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Smorzare i toni e mediare i conflitti A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 12 maggio 2008
Dell’omicidio di Verona si è parlato molto anche in carcere, forse anche con maggior stupore che fuori, nel mondo libero, perché persone che la violenza l’hanno usata, e hanno commesso reati anche pesantissimi, faticano ancora di più a capire che cosa significa ammazzare per "futili motivi". Ma forse proprio questi "futili motivi" ci devono spingere a ragionare su un mondo, dove la violenza e l’odio sembrano diventati una componente fondamentale della vita quotidiana, e spesso l’informazione e la politica contribuiscono a rafforzarli, invece di lavorare per smorzare i toni e mediare i conflitti.
Quando vittima e autori di reato sono italianissimi
Uccidere a calci e pugni un giovane, per noi che stiamo in galera, è un reato grave come tanti altri, ma farlo solo "per svago" è una cosa che lascia sbalorditi, anche se è vero che qui ci sono tanti che hanno ucciso, ferito, rapinato, sequestrato, scippato, fatto violenza. Spesso però dietro a questi atti c’è un motivo, che di certo non li giustifica, ma in qualche modo li spiega, come la necessità di denaro e di stupefacenti. Mentre sentire di cinque persone che massacrano un altro non per soldi, non per vendetta, non per gelosia ma "per svago", ha scioccato anche i più feroci criminali. Ci sono delle persone che vogliono cercare le ragioni di simili atti in una generazione di giovani viziati, che hanno tutto e allora si inoltrano nella violenza per uscire dalla noia. Io invece credo che questo episodio abbia poco a che fare con il fenomeno della violenza che si sta diffondendo soprattutto tra i giovani benestanti e annoiati. Forse una causa importante potrebbe essere il clima di paura che media e politici hanno accentuato enormemente, magari per spingere le persone a votare quelli che promettono ordine e repressione. Noi stiamo in cella venti ore su ventiquattro e, stesi in branda, non facciamo altro che guardare la televisione. Ebbene, l’idea che ci siamo fatti è che là fuori ci sia la terza guerra mondiale. Ci sono bande di albanesi che assaltano le ville, bande di romeni che violentano le donne nelle periferie, bande di zingari che borseggiano ad ogni stazione di autobus, bande di marocchini che spacciano ad ogni angolo delle città. Insomma, minacce alla propria incolumità fisica dappertutto, in casa, per strada, a scuola o al lavoro. Mentre persone, che si reputano autorevoli, continuano a dichiarare che lo Stato non protegge, che la polizia non arresta, che i magistrati non condannano, diventando così artefici della propagazione di paure collettive e xenofobia. E spuntano fuori sempre più spesso personaggi che inneggiano alla violenza e al farsi giustizia da sé e che si mettono a capo di gruppi di giovani che fanno dell’essere italiani un motivo di superiorità, e girano le città a caccia di stranieri o di senza fissa dimora. Non ci si deve allora sorprendere se poi quei giovani, spaventati da una realtà distorta, gasati dal mito della superiorità razziale, ubriacati dal senso di impunità, hanno finito per massacrare un ragazzo che per una volta non aveva la pelle di colore nera, non aveva l’accento di un cittadino dell’est europeo, ma era della loro stessa razza padana.
Elton Kalica
Non fate come noi, che siamo dovuti entrare in carcere per capire che la vita umana è preziosa
Succede sempre più spesso che, quando un romeno uccide o violenta, tanti pensano che non è solo lui il criminale, non è solo lui il mostro da condannare, ma tutti i romeni, qualche volta anche tutti gli stranieri. Mentre se a compiere un orribile crimine è un italiano, allora le cose cambiano un po’, e si cerca tante volte di minimizzare i fatti dicendo che si tratta di ragazzi incoscienti, episodi isolati, giovani disadattati. Mi domando perché nessuno dimostra un po’ di coerenza e tratta anche questi reati con la stessa durezza e generalizzazione con cui si trattano i crimini commessi dagli stranieri. Oppure si ammetta una volta per tutte che italiani e stranieri siamo uguali, sia in dignità e in diritti, sia quando mettiamo in atto crimini orribili. Io sono albanese e mi trovo in galera da molti anni. Ho commesso un reato grave causando dei danni a questa società e per questo ho ricevuto la mia condanna, ma non mi sento assolutamente rappresentativo di tutti gli albanesi, così come sono sicuro che nessun criminale romeno, russo o magrebino rappresenta il proprio popolo. E nello stesso modo sono convinto che chi ha massacrato quel ragazzo non rappresenta gli italiani, semmai esprime le idee e la malvagità di qualche gruppo, spinto a volte da ideologie politiche, ma non è certo rappresentativo della vera faccia di questo paese, che spesso ha dimostrato e continua a dimostrare di essere anche accogliente, umano e rispettoso degli immigrati. Soprattutto, io credo che quelle persone che hanno massacrato di botte un ragazzo a Verona, solo per far vedere a se stessi che loro sono degli italici duri e puri, che sono una razza superiore, sono semplicemente dei delinquenti, esattamente come gli stranieri che spacciano nelle piazze o che scippano o rapinano, e ai quali loro si vantano di dare la caccia. E allora, dopo l’episodio di Verona, da parte di tutti è necessario dimostrare più onestà e, quando si assiste ad una ronda che prende a bastonate un emigrato, è assurdo che qualcuno cerchi giustificazioni, magari facendo distinzioni tra immigrati che lavorano e immigrati delinquenti, perché non c’è bisogno che qualcuno muoia per rendersi conto che usare violenza è sempre e comunque sbagliato. E ancora meno c’è bisogno di fare come noi, che siamo dovuti entrare in carcere per capire che la vita umana è preziosa quanto delicata, e se ci si fa prendere da sentimenti di odio è facile annientare le vite delle persone in modo irreversibile.
Pierin Kola
Cinque contro uno: una brutalità che non ho visto mai, nemmeno in galera
Mi trovo in un reparto di media sicurezza del carcere di Padova, che ospita detenuti comuni, di ogni provenienza e condannati per i reati più diversi. Qui non ci sono tante regole, e più di una volta vige quella del più forte, che significa che capita pure che ci siano scontri o manifestazioni di violenza, ma una brutalità come quella di Verona, dove cinque persone hanno massacrato un uomo indifeso, non si vede mai accadere nemmeno in galera. Però questa cosa mi fa pensare a un vecchio principio che gira un po’ in tutte le carceri italiane. Mi riferisco all’orrore e alla ripugnanza con cui i detenuti vedono i reati commessi contro i bambini e le donne. Succede spesso, soprattutto nelle carceri del sud, che se uno ha fatto del male ad una donna, viene isolato e protetto perché potrebbe essere picchiato dai detenuti. Il principio che sta alla base di questo fenomeno è che il reato peggiore, davvero inaccettabile, è uccidere o violentare una donna o un bambino, perché loro sono indifesi e chi ne abusa non è un uomo degno di tale nome. Ho cercato di vedere la scena dell’omicidio di Verona per capire come ha potuto ripararsi dalla violenza una persona contro cinque e davvero non riesco a immaginare quante possibilità di difesa ha avuto. Come si fa a proteggersi da calci e pugni che ti colpiscono ripetutamente? Come si fa a sostenere che un uomo può sempre difendersi? È ovvio che questo assurdo luogo comune che gira per le galere non ha alcun fondamento, perché quando si picchia, si accoltella, si spara o si sequestra, la vittima è sempre una persona debole alla quale non viene data la possibilità di difendersi, che sia donna oppure uomo non cambia molto. Ma la cosa ancora più incomprensibile è che questa distinzione si fa anche da parte della società libera, che di fronte a episodi di violenza commessi su bambini o donne continua spesso a dire "Tanto ci pensano i detenuti a fargliela pagare davvero". E allora cerchiamo di ragionare, sia qui in galera che là fuori. È inutile dire che quella persona deve morire perché ha fatto del male a una donna o a un bambino, mentre quell’altra si può recuperare perché ha fatto del male ad un uomo. Noi non riusciremo mai a capire fino in fondo che la violenza è orribile sempre, se ci accorgiamo che anche fuori, nel mondo libero, si fanno delle graduatorie, e la violenza è inaccettabile su un bambino e una donna, però diventa quasi giusta se usata per farsi giustizia da soli, al punto che in tanti "legittimano" i detenuti che pestano i pedofili. I fatti di Verona dovrebbero insegnarci che la violenza è orrenda sempre, chiunque sia la vittima.
E. P.
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