervista al fondatore dell’associazione fra Beppe Prioli e una canzone sul perdono, composta da uno dei detenuti di Montorio. Per maggiori informazioni sul dvd: www.lafraternita.it, nella sezione "Pubblicazioni e Mostre".
Uno spirito imprenditoriale con un accento etico-sociale molto forte
Intervista a Giuseppe Ongaro, presidente e amministratore di Lavoro & Futuro srl, azienda nata a Verona nel novembre 2005 all’interno della Casa Circondariale di Montorio Ci si lamenta sempre che è difficile convincere gli imprenditori profit a dare lavoro ai detenuti. Eppure, c’è chi - come Giuseppe Ongaro e il suo socio Edgardo Somma - ha creato proprio all’interno di un carcere una vera azienda,"Lavoro & Futuro", che ha sede nella Casa Circondariale di Montorio. (Intervista pubblicata in parte sul primo numero di "Nonlavorarestanca").
"Lavoro & Futuro" in che ramo opera? È un terzista. Andiamo a reperire lavoro all’esterno, tenendo conto della non elevata professionalità che si trova in carcere. Inoltre noi lavoriamo in una Casa Circondariale dove il turnover delle persone è molto accentuato: anche se una persona ha una certa professionalità, magari dopo 3 mesi esce o viene trasferita. Per questo cerchiamo lavori abbastanza semplici e alla portata di tutti, sostenibili con le risorse che si hanno all’interno.
Allora Lavoro & Futuro lavora solo - non anche - in carcere? Oggi Lavoro & Futuro lavora solo in carcere, il che è anche una peculiarità se vogliamo. In più non è neanche una cooperativa, se vuole poi le spiego il perché.
Me lo spieghi subito… Per me la cooperativa ha un senso quando si fa un’opera sociale al posto dello Stato. Il detenuto gode già di un programma interno al carcere destinato al suo recupero. Far lavorare dei carcerati rappresenta un sovrappiù, non un sostituirsi a una mancanza dello Stato. Inoltre con una srl si è costretti ad affrontare temi amministrativi. Non si accede a finanziamenti, a programmi speciali, a progetti: se riesci a sostenerti vuol dire che l’azienda funziona. Il che, per concludere, significa che l’esperienza è replicabile. Se quello che viene fatto internamente al carcere con le modalità delle società "comuni" riesce ad essere competitivo quanto basta e qualitativamente valido per essere gradito sul mercato, vuol dire che può essere fatto a Verona, a Milano, a Pordenone e così via. Una cooperativa può partire con un finanziamento oggi, che però si esaurisce dopodomani per non essersi provata realisticamente, e quindi cadere. Purtroppo è la fine che fanno molte. Nel mio caso si può parlare di uno spirito imprenditoriale con un accento etico-sociale molto forte.
L’idea di fare una srl in carcere come nasce? Ho sempre convissuto con il sociale in maniera molto gradevole: la mia è una scelta di vita. L’idea di una srl si è rivelata concretizzabile con la legge Smuraglia del 2000, poi "consacrata" nel 2002. Una legge che - come sa bene chi è del settore - permette e regolamenta il lavoro carcerario, che prima non era conveniente fare.
Quali sono le agevolazioni fiscali previste dalla legge per le aziende che danno lavoro ai detenuti? È il credito d’imposta a rappresentare l’agevolazione.
Di 516 euro al mese, se non sbaglio? Quella è la cifra calcolata per 8 ore lavorative al giorno in 22 o 23 giorni al mese. Noi facciamo 6 ore al giorno e il credito d’imposta che riceviamo è grossomodo sui 316 euro a persona. Questo ci consente di andare a coprire circa l’80% dei contributi: una cosa buona che ci aiuta nel prezzo che poi viene espletato all’esterno. Lavoriamo a cottimo - quindi siamo pagati a pezzo e non a ore - però tenete presente che facciamo molti lavori che prima erano fatti in nero, o che erano fatti in Serbia piuttosto che nei paesi dell’est.
La scelta dei lavoratori come avviene? Esistono degli elenchi che vanno per anzianità di ingresso nel carcere, quindi la priorità va a chi è entrato prima. Noi facciamo un colloquio, cerchiamo di valutare le attitudini di questa persona che ci vengono anche completate da chi la conosce meglio: dal formatore, dalla polizia penitenziaria, etc. Tendiamo a privilegiare chi è entrato in carcere per la prima volta, non per discriminazione ma perché chi è dentro per l’ennesima volta non ha poi tanta voglia né lo stimolo di cogliere un’opportunità. Dato che non possiamo offrire lavoro a tutto il carcere, cerchiamo di reinstradare quelli che sentono vivo il bruciore della prima volta.
A quante persone state dando lavoro adesso? Oggi sono assunte 49 persone. Abbiamo fatto un piccolo miracolo perché siamo partiti con 5 dipendenti, oggi siamo a 49 e, se tutto va bene, tra febbraio e marzo raggiungeremo il top della capienza delle nostre officine: 65 persone tra maschi e femmine.
Che tipo di contratto offrite ai detenuti? A tempo indeterminato, fino al momento della scarcerazione. Nel momento in cui noi li assumiamo, li accompagniamo fino alla fine. Per ora non abbiamo mai licenziato nessuno.
E i pagamenti come avvengono? Diamo un assegno unico all’amministrazione del carcere, che non fa altro che dividere gli importi di busta paga e versarli sul libretto di ognuno. Tutto ciò che facciamo viene registrato dall’amministrazione del carcere, dal Dap, dal Ministero del Tesoro, dal Ministero del Lavoro, etc. Siamo riusciti a superare, con delle pressioni, il fatto che queste persone possano spedire il loro denaro a casa, il che non è una banalità. Uno dice "io ho dei soldi" magari la famiglia è in Perù dove 200 euro rappresentano 20 euro in più dello stipendio di un ingegnere che lavora là, e riesce a mandarli.
Finora quanti clienti avete avuto? Sono più o meno sempre gli stessi? A livello industriale noi portiamo solitamente le aziende alla massa critica di convenienza dal manuale al meccanizzato. Mi spiego meglio. Noi oggi facciamo 15.000 bottigliette al giorno per profumi da casa: una quantità che porta a 3 milioni di pezzi in un anno. Quest’azienda, che è la terza in Europa come produzione di profumi in genere, quando arriverà ai 4 milioni (presumibilmente nel 2009) meccanizzerà il processo, o quella parte di processo che facciamo noi. Altro esempio. Quando facciamo le mattonelle a mosaico per la Stone Italiana, produciamo una quantità che non giustifica il milione e duecentomila euro di investimento sulla macchina che farebbe quello che noi facciamo ora a mano. Se Stone Italiana una mattina dovesse raggiungere una quantità critica, grossomodo doppia rispetto a quella di oggi, si meccanizzerebbe e noi smetteremmo di lavorare. Poi ci sono lavori per aziende più piccole che non raggiungeranno mai il numero critico sufficiente per giustificare l’acquisto di una macchina molto costosa. Questo vale ad esempio nell’assemblaggio di cd musicali o dvd, anche se da quando abbiamo aperto ad oggi ne abbiamo fatti 3, 4 milioni. Viaggiamo su quantità molto grosse perché è sulla quantità che possiamo sostenerci. Quindi servono quelle 40, 50, 60 persone che lavorano, e rendono sostenibile l’attività. Abbiamo qualche bel lavoretto. I porta biciclette in giro per Verona, quelli grigi e alti, di metallo e con i tubi grossi, li facciamo noi. I tubi dell’acqua, come gli attacchi per l’AGSM, li facciamo noi. Ma su 50 persone ce ne sono 3 che sanno fare certi lavori e anche ne avessi 5 non potrei prendere lavoro per 5 perché 3 so che più o meno riesco sempre a trovarli ma 5 diventerebbe molto difficile. Per cui ho dei vincoli, ho dei limiti.
Immagino che abbiate dei vincoli anche negli orari? Abbiamo fissato di fare 6 ore al giorno proprio perché questo non incide pesantemente sui turni della polizia penitenziaria e ci consente, tra l’altro, di avere un numero maggiore di persone: tutti prenderanno un po’ di meno però ci sono 15 persone in più che lavorano. Nei periodi critici aggiungiamo un’ora e arriviamo alle 7 ore al giorno. So che se dovessimo fare anche doppi turni, ce li farebbero fare: abbiamo un ottimo rapporto con la direzione. Ma nascerebbe un altro problema: chi gestisce l’azienda? Io sono un buon lavoratore, ma non possiamo concentrare tutto sul lavoro perché poi bisogna trasportare, andare dai clienti, prendere la merce.. Oggi ci possiamo permettere un dipendente esterno che ci dia una mano in tutto questo perché vogliamo arrivare a 65 persone. Se lavorassimo esternamente con 50 dipendenti gireremmo con un Porsche Cayenne invece che con una Twingo. Non siamo un’azienda che naviga nell’oro, ma non abbiamo debiti, paghiamo tutto pronto cassa, non usiamo fidi o altro.
A livello nazionale è a conoscenza di altre aziende come la sua? Ce n’è un’altra che io sappia. Si tratta sempre di una srl: la Opportunity di Milano che lavora a Monza, Roma e Parma. Sono dei carissimi amici e fanno esattamente quello che facciamo noi.
È soddisfatto? Molto. Io ho fatto 30 anni in multinazionale. Un giorno mi sono stufato. Come dirigente era senz’altro un bel vivere però francamente mi piace di più questo.
Se dovesse indicare degli aspetti di criticità, anche in funzione di una replica del modello? Portare il lavoro all’esterno! Anche perché se uno esce potrebbe essere interessante proseguire il lavoro... Credo di potermi sbilanciare: sto facendo una cooperativa sociale in questo senso, il 99% del mio cuore è ormai convinto di riuscire a farla. Si chiamerà Segni e sarà una cooperativa sociale di tipo B, ma con mentalità imprenditoriale.
Notizie da Rovigo
"Viva la costituzione" ospita il magistrato Domenico Gallo
C’è chi lo considera un modo molto discutibile di prendersela ancora una volta solo con i più indifesi. Ma c’è anche chi invece ne fa anche una questione di organizzazione della giustizia individuandovi una pericolosa deriva verso il definitivo collasso della macchina giudiziaria italiana. Sullo sfondo della conferenza che il magistrato Domenico Gallo ha tenuto nella Casa circondariale di via Verdi a Rovigo, ospite dell’associazione impegnata in una serie di appuntamenti per far conoscere la madre di tutte le leggi italiane, pilastro della nostra società civile e democratica, si è stagliata come una minaccia la ventilata ipotesi di introdurre nell’ordinamento il reato di immigrazione clandestina. "Basti un dato - ha osservato il giudice Gallo - A tutt’oggi in Italia sono poco più di 50mila all’anno i reati da sottoporre a giudizio. Con la creazione del reato di immigrazione clandestina si calcola che ci sarebbero non meno di 500mila casi di giudizio in più. A parte il totale stallo a cui andrebbe incontro la macchina giudiziaria, lo Stato dovrà affittare spazi carcerari all’estero per ospitare tutti i condannati per questo reato". Gallo si è detto grato all’associazione rodigina per aver organizzato un incontro con i detenuti "che dà la possibilità di entrare in contatto con chi sta dall’altra parte della finestra, dove conoscere la Costituzione, cifra dei nostri diritti e delle nostre libertà, assume un valore ancora maggiore perché ci si rivolge a chi diritti e libertà li ha ristretti". Il magistrato ha messo l’accento sulle contraddizioni di cui si sta rendendo protagonista la politica penale in Italia negli ultimi anni. "Indicare nell’uomo e nella sua riabilitazione il fine della detenzione è garanzia della libertà di chi sta fuori - ha spiegato Gallo - Purtroppo il diritto penale si sta concentrando sempre più sull’autore del reato e non, come vorrebbe la stessa Costituzione, sul fatto. Questo tipo di interpretazione del diritto è massicciamente adoperato negli Usa dove, su 300 milioni di abitanti, circa sette sono detenuti o sottoposti a misure di controllo penale. In Italia sta avanzando poi una linea di pensiero che tende a classificare il reato in base alla provenienza del soggetto, e si sta anche diffondendo l’idea di portare a 18 mesi l’internamento nei centri di permanenza temporanea, rischiando così di far decuplicare il numero dei 30mila soggetti finora mediamente accolti".
Appuntamenti
Padova: corso di formazione per gli Avvocati di Strada
Granello di Senape e C.S.V.: per gli Avvocati di Strada. Padova: Casa Comboni, via Citolo da Perugia, 35. Giovedì 29 maggio ore 18.00-20.00. Decimo incontro del corso di formazione e aggiornamento per il servizio di Avvocato di Strada. Il corso è gratuito e aperto al pubblico, previa iscrizione. Tema: "L’Esecuzione della Pena e la Sorveglianza". Relatore: avv. Annamaria Alborghetti
Treviso: convegno sulla mediazione culturale
Treviso: convegno sulla mediazione culturale. Treviso: Hotel Ca’ del Galletto, via Santa Bona Vecchia, 30. Giovedì 29 maggio ore 15.00-19.30. Titolo: La mediazione culturale come strumento di interazione. Presiede e coordina Andrea Forgione - coordinatore Prov.le Auser. Partecipano: Marie Lobe Gondo - presidente - Giancarlo Cavallin - vicepresidente - dell’associazione Auser Cittadini del mondo. Relatore su "Dall’integrazione all’interazione: l’importanza della mediazione culturale" Edgar Serrano - docente ricercatore in pedagogia interculturale dell’Università di Padova. Testimonianze: Xiaoxiao Hu (Cina), Abdallah Khezraji (Marocco), Jave Sossah (Togo), mediatori culturali. Conclusioni: "Pensare il futuro: dalla mediazione all’interazione" Michele Mangano - Presidente Nazionale Auser. Info: Mariantonietta 3333671317 - Giancarlo 3485279450. Direttore: Ornella Favero Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella.
Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto" |