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Siamo in tanti a pensare che Annamaria Franzoni vada rispettata e aiutata A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 2 giugno 2008
Qualcuno ha detto che Annamaria Franzoni è stata accolta con insulti nel carcere di Bologna. Può darsi che sia vero, perché questa idea che i detenuti debbano minacciare e pestare gli autori di reati contro donne e bambini è ben radicata nella società, anzi spesso c’è qualcuno che vorrebbe delegare ai detenuti il "lavoro sporco" di punire ulteriormente chi ha fatto del male a persone ritenute più indifese di altre. Ma in carcere non è dappertutto così, per fortuna, anche perché una persona che è in galera conosce la sofferenza sulla sua pelle, e allora come può gridare ingiurie contro una donna, già travolta dal trauma dell’impatto con la realtà della detenzione, e pensare che la condanna che ha ricevuto non sia abbastanza? Cominciamo almeno a far sentire la voce di donne e uomini, che stanno in carcere e però non sono disposti a diventare delle bestie.
Qualcuno vuole che vada in un carcere duro, dove le donne sono tutte incattivite
Io non giudico le persone. E non so se è stata la signora Franzoni a uccidere suo figlio. E poi, che sia stata o no lei, a me alla fine non interessa. Intanto lei adesso pagherà con il carcere, e sedici anni non sono pochi. E pagherà probabilmente facendosi gran parte di quegli anni di galera. E poi, per quello che mi riguarda, anche se viene domani in questo carcere, non ho problemi con lei. Se mi saluterà la saluterò, se mi rivolgerà delle domande, se chiederà delle informazioni su come funzionano le cose qui, le darò tutte le risposte che sono in grado di darle. Io ho sentito le discussioni che facevano alcune donne, dicendo che lei non merita niente perché ha ammazzato suo figlio, e che poi per fare la furba ha fatto un altro figlio. Qualcuna aggiunge anche che lei non dovrebbe venire qui, perché qui "si sta bene" e lei non merita un carcere come questo di Venezia. La realtà è che questo carcere è tranquillo, ci vengono date molte opportunità, c’è lavoro per tutte, e noi ci comportiamo bene, non facciamo male a nessuno, qui non c’è grande cattiveria e ognuna pensa ai suoi, di problemi. Ci sono però anche donne che brontolano perché sanno che qui nessuno le farebbe davvero del male, e non vogliono che venga qui e che possa stare in un carcere umano, ma vogliono che vada in uno di quei carceri duri, dove le donne sono tutte incattivite e pronte a minacciarla, e in questo modo la possono far soffrire ancora di più. Mentre io credo che la dovrebbero portare proprio qui, perché lei non deve fare pochi mesi ma tanti anni, e allora è giusto che venga messa in un carcere decente. Io poi vorrei ricordare che ci sono detenute che hanno fatto cose anche peggiori di quello che ha fatto lei, ci sono donne che hanno partorito e ucciso il neonato perché non volevano più un altro figlio. Io credo che nessuna possa permettersi di parlar male della Franzoni o di dire che non vuole la Franzoni in cella. Secondo me, dobbiamo stare zitte e ascoltare in silenzio. Noi ci troviamo qui perché qualcosa di male lo abbiamo fatto, e allora nessuna di noi dovrebbe giudicare le altre.
Sara
Sarò io per prima a difenderla
Per me è una cosa schifosa il modo in cui dicono che hanno trattato la madre di Cogne. Adesso che lei è stata condannata, tutti a insultarla. Non capisco. Siamo in galera perché tutti abbiamo combinato qualcosa, chi più e chi meno, e secondo me non è giusto che una persona venga trattata in questo modo. Lei ha già preso la sua condanna, e soprattutto noi detenute dobbiamo dire che la condanna può bastare, che non serve un’altra punizione. Qui si confondono pure i ruoli. Noi siamo detenuti e non possiamo fare anche il lavoro dei giudici. Io non dico di non esprimere la propria opinione, tutti hanno diritto ad esprimere una opinione, ma non è giusto essere noi a emettere sentenze. D’altro canto io credo che una grande responsabilità è anche dei media che, per certi versi, hanno fatto di lei la madre più odiata d’Italia. Sono più di sei anni che la seguono da tutte le parti, e poi ci fanno vedere i dettagli delle indagini, e ancora tutte le udienze del processo. Ed è anche colpa sua, che un po’ si è prestata a questo show televisivo. Ma può essere che sia anche innocente, e qui vorrei stare attenta a non giudicare, anche perché il modo di proclamare la sua innocenza è stato molto strumentalizzato dai media. E adesso è ovvio che in carcere ci siano anche detenuti che minacciano di farle del male. Io, se lei verrà qui, andrò a trovarla nella sua cella e cercherò di metterla a suo agio, le starò vicina perché è una persona come tutte noi. E come noi pagherà con la galera, e se è colpevole si porterà con sé il peso di quello che ha fatto per il resto della sua vita. Anche se credo che lei pensi di essere innocente, e che se ha ucciso ormai ha rimosso tutto dalla sua mente e si è convinta di non averlo fatto. Poi anche i giornalisti, non si capisce cosa vogliono di preciso. Nei loro articoli, da una parte raccontano il suo ingresso in carcere descrivendola come una povera madre strappata ai figli piccoli, poi dall’altra parte parlano di lei come di una madre assassina che ha fatto questo e fatto quello al piccolo Samuele. Quindi qui dentro, dove c’è tanta ignoranza, i detenuti non sanno cosa fare, e allora per tagliar corto cominciano con l’odiarla. Ma se lei viene qui e qualcuno le grida contro, sarò io per prima a difenderla. Lo giuro. E questo lo dico anche a quei giornalisti che si sono messi in televisione a fare i conti su quando la Franzoni uscirà dal carcere. Una ignoranza, la loro, davvero inaccettabile. Ma come fanno a dire con assoluta certezza che uscirà fra tre o quattro anni? Lei potrà andare in permesso premio a metà pena, se però il giudice glielo concederà, e poi uscire un giorno in permesso premio non significa uscire del tutto dal carcere. E la cosa più incredibile è che anche qui dentro molte detenute credono che lei uscirà in tempi brevi e vivono tutto questo come un’ingiustizia, perché loro la galera se la stanno facendo fino in fondo.
Natasha
Se chiedo che la società sia più pietosa con me, non posso essere spietato con gli altri
Con questa lettera voglio esprimere il rifiuto di tanti di noi di essere usati come cani a guinzaglio, pronti per essere scagliati a comando contro altri condannati. Sempre più spesso ci sono giornalisti che danno enfasi alle urla insultanti che alcuni detenuti lanciano contro chi fa reati contro i minori e le donne, e a me invece viene sempre male. La mia non è solo contrarietà, ma anche un profondo senso di disgusto: m’infastidisce questa voglia di protagonismo che hanno spesso certi detenuti e che si traduce nel cercare sempre qualcuno che ha commesso un reato più odioso del proprio e minacciarlo o picchiarlo come se si volesse dire: "Guarda, in fondo c’è qualcuno che è peggio di me". Ma mi disgusta anche sapere che c’è sempre una parte "incorreggibile" della "società per bene" che vorrebbe che noi detenuti fossimo i suoi sicari, o meglio i suoi cani. La gente affettuosa e gentile per avere compagnia a volte tiene un cane, ma la gente maligna il cane lo tiene per aizzarlo contro le persone che sente come una minaccia (i ladri), contro chi disturba (i mendicanti) o semplicemente contro le persone che odia e che non riesce a menare con le mani. Il cane comincia ad abbaiare, e cioè ad offendere nella lingua che conosce meglio. Si avventa contro la persona indicata come pericolosa o come odiata, e se riesce a portarsi vicino, l’azzanna, le strappa via brandelli di carne, e l’odore del sangue lo porta a morderla con più vigore. Allo stesso modo le persone sadiche userebbero volentieri strumenti bestiali per giudicarci e condannarci, aizzerebbero i cani contro chiunque, e quando la loro giustizia fosse fatta, il cane rimarrebbe sempre un cane, un essere da disprezzare quando non serve. Io sono detenuto, però, se la morte di un bambino mi strazia il cuore, oggi trovo ugualmente ripugnante ogni forma di violenza, che sia fatta su donne, su uomini o su bambini, e non voglio essere il cane che diventa strumento dell’odio e punisce a morsi la persona indicata da chi tiene il mio guinzaglio. La signora Franzoni è stata giudicata dalla stessa giustizia che ha giudicato e condannato me. Potrei essere scontento e non condividere l’operato del giudice, ma non potrei mai ergermi a giudice e punire con la barbarie. Questa mia posizione è dovuta, più che al senso dello Stato o al rispetto delle istituzioni, ad un desiderio di essere coerente con me stesso: se sono proprio io a chiedere per me un giudizio più umano e una punizione tale, che permetta di concedermi una seconda chance, allora sarei un vigliacco e non meriterei la compassione di nessuno se, mentre chiedo che la società sia più pietosa con me, io poi diventassi spietato con gli altri.
Elton Kalica
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