|
Caso Izzo: quando la pericolosità resta "inosservata"
Stefano Bentivogli, redazione di Ristretti Orizzonti
Com’è possibile che Angelo Izzo, ancora in esecuzione di pena, si trovasse ad operare all’interno di un’associazione con un ruolo attivo nell’assistenza a persone, anche giovani, in stato di disagio o con problemi di vario genere? Quante e chi sono le persone che svolgono questo tipo di attività in semilibertà o affidamento? Con quali criteri si ritiene che queste persone non rappresentino un rischio per chi a loro chiede aiuto? Di chi è la responsabilità quando succedono episodi del genere? Sono domande importanti a cui bisogna dare una risposta, sono questioni alle quali non possono restare indifferenti i detenuti, soprattutto quelli che ai tentativi di far evolvere e migliorare il sistema penitenziario credono fermamente. È sorprendente la lucidità dimostrata dal ministro Castelli - durante la trasmissione "Porta a Porta" - che ha speso parole decise contro il tentativo di mettere in discussione l’impianto dell’ordinamento penitenziario, pur essendo chiaro ormai a tutti che un caso di questo genere obbliga ad una profonda riflessione. In Italia è veramente frequente che molti condannati si trovino, in semilibertà o in affidamento in prova, a svolgere lavori di pubblica utilità, e questo deriva dal tentativo far compiere loro attività "retributive" nei confronti di una società che hanno danneggiato. Chi ha fatto del male, ed ha capito i suoi errori, lo dimostri facendo del bene e lo faccia volontariamente. In realtà, per legge, queste attività sono obbligatorie nel caso dell’affidamento in prova e della sospensione condizionale della pena, in altri casi sono comunque ben volute dalla magistratura, ma non rappresentano necessariamente la dimostrazione della presa di coscienza dei propri errori né la volontà di retribuire la società ed indirettamente le vittime dei propri reati. Entrare nei pensieri di una persona è una cosa difficile, spesso impossibile, ma per chi si trova a dover decidere sulla messa in libertà - anche se parziale - di una persona che ha commesso delitti molto gravi, è assolutamente necessario. Questo è il lavoro che oggi tocca alle équipe di osservazione della personalità dei detenuti (educatori, psicologi, assistenti sociali, etc.), che hanno il compito di analizzare scientificamente la personalità del detenuto e fornire poi al Tribunale di Sorveglianza, composto da magistrati ed esperti, documentazione scritta per esaminare il caso e deliberare. Credo che sarà interessante capire in trent’anni di osservazione quali sono stati gli elementi portati a sostegno della concessione della semilibertà ad Angelo Izzo, come si sia arrivati ad appurare un profilo di non importante pericolosità per un detenuto con i delitti e la carriera penitenziaria di Angelo Izzo. Di quest’uomo ora tutti, a disastro avvenuto, sono pronti a certificare la personalità malata, ed effettivamente da quello che si è potuto capire da stralci di interviste mostrate in televisione resta strano come anche gli psichiatri che hanno avuto a che fare con lui non abbiano notato qualcosa di anomalo. Viene da chiedersi come vengano osservate queste persone e come sia stato possibile che tutti i suoi precedenti di manipolazione nei confronti della magistratura – si è proposto più volte come collaboratore di giustizia raccontando un sacco di balle – non abbiano messo in guardia i suoi interlocutori. L’astio che tra noi detenuti esiste nei confronti dei "pentiti" ci porta a pensare con rabbia che sia sempre stato privilegiato, che abbia ottenuto benefici e benevolenza sulla pelle di altri. Ma questo, anche se fosse vero, non spiega tutto, perché la semilibertà gli è stata concessa dopo trenta anni di carcere e pare che negli ultimi dieci anni abbia mantenuto una buona condotta carceraria. Sono tantissime le persone che fino alla settimana scorsa erano pronte a scommettere sul reale cambiamento di Angelo Izzo, non ultimo il responsabile dell’associazione che gli aveva dato un lavoro di grande responsabilità da svolgere con persone con gravi problemi, anche di natura sessuale. La disattenzione e l’ingenuità di chi ha avuto a che fare con quest’uomo hanno prodotto altre due vittime e questo non deve ripetersi, e siamo noi detenuti per primi a chiederlo anche perché, come al solito, dopo quello che è avvenuto si cerca di mettere in discussione il reinserimento sociale e le misure alternative alla detenzione che invece, dove sono concesse con attenzione, con conoscenza dei problemi della persona, della sua storia, e anche del suo quadro clinico, si rivelano sempre vantaggiose sia per il detenuto che per la società. Non abbiamo alcun timore di una mappatura, come chiede la giornalista Palombelli, dei casi di lavoro nel sociale dei detenuti, interessa a noi per primi. Ci preoccupa molto di più che invece, spenti i riflettori sul caso Izzo, non si intervenga seriamente sull’osservazione della personalità in carcere, che oggi, con la carenza incredibile di personale, non può avere alcun carattere scientifico, e che nei confronti della nostra salute mentale persista il disinteresse attuale.
|