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Essere madri detenute... A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 19 febbraio 2007
C’è una strana mostra di fotografie in questi giorni, al Liceo Tito Livio di Padova, si intitola "Sabati di libertà": i sabati sono quelli dei bambini che, per la legge italiana, possono stare in carcere con le loro madri fino ai tre anni di età, e l’unico tempo davvero libero che vivono è quello dei sabati in cui i volontari li portano fuori. Quelle che seguono sono tre testimonianze di detenute madri: la prima parla del dolore della lontananza dei figli, la seconda della paura della separazione dalla figlia "reclusa", al compimento del terzo anno della bambina, la terza è invece la voce di una giovanissima rom, che si racconta sulle pagine del giornale del Carcere minorile di Casal del Marmo e che fa intuire quanto è difficile, per queste donne, fare delle scelte di vita più consapevoli e allontanarsi da una realtà, che le porta quasi inesorabilmente in galera. La mostra "Sabati di libertà", fotografie di Giuseppe Aliprandi, è organizzata dal Comune di Padova, Assessorato alle Politiche Culturali e dello Spettacolo, dal Centro Nazionale di Fotografia e dal Liceo Tito Livio. Rimarrà aperta fino al 17 marzo 2007, da lunedì a venerdì ore 9/17, sabato ore 9/13.
Quando Emiliana ha compiuto tre anni
Quando Emiliana ha compiuto tre anni, è stato un gran brutto giorno. Il giorno che ha ricevuto l’annuncio di dover "essere dimessa" dal carcere. E infatti è arrivata una carta del Tribunale, che ha decretato quello che Maria, sua madre, temeva più di tutto: l’affidamento della figlia a un istituto o a una famiglia italiana. Un mese prima avevamo parlato con lei, e ci aveva detto: "Quando mi portano via la bambina, divento matta". Succede che gli ultimi mesi di "carcerazione" dei bambini il rapporto tra madre e figlio diventi addirittura morboso: e come non capirlo, con questa separazione incombente, inevitabile e che si consuma ogni giorno un po’? Ma come è stata, la carcerazione di Emiliana? Una vita sempre e solo con donne: agenti, detenute, suore, l’assenza pressoché completa di figure maschili. Alla sera, quando le agenti chiudevano la porta blindata della cella, c’erano le urla perché a Emiliana non piaceva essere rinchiusa. Se succedeva poi che la madre alzava troppo il volume della televisione, la bambina le diceva: "Abbassa, che se no viene l’agente e ti sgrida". E poi le piaceva imitare i gesti di tutti quegli adulti che aveva intorno: anche lei aveva imparato a fischiare e gridare "Terapia!!!" quando lo faceva la suora, che ogni giorno passa e distribuisce le gocce tranquillanti alle donne che non ne sanno fare a meno perché stanno troppo male. Ora che è fuori, la bambina non si è ancora resa conto che questo carcere non è più la sua "casa". Quando arriva per il colloquio settimanale non ha paura del posto, anzi, chiede alle agenti di farla salire nella sua cameretta (che sarebbe la cella che divideva con la madre), chiede di salutare altre detenute con cui aveva instaurato un rapporto affettivo, trova ogni scusa per farsi "arrestare" di nuovo e continua a domandare alla madre: "Perché non mi vuoi più qui con te?". Qualsiasi opinione si possa avere della madre, la realtà è una: la bambina è bene educata, è sensibile, è tranquilla, e gli anni passati in carcere hanno lasciato ferite per fortuna non troppo profonde. E allora è giusto dire che tutto questo è dovuto davvero alla madre, che ha dimostrato grande capacità e amore nell’educare la figlia. Sono tante le domande che noi ci facciamo quando vediamo Maria ed Emiliana, o le altre detenute che stanno al nido del carcere con i loro bambini: E’ possibile accettare finalmente l’idea che una donna che ha sbagliato può essere però nello stesso tempo una madre che ha dato amore e ha saputo crescere bene la propria figlia? E’ giusto spezzare il legame tra una figlia ed una madre, che grazie a questo legame sta trovando l’aiuto e la forza per cambiare la sua vita? Se questa donna perderà la bambina, quale stimolo potrà avere per migliorare se stessa e per continuare a vivere? Il racconto è stato raccolto dalle donne detenute alla Giudecca. Ora Emiliana vive con la madre fuori dal carcere.
Ho perso miei figli ma tornerò e li ritroverò
Che cosa mi sta succedendo, da quando sono in carcere? Nella mia mente, che ora non riceve nessuno stimolo-distrazione esterna, continuano ad affollarsi un’infinità di ricordi, e spesso mi tormento con i sensi di colpa, io mi do sempre la colpa. Luca l’ho lasciato con 4 denti e non camminava ancora, ora parla. Al telefono ride e dice ciao, a tutti i bambini piace giocare con il telefono e sentire chi parla, sento la voce di mia madre che lo invita a dire "ciao mamma", ma lui dice solo ciao: del resto, come può chiamarmi mamma se non sa chi sono, e la sua mamma ora è la nonna? Matteo invece non mi vuole neppure salutare, è offeso, si sente ingannato. Quando mi hanno portata via a lui che piangeva disperato in braccio alla nonna gli ho detto che tornavo presto. Le prime volte che lo sentivo al telefono piangeva e mi diceva: "Vieni tu"; anche un mese fa all’ultimo colloquio è stata la prima cosa che mi ha chiesto: "Vieni a casa?". Gli ho detto che "la mamma deve stare ancora un poco qui, ma poi viene a casa, presto". Non mi ha detto niente ma nei suoi occhi ho letto la delusione, ha solo 3 anni. Piangendo rivedo Lara quando al primo colloquio dopo tre mesi che non la vedevo mi ha detto: "Resto con te"! "Non puoi". "Perché?". E non potevo più risponderle, due agenti mi stavano portando via. Anche lei non aveva ancora tre anni e io so che qualcosa le si è spezzato dentro: lei mi vuole bene, ma nello stesso tempo mi respinge, ha sofferto troppo, si difende. Andrea, il mio bambinone, sempre allegro ma anche tanto fragile. Quando mi hanno arrestato, in caserma l’ho allattato l’ultima volta, lui si era addormentato e quando si è risvegliato io non c’ero più. Io vivevo in simbiosi con i primi due, per i miei genitori i primi mesi sono stati drammatici. Li vedevo poco, sono lontani, il viaggio è stressante per tutti, ci sentiamo al telefono e quando chiedo "Cosa fate? raccontami qualcosa", mi rispondono "Il solito". Già, il solito... Che posso dire del rapporto con i miei figli? Che al momento sono "perduti", ma dico al momento perché tornerò e li ritroverò. Giuliana adesso è fuori, in famiglia: lei è una delle poche che, finora, hanno usufruito della legge sulle detenute madri, che dà la possibilità alle madri detenute di scontare parte della pena in detenzione domiciliare.
Essere mamma nonostante tutto
Quando sono uscita dal carcere sono rimasta a casa sette mesi, poi io e mio marito siamo andati a Firenze dove andavo a rubare. Siamo rimasti a Firenze venti giorni poi siamo andati ad Ancona, dove siamo rimasti per un mese. Poiché non mi veniva il ciclo ho fatto il test di gravidanza e sono stata contenta quando mi hanno detto che aspettavo un bambino. Sono andata dal dottore per essere sicura che ero incinta e poi siamo ritornati a Roma. Sono rimasta chiusa in casa a Roma fino a quattro mesi, poi sono tornata a rubare fino a quando non ho partorito. Quando sono andata a fare l’ecografia mi hanno detto che era maschio, ma al momento del parto ho visto che era femmina. Sono rimasta molto delusa e ho pianto. Un po’ dopo però sono stata contenta lo stesso e così anche mio marito. Ho fatto la festa di battesimo con la musica slava, è stata una grande festa e siamo rimasti al ristorante fino alle cinque del mattino. C’erano circa cinquanta persone. Mia figlia era molto piccola e io avevo paura di tenerla in braccio. Aveva nove giorni e mio marito mi diceva "Stai attenta alla bimba, se no le fai male!". Ma io avevo lo stesso paura. Quando ha compiuto un mese non avevo più paura. Per la verità non me l’aveva detto nessuno su come dovevo fare con la bimba, poi ho imparato e adesso so fare veramente la mamma. Mia figlia si chiama Alissa, è nata il due febbraio 2004. Ma ora soffro di più a stare in carcere perché sento la sua mancanza.
Vasvija
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