Salviamo la Gozzini: 29 luglio 2008

 

Disegno di legge Valditara, nuovo attacco alla legge Gozzini

di Sandro Padula

 

Liberazione, 29 luglio 2008

 

Dopo il disegno di legge Berselli-Balboni (623), su cui discuterà la Commissione Giustizia del Senato dopo la formale assegnazione avvenuta in questi giorni, un altro disegno legislativo punta a trasformare in senso restrittivo la “legge n. 354 del 1975” (riforma carceraria e successive modifiche), oggi comunemente chiamata legge Gozzini.

Si tratta del ddl 636 del senatore Valditara (An-Pdl) che, secondo la sua stessa presentazione, “mira, nell’assoluto rispetto della dignità dei condannati e nella consapevolezza dell’esigenza di garantire ad essi un adeguato percorso verso un’effettiva rieducazione, a rendere meno aleatoria la pretesa punitiva, nella consapevolezza dell’esigenza di non veder totalmente vanificata la portata dissuasiva delle condanne”.

In estrema sintesi, vediamo di cosa si tratta.

Il ddl Valditara prevede col suo primo articolo una misura già esistente di fatto, quella per cui, ai fini dell’accesso dei condannati ai benefici (lavoro all’esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione), siano “adeguatamente valutate le comunicazioni dell’autorità di pubblica sicurezza dirette a segnalare la sussistenza di oggettivi elementi di pericolo per coloro che furono vittime di detti reati”.

Propone inoltre le seguenti modifiche: la possibilità di subordinare la concessione dei permessi premio all’accettazione, da parte del condannato, di diventare una specie di appendice di particolari sistemi di tele-controllo come il braccialetto elettronico (articolo 2); l’innalzamento da 10 a 16 anni di carcere prima che un ergastolano possa chiedere un permesso premio (articolo 2); la possibilità per il tribunale di sorveglianza di stabilire che l’affidamento in prova (articolo 3 ) e la detenzione domiciliare speciale (articolo 4) siano misure osservate anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici; la soppressione della possibilità, in relazione all’articolo 50 e nei casi previsti dall’articolo 47 della legge 354 del 1975, di ottenere la semilibertà anche prima dell’espiazione di metà della pena detentiva.(articolo 5); l’innalzamento da 20 a 24 anni di carcere prima che un ergastolano possa chiedere la semilibertà (articolo 5); il divieto di concedere la semilibertà agli ergastolani recidivi e ai condannati per certi delitti (previsti al comma 1 dell’articolo 4 bis) i quali risultino recidivi o abbiano commesso reati di qualsiasi genere durante la semilibertà (articolo 6); l’obbligo di adeguate valutazioni dell’autorità giudiziaria al fine di revocare il provvedimento della semilibertà qualora provengano segnalazioni ostative al beneficio da parte dell’autorità di pubblica sicurezza (articolo 7); il divieto di concedere i giorni di liberazione anticipata (45 per semestre), cosa questa per la verità già esistente, qualora il direttore dell’istituto penitenziario o il provveditore regionale “comunichino al magistrato di sorveglianza territorialmente competente la mancata partecipazione del condannato all’opera di rieducazione” (articolo 8); l’impossibilità di ottenere la detenzione domiciliare speciale per chi “sia stato condannato per i reati di cui agli articoli 564, 600-bis e 600-ter del codice penale”, cioè rispettivamente per incesto, prostituzione minorile e pornografia minorile. (articolo 9). il blocco preventivo o la sospensione dei benefici (lavoro all’esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione) a persone “nei cui confronti si procede”, come se un accusato sia colpevole prima di una sentenza, “o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni” che avrebbero commesso un reato durante la fruizione di uno di quegli stessi benefici (articolo 9).

Fatte queste precisazioni per dovere di cronaca, il problema adesso è quello di valutare il ddl Valditara in maniera complessiva.

Il ddl 636 si basa su questo ragionamento. Alcuni recenti casi di cronaca avrebbero visto “soggetti in espiazione della pena commettere, non appena ammessi a fruire dei benefici previsti dalla legge penitenziaria, nuovi e spesso gravi delitti”. Ritenendo che i responsabili di quei delitti spesso gravi avrebbero beneficiato della legge Gozzini, si giunge alla conclusione che tale legge dovrebbe essere trasformata in senso restrittivo.

Anche qui, come nel ddl 623, non si forniscono dati statistici e, come al solito, si rischia di fare di tutta un’erba un fascio, addirittura confondendo fra loro diverse leggi dello Stato.

Il ragionamento di Valditara sarebbe infatti giusto e coerente solo se fosse riferito ai recidivi che hanno beneficiato della legislazione a favore dei “pentiti”.

Gli episodi più gravi di recidiva (con omicidi, stupri e super spaccio di droghe pesanti) non sono stati realizzati da persone che usufruivano dei benefici della legge Gozzini. Sono stati compiuti da persone che usufruivano della legge a favore dei “pentiti” (vedasi l’articolo di Gian Marco Chiocci intitolato “Per lo Stato ufficialmente redenti ecco i pentiti con licenza d’uccidere” su Il Giornale del 10 luglio 2008). Quindi, logica vorrebbe che, invece di peggiorare la legge Gozzini, si criticasse finalmente la legge a favore dei “pentiti”.

Qui non è in discussione la buona fede del senatore Valditara, che almeno a parole vorrebbe difendere la dignità delle persone detenute. Qui viene criticato il presupposto del suo disegno di legge.

Non si centra infatti il bersaglio della lotta alla recidiva prendendo di mira i diritti acquisiti dai detenuti, peggiorando la loro situazione e ficcando altri chiodi nelle mani di chi sta già nella croce afflittiva e antieuropea chiamata “fine pena mai”.

La recidiva è del 69% per chi si fa tutta la galera senza usufruire di misure alternative al carcere; è del 19% per chi, prima della fine, ottiene gradualmente tali misure alternative; raggiunge infine la cifra irrisoria dello 0,24 % fra i “semiliberi”.

Di conseguenza, come dimostrano questi inconfutabili dati statistici, si centra l’obiettivo della lotta alla recidiva solo ampliando i benefici a favore della popolazione detenuta e promuovendo adeguati percorsi finalizzati al reinserimento sociale.

 

Intervento degli Assistenti Sociali dell’Uepe di L’Aquila

 

Come operatori che per anni abbiamo lavorato nel settore penitenziario e nell’esecuzione penale esterna non possiamo non esprimere preoccupazione per ipotesi di modifiche legislative che vanno a cancellare l’ordinamento penitenziario vigente.

La normativa attuale, che ha consentito a molti condannati di seguire un percorso di responsabilizzazione e di accompagnamento verso il reinserimento sociale, ha permesso di ridare speranza a chi ha sbagliato, ma anche di creare presupposti utili a prevenire la ricaduta nel reato.

Ogni opportunità di crescita personale e di ricostruzione di legami familiari e sociali contribuisce a sottrarre la persona condannata all’emarginazione sociale e ai circuiti di devianza, solo un impegno in tal senso crea reali presupposti per prevenire la recidiva, nell’interesse di tutto il contesto sociale.

Auspichiamo che si valutino attentamente i dati resi noti dal Dap sull’andamento delle misure alternative, i quali consentono non solo di riscontrare come l’amplissima percentuale di misure si concludono con esito positivo, ma anche la sostanziale riduzione della recidiva fra coloro che ne hanno fruito rispetto a coloro che hanno scontato l’intera pena in carcere.

Purtroppo nei mass-media viene dato molto risalto a singoli episodi negativi che hanno coinvolto qualche soggetto in misura alternativa, ma non è dato spazio per far conoscere gli esiti positivi delle misure alternative e più in genere dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario (permessi-premio, liberazione anticipata, etc..).

Pensiamo che certezza della pena non possa significare semplicemente certezza del carcere, togliendo alla pena ogni funzione rieducativa.

Forse sarebbe utile anche valutare che molto spesso accedono alla misura alternativa persone che scontano condanne divenute definitive dopo molti anni dalla commissione del reato, nel frattempo, grazie all’impegno proprio e dei familiari, hanno ricostruito una situazione di normalità ed impedire la fruizione di un beneficio equivarrebbe a devastare quello che di positivo si è costruito e riportare la persona a rischio di marginalità e devianza.

D’altra parte giova sempre ricordare che l’accesso alle misure alternative non è automatico, ma viene disposto dalla Magistratura di Sorveglianza dopo un’attenta valutazione del singolo caso, purtroppo troppe volte nel parlare comune, ma anche nella stampa si descrive l’applicazione della misure alternative come un fatto automatico, ignorando il lavoro di raccolta di informazioni, di reperimento di risorse, di valutazione che viene effettuato prima della concessione della misura. Il presente documento esprime l’auspicio che venga tutelata la Legge Gozzini.

 

Firmato da tutti gli Assistenti Sociali Uepe L’Aquila

Aloisi Alessandra

Giangiacomo Gabriella

Insardi Anna

Tunno Luana

Zimar Anna Maria

 

Adesioni all’appello pervenute oggi

 

Aloisi Alessandra, Giangiacomo Gabriella, Insardi Anna, Tunno Luana, Zimar Anna Maria (Assistenti Sociali Uepe L’Aquila)

Vittorio Sammarco, giornalista e Coordinatore Regionale Lazio del Movimento politico dei Cristiano sociali

Leonora Raffaelli

Alberta Guerra

 

 

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