Salviamo la Gozzini: 1 agosto 2008

 

Chi cancella la Gozzini non troverà sicurezza

 

Vita, 1 agosto 2008

 

Analizzando il disegno di legge Berselli-Balboni sembra ormai prevalsa l’idea che i benefici introdotti dalla legge Gozzini siano nella realtà misure alternative alla pena e che un condannato, tra permessi, sconti e altri vantaggi, finisca per non scontare la propria colpa.

Invece la legge numero 663 del 1986 ha riformato l’Ordinamento Penitenziario cercando di renderlo più vicino ai principi contenuti nella Costituzione e all’art. 27, terzo comma, dove si dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

L’obiettivo deve essere il recupero del condannato e non la sua cancellazione dalla società civile. È dimostrato: un condannato recuperato e reinserito pienamente e produttivamente nel tessuto sociale non delinque più e torna a una vita normale, cessando di costituire un pericolo per la sicurezza e un costo da sopportare per la collettività (oltre 100mila euro l’anno, 300 euro al giorno, oltre 1 miliardo di euro l’anno ogni 10mila detenuti!). Da questo punto di vista il recupero è in funzione, e non in alternativa, alla sicurezza, con cui anzi coincide pienamente.

Perciò le misure alternative e i permessi, se correttamente applicati, vanno visti come una possibilità di rieducazione e reinserimento, essendo peraltro in alcuni casi più punitivi della stessa pena detentiva poiché contengono aspetti anche umilianti (il ritorno in carcere tutti i giorni, le ispezioni notturne delle forze dell’ordine, le firme in questura etc.).

 

Cui prodest?

 

Il disegno di legge in questione va invece nella direzione opposta alla rieducazione, mirando solo alla repressione e all’inasprimento delle pene e rendendo molto più difficile la possibilità per un detenuto di avvalersi delle misure alternative o dei permessi, addirittura eliminando alcune possibilità (una su tutte: la semilibertà per gli ergastolani dopo vent’anni di reclusione). Ma in tal modo si toglie ai condannati anche la speranza di una prospettiva di vita, demotivandoli e azzerandone l’interesse a mantenere una buona condotta, perché se la possibilità di riscatto è molto lontana nel tempo o addirittura inesistente non rimarrà che l’istinto di sopravvivenza. A chi serve tutto questo? Alla società no di sicuro.

 

Il lavoro come chiave di volta

 

Invece elemento inscindibile dalla sicurezza rimane il recupero dei condannati, innanzitutto attraverso lo strumento principale di rieducazione costituito dal lavoro. Ricordiamo che come stabilito dall’art. 20, comma 2, della legge 354/1975 (Ordinamento Penitenziario) il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato e l’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera, al fine di far acquisire ai detenuti una preparazione professionale adeguata, per agevolarne l’inserimento sociale.

Il detenuto deve essere avviato al lavoro non tanto per essere sottratto all’ozio avvilente, quanto perché il lavoro è un dovere sociale, è un diritto costituzionale nonché un essenziale strumento di rieducazione e di reinserimento, con notevoli vantaggi anche di ordine psicologico e sociale, oltre che economico.

Per porre rimedio alla carenza di opportunità di lavoro, l’amministrazione penitenziaria è chiamata ad agevolare con sempre maggior impegno le iniziative che provengono dalla società libera, nello spirito del principio di sussidiarietà oggi sancito dalla Costituzione, attivando strategie più adeguate e più proficui collegamenti con l’esterno, direttamente con il mondo del lavoro e con le istituzioni.

Purtroppo da oltre un ventennio poco o niente è stato fatto in questo senso, ma anzi grazie alla disinformazione sistematica oggi è tutto molto più difficile, il sistema è “incancrenito” e non sarà facile trovare una soluzione a breve termine. Sicuramente va valorizzata la figura del Magistrato di sorveglianza, ruolo di ardua complessità e di estrema delicatezza che la legge ha istituito con il compito di recuperare persone che hanno sbagliato e per il quale il cuore di qualsiasi persona che si dica tale desidera che riesca nello scopo nella maniera più efficace.

Riteniamo perciò che per un corretto approccio al problema della sicurezza, che esiste ed è urgente (anche se il dato percepito è sicuramente superiore al dato reale), un moderno Stato di diritto non possa prescindere dall’affrontare in modo sistematico il tema del lavoro con i detenuti, nelle due ipotesi del lavoro all’interno e all’esterno del carcere.

Non è il momento né il caso di fare confusione tra sicurezza sociale, certezza della pena e funzione del carcere. Solo perché in questi decenni nessuna istituzione ha saputo affrontare il problema in modo efficace, allora si scarica tutto sul sistema carcerario.

È ovvio per tutti che chi sbaglia deve pagare. Lo diceva tanti anni fa un certo Sant’Agostino: “lasciare impunito il colpevole è una crudeltà, perché toglie a chi ha sbagliato la possibilità di correggersi”. Ma, proseguiva Sant’Agostino, “la pena non deve avere il carattere di una vendetta, né di un’incontrollata scarica emotiva, ma di un atto di ragione commisurato al duplice fine: della conservazione della società e della correzione del colpevole. Nella proporzionalità sta la giustizia della pena.

 

Intervento dell’Associazione Culturale Papillon-Rebibbia

 

Pervenutaci la Vostra iniziativa “Salviamo la Legge Gozzini “, da noi condivisa, oltre a darne la nostra sottoscrizione, ci siamo adoperati affinché questa iniziativa venisse divulgata ed eventualmente aderita da tutti i detenuti del nuovo Complesso della C.C. di Rebibbia Roma, in quanto, l’Associazione Papillon è da sempre vicina e sensibile alle problematiche dei detenuti. Sarà nostra cura farvi pervenire in tempi strettamente celeri le adesioni in merito. Diamo già da adesso la nostra più ampia disponibilità a promuovere eventuali future iniziative in tal senso.

 

Papillon Rebibbia Onlus

 

(N.d.R.: tramite l’Associazione “Papillon-Rebibbia” ci sono già pervenute diverse centinaia di adesioni, di detenuti del carcere di Rebibbia).

Lettera dell’Associazione “Delle Porte di Ortigia”

 

Questa lettera sarà inviata al Presidente del Senato, ai Senatori Berselli e Balboni e, per conoscenza, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia.

Oggetto: Disegno di Legge d’iniziativa dei Senatori Berselli e Balboni comunicato alla Presidenza il 21 maggio 2008 “Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e al codice di procedura penale, in materia di permessi premio e di misure alternative alla detenzione”.

Illustre Signor Presidente, in relazione al Disegno di Legge d’iniziativa dei Senatori Berselli e Balboni comunicato alla Presidenza il 21 maggio 2008 “Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n.354, e al codice di procedura penale, in materia di permessi premio e di misure alternative alla detenzione” la nostra Associazione “Delle Porte di Ortigia” no profit (1997) di Siracusa consociata con “Giustizia e Pace”, Centro Italiano di Studi Giuridici e Sociali, Getsemani, (1975), Piedimonte Etneo, Catania, ritiene che le misure sostitutive ed alternative della pena anche agli ergastolani che hanno dimostrato per lunghi periodi buona condotta e dato prova di ravvedimento siano auspicabili perché la pena non è fine a se stessa ma tende, come dice la Costituzione, alla rieducazione del condannato, e quindi, al suo reinserimento nella vita sociale.

L’Italia tra le promotrici dell’abolizione della pena di morte nel mondo ha, da tempo, 1948, abbandonato l’antico concetto “retributivo” della pena accogliendo il più “umano” concetto redentivo della pena stessa. Il diritto non può essere mezzo di distruzione ma di salvamento dell’uomo. Distinti ossequi.

 

Il Presidente dell’Associazione “Delle Porte di Ortigia”

Anna Panico

Adesioni all’appello pervenute oggi

 

Associazione Comunità San Benedetto al Porto

Associazione “Delle Porte di Ortigia”

Longagna Desirée, Educatrice di Genova

Silvia Gagliardini

Serena Fiorletta

Patrizia Basile

Ella Baffoni, giornalista

Roberto Di Fonzo

Marco Fiorletta

Andrea Zanello

Carmelo Chianura

Luciana Lena, di Roma

Diego Ferrari

 

 

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