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Quelle mamme che hanno conosciuto la galera a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti
Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 10 novembre 2008
Il carcere devasta la vita di intere famiglie. Perché certo piacerebbe a tutti pensare che in galera ci stanno delle bestie feroci, ma la realtà è sempre più complicata: in carcere ci finiscono non alieni, ma esseri umani, che prima del reato avevano una vita, una famiglia, dei figli. Le testimonianze che seguono sono di tre donne, anzi di tre madri detenute, e tutte e tre riguardano quello che è, paradossalmente, il momento più difficile: il ritorno a piccoli passi in libertà, il rientro in famiglia, il lento e faticoso lavoro per ricucire il rapporto con i figli. Una "ricucitura" che per loro è stata possibile perché il passaggio dal carcere alla vita libera è stato un percorso graduale, non lo shock della libertà tutta d’un colpo.
Il ritorno dalle mie figlie… un ritorno alla vita
Il rientro a casa in detenzione domiciliare, grazie alla legge delle detenute madri, io l’ho inteso come un ritorno alla vita o una rinascita accanto a chi amo e a chi mi ama, accanto a chi ha sofferto per tanti anni. I primi giorni mi sentivo "inadeguata", fuori luogo, come se stessi "usurpando" le abitudini che mio marito e le mie figlie si erano creati per sopravvivere. Comunque la mia paura è scomparsa presto, di fronte al loro sospiro di sollievo! Tutti e tre mi gironzolano intorno come le api con il miele, mi riempiono di attenzioni, mi rendono partecipe a ciò che fanno. Ma "ci vorrà tanta pazienza... non sarà tutto rose e fiori..." queste sono state le parole della suora quando sono uscita dal carcere... e devo darle ragione! le bambine mi puniscono molto spesso per la mia assenza, con una sottile, pungente ma spontanea frase che ricorre spesso "...perché quando tu ci hai lasciate sole con babbo...", quasi sempre la loro è una reazione ostile ai rimproveri che, come mamma, ho ripreso a fare loro ogni volta che combinano marachelle che vanno corrette e va spiegato il perché non si fa una data cosa! Sono brave, ma quando sentono la necessità di dovermi ricordare "che io non ci sono stata per tre anni e tre mesi", allora lì è tremendo, ma so che è necessario che loro sfoghino il loro risentimento per tutto ciò. Credo sia un’arma di difesa, hanno ancora paura che io vada via e che i carabinieri mi portino "in quel posto antipatico"... è così che descrivono il carcere! Certamente se non fossi tornata a casa sarebbe stata una tragedia. Negli ultimi tempi manifestavano il dolore per la mancanza della mamma con tic facciali, aggressività e pianti notturni, paura della morte. Mi ha raccontato mio marito che di notte si svegliavano spesso piangendo e dicendogli: "io non voglio che anche tu muori!". Purtroppo spiegare queste cose è difficile e se siamo noi mamme detenute a raccontarle è ancora peggio, potrebbe apparire un tentativo squallido di sfruttare la figura del bambino per i propri scopi, motivo per cui ho sempre evitato, durante i colloqui con gli operatori, di entrare in certi particolari drammatici... Mai avrei potuto utilizzare le mie figlie come strumento di facile uscita dal carcere, ma credo che la legge delle mamme detenute, oltre a dare un senso alla vita di una donna che ha sbagliato e che con la maternità può esprimere nel migliore dei modi il reinserimento nella società e l’impegno nel prendersi cura di una vita che cresce, sia un atto dovuto al bambino, il quale non può capire né sapere, specialmente nei primi anni della sua vita, quanto sia grande il prezzo da pagare della sua mamma! il bambino esige la madre, esige la sua figura, la sua presenza... e questa è una delle più severe leggi della natura.
F.
Pesa più la condanna di un figlio che quella del giudice
Aveva 15 anni Giulia quando mi hanno arrestata. Nel pieno dell’adolescenza. Mi ha visto due volte nei primi due anni e mezzo - ero nelle galere tedesche - e, quando ha potuto venire regolarmente a trovarmi alla Giudecca, di anni ne aveva ormai quasi 18. Ricordo che in carcere non tanto mi pesava la condanna del giudice - sono una persona che si prende le proprie responsabilità - quanto il giudizio di mia figlia, era lei che, pagato il mio debito con la società, sarebbe stata in credito con me per il resto dei suoi giorni, era lei che avevo fatto soffrire di più "strappandole", con il mio comportamento illegale, l’unico genitore che le era rimasto dopo la morte precoce del padre. Quando mi è stato concesso l’affidamento ai servizi sociali, dopo sei anni e mezzo in carcere, sono stata per qualche mese a casa dei miei genitori, dove vive anche mia figlia. Sapevo perfettamente che sarebbe stato difficile per tutti, soprattutto per lei: un elemento esterno che arriva a minare tutti gli equilibri familiari. E che elemento! Una madre che ha "abbandonato" la figlia, che è ancora impregnata di carcere, una persona che dopo anni si trova a gestire cose che non è più sicura di saper gestire, se mai l’ha saputo fare. E infatti quei mesi credo siano stati un incubo per mia figlia. Per me sono stati confusione totale perché avevo troppe cose che non sapevo più gestire. Poi è iniziato un lento percorso di riavvicinamento il cui punto di partenza è stato il mio uscire di casa. Sembra assurdo ma è così. Il mio andarmene ha riequilibrato la famiglia, ha fatto vedere a mia figlia che sua madre "sa farcela", le ha fatto capire che, anche se non sono la migliore delle madri, sono una persona che sa mettersi in discussione, che sa "rinunciare" a lei se questo la fa stare meglio. Infatti, da quel momento Giulia ha iniziato a cercarmi, a chiedermi di venire a cena con le sue amiche, quasi a voler condividere il tentativo di conoscermi, quasi a voler dire alle amiche "ecco, anch’io ho una mamma, che ve ne pare?". Io, come mi aveva detto la psicologa del carcere con la quale parlavo di me in rapporto alla mia capacità di essere madre, sono rientrata nella sua vita "in punta di piedi", ma questo è stato possibile solo dopo che ero andata via da casa dei miei genitori, perché "in punta di piedi" significa appunto non invadere, essere presente solo quando il figlio te lo chiede. Ora io ci sono quando lei vuole che ci sia. A 22 anni ha un lavoro, un sacco di amici, è chiaro che preferisca trascorrere il tempo con loro che non con me! Ogni tanto mi invita a pranzare insieme o mi chiede se posso aiutarla in qualche cosa in cui sa che sono più abile di lei. Tutte scuse! So che quelli sono i momenti in cui ha voglia di stare con me e tutto quello che posso e che devo fare è di esserci con tutta me stessa, con tutto il mio amore, ma soprattutto di non aver alcuna egoistica pretesa verso di lei.
Paola
Hanno pagato più i miei figli di me
Anche se cerco di dimenticare il passato non posso! Mia figlia aveva tre anni e mezzo ed era con me, quando sono venuti i carabinieri a portarci in questura. Io non credevo che tutto questo stava capitando a me. Ero stata per alcuni anni in Italia la compagna di un mio connazionale, ricco e invischiato in traffici illegali, però lo avevo lasciato, ero scappata in Francia, ma quando sono tornata in Italia mi sono trovata addosso una pesante condanna in contumacia. Mi sembrava un brutto sogno, e invece era realtà. Una realtà che è durata troppo a lungo, perché essere lontano dai figli è sempre troppo lungo, anche se si tratta di pochi giorni. Immaginiamoci se si tratta di cinque anni! E anche oggi, dopo anni, sento la voce di mia figlia che piangendo mi supplica di non lasciarla. Era troppo piccola per capire cosa stava succedendo e sicuramente nella sua testa ero io che la stavo abbandonando. Penso che quello che mi è successo l’abbiano pagato più i miei figli di me, soprattutto la mia bambina, che era piccolissima. I miei genitori l’hanno cresciuta con amore, però tutti gli altri bambini hanno avuto mamma e papà, lei solo i nonni. Quando sono tornata dal carcere Heleni mi ha detto: "Mi sembra di non averti più visto da molto più di cinque anni". Heleni ha 8 anni e mezzo. Cosa significa la sua frase? Che è come se non mi avesse mai conosciuta?, che è come se mi avesse dimenticata? Che, velatamente, voleva comunicarmi che io non c’ero per niente, non esistevo nella sua vita? Il mio rientro a casa l’ho sognato per cinque anni. Posso dire che è stato bello, anche se ne ero terrorizzata. Per primo ho visto mio figlio che, essendo all’università, non vive con i nonni e la sorellina. Siamo stati a pranzo insieme e io gli ho detto:" Tu chiedimi tutto quello che vuoi sapere e io ti dirò la verità". Abbiamo parlato e mi sono sentita molto rasserenata. Lui è una persona adulta e ho dovuto imparare a considerarlo come tale. Con la piccola è stato più semplice perche lei voleva a tutti i costi la sua mamma, anche se in attesa del mio ritorno era dimagrita e molto nervosa. Credo che anche lei non ne potesse più della mia lontananza. Penso che se una persona sbaglia sia giusto che paghi. Quello che non trovo giusto è che altri, innocenti, paghino altrettanto o forse più del reo. Si dovrebbe trovare il modo di evitargli per quanto possibile delle sofferenze inutili. Io vedo che a mia figlia manca sicurezza e penso che l’unico motivo è che è cresciuta senza di me, e che forse, se mi avessero dato la possibilità di vederla di più, l’avrebbero aiutata a crescere un po’ più serenamente".
Natasha
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