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Più attenzione e rispetto per le persone detenute a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 21 settembre 2009
L’ultima morte in carcere è stata quella di un detenuto che aveva iniziato uno sciopero della fame per protestare la sua innocenza, forse innocente non lo era, forse il reato di cui era accusato lo aveva fatto davvero, ma non avrebbe dovuto morire, non si dovrebbe morire così frequentemente in carcere. Per contrastare l’abbandono dei cani, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ha lanciato una campagna di sensibilizzazione della popolazione con questo slogan: "Tu di che razza sei, umana o disumana?" Viene da dire che nel nostro Paese l’attenzione che c’è per i cani è molto superiore a quella per chi sta in galera, eppure in galera ci stanno persone sempre più esposte al rischio di suicidio o di atti autolesionistici.
Assistenza sanitaria è solo un miraggio
Nei giorni scorsi è stata riportata dai mass media la notizia della morte di un detenuto nel carcere di Pavia dopo 40 giorni di sciopero della fame. Eppure la legge prevede che se un detenuto sta facendo lo sciopero della fame o tenta il suicidio deve essere tenuto sotto stretta osservazione. Paradossalmente questa vicenda mi sembra che sia un po’ l’altra faccia della medaglia rispetto al caso di Eluana Englaro, quando la decisione dei familiari di sospendere il trattamento che la teneva in vita e la nutriva forzatamente da anni era stata accolta da buona parte dell’opinione pubblica come un vero e proprio assassinio. Ma allora i detenuti sono forse considerati cittadini di serie B, se per loro non viene usato lo stesso metro di giudizio, e quasi nessuno si preoccupa se uno si lascia morire? O è forse la sanità nelle carceri che non funziona come dovrebbe? Uno dei problemi più gravi che si vivono qui in carcere riguarda le cattive condizioni igienico-sanitarie causate anche dalla mancanza di fondi: scarafaggi nelle celle, mancanza di prodotti per l’igiene, anche dei sacchetti di plastica per i rifiuti, docce insufficienti e fatiscenti. Io ho girato tante carceri e quello che spesso mi ha lasciato stupito e amareggiato è stato proprio l’atteggiamento che ho visto mettere in atto da parte di qualche rappresentante del personale medico e infermieristico nei confronti dei carcerati. Quando mai si è visto fuori che un medico effettui una visita senza nemmeno toccare il paziente? E invece in più di una infermeria di carcere dove sono stato mi è capitato di vedere "diagnosi a distanza". Per non parlare poi della facilità con cui ho visto somministrare una terapia massiccia a base di psicofarmaci, che forse non dovrebbero essere dati così tranquillamente. Alla fine risulta triste dover constatare come il sistema sanitario, che in Italia raggiunge livelli di eccellenza, all’interno degli istituti di pena non sia sempre rispettoso della dignità umana, e nemmeno sempre sufficientemente attento a salvare le vite di chi, stando in galera, ha ben pochi mezzi per difendersi.
Dritan Iberisha
Quella protesta sottovalutata
Il due settembre un detenuto tunisino è morto per il protrarsi di uno sciopero della fame, nonostante i suoi legali avessero inoltrato istanza per la sua scarcerazione, motivando la richiesta con i rischi per lo stato di salute del loro cliente, già debilitato per un precedente infarto. Ciononostante il detenuto é rimasto in carcere. Ritengo che ogni essere umano sia libero di porre in atto anche il gesto estremo di togliersi la vita. Il medico del carcere di Pavia ha dichiarato che "un soggetto già privato della sua libertà, non puoi privarlo della facoltà di poter decidere e quindi di autodeterminarsi". Giusto, la penso anch’io cosi. Quello che penso diversamente dal medico è che forse qualcosa nelle competenze di chi doveva controllare quell’uomo non ha funzionato, perché uno sciopero protratto nel tempo, 45 giorni, con un calo di peso di 21 chili, dovrebbe porre i medici in allarme, più che farli preoccupare di non violare l’autodeterminazione del detenuto. Quello che mi angoscia è che ci sono spesso operatori che pensano che in fondo gli scioperi della fame, l’autolesionismo, i tentativi di suicidio sono tutta una messa in scena per attirare l’attenzione. Ma quel detenuto non disturberà più nessuno con le sue manie di porsi al centro dell’attenzione, perché è arrivato al capolinea. Una vita umana si è spenta, eppure uno sciopero che dura 45 giorni non poteva essere sottovaluto da nessuno, e in modo particolare da un medico, che è responsabile della salute di tutti quelli che gli sono affidati, anche se si tratta di detenuti, o di clandestini. Io non so a chi importa se il detenuto Ben Gargi non avrà più modo di difendersi; se non avrà più la possibilità di migliorarsi, a me però tutto questo importa. Spero importi anche a medici e giudici che in qualche modo hanno deciso del suo destino.
Maurizio Bertani
Quando aumenta la sofferenza
Il direttore degli istituti di pena del Canada ha di recente lanciato l’allarme per i suicidi nelle carceri, perché in due anni si sono uccisi 17 detenuti. In Canada ci sono 38 mila detenuti circa, con un tasso di suicidi che è 4 volte più basso rispetto a quello italiano, e con ciò il responsabile delle carceri ha detto che la situazione è insostenibile, quindi per loro è inaccettabile avere un tasso di suicidi che è 4 volte più basso del nostro. Io credo che prevenire i suicidi sia davvero difficile, ma sono convinto che imparare in qualche modo a "stare in carcere" è fondamentale per evitare conflitti con gli altri detenuti e con l’istituzione, per uscire nel modo migliore possibile dal carcere a fine pena, e soprattutto per rischiare meno di cadere in situazioni che possono portare anche al suicidio. È un’abilità che alcune categorie di detenuti non hanno, non hanno perché in carcere non sono mai state: sono le persone arrestate la prima volta, le persone giovani. Ma anche le persone che vengono da disagi particolari, come i tossicodipendenti, come gli stranieri, arrivano in carcere impreparate. È logico che uno arrivi impreparato a un’esperienza del genere, se è la prima volta che lo arrestano, però questa mancanza di esperienza si rivela spesso fatale, e non a caso i suicidi sono molto più frequenti tra le persone alla prima detenzione e tra le persone giovani. E poi in questi anni la speranza di scontare almeno una parte della pena fuori in misura alternativa si è andata affievolendo in maniera spaventosa. Era proprio quella speranza che ha rappresentato, credo per molti anni, un valido deterrente: oggi invece uno sa che se gli danno 10 anni, dovrà probabilmente scontarseli tutti dentro in galera, spesso senza far niente, in condizioni poco umane. Prima dell’indulto c’erano all’incirca in misura alternativa, in affidamento, in semilibertà, lo stesso numero di persone che erano in carcere, oggi ci sono 64 mila persone in carcere e 9 mila persone in misura alternativa: i detenuti si uccidono di più anche per questo, perché il carcere di oggi è un carcere dove le condizioni sono di maggiore sofferenza e la speranza è venuta meno.
Francesco M.
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