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Riflessioni dal carcere sul "caso Jucker"
Ma qualcuno davvero pensa che un uomo ammazzi la persona che ha comunque, in un qualche momento della sua vita, amato, e poi si freghi le mani soddisfatto per aver preso solo sedici anni di galera?
Stefano Bentivogli - Redazione di Ristretti Orizzonti, 21 gennaio 2005
Da omicidio aggravato ad omicidio semplice per il riconoscimento delle attenuanti che compensano le aggravanti, poi un terzo di pena in meno per il rito abbreviato, da trenta a sedici anni di carcere. Su questa decisione della Corte di Appello di Milano sul caso Jucker si sono aperte perplessità, critiche ed indignazione. Si scopre allora che la giustizia non è una cosa semplice, che non è mai perfetta, che è gestita da uomini che cercano di applicare dei codici interpretandone il senso, che non accontenta quasi mai nessuno. Dietro le sbarre del carcere, sembrerà incredibile, i commenti su questa condanna non sono stati molto lontani da quelli che sono echeggiati fuori, alla televisione e sui giornali. Credo sia lecito e naturale commentare fatti di questo genere, ma chi fa informazione dovrebbe spiegare un po’ di più come stanno le cose. Cos’è per legge, ad esempio, l’incapacità di intendere e volere al momento della commissione del reato? Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di spiegare anche che in alcuni casi, dove tale incapacità viene accertata, l’imputato può venire assolto. Non sarà mai che la Procura di Milano è venuta ad un accordo con la difesa per evitare l’assoluzione? Io non so come sono andate le cose, so però che sono meno semplici di come sono state presentate, di qui l’invito agli organi di informazione ad essere più puntuali: se la pena è troppo lunga o troppo breve è un’opinione che dovrebbe maturare a fronte della spiegazione chiara di come stanno le cose, e non essere precostituita dallo stato d’animo evocato dalla modalità del delitto. Lo stesso vale per gli sconti di pena e per i permessi premio, che in questo caso, come in quello di Omar ed Erika, sono stati un bell’esempio di "disinformazione militante". E invece non c’è traccia di opinioni "maturate" davvero grazie anche a un’informazione attenta e precisa, e si trova invece ovunque quel "comune sentire" che di comune ha soprattutto la frettolosità e la superficialità dei giudizi. Anche a me quella condanna ha fatto riflettere, ma sulla nostra capacità di giudicare un delitto assurdo come l’uccisione di una persona amata. La mente ed i sentimenti umani sono formidabili quanto possono essere terribili, e fare giustizia in termini "contabili" di fronte alla mancanza di senso delle azioni di una persona non sarà mai una cosa semplice. I giudici sono delegati a questo compito. Prima di condannare anche loro, cerchiamo almeno di capire qual è stata la loro valutazione, e chi per lavoro deve raccontare alla gente come sono andate le cose faccia informazione, spieghi, non faccia solo eco alle opinioni, queste se le faranno comunque le persone, a ragion veduta ed informate. La gran parte degli omicidi poi avviene tra le mura di casa, tra persone legate da affetti, e spesso si parla della depressione come causa scatenante. Il continuo e giusto richiamo ad una tutela delle vittime e dei parenti, per i quali nei fatti nessun risarcimento reale è possibile per il danno subito, continua a sovrastare l’osservazione del dilagante disagio mentale che emerge da questi delitti. E’ una realtà che dovrebbe far riflettere seriamente sui nostri stili di vita, sul nostro reale benessere, perché gli esiti rischiano di diventare poi drammatici. Ed è insensato liquidare la faccenda ogni volta con la contabilità penale, fatta troppo spesso senza la minima cognizione di causa. Una considerazione, poi, va fatta su certe affermazioni, che si sono sentite in alcuni telegiornali, in particolare Studio Aperto: "L’assassino ora è felice", "L’assassino è soddisfatto". Ma qualcuno davvero pensa che un uomo ammazzi la persona che ha comunque, in un qualche momento della sua vita, amato, e poi si freghi le mani soddisfatto per aver preso solo sedici anni di galera? Una seconda considerazione è che è abbastanza assurdo fare un’informazione in cui si tratta un individuo, che ha in ogni caso manifestato un pesante disagio psichico, come una persona "normale" assetata di sangue. La terza e ultima considerazione è che ci sono paesi, come la Germania, nei quali la persona incensurata che commette un omicidio viene sì condannata all’ergastolo, ma quella pena viene poi automaticamente ridotta e diventa il cosiddetto "piccolo ergastolo", quindici o al massimo venti anni. La civilissima Germania non pare scandalizzarsi, dunque, dei quindici anni di pena per un omicidio che non abbia a che fare con scelte legate alla delinquenza organizzata, ma sia l’espressione di una mente che ha smesso di "funzionare normalmente".
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