L'Opinione dei detenuti

 

La giusta paura di Erika

Il trauma del passaggio dal "minorile" al circuito penale per gli adulti

 

Stefano Bentivogli, Redazione di Ristretti Orizzonti

 

È giusta l’attenzione data da vari telegiornali alle paure di Erika nel momento in cui deve essere trasferita in un carcere per adulti. Per chi in carcere è entrato da minore – come è avvenuto nel suo caso - il compimento del ventunesimo anno scandisce automaticamente il passaggio dal "minorile" al circuito penale ordinario per gli adulti; un cambiamento brusco, con cui si vengono fatalmente a rompere equilibri faticosamente raggiunti e che può avere effetti traumatici paragonabili a quelli prodotti dal primo impatto con la realtà carceraria.

Tuttavia è errata l’informazione data nella stessa occasione da alcuni giornali, secondo la quale nelle carceri ordinarie non è prevista la presenza e l’assistenza dell’educatore e dello psicologo. Queste figure sono in realtà ben previste dalle nostre leggi anche lì, e la loro funzione è indispensabile ad uno dei compiti fondamentali che la legga assegna al carcere: la rieducazione ed il reinserimento sociale.

La vicenda di Erika però poteva essere l’occasione buona per fare un po’ di sana informazione dando un quadro più chiaro di una realtà che riguarda oltre 55.000 persone, sarebbe stato sufficiente farsi dare i dati o cercarli, anche se spesso non sono aggiornati, da chi ne dispone.

C’è una circolare (n.3593/6043) del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, relativa alle Aree Educative degli Istituti di Pena, che riporta questi dati al 31/12/2002:

educatori previsti in organico 1376

educatori presenti 563

educatori effettivamente presenti negli istituti 474

carenza 813 (n.d.r. quindi la carenza effettiva era 902)

Nove mesi dopo, il 10/09/2003, in carcere c’erano per la precisione 55.682 detenuti; quanto al numero degli educatori, a quella data si registrava un loro "mancato incremento" se non addirittura una diminuzione rispetto ai già scarsi organici del dicembre 2002. Mediamente 1 educatore per circa 117 detenuti; senza contare che di questi educatori alcuni ricoprono il ruolo di coordinatori dell’Area Pedagogica e non svolgono lo stesso lavoro degli altri. Qualche giorno fa poi, in occasione del Convegno Nazionale "Pandora: esperienze di supervisione", promosso dall’Istituto Superiore di Studi Penitenziari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, sono stati comunicati gli ultimi dati: a 56.000 detenuti corrispondono oggi 42.539 unità di polizia penitenziaria, ma appena 551 educatori (rispetto ai 1.376 previsti nella Pianta organica ministeriale), 1.223 assistenti sociali (rispetto ai 1.630 previsti dalla Pianta organica e per la maggior parte impegnati a seguire i detenuti in espiazione esterna).

Occorre poi sapere anche che l’educatore deve svolgere, tra le sue attività, alcuni lavori strettamente burocratici che sicuramente sottraggono tempo alla relazione educativa con i detenuti.

Cosa significa questo per i detenuti, considerando soprattutto che oggi sono soggetti sempre più portatori, già all’ingresso, di disagio e sofferenza anche dovuta a condizioni di disagio psicologico che automaticamente in carcere tende ad aumentare? Significa, ad esempio, che ci sono persone che per avere un colloquio con l’educatore fanno lo sciopero della fame o si tagliano direttamente qualche vena. Significa anche che l’accesso alle misure alternative comporta, là dove queste non sono solo scritte sulla carta, tempi spesso superiori a quelli dell’esecuzione della pena. Anche per questo tutto l’impianto trattamentale è vicino alla paralisi ed in molti istituti la detenzione è solo ozio, abbrutimento e depressione.

Negli stessi giorni l’ennesimo suicidio di un detenuto nel carcere di Sulmona, con il ministro Castelli che vi si reca personalmente e garantisce che prenderà provvedimenti. Forse poteva risparmiarsi il viaggio e cominciare a guardarsi i dati del nostro dossier sulle morti in carcere, perché i suicidi non sono una prerogativa di questo o di quel carcere, sono sempre più ormai il frutto dell’impossibilità di intervenire di molti operatori penitenziari, non di tutti per fortuna, ma chissà ancora per quanto. La situazione è veramente grave e bisogna intervenire, ma prima bisogna prendere atto che questo sovraffollamento è insostenibile e va in qualche modo ridotto, poi occorre introdurre una cultura della sicurezza compatibile con l’attenzione alle persone.

Dimenticavo, nella circolare di cui parlavo prima, c’erano anche 294 psicologi e 57 criminologi che contribuiscono, secondo le occorrenze, all’osservazione dei detenuti… sempre per circa 55.000 detenuti.

 

Quindi abbiamo circa 1 psicologo ogni 190 detenuti ed 1 criminologo ogni 977 detenuti.

 

Fa bene Erika a preoccuparsi, anche se le hanno già garantito la stessa assistenza che aveva al minorile.

Ristretti Orizzonti invece ha organizzato un convegno sulla salute mentale in carcere - "La salute appesa ad un filo", il 20 maggio 2005 presso la Casa di Reclusione di Padova – per informare e confrontarci, perché non crediamo che l’attenzione, che almeno Erika ha avuto, provocherà cambiamenti "a macchia d’olio" in tutti gli istituti e per tutti i detenuti.

 

 

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