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La storia di Tommaso vista dal carcere Ma come si fa a contrastare la subcultura del taglione che da sempre vige nel mondo della malavita quando a invocare vendette di sangue è la stessa società "civile"?
Graziano Scialpi - Redazione di Ristretti Orizzonti
Politici, intellettuali, figure istituzionali e gente comune, più o meno velatamente, invocano la morte per gli assassini del piccolo Tommaso. Giuliano Ferrara, in una sua trasmissione, ha affermato che se Berlusconi si fosse dichiarato favorevole alla pena capitale avrebbe vinto sicuramente le elezioni. Nel carcere di Parma i detenuti protestano, battono sulle sbarre perché non vogliono tra loro gli autori dell’efferato crimine. Anche nella Casa di reclusione di Padova, come in tutti gli istituti di pena italiani prevalgono affermazioni del tipo: "Se mi capitano per le mani gli stacco la testa". E qualche giornalista è persino giunto ad auspicare che siano i reclusi a fare vera giustizia di quegli assassini. Non voglio parlare del rapimento e dell’uccisione del piccolo Tommaso. Se ne è parlato già troppo e troppo male. Ho anche io un figlio che ha avuto quell’età, ed ho una nipotina che è sua coetanea. Spero basti questo a chiarire cosa posso pensare di quello che è accaduto. Quello di cui vorrei parlare è la reazione della società civile, della gente onesta e perbene. Possibile che nessuno trovi perlomeno bizzarro che la gente perbene la pensi allo stesso modo dei detenuti? Possibile che nessuno si preoccupi che la società civile abbia le stesse reazioni dei "criminali rinchiusi in carcere"? Nessuno si sente a disagio? Io provo un forte disagio. Da anni, in redazione, ci battiamo perché tra noi detenuti si superino questo tipo di reazioni emotive. Lottiamo perché tutti usino la ragione e, per quanto difficile, applichino anche agli altri la comprensione che invocano per se stessi. Ma come si fa a contrastare la subcultura del taglione che da sempre vige nel mondo della malavita quando a invocare vendette di sangue è la stessa società "civile"? Io mi trovo, giustamente, in carcere perché in un momento della mia vita le mie pulsioni emotive hanno preso il sopravvento sulla razionalità. Cosa dovrei pensare quando ad aver perso il lume della ragione sembrerebbe essere l’intera società? Il dolore, il senso di ingiustizia, l’orrore di fronte a casi come quello di Tommaso sono umani. Così come è umano provare un impulso alla vendetta violenta. Bisognerebbe essere dei santi per non provarlo. Ma dare voce a questo impulso, cercare consensi per questo impulso, rinfocolare l’un l’altro questo impulso e trovare una pseudo giustificazione nel fatto che questo impulso è condiviso da molti altri è un altro paio di maniche. Che fine ha fatto la ragione? Dove è finita quella razionalità che sempre dovrebbe essere lì a dirci: "Guarda che quell’impulso è sbagliato. Viene dal lato oscuro e irrazionale che c’è in ciascuno di noi. Non seguirlo, non dargli nemmeno voce. Ignoralo. Quando l’esplosione emozionale si sarà un po’ attenuata ti accorgerai che era profondamente sbagliato". Abbiamo impiegato secoli di eccidi e vendette per scoprire questa razionalità e altri secoli sanguinosi per coltivarla e farla crescere fino a poter vivere in uno stato di diritto, dove è la legge a governare e non la faida di sangue. È ancora così fragile, così poco radicata che basta il gesto, per quanto orrendo, di due balordi per sconfiggerla? Quando, nel 1946, l’assemblea costituente ha scritto la nostra Costituzione, l’Italia era appena uscita da due anni di lotta fratricida che hanno visto consumare stragi orrende, eccidi di interi villaggi, dalla nonna più anziana all’ultimo neonato. Tutti i rappresentanti avevano partecipato a questa lotta, molti erano stati imprigionati e si erano salvati per caso. Tutti o quasi avevano parenti e amici che erano stati torturati e uccisi barbaramente. Eppure hanno scelto di porre fine alla spirale del sangue che chiama sangue e hanno abolito la pena di morte. Solo tenendo ben presente da dove usciva l’Italia e i lutti che si portava dietro si può apprezzare il coraggio di una simile scelta di civiltà. Per quanto mi riguarda mi auguro che gli assassini di Tommaso vengano processati velocemente ed equamente e che subiscano una dura condanna. Non una condanna esemplare, perché le condanne altrui non sono mai di esempio per gli altri. Ma una lunga pena che dia loro il tempo di rendersi conto di quello che hanno fatto. Ci vorrà del tempo, forse tanto, forse poco, ma se sono sani di mente prima o poi se ne renderanno conto e allora si ritroveranno a tu per tu con la propria coscienza. Quel giorno, per loro, il ritrovarsi chiusi in carcere sarà il male minore.
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