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Angelo Izzo, ergastolano in semilibertà, arrestato per omicidio
Izzo: violenze, bugie e trame in carcere
Corriere della Sera, 1 maggio 2005
Molto probabilmente, anche questa volta la chiave del mistero è nascosta in carcere, l’"habitat" ormai naturale di Angelo Izzo, cinquant’anni di vita e trenta trascorsi in un continuo andirivieni nelle celle dei penitenziari di mezza Italia. A volte di massima sicurezza, a volte poco meno che alberghi, come quello dei "pentiti" ai tempi del terrorismo. Perché in carcere, a Palermo, Izzo ha conosciuto Giovanni Maiorano, marito e padre delle due donne uccise nella villetta di Mirabello sannitico. Per gli investigatori non può essere una casualità, qualunque sia il movente del duplice omicidio, se davvero è stato lui: il contatto tra le donne e il pluriomicida è nato dietro le sbarre. Ma, più in generale, tutte le trame che hanno visto Izzo protagonista delle cronache nere e giudiziarie, anche dopo il massacro del Circeo, sono state tessute in prigione. Quando l’allora ventenne neofascista fu arrestato per aver ucciso Rosaria Lopez e torturato Donatella Colasanti, era già noto agli uffici di polizia. Iscritto alla Facoltà di Medicina, in università l’avevano visto poco o niente. Piuttosto frequentava bar e case di altri giovani di destra, che mettevano insieme la politica, la droga e il divertimento che spesso si coniugavano con la violenza sulle donne. Lo racconterà lui stesso, anni dopo, anche se sulle dichiarazioni del "pentito " Izzo è lecito avere dubbi, pure quando parla dei delitti commessi da lui stesso. Il massacro del Circeo nel 1975 gli valse una condanna all’ergastolo, come quella inflitta al sempre latitante Andrea Ghira. Il terzo "camerata " coinvolto, Gianni Guido, in appello se la cavò con trent’anni.Ma lui, Izzo, trovò un altro sistema per evitare di finire i suoi giorni in cella. Fallito un tentativo di evasione dal carcere di Latina, si "buttò pentito" come si dice nel gergo dei detenuti e questo provocò, prima ancora che sconti di pena, trasferimenti in prigioni più comode. Come quella di Paliano, la casa comune dei "dichiaranti " del terrorismo rosso e nero. Anche da lì Izzo tentò di fuggire, nel 1986,ma senza successo. Miglior esito ebbero alcuni suoi verbali contenenti rivelazioni scottanti e sconcertanti insieme, salvo poi essere sbugiardate. C’entra anche Izzo, ad esempio, nell’imbroglio - depistaggio smascherato dal giudice Falcone che aveva portato un altro sedicente collaboratore di giustizia, Giovanni Pellegriti, ad accusare l’eurodeputato dc Salvo Lima di essere il mandante del delitto di Piersanti Mattarella, presidente dc della Regione siciliana ucciso nell’ 80 dalla mafia. Lo stesso Pellegriti dirà che il "suggeritore" era stato Izzo, suo compagno di detenzione ad Alessandria. Ancora Izzo tirò in ballo, per quell’omicidio palermitano, i neofascisti Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, poi scagionati dai pentiti di mafia. Correva l’anno 1989, ai tempi del caso Pellegriti- Falcone. Quattro estati più tardi, nel 1993, Izzo si riprese un po’ di libertà attraverso un’evasione stavolta riuscita. Agevolata dal permesso premio per trascorrere il compleanno nella casa di famiglia, a Roma. Al momento di tornare in carcere, però, di lui si persero le tracce. Ai parenti aveva detto che prendeva il treno per Alessandria, ma alla porta del carcere l’avevano aspettato invano. La latitanza durò un mese, lo ripresero in Francia e, quando rientrò in prigione, sorrideva e salutava fotografi e teleoperatori, alla maniera dei boss Renato Vallanzasca e Felicetto Maniero reduci da evasioni più avventurose. Segno che non s’era perso d’animo e, forse, aveva già in mente una nuova strategia per riconquistare la fiducia dei giudici e qualche libertà di movimento: parlare ancora. Riempì nuovi verbali, l’assassino ex estremista nero che voleva mostrarsi redento, e svelò i segreti di un’organizzazione "fascio-criminale" battezzata L’Uovo del Drago. Uccidevano, consumavano e spacciavano droga, giocavano con le donne indipendentemente dalla loro volontà: "Era normale per noi abbandonare una ragazza dopo averle puntato addosso una pistola - dichiarò tra un’accusa e un’ammissione di omicidio - era il nostro passatempo. Facevamo parte di un gruppo politico legato al traffico della cocaina e dell’eroina, eravamo in contatto con l’estrema destra e con i servizi segreti". Izzo confessò di essere l’assassino di tal Amilcare Di Benedetto, ucciso con un colpo di pistola e poi squartato e gettato in mare con i sassi nella pancia, quattro mesi prima del Circeo. E raccontò di un altro omicidio di tre anni prima, 1972, vittima un suo ex compagno di scuola al San Leone Magno di Roma, uno dei licei della Roma bene. Aggiunse pure, in questa nuova ondata di dichiarazioni, che si estese fino alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi, che il massacratore del Circeo rimasto in libertà, Andrea Ghira, due anni dopo aveva sparato in piazza il colpo di pistola che uccise la studentessa Giorgiana Masi, il 12 maggio 1977. Da questa come da molte altre rivelazioni di Izzo non è venuto fuori quasi nulla di concreto. Piuttosto è venuto nuovamente fuori lui, dal carcere, attraverso le normali procedure per ottenere permessi e semilibertà. In un’intervista tv ha svelato di sentirsi "rinato" e che finalmente vedeva la possibilità di diventare una persona vera". È entrato in contatto con i religiosi che lavorano nelle prigioni, conquistandone la fiducia. Finché ieri non s’è scoperta questa nuova trama, ancora da svelare. Giovanni Bianconi Chi e perché lo ha rimesso in libertà
Il Messaggero, 1 maggio 2005
Nella storia del pentitismo e dei benefici carcerari ad esso connessi, la vicenda che ha oggi per protagonista Angelo Izzo fa parte di un copione già scritto. Prima di lui fior di pentiti, di mafia e non, sono stati arrestati con le mani nel sacco dopo essere stati rimessi in libertà. E come lui, responsabile del massacro del Circeo e con precedenti per violenza sessuale, sono tornati ad uccidere, a stuprare, a fare estorsioni, a commettere gli stessi reati per i quali erano stati arrestati e poi restituiti alla società civile nella errata convinzione che la pena avesse il miracolo della redenzione. Nei giorni scorsi, in un servizio televisivo sulla ricostruzione dell’assassinio per il quale Angelo Izzo fu condannato all’ergastolo, erano state ricostruite le tappe della sua vicenda processuale. E le telecamere avevano indugiato a lungo sui suoi interrogatori di collaboratore di giustizia nella lotta al terrorismo nero e su alcune sue interviste. L’atteggiamento spavaldo, tra lo strafottente e il sicuro di sé, non deve aver convinto granché il telespettatore. Eppure quelle testimonianze, non si sa fino a che punto utili alle indagini, gli sono valse l’abbuono del carcere a vita, una congrua riduzione di pena e infine la libertà vigilata. Donatella Colasanti, la sopravvissuta del massacro del Circeo, si è chiesta, urlando di rabbia, come mai fosse libero. La stessa domanda se la posero i familiari delle persone uccise da Giovanni Brusca, il killer che azionò il telecomando che a Capaci costò la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie e agli uomini della loro scorta e al quale i giudici riservarono un trattamento di tutto favore. Era il 1996, quasi dieci anni fa, e da più parti si levò alta la protesta affinché fosse rivista la legge sui pentiti. Ma i magistrati dell’antimafia fecero muro: dissero che i collaboratori di giustizia erano non solo utili, ma indispensabili, insostituibili nel debellare un tipo di criminalità particolarmente omertoso quale la mafia. Senza di loro non ci sarebbero stati i successi degli ultimi anni. E così la legge ha continuato a trovare applicazione per tutti quei reati che vanno sotto il nome di criminalità organizzata e non solo per quelli. Questa norma prevede fortissimi sconti di pena, ma anche la possibilità di accedere ai benefici della legge Gozzini, approvata dal Parlamento nel 1975 e modificata undici anni dopo dalla Corte Costituzionale. Quella invitò il legislatore a verificare se le condanne a lunghe pene detentive non contrastassero con la finalità di rieducazione del detenuto. La domanda che sorge spontanea ogni volta che le cronache portano all’attenzione del cittadino episodi come questi è se il sistema carcerario italiano, nel quale i giudici di sorveglianza sono legittimati ad applicare leggi tanto permissive, sia davvero in grado di accertare e verificare se i vari soggetti interessati siano meritevoli di tali misure. Si pensi solo che un ergastolano che riesca in qualche maniera a conseguire il "diploma" di collaboratore di giustizia può ottenere la semilibertà, può chiedere ed ottenere di lavorare all’esterno del carcere e può ottenere permessi non soggetti ai limiti e alle verifiche sul suo comportamento in carcere che valgono per gli altri detenuti. Tutto ciò deve indurre a nuove e più profonde riflessioni non solo sulla legislazione premiale ma sull’intero sistema carcerario, sulla sua organizzazione, sui mezzi che lo Stato mette a disposizione dei responsabili del settore, sulle capacità concrete degli operatori carcerari a verificare le condizioni per le quali un detenuto può essere ammesso ai benefici che la legge prevede. E c’è poi un altro e non secondario aspetto del problema legato a questa multiforme, variegata e delicatissima realtà dei nostri tempi: quello che attiene al principio della certezza della pena. Troppe volte un imputato condannato ad una pena detentiva non indifferente riesce a tornare in libertà dopo pochi giorni di carcere. Valga un esempio per tutti: l’assassino del tabaccaio romano condannato recentemente all’ergastolo era già stato giudicato undici volte per diversi reati e per undici volte era tornato libero grazie a norme troppo garantiste o applicate in maniera errata. Tutto suscita forte perplessità e grande sfiducia. Tanto più se in un carcere modello come Sulmona non si riesce a fermare la triste catena di suicidi di detenuti e se, in un altro carcere, un uomo che da trentacinque anni sta scontando la sua pena non riesce a riacquistare la libertà perduta. Come dire che nel contraddittorio microcosmo degli istituti di pena le cose vanno male ed è ora di voltare pagina. Lo scandalo di tanti "pentiti" privilegiati
Agenzia Radicale, 1 maggio 2005
Nel corso del suo intervento della domenica mattina a Radio Radicale, il segretario di Radicali Italiani Daniele Capezzone ha affermato: "Voglio dire al Ministro Castelli - dopo il "caso Izzo" e quest’altro atroce delitto, che il problema non è quello di distruggere la Gozzini, che è e resta norma di civiltà, e che ha consentito il recupero di tante persone ad una cittadinanza umana e produttiva. Il problema, al contrario, è quello di affrontare in modo chiaro, dicendo parole di verità, lo scandalo di tanti "pentiti" (pentiti tra virgolette, lo sottolineo) che sono stati privilegiati da certa magistratura. Izzo è uno di questi, regolarmente premiato per le false accuse che smercia da trent’anni. Per questo, dico al Ministro: non sia debole con i forti, e forte con i deboli. Resista al riflesso di fare la faccia feroce nella direzione dei "detenuti ignoti", e invece si preoccupi - è suo dovere politico - di una realtà (che Marco Pannella è tornato a segnalargli di recente) fatta di 4.800 (ripeto: 4.800) familiari di pentiti, pagati e assistiti con il denaro dei contribuenti". "Al programma di recupero ci dovevano pensare nel 1980, Angelo Izzo doveva essere messo in manicomio, aveva bisogno di cure già allora. Allora si è coscientemente ignorata la richiesta di perizia psichiatrica e Angelo Izzo è stato condannato al carcere". Lo ha dichiarato all’Adnkronos, il criminologo Francesco Bruno, in merito all’arresto di Angelo Izzo responsabile della strage del Circeo del 1975. "Dal carcere si esce - ha aggiunto Bruno - e quando si esce non ci sono strutture psichiatriche. La gente vuole un’illusoria vendetta che non serve a molto". "Basta! Da ora in poi nessuno parli più del massacro del Circeo". Più che una richiesta quella di Donatella Colasanti è una vera e propria diffida. Sono passati quasi trent’anni da quel primo ottobre 1975, quando riuscì a sopravvivere al massacro che Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira inflissero a lei e alla sua amica Maria Rosaria Lopez in una villetta del Circeo. Maria Rosaria, 17 anni, non resse alle tremende violenze dei tre "ragazzi bene". Donatella si finse morta e solo così riuscì a salvarsi. Oggi, raggiunta al telefono nella sua abitazione romana, all’inizio pensa addirittura ad uno scherzo: "Non lo so... devo sentire il mio avvocato...", risponde a chi le annuncia l’arresto di Izzo in Molise. Poi, ascoltati i primi spaventosi particolari di questo nuovo massacro che vede protagonista uno dei suoi aguzzini, ci ripensa. "Aspetti. Ho cambiato idea. Parlo", dice. Ed è un fiume in piena: "Mi scusi, ho davvero pensato ad uno scherzo... Ma non era in carcere? Perché non era in carcere? Sono anni che chiedevo che Izzo venisse sottoposto al regime di carcere duro". "È incredibile - continua -, incredibile: adesso i magistrati devono pagare, pagare duramente! Ho passato anni a ripeterlo: come facevano a considerarlo un collaboratore di giustizia mentre lui continuava a confessare ipotetici altri delitti. E i giornalisti? Tutti giocavano allo scoop facile, lo intervistavano in tv, sui quotidiani, sui settimanali... E adesso ecco il risultato...". "Sono sette anni, sette anni - ripete - che scrivo al Csm, a tutti i ministri della Giustizia, Fassino, Diliberto, Castelli, per chiedere interventi chiari e duri. Nessuno mi ha mai risposto. Ho scritto al Presidente della Repubblica, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. Loro mi hanno risposto. Letta mi ha chiesto di tenerlo aggiornato ed io gli ho man mano inviato materiale sulla vicenda. Ma ora deve intervenire il governo. Esigo provvedimenti discliplinari durissimi contro questi magistrati politicizzati". "Perché - aggiunge Donatella Colasanti - un’altra cosa che deve finire è questa storia della politicizzazione: macché destra, macché sinistra! Izzo e i suoi amici erano tre balordi e della politica non gliene importava niente! La sinistra ha voluto strumentalizzare tutta la vicenda. Il femminismo poi... ma io ho una cultura conservatrice e mio padre era nella Marina Militare. Avevo anche parlato con Fini per candidarmi.... Ma ora non voglio più sentir parlare né di destra né di sinistra. Sono tutti responsabili e se non ci saranno i provvedimenti che mi aspetto, mi rivolgerò alla Corte di Giustizia europea". "Mi meraviglio - ripete ancora - come potesse essere libero... e mentre in questi anni io, che sono una donna impegnata nella poesia e nel teatro, lavoravo da sola, nessuno ha fatto niente. Nessuno, neanche gli avvocati che avevo prima e che non voglio neanche che vengano sentiti sulla vicenda: da ora in poi gli unici titolati a parlare del massacro del Circeo siamo io e il mio avvocato, Mauro Cimino". Castelli: per la giustizia è una sconfitta
Repubblica, 1 maggio 2005
Potrebbe cogliere al volo l’occasione per scatenarsi in una performance leghista del tipo "d’ora in poi dalla galera non deve uscire più nessuno". E invece il ministro della Giustizia Roberto Castelli stavolta è cauto come non mai, anche se ovviamente ribadisce il suo più fermo no all’amnistia ripetendo una battuta che gli è ormai abituale: "Prima viene Abele e solo dopo Caino". Però su Izzo in libertà vigilata nonostante l’ergastolo e le tante fughe dal carcere e sui magistrati di sorveglianza il Guardasigilli è estremamente prudente. Lo è perfino sull’inevitabile futura ispezione: "Non voglio un altro titolo "Castelli manda gli ispettori". Sì, li manderò, ma si tratta solo di un atto dovuto".
Angelo Izzo è stato appena arrestato. Con il sospetto di un delitto gravissimo. Non è forse la sua giornata ministro Castelli? "E invece io vi sorprenderò tutti perché questa è una tragedia troppo grande che io non ho alcuna intenzione né voglia di strumentalizzare. Certo, si tratta di un episodio che deve far molto riflettere. Chi, come me, ha sempre chiesto la massima prudenza e la massima cautela prima di accettare discorsi su un possibile gesto di clemenza, alla fine si trova sulla strada giusta e non può essere accusato di aver assunto una posizione sbagliata".
Vede che, nonostante le sue premesse, si ritiene soddisfatto perché i fatti di Campobasso sembrano dare ragione alla sua linea anti-amnistia? "Alla luce di quanto succede non si può dire che sia un sadico forcaiolo chi, prima di parlare di amnistia, continua a ripetere che è doveroso pensarci bene perché innanzitutto viene la sicurezza dei cittadini e delle persone oneste. Del resto chi, fino a ieri, si sbracciava per ottenere provvedimenti svuota carcere oggi è il primo a porre quesiti perentori e a voler conoscere perché Izzo fosse libero".
Già, proprio questo è il problema. Lei lo sa perché questo detenuto era fuori dal carcere nonostante il suo discutibilissimo passato? "Non conosco il percorso del detenuto Izzo, ma di sicuro quella di oggi è comunque una sconfitta per la giustizia perché un personaggio come lui potrebbe aver commesso un terribile reato. Ma in questo momento non serve sbraitare, non si possono ancora buttare colpe su questo o su quello, adesso ci vuole soltanto cautela".
Eppure Donatella Colasanti, la sopravvissuta al massacro del Circeo, pone proprio questo quesito, vuole sapere perché Izzo era in libertà anziché stare in galera. Lo chiede al governo, e quindi lo chiede a lei. "Mi considero uno dei ministri della Giustizia più sensibile alle richieste e alle esigenze delle vittime e dei parenti delle vittime. Finché ricoprirò questo incarico continuerò a comportarmi così, ma in questo momento bisogna evitare il frastuono mediatico, le risposte imprecise e a caldo".
Per capire cos’è accaduto allora invierà gli ispettori a Campobasso? "È un atto dovuto capire cos’è successo, è un passo doveroso. Ho mandato gli ispettori altre volte scoprendo anche situazioni del tutto anomale. Come quella storia di un magistrato di sorveglianza che aveva concesso tre permessi alla stessa persona per la stessa ricorrenza e pure nel corso dello stesso anno".
Sta già buttando la croce addosso ai magistrati di sorveglianza? "Io questi magistrati li conosco bene, li ho incontrati ancora appena qualche giorno fa per discutere dei loro problemi. Vivono nel terrore di sbagliare perché quando succede un fatto come quello di Izzo immediatamente la responsabilità ricade sulle loro spalle anche se magari si sono mossi e hanno preso decisioni in buona fede. Fanno un lavoro molto difficile, e ci vuole prudenza nel dare giudizi all’impronta".
Ma oggi ha proprio deciso di indossare la casacca della bontà? "Di fronte a tragedie grandi come la morte violenta di due persone, di una madre e di una figlia, la prudenza è d’obbligo, altrimenti si rischia solo di sfruttare un caso a proprio vantaggio. Per me, in quest’occasione, sarebbe anche facile farlo, ma me ne tengo lontano, perché non voglio fare così il ministro della Giustizia".
C’è però un fatto che lei deve affrontare: un detenuto con la storia di Izzo era fuori dal carcere e avrebbe commesso un gravissimo reato. E allora? Aboliamo i permessi? Ridimensioniamo le agevolazioni carcerarie? "A questo gioco non ci sto. Fino a ieri mi sono piovute addosso le critiche di chi a gran voce pretendeva che 70 detenuti messi fuori dal 41 bis ritornassero al regime del carcere duro. Poi mi hanno chiesto di chiudere da un giorno all’altro il penitenziario di Sulmona perché lì ci sono forme di detenzione troppo dure e la gente si uccide. I giornali non fanno altro che parlare di sovraffollamento e spingono per l’amnistia. Adesso invece ecco la marcia indietro. Tutti vogliono sapere perché Izzo era in libertà. E io invece mi fermo, voglio prima vederci chiaro. Lo ripeto, in casi gravissimi come questo un minimo di prudenza non fa male a nessuno". Liana Milella Agenzie Ansa su caso Izzo
Paolo Cento (Verdi): "Il governo ora spieghi"
Sul regime di semilibertà a cui era sottoposto Izzo, il parlamentare verde Paolo Cento chiede che il governo "spieghi le ragioni per cui all’uomo era stato riconosciuto lo status di collaboratore della giustizia. Presenteremo un’interpellanza urgente al ministro della Giustizia e al ministro dell’Interno. È forte la sensazione che ancora una volta la giustizia abbia avuto pesi e misure diverse a seconda delle caratteristiche del condannato".
Le donne: "Non dimentichiamo"
"Le donne della Casa Internazionale di Roma desiderano anzitutto stringersi a Donatella Colasanti, in un abbraccio di forte e intensa solidarietà. Noi non dimentichiamo la efferata violenza di Izzo degli altri due assassini del Circeo; esprimiamo sdegno e dolore per il protrarsi della violenza omicida contro altre donne, e chiediamo con rabbia perché Izzo ha potuto godere della libertà di uccidere e violentare ancora - continua la nota delle donne -. Esigiamo che la giustizia si adoperi per chiarire e rendere noti i troppi aspetti loschi di una trentennale vicenda processuale".
Castelli: "Volete ancora l’amnistia?"
Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, prende spunto dal caso Angelo Izzo per ribadire la sua contrarietà all’amnistia e per invitare a riflettere chi chiede clemenza verso i detenuti. "Le notizie di cronaca che vedono Angelo Izzo arrestato nell’ambito di una indagine che ha portato alla raccapricciante scoperta dell’uccisione di una donna e di sua figlia scateneranno probabilmente una nuova ondata di dichiarazioni giustizialiste, magari anche da parte di quanti fino a poche ore prima parlavano di amnistia. Da parte mia - afferma il Guardasigilli in una nota - mi sono sempre dichiarato contrario a provvedimenti generalizzati di clemenza, convinto come sono che prima di tutto venga la sicurezza dei cittadini". "Vorrei richiamare l’attenzione - conclude il ministro della Giustizia - di quanti fino a ieri chiedevano un indiscriminato svuotamento dei penitenziari su cosa questo possa significare per la sicurezza delle persone oneste. Prima viene Abele, poi Caino".
Lagostena Bassi: "Libertà poco vigilata"
"Evidentemente quella di Angelo Izzo era una libertà poco vigilata". È il commento di Tina Lagostena Bassi, noto avvocato e legale di Donatella Colasanti al tempo del primo processo per il massacro del Circeo. "L’unica spiegazione tecnica che mi posso dare - dice Lagostena Bassi - e l’unica cosa che posso immaginare per valutare il fatto che Izzo godesse della libertà vigilata, è che aveva già scontato quasi tutti i 30 anni di reclusione che nel nostro ordinamento equivalgono temporalmente all’ergastolo".
Francesco Bruno: al programma di recupero ci dovevano pensare nel 1980
Per il criminologo Francesco Bruno, "al programma di recupero ci dovevano pensare nel 1980, Angelo Izzo doveva essere messo in manicomio, aveva bisogno di cure già allora. All’epoca, invece, si è coscientemente ignorata la richiesta di perizia psichiatrica e Angelo Izzo è stato condannato al carcere. La legge meritoria dovrebbe riguardare i sani di mente. Io dissi nel 1980 che avrebbe ucciso ancora e che doveva essere messo in condizione di non uccidere. Poi ha fatto lo pseudo pentito rilasciando dichiarazioni deliranti. Per colpa sua abbiamo forse due vittime in più".
Alfredo Mantovano: Izzo non era ammesso al programma per i collaboratori
Il presidente della commissione centrale sui programmi di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia del Viminale, Alfredo Mantovano, chiarisce che "Izzo non era stato ammesso al programma di protezione per i collaboratori di giustizia, in quanto mai proposto dall’autorità giudiziaria".
Maurizio Fistarol (Margherita): decisione che non può non offendere il senso di giustizia
A chiedere spiegazioni sulla libertà vigilata concessa a Izzo, anche Maurizio Fistarol, responsabile sicurezza della Margherita: "Credo - dice Fistarol - che qualcuno debba rispondere di una decisione che, seppure compiuta nel pieno rispetto delle leggi vigenti e dei regolamenti, non può non offendere il senso di giustizia degli italiani, colpiti da questo episodio di inaudita violenza".
Capezzone: il problema non è distruggere la Gozzini, norma di civiltà…
"Voglio dire al Ministro Castelli, dopo il caso Izzo e quest’altro atroce delitto, che il problema non è quello di distruggere la Gozzini, che è e resta norma di civiltà, e che ha consentito il recupero di tante persone ad una cittadinanza umana e produttiva. Il problema, al contrario, è quello di affrontare in modo chiaro, dicendo parole di verità, lo scandalo di tanti "pentiti" (pentiti tra virgolette, lo sottolineo) che sono stati privilegiati da certa magistratura. Izzo è uno di questi, regolarmente premiato per le false accuse che smercia da trent’anni. Per questo, dico al Ministro: non sia debole con i forti, e forte con i deboli. Resista al riflesso di fare la faccia feroce nella direzione dei "detenuti ignoti", e invece si preoccupi -è suo dovere politico- di una realtà (che Marco Pannella è tornato a segnalargli di recente) fatta di 4.800 (ripeto: 4.800) familiari di pentiti, pagati e assistiti con il denaro dei contribuenti".
Battisti (Dl): troppe zone oscure in caso agghiacciante
"Tra le molte ombre della vicenda che ha portato al tragico epilogo di ieri nella villetta vicino Campobasso, c’è infatti anche la sconcertante decisione di consentire a Izzo di lavorare nella cooperativa con il suo ex-compagno di cella". Questo il commento del senatore della Margherita, Sandro Battisti, all’arresto di Angelo Izzo, condannato all’ergastolo per il massacro del Circeo del 1975 e sospettato di aver ucciso due donne in una villa vicino a Campobasso. "In simili circostanze - osserva Battisti - una delle prime cose da fare è proprio quella di separare detenuti che hanno condiviso la detenzione. Qualcuno dovrebbe spiegare e rispondere del perché sia stato permesso. Izzo di lavorare nel periodo della libertà vigilata con il suo ex-compagno di cella". Secondo l’esponente della Margherita "quanto è successo ieri evoca orribili fantasmi del passato e ingenera allarme nell’opinione pubblica. Per questo è necessario fare immediatamente chiarezza sui passaggi che hanno portato alla libertà vigilata di Angelo Izzo in queste condizioni, proprio al fine di evitare strumentalizzazioni, ma anche il ripetersi di un simile caso".
Berardi (Associazione vittime): sospensione di tutti i permessi premio e sconti di pena
"L’associazione Nazionale famigliari vittime del terrorismo e mafia dopo l’ultimo fatto delittuoso in ordine di tempo che espressamente mette a nudo la crisi della giustizia in Italia e azzittisce i politici che poco tempo fa si battevano per le amnistie (Pannella e radicali) chiedono la sospensione di tutti i permessi premio e sconti di pena da subito. Ed auspichiamo pertanto a chi si illude di risolvere il problema delle carceri mettendo fuori altri criminali, di smetterla una volta per tutte di minacciare la sicurezza dei cittadini, gia in pericolo con iniziative che farebbero solo che peggiorare la situazione. Annunciamo che l’otto maggio cm a Roma Primavalle ci sarà una manifestazione con un gran numero di cittadini che ricorderanno ai nostri politici, che noi non vogliamo altri delinquenti in libertà ma vogliamo più lavoro e più sicurezza per i giovani, solo così si combatte la criminalità".
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