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A quale scopo una pena distruttiva e immutabile?
www.osservatoriosullalegalita.org, 10 luglio 2008
Come è possibile proporre di abrogare la legge Gozzini, una normativa che negli anni ha consentito di migliorare le persone in carcere, di fare davvero promozione umana, una prevenzione non fondata sulla vendetta, su quei sentimenti che non consentono giustizie sociali né pace per alcuno? Perché è vero: la violenza regna dove l’ingiustizia ingrassa. Conosco il sentire comune del “chi sbaglia paga” e la difficoltà a coniugare una giusta e doverosa esigenza di giustizia da parte della vittima di un reato, con una possibilità concreta di riscatto e riparazione in chi ha offeso l’altro. Pagare il proprio debito alla società non può significare la creazione di una nuova dimensione di violenza, in una pena distruttiva e immutabile, che non consente di fare i conti con il peso delle proprie colpe, con le lacerazioni che hanno prodotto la rottura del vivere civile. Quanto è difficile chiedere perdono in queste condizioni? E quanto essere perdonati? Ciascuno vive il suo presente in funzione delle scelte fatte nel passato, non per un sottile gioco delle maschere, ma perché le azioni del cuore, se non condivise, non consentono di essere scelte. Allora ricostruirsi sottende capacità e forza per riparare al male fatto, richiama l’altro-gli altri ad accorciare le distanze, affinché l’uomo chieda perdono non con le parole, né con la pietistica abbinata alle più alte auto rappresentazioni, bensì nei gesti ripetuti, nei comportamenti quotidiani. Rimangono le responsabilità e gli abissi dell’anima, nulla è cancellato, niente è dimenticato, ma sentire dentro il bisogno di perdonarsi, di avere pietà di se stessi, indica la via maestra per l’altro bisogno: essere perdonati per ciò che si è nel presente, nella consapevolezza degli errori disegnati a ogni passo in avanti, condividendo quel bene comune che è intorno a noi. Perdonarsi e chiedere perdono è voce che parla al cuore con note forti, per tentare di tramutare l’ansia e il dolore delle vittime in una riconciliazione che sia cambiamento fruibile per la collettività tutta. Penso che una vendetta che ripara teatralmente non produca nulla di positivo, e neppure un carcere che mantenga inalterata la follia lucida di chi ha commesso un reato. Accontentarsi di chiedere maggiore severità nelle pene da espiare, induce la persona detenuta a convincersi di aver pareggiato il conto, di aver pagato quanto dovuto. Invece, riconoscere il bisogno di perdonarsi e perdonare, sottolinea l’urgenza di un percorso umano (non solo cristiano) nella condivisione e reciprocità, nell’accettazione di una possibile trasformazione e di un fattivo cambiamento di mentalità.
Vincenzo Andraous Se crediamo nella funzione rieducativa della pena…
www.osservatoriosullalegalita.org, 10 luglio 2008
Crediamo nella funzione rieducativa della pena e siamo consapevoli che - tranne eccezioni - essa non si realizza nel nostro Paese, a causa del sovraffollamento delle carceri e dei modesti fondi destinati alla giustizia, pur esistendo invece progetti qualificati e qualificanti (cooperative agricole, teatro, biblioteche, apprendistato, etc.) promossi da organizzazioni di volontariato o dall’amministrazione. Siamo anche consapevoli che per chi ha commesso piccoli reati - soprattutto per i minori - il carcere è spesso addirittura diseducativo e che per questi si dovrebbero trovare fin da subito pene alternative, come già in parte viene fatto con l’affidamento in prova ai servizi sociali. Riteniamo peraltro che non si debba abolire la legge Gozzini e che il Pdl mirante a tale scopo presentato dal senatore Berselli sia il veicolo per altre ingiustizie che rendono sempre più la giustizia italiana forte con i deboli e debole con i forti (e con i furbi), anche grazie a sanzioni divenute assolutamente sproporzionate, a seguito di depenalizzazioni ed indulti per i reati dei “colletti bianchi”. Tuttavia, a nostro avviso, oltre ad una dimensione laica della questione “perdono” (la nostra è un’associazione aconfessionale in ossequio al principio costituzionale della laicità dello Stato), va sottolineato che il perdono non può essere unilaterale: “sono cambiato, mi perdono” e che da parte di chi ha “sbagliato” (ma spesso si tratta di scelte criminose pienamente consapevoli, premeditate e a volte reiterate) ci dovrebbe essere la volontà di espiare, non la pretesa di non farlo. La questione va invece vista come riconciliazione fra chi ha sbagliato e la società, passando in primis per le vittime e le loro famiglie, quando si tratta di reati gravi (stupri, omicidi, stragi, e simili). È il percorso fatto in Sudafrica e in Ruanda, percorso che passa per l’ammissione del malfatto, la richiesta di perdono e il risarcimento morale (e talora materiale). Metodo che non presuppone un automatismo (posso delinquere, tanto poi mi “pento” e me la cavo con poco) e che riteniamo possa essere applicato anche da noi, ovviamente a tutti quelli che lo hanno meritato, non solo ad alcuni privilegiati. Interventi
CRVG Basilicata: il ddl Berselli stravolge la Gozzini
A margine dei lavori del Consiglio Direttivo della Conferenza Regionale del Volontariato e Giustizia, tenutosi presso la sede dell’Aics la scorsa settimana, a cui hanno partecipato Francesco Cafarelli (Aics) Presidente, Suor Lucia Cima (Caritas Diocesana Matera) Vice Presidente, Donato Forlenza (Associazione “La Fraternità”), Maria D. Rago (Ass. Volontariato Vincenziano), Giulia Viggiani (Cestrim) e Pietro Lanzillotta (Caritas Potenza), sono stati discussi i temi relativi alla questione penitenziaria e alla situazione carceraria parzialmente delineati anche dalle vicende appena conclusesi nella casa di reclusione di Matera. Nel manifestare soddisfazione per la risoluzione positiva di alcune problematicità emerse e per l’avvio di un lavoro di rete interistituzionale che favorisca la sicurezza di chi opera all’interno delle carceri della nostra Regione, si sottolinea come non sia auspicabile scomporre la complessità della questione penitenziaria, disgiungendo i temi dei diritti di chi vi lavora da quelli di chi è sottoposto ai provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, ma sia opportuno affrontare l’argomento nel suo contesto globale. Necessaria la risoluzione di tutte le questioni ambientali negli spazi ospedalieri - sanitari per gli agenti di custodia, ma anche per i reclusi che vi fanno ricorso; necessaria la dotazione di un numero di agenti più consistente, ma che si riveli una risorsa umana attrezzata per affrontare le realtà reclusive sul piano relazionale e funzionale. I componenti della Conferenza Volontariato e Giustizia di Basilicata, infatti, concordano con l’affermazione di “conciliare l’esigenza di sicurezza del cittadino con il recupero sociale del detenuto” espressa, tra gli altri, anche dal direttore della Casa Circondariale di Marassi, Salvatore Mazzeo, e si dicono altresì preoccupati per lo stravolgimento che il Disegno di legge Berselli comporta con la eventuale modifica di alcuni articoli della legge Gozzini. Quest’ultima, capace di ridurre la recidiva dei detenuti dal 70% al 20%, è un “esempio di umanità” verso chi paga il suo debito alla società che ha offeso, consentendogli di intraprendere percorsi riabilitativi e di risocializzazione dignitosi, efficaci per il reinserimento nella vita civile e l’abbandono definitivo di stili di vita delinquenziali, attraverso misure alternative alla “reclusione sempre e comunque”, misure che, d’altro canto, non vengono “elargite” a tutti e indiscriminatamente o per mero buonismo istituzionale. L’assunto della Legge Gozzini, che al terzo comma dell’art. 27 recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, viene completamente stravolto, nel senso e nella valenza, dalla proposizione del ddl Berselli dove si afferma che “è indispensabile quell’adeguato grado di afflittività che solo con la privazione della libertà si può ottenere”. Tali affermazioni si servono del disorientamento e dello spavento di una opinione pubblica che tende all’intolleranza, e che con esse si sente tranquillizzata, per rendere la società più rigida e chiusa, e annullano operazioni faticose di riflessioni lunghe e profonde sul senso di giustizia e sull’espiazione della colpa. I componenti della Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia di Basilicata - che collaborano con l’Amministrazione Penitenziaria operando all’interno degli Istituti di Pena con le proprie Associazioni per fornire ai detenuti alcuni servizi oggetto di apposite convenzioni e progetti - sollecitano l’attuazione del Protocollo d’Intesa, sottoscritto tra il Ministero della Giustizia e la Regione Basilicata, e la riconvocazione della Commissione Regionale per la lotta alla devianza e alla criminalità. Tale organismo, del quale la Conferenza è componente, attraverso un operato continuo, attento, puntuale ed efficiente, può diventare quel coordinamento istituzionale necessario per individuare strategie efficaci di risoluzione di problemi e per offrire risposte concrete ai bisogni che emergono dall’universo detentivo, riguardanti anche gli inserimenti lavorativi di persone in esecuzione penale interna e di ex detenuti, soprattutto nella prospettiva della prevenzione della recidiva. Temi che si affacciano prepotenti sui fronti integrati della sicurezza e del reinserimento di adulti, giovani adulti e minori.
Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia di Basilicata Il Presidente, Francesco Cafarelli
Le adesioni all'appello pervenute oggi
Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Basilicata Osservatorio sulla Legalità Onlus Emergency Roma Don Renzo Brunelli (Cappellano carcere Dozza) Giovanni “Gianni” Vianello (Granello di Senape - Venezia) Anna Maria Sforza
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