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Giustizia: queste carceri somigliano sempre più a dei lazzaretti di Fiorentina Barbieri (Difensore civico dell’Associazione Antigone)
Terra, 28 gennaio 2010
Franco Ionta, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ha appena risposto che non esistono ragioni ostative per l’ingresso in carcere dei giornalisti: l’appello era della stampa (il Manifesto) e delle associazioni (Antigone), ma anche di intellettuali e giuristi che in questi giorni, a vario titolo, vanno chiedendo che i penitenziari siano aperti a visite di rappresentanti degli organi di stampa per documentarne lo stato. Ionta sembra evidentemente entrare proprio nella logica dell’invito di Mauro Palma, che cioè a promuovere la campagna per autorizzare le visite dei giornalisti sia la stèssa amministrazione penitenziaria. Il nodo - dice Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, nonché fondatore di Antigone - è nella necessità di esprimere "una richiesta di riappropriazione sociale del problema carceri, una questione che non va lasciata agli addetti ai lavori". Per molti è stato il caso Cucchi a cambiare la percezione di un mondo che si è sempre voluto lasciare isolato, come se le soluzioni ai suoi gravi problemi si potessero ricercare solo al suo interno e senza disturbare nessuno, fuori. Non era così, se un ragazzo è stato sottoposto a gravi violenze che nulla hanno a che fare con il suo presunto reato. Così, ora è anche quella storia che impedisce di chiudere gli occhi. Sempre più drammatica, del resto, la situazione del sovraffollamento e anche di come per questo stiano aumentando i rischi di contagio di varie patologie, specie di quelle infettive: le statistiche denunciano infatti l’aumento di tubercolosi, Hiv, epatiti e di una vasta gamma di malattie dovute a parassiti. I valori sono sicuramente sottostimati, a giudicare dalla denuncia di vari addetti ai lavori, come il garante dei detenuti del Lazio. E da quanto ci hanno scritto alcuni detenuti del carcere di Opera (Milano) che descrivono una cattiva gestione dei "nuovi giunti", l’area di quelli che, appena arrestati, arrivano in carcere e dovrebbero essere, oltre che sottoposti a visite mediche, accuratamente monitorati. Certamente, a fronte del fatto che negli ultimi dieci anni, per l’ingresso di molti stranieri, si sia avuta una recrudescenza di alcune patologie, più accorte e specifiche sarebbero dovute essere le direttive per la loro gestione. Così non è stato, evidentemente, se da Opera un detenuto ci chiede assistenza per ricorrere alla Corte europea per i danni riportati dall’ingresso di uno straniero che, non correttamente monitorato, ha contagiato lui e "parecchi" altri detenuti che hanno contratto la Tbc con gravi conseguenze: per lui una lunga terapia, l’interruzione dei rapporti con i familiari che non ha potuto incontrare per evitare di contagiarli, ma anche la perdita del lavoro e della possibilità di partecipare ad altre attività trattamentali. Giustizia: il Commissario dell’emergenza, per "carceri in deroga" di Andrea Mascolini
Italia Oggi, 28 gennaio 2010
Realizzazione del piano carceri attraverso le norme emergenziali dei commissari straordinari; in deroga alle norme ordinarie sui contratti pubblici, ampliati i limiti sul subappalto; controlli antimafia stringenti, tracciabilità dei flussi finanziari e costituzione di white list. Sono questi i principali contenuti dei due emendamenti presentati dal governo al decreto legge 195/09 in esame al senato. Le due norme, che dovranno essere ammesse e poi approvate, inquadrano la realizzazione del cosiddetto "piano carceri" all’interno della logica emergenziale, affidando al commissario straordinario per l’emergenza carceri l’attuazione degli interventi e, in primis, la localizzazione degli stessi, "d’intesa con il presidente della regione territorialmente competente e sentiti i sindaci dei comuni interessati". La localizzazione potrà avvenire in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche (in questo caso costituisce variante allo strumento urbanistico con il conseguente vincolo preordinato all’espropriazione) e il provvedimento di localizzazione comporterà la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituirà decreto di occupazione d’urgenza delle aree individuate. Semplificata anche la fase di occupazione di urgenza e di espropriazione. Si prevede che l’indennità di provvisoria occupazione o di espropriazione sia determinata dal commissario straordinario entro sei mesi dalla data di immissione in possesso, tenuto conto delle destinazioni urbanistiche antecedenti la data del provvedimento di localizzazione. Circa la modalità di realizzazione degli interventi, dato per scontato che non si farà ricorso a procedure ordinarie, l’emendamento prevede anche una deroga alla norma sugli affidamenti in subappalto: si potrà superare il limite del 30% di subappaltabilità della cosiddetta "categoria prevalente", arrivando fino al 50%. Consapevole delle possibili ricadute negative di una tale norma, che amplia quindi la fetta di subappalti, il governo, con un altro emendamento, prevede delle disposizioni ad hoc per la prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata negli interventi per la realizzazione di istituti penitenziari, affidando innanzitutto ai prefetti il Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere (art. 180 del Codice dei contratti pubblici) che si organizzerà con una sezione specializzata istituita presso la prefettura, con funzioni di raccordo con gli enti interessati. Per lo svolgimento dei relativi controlli antimafia sui contratti pubblici e sui subappalti e subcontratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture si dovranno applicare le linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere e si prevede anche la tracciabilità dei flussi finanziari. Il governo prevede infine la costituzione, presso il prefetto territorialmente competente, di elenchi (c.d. white list) di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono rivolgersi gli appaltatori incaricati della realizzazione delle nuove carceri. Giustizia: Pd; il "piano carceri" del Governo? sono solo parole
Ansa, 28 gennaio 2010
"Il Piano Carceri del Ministro Alfano e del neo-Commissario delegato per l’emergenza penitenziaria Franco Ionta, illustrato ieri ai sindacati della polizia penitenziaria, si conferma all’insegna della confusione e dell’ambiguità. Gli stanziamenti previsti dalla Legge finanziaria (500 milioni di euro), sono stati messi a disposizione del Fondo infrastrutture del Ministro Matteoli, che ne dispone però solo dietro delibera del Cipe diretto dal Ministero dell’Economia, mentre il braccio operativo sarà la costituenda Protezione Civile S.p.A., alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri". Lo dichiara Sandro Favi Responsabile Carceri del Pd. "La nuova società per azioni prevista col decreto legge del 30 dicembre 2009, n. 195, per entrare in funzione (approvazione dello statuto; nomina degli organi societari e di controllo; strutturazione degli uffici tecnici, deliberazioni degli indirizzi operativi) richiederà tempi che rischiano di superare il termine dello stato di emergenza del sistema penitenziario fissato al 31 dicembre 2010. Inoltre, gli emendamenti presentati al Senato dal Governo che prevedono la localizzazione le aree dei nuovi istituti penitenziari, costituiscono una grave violazione dell’autonomia dei comuni e della programmazione urbanistica dei territori; così come le previste espropriazioni sono destinate a determinare interminabili contenziosi con i proprietari dei suoli individuati. Inaccettabile è la proposta che prevede la possibilità di subappaltare i lavori per una quota prevalente fino al 50 per cento del valore dell’opera. Riuscirà Ionta a far valere le sue funzioni di commissario per l’emergenza nel ginepraio di competenze e di burocrazie che si sta producendo con l’insensata decretazione del Governo? Massima è l’incertezza sulle annunciate assunzioni di 2.000 agenti, aldilà del ricambio previsto in legge finanziaria per quelli che lasceranno il servizio nei prossimi anni e comunque 1.800 unità in tre anni di cui solo 350 nel 2010. Nessun intervento, invece, per l’assunzione delle professionalità indispensabili a supportare le drammatiche condizioni della popolazione detenuta e per il potenziamento delle misure alternative al carcere (psicologi, educatori ed assistenti sociali). Nessun ripensamento sui pesanti tagli finanziari al sistema penitenziario che si pretende di espandere per una popolazione di 80 mila detenuti, quando già ora la spesa corrente produce decine di milioni di debiti. Le assicurazioni del Ministro Alfano sull’uso dei poteri di ordinanza per l’affidamento degli appalti per la trasparenza del Piano carceri, vengono contraddette da questi primi atti. Come abbiamo denunciato più volte - conclude Favi - finora solo parole che non sono di pietra, ma appaiono scritte sull’acqua". Giustizia: Pd; un’interrogazione sulle assunzioni "annunciate" di Amalia Schirru (Deputato Pd)
Ansa, 28 gennaio 2010
"In un momento drammatico per le carceri italiane, dove ben sette sono i suicidi dall’inizio dall’anno, il Piano Carceri del Ministro Alfano e del neo-Commissario delegato per l’emergenza penitenziaria Ionta, illustrato ieri ai sindacati della polizia penitenziaria, si conferma assolutamente inadeguato, ambiguo e poco chiaro. Regna l’incertezza sulle annunciate assunzioni di 2.000 agenti, aldilà del ricambio previsto in legge finanziaria per quelli che lasceranno il servizio nei prossimi anni e comunque 1.800 unità in tre anni di cui solo 350 nel 2010. Non è previsto nessun intervento per l’assunzione delle professionalità indispensabili a supportare le drammatiche condizioni della popolazione detenuta e per il potenziamento delle misure alternative al carcere (psicologi, educatori ed assistenti sociali). Nessun ripensamento sui pesanti tagli finanziari al sistema penitenziario che si pretende di espandere per una popolazione di 80 mila detenuti, quando già ora la spesa corrente produce decine di milioni di debiti. Sembra quasi la ciliegina sulla torta la decisione del Dap di istituire un servizio di ascolto per la prevenzione dei suicidi nelle carceri, lamentando nel contempo la mancanza di psicologi, che è appunto oggetto di un interrogazione che presenterò nei prossimi giorni. Nessuna risposta è pervenuta dal Ministro su come intenda risolvere la vertenza dei 39 psicologi vincitori di concorso, già denunciata nella mia interrogazione a risposta in Commissione 5-01200 presentata ormai un anno fa, nella seduta del 25 marzo 2009. E ancora silenzio da parte del Governo alla proposta di legge di cui sono prima firmataria (n° 1970), già assegnata alla Commissione Lavoro, che intende far sì che l’assunzione dei vincitori di concorso sia garantita nel trasferimento della Medicina Penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Asl, salvaguardando così i diritti dei vincitori di concorso ed evitando oneri per lo Stato derivanti da altre procedure concorsuali. Registro altrettanto silenzio da parte dell’Assessore Liori, più volte da me sollecitato per un incontro su questi temi. L’assoluta inadeguatezza dei provvedimenti adottati finora, denotano quanto sia evanescente l’attenzione di questa maggioranza, sia nazionale che regionale, sui questi temi così importanti". Giustizia: assistenza psicologica in carcere e suicidio di Ivano
Il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2010
È dell’ultima ora la notizia, cui penso sia importante dare rilievo, che il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha provveduto ad istituire delle Unità di Ascolto per prevenire i suicidi assegnando tale funzione alla Polizia Penitenziaria. Ritengo che la formazione di questo personale, in particolare quella psicologica, sia fondamentale per lo svolgimento del loro lavoro, tuttavia la cosa diviene anomala laddove si affida un compito così specialistico esclusivamente a professionalità che hanno funzioni di altra natura, senza tenere conto delle professionalità specifiche presenti, peraltro largamente sottoutilizzate. I numerosi episodi di suicidio dall’inizio di quest’anno ed in particolare l’ultimo avvenuti nell’istituto di Spoleto, quasi sotto i miei occhi, hanno sollecitato il mio senso di impotenza ed insieme la necessità di parlare dell’assistenza psicologica ai detenuti di cui, nei limiti di quanto mi è possibile data la grave carenza di questo servizio, mi occupo come psicologo da 28 anni. Assistenza psicologica, divenuta oggi ancor più necessaria, data la situazione di disagio estremo che inevitabilmente si riflette anche su tutti gli operatori che a diverso titolo lavorano in questo "mondo a parte". Il sovraffollamento di cui si parla tanto è solo la punta dell’ iceberg di un sistema penale in cui vanno ricercate le cause dell’emergenza: - l’uso facile ed indiscriminato del carcere per affrontare problemi di natura sociale, spesso di disagio psichico (come il caso del suicidio avvenuto a Spoleto); - la chiusura delle prospettive di vita - sia durante la detenzione che dopo - determinata dalle modifiche apportate alla riforma del 1975 e alla Legge Gozzini che ne hanno capovolto la ratio; - la presenza massiccia di persone in attesa di giudizio, (il 50% della popolazione detenuta, di cui il 40% viene poi assolta), che si trovano a vivere una condizione in cui mancano, non solo quegli stimoli alla crescita personale (il cosiddetto "Trattamento") che dovrebbero restituire alla società persone consapevoli delle ragioni del danno arrecato e garantire alla collettività la correttezza dei propri comportamenti, ma anche i requisiti essenziali di vivibilità (spazi, generi di prima necessità, servizi di assistenza anche sanitaria;) - l’inasprimento dei regimi detentivi (non solo il 41 bis per i boss, ma anche l’Alta sicurezza, pene accessorie quali isolamento diurno, 14 bis etc.) che prevedono deprivazione di stimoli aggiuntive allo stato di detenzione; - il Fine Pena Mai, ovvero quelle forme di ergastolo senza possibilità di avere benefici, né a media né a lunga scadenza. Date queste premesse, il disagio psichico ed i suicidi che ne sono la più drammatica espressione, sono destinati inevitabilmente ad aumentare, a superare il triste primato mai raggiunto con l’anno 2009. Ma torniamo all’ultimo suicidio. Come forse ricorderà lavoro a Spoleto e proprio quel giorno, mercoledì 20 purtroppo ero lì, presente al suicidio di Ivano Volpi. Ivano era stato arrestato sabato 16, proveniente dalla libertà per un’aggressione seguita a un oltraggio a pubblico ufficiale allorquando, chiamate sul posto, sono intervenute le forze dell’ordine. Era già stato detenuto a Spoleto per qualche mese ed era uscito a settembre, per comportamenti di violenza analoghi, legati al suo stato di tossicodipendenza, prevalentemente da alcool (ma non solo). In passato aveva fatto percorsi terapeutici presso Comunità ed anche stavolta, nonostante la sua titubanza (affermava di preferire il carcere alla comunità) era in procinto di tornarci. Ed era questo il motivo per cui quel giorno si trovava in infermeria: infatti, dopo il colloquio con il suo avvocato che gli aveva fatto firmare la richiesta per il programma in comunità, era stato appoggiato in una stanza dove attendeva di essere chiamato dal medico che avrebbe dovuto controfirmare la richiesta di cui sopra. Nell’attesa, il mio collega che lo aveva seguito nella precedente detenzione, avendo saputo che lui era lì, ha chiesto all’agente in servizio di poterlo vedere. È andando a prenderlo per portarlo a colloquio con lo psicologo che ci si è accorti della sua morte: si era tolto il maglione con cui aveva fatto un cappio e, dopo essere salito su una lettiga, si era lanciato giù. Lasciando davanti a sé la richiesta firmata per la comunità. Nonostante i tempestivi soccorsi da parte della Polizia Penitenziaria e dei medici, non c’è stato nulla da fare. È stato un evento repentino ed in certa misura imprevedibile, non imputabile certamente a negligenze del personale che era presente. Il carcere stesso ha inciso solo in quanto è stato l’ennesimo rifiuto e l’ennesimo stigma, a fronte di comportamenti aggressivi, espressione di un disagio e di una richiesta di aiuto che avrebbe richiesto risposte basate sulla cura e non sulla punizione. Certamente con il mio collega ci siamo chiesti se il gesto di Ivano si sarebbe potuto prevenire se ci fosse stato almeno un servizio di assistenza psicologica che avesse consentito ad uno di noi di vederlo, di parlarci. Il confine tra il vivere e il morire, in circostanze così particolari a volte è così sottile, che anche la parola può divenire importante. Forse sarebbe accaduto lo stesso, non lo sappiamo e non lo sapremo. Ciò che sappiamo, ciò che è certo è che, il giorno in cui lui è entrato: sabato, e poi domenica e poi lunedì e poi martedì, nessuno di noi lo ha potuto vedere perché abbiamo a disposizione 34 ore al mese ciascuno e quindi la nostra presenza in istituto è davvero scarsa. Quindi di servizio di primo ingresso, non se ne parla proprio. E quando finalmente Ivano stava per essere ascoltato, era troppo tardi. In Italia ci sono 380 psicologi che lavorano in modo precario da 35 anni, malpagati e per una manciata di ore (in media 20 al mese per ciascuno, che equivalgono a tre ore l’anno per detenuto). Per mancanza di fondi. Nonostante la presenza di personale da anni precario, qualche anno fa il Ministero della Giustizia ha, inspiegabilmente, bandito un concorso, che è stato vinto da 39 psicologi, i quali non sono stati assunti, sempre per mancanza di fondi. Questo ha suscitato una specie di guerra tra disperati: i vincitori di concorso chiedono che i fondi che sono stati finora destinati ai 380 vengano utilizzati per la loro assunzione, chi lavorava già difende il suo lavoro, anche se precario, malpagato e insufficiente, ma anche la professionalità e l’esperienza acquisita, che vorrebbe continuare a mettere a disposizione dei detenuti per garantire qualità e continuità nell’assistenza. Sperando che un giorno ci si ponga davvero il problema della prevenzione e tutela della salute psichica dei detenuti. Intanto continua questa inutile guerra tra chi pensa che il diritto a mantenere il lavoro sia cosa di poca importanza di fronte al (giusto ndr) diritto ad essere assunti e chi, avendo conoscenza diretta della drammatica realtà di cui si parla, è consapevole che l’assunzione di 39 psicologi in tutta Italia non possa risolvere l’assistenza psicologica ai detenuti. E i suicidi continuano a verificarsi. Credo di rappresentare il pensiero di molti dei miei colleghi dicendo che se c’è una battaglia da fare, non è certo per vincere su altri colleghi ma, come abbiamo inutilmente proposto, per un obiettivo comune che, oltre al diritto al lavoro non può non estendersi alla necessità che avvertiamo, come persone, come professionisti e come cittadini di un paese civile di istituire un Servizio di Psicologia Penitenziaria che possa contribuire a contenere il disagio psichico e le morti in carcere.
Paola Giannelli Segretario Nazionale Società Italiana Psicologia Penitenziaria Giustizia: il tesoretto dei detenuti nei conti delle carceri italiane
Panorama, 28 gennaio 2010
Le carceri italiane? Come banche svizzere: movimentano milioni di euro al mese, trasferiscono soldi all’estero, aprono e chiudono centinaia di conti correnti al giorno. Insomma, custodiscono ed amministrano un vero e proprio tesoro. Quello dei detenuti. I numeri riscontrati da Panorama sono davvero impressionanti. E non solo per il volume di denaro depositato e speso per gli "extra", ma anche per gli sprechi che alimentano il business delle imprese appaltatrici dei servizi all’interno delle carceri, polverizzando di fatto i fondi stanziati dello Stato. Per orientarsi in queste realtà "blindate" abbiamo scelto tre penitenziari, uno per ogni area geografica: il San Vittore di Milano, Sulmona, in provincia dell’Aquila e la Casa Circondariale di Poggioreale, a Napoli. Si parte da quest’ultimo. Il carcere napoletano, con oltre 2.600 detenuti, è il primo in Italia per flusso di denaro in "entrata" e in "uscita". Basti pensare che le cifre movimentate da Poggioreale, considerando che si tratta dei soli risparmi dei detenuti, non hanno niente da invidiare ad una banca elvetica: 16 milioni e 800 mila euro l’anno. Soldi che entrano ed escono, attraverso l’Ufficio conti correnti dell’istituto partenopeo, gestito dalla Polizia penitenziaria, con una media di 1 milione e 400 mila euro ogni trenta giorni. Di questi, 700 mila euro, centesimo più o centesimo meno, sono quelli che vengono versati, mensilmente, sui conti correnti intestati ai detenuti (e ogni detenuto ha il suo deposito bancario). Quasi la totalità delle risorse in entrata riguardano i versamenti effettuati da mogli, madri, fratelli o amici in favore del parente internato, mentre solo una minima parte è costituita dai guadagni dei detenuti lavoratori, ovvero le buste paga. Quest’ultime vengono versate solo temporaneamente sul conto prima di essere "trasferite" dal carcere al paese d’origine del lavorante. Senegal e Nigeria sono le principali destinazioni, visto che nel penitenziario campano gli extracomunitari africani sono tra il 10% e 12% dei detenuti. E visto che all’interno delle mura carcerarie di Napoli, dei 160 detenuti che svolgono lavori di falegnameria, pulizia (celle, uffici e cortili della struttura) e servizio mensa, la maggior parte sono extracomunitari. Tutti percepiscono una mercede (stipendio) che è pari ai 2 terzi della paga sindacale. E tutti hanno i contributi versati. Ma è dando uno sguardo al patrimonio in uscita di Poggioreale che spuntano le curiosità. Inferiore a quello in entrata solo per qualche spicciolo di euro, questo fiume di soldi è destinato quasi esclusivamente alle spese "extra", cioè il cosiddetto "sopravvitto". Significa che i detenuti napoletani spendono quasi 700 mila euro al mese in generi alimentari: bistecche, filetti, pesce, molluschi, pasta e pomodori. Ma nella lista della spesa compaiono anche profumi, mozzarelle, sigarette, dolci e qualche giornale. E i piatti preparati dalla mensa dell’Amministrazione penitenziaria? Snobbati: "I detenuti napoletani amano cucinarsi da soli e non assaggiano il cibo fornito quotidianamente dalla struttura carceraria", spiegano gli agenti che lavorano nel carcere campano e si occupano della compilazione del modello 72, quello per l’acquisto del sopravvitto. "Preferiscono acquistare la carne, la pasta e i condimenti direttamente dallo spaccio penitenziario". Forse la razione di cibo a pasto è insufficiente? O scadente? "No", confermano da Nord a Sud gli agenti di custodia. "Esistono", proseguono "tabelle nutrizionali che vengono seguite alla lettera da coloro che preparano i pasti. E la qualità è accettabile. Sono i detenuti che si rifiutano di assaggiare i pasti". Così, i due terzi del cibo preparato e pagato dallo Stato viene buttato nella spazzatura. E senza essere stato neppure toccato. Nel carcere napoletano il costo del pasto per ogni detenuto (stabilito con regolare gara d’appalto) è di 3,33 euro. Vuol dire che ogni giorno vengono gettati nei rifiuti circa 5.772 euro di cibo per un totale annuo di 2 milioni e 106.780 euro. Ciò che avviene, quotidianamente, non solo nella casa circondariale di Poggioreale. Stessa cosa nel supercarcere di Sulmona, con una disponibilità di 300 posti ma una popolazione carceraria che sfiora i 500 detenuti (e anche per queste difficili condizioni, Sulmona è tristemente conosciuto come "il carcere dei suicidi": dieci, in quindici anni). Qui, lo scorso anno, sono transitati solo in "entrata" sui conti correnti dei detenuti poco meno di un milione e 400 mila euro. "Su 10 carrelli di cibo che distribuiamo nelle celle, la metà ritornano indietro ancora carichi", confermano gli agenti abruzzesi. "In particolare nelle celle della sezione di alta sicurezza e vigilanza, quelli dell’ex 41 bis, quel cibo non varca neppure la soglia della stanza. Quelli si comprano tutto". Ogni detenuto può spendere settimanalmente 130 euro, per un massimo di 520 euro al mese. E il massimale può essere alzato ma solo dopo l’autorizzazione del direttore dell’istituto o del magistrato e solamente per spese particolari come il dentista, cure e visite mediche specialistiche. Tanti anche gli euro che circolano nel carcere San Vittore, che rispetto a quello napoletano conta quasi la metà dei reclusi. Nei dodici mesi del 2009 sono stai versati 4.320.858,72 euro in favore dei detenuti, i quali ne hanno spesi 3.987.341,37. E tutti per gli "extra": filetto di vitello, latte e rose rosse. Rose rosse? Già: è inutile negare che all’interno delle mura carcerarie ci sia una certa ed inevitabile differenza tra i prigionieri "stivati", quelli che non possono rifiutarsi di mangiare il pasto dell’Amministrazione e i boss di Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta che possono invece concedersi qualche "lusso". Come i fiori, che un boss della sezione di alta vigilanza di San Vittore ha chiesto che fossero spediti a un’amica: "Era il compleanno di una delle sue donne" spiega a Panorama un agente penitenziario del carcere milanese. "E così tra la carne e le sigarette da acquistare allo spaccio, il boss ha ordinato di inviarle un mazzo di rose rosse. Dopo qualche giorno la storia si è ripetuta, ma questa volta i fiori erano per la moglie". Giustizia: Carcere Possibile onlus per l'Anno giudiziario 2010
Comunicato Stampa, 28 gennaio 2010
La cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Giudiziario costituisce l’occasione più importante per un dibattito pubblico sulla situazione dell’amministrazione della Giustizia. La manifestazione ufficiale si terrà a Roma il 29 gennaio, mentre il giorno precedente, a L’Aquila, è prevista l’"inaugurazione" dei Penalisti Italiani, organizzata, dall’Unione Camere Penali, simbolicamente nella città abruzzese colpita dal terremoto, per segnalare l’esigenza immediata di una "ricostruzione della Giustizia". Il 30 gennaio, in tutte le altre Corti di Appello i rispettivi Presidenti terranno la relazione sull’attività svolta nel distretto di competenza. In queste sedi, "Il Carcere Possibile Onlus" avverte la necessità di denunciare, tra i numerosi problemi che affliggono la Giustizia Italiana, le gravissime condizioni in cui versano la maggior parte degli Istituti di Pena, che hanno indotto il Consiglio dei Ministri a dichiarare lo "stato di emergenza" per tutto il 2010 ed il Presidente della Repubblica ad affermare, nel discorso di fine anno: "…..penso ai detenuti, in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e, di certo, non ci si rieduca" Tali affermazioni - finalmente ufficiali - rendono superfluo approfondire circostanze come il sovraffollamento non più sopportabile, come l’assoluta inadempienza rispetto al principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, che non può più rappresentare una priorità innanzi al problema principale che è quello delle condizioni igienico-sanitarie e di salute dei detenuti e dei rapporti con le famiglie fortemente penalizzati, ma è utile citare un solo dato, quello sulle morti in carcere, che dall’inizio dell’anno al 20 gennaio è il seguente: 20 morti, un morto al giorno. Di questi, 7 suicidi, 1 ogni 3 giorni, oltre a numerosissimi tentativi. È l’indice palese del disagio, della dipartita finale. Togliersi la vita diventa l’obiettivo di persone private non solo della libertà, ma della dignità. Gli interventi da realizzare dovranno, dunque, essere concreti, indifferibili e dovranno costituire effettivamente una priorità del Governo. Il Ministro della Giustizia, nel rendere pubblica la dichiarazione di "stato di emergenza" ha sottolineato: "Quella che ci accingiamo a compiere è una missione che non ha precedenti nella storia della Repubblica, perché per la prima volta si vuole risolvere il problema del sovraffollamento carcerario senza dover ricorrere all’ennesima amnistia o a provvedimenti d’indulto, ma volendo dare dignità a chi, comunque, deve scontare una pena detentiva" (Dal sito del Ministero della Giustizia). Quanto annunciato dal Governo prevede 4 punti essenziali: 1) Edilizia Penitenziaria; 2) Detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua; 3) Messa alla prova delle persone imputabili fino a tre anni; 4) Assunzione di 2.000 nuovi agenti. Per quanto riguarda l’Edilizia Penitenziaria - già da tempo annunciata con il c.d. "Piano Carceri" per il quale non vi sono le risorse economiche - va subito detto che sono ben 40 gli Istituti Penitenziari già costruiti, ma inutilizzati. Edifici nuovi, mai aperti, la maggior parte dei quali in completo stato d’abbandono. Alcuni esempi: a Gela, in Sicilia, il carcere è stato progettato nel 1959; i lavori sono iniziati nel 1982, sono durati 25 anni, ma non è ancora operativo. A Morcone, in Campania, l’Istituto è stato completato nel 1995 e non è stato mai utilizzato perché ritenuto antieconomico per l’Amministrazione Penitenziaria, si pensa ad una nuova destinazione. A Busachi, in Sardegna, il carcere è costato 5 miliardi di lire e non è mai andato in funzione. A Castelnuovo della Daunia, in Puglia, l’Istituto è arredato, inutilmente, da 15 anni. A Cropani, in Calabria, abita il solo custode. A Pescara, il Penitenziario di San Valentino, pronto da 15 anni, non è stato mai collaudato. Pronti e mai collaudati anche gli Istituti di Licata in Sicilia e quello di Codigoro (Ferrara). Dopo 17 anni dall’inizio dei lavori, attende di essere completato l’Istituto di Revere (Mantova), costato fino ad ora 5 miliardi di lire. In tutta Italia, dunque, vi sono già edifici da utilizzare, non aperti per mancanza di risorse finanziarie destinate allo scopo. L’annuncio del Ministro di investimenti per nuove strutture dovrebbe essere finalizzato alla costruzione di edifici moderni, per sostituire quelli esistenti, ormai fatiscenti (l’80% è stato costruito più di 100 anni fa). Va altresì ribadito che il "sovraffollamento" non si risolve aumentando i "posti-letto". La "detenzione domiciliare" e la "messa alla prova" potrebbero essere funzionali alla risoluzione, in parte, del problema, ma è evidente che troverebbero un’applicazione limitata, affidata alla discrezionalità dei Magistrati ed all’effettiva concreta applicazione del beneficio. L’assunzione di altri agenti penitenziari, se realizzata, sarebbe funzionale a rasserenare il clima all’interno degli Istituti, consentendo turni di lavoro nella normalità. Non si comprende, però, perché non è stato fatto alcun cenno alla necessità di assumere altri educatori - vi sono vincitori di concorso in attesa da anni - psicologi ed operatori, figure essenziali nella "vita" - quella legale - in carcere. Il rapporto detenuto-educatore è oggi di 1 a 1.000. L’Avvocatura, in questa continua emergenza ha, da tempo, inutilmente indicato la strada da seguire. Ricorso a pene alternative al carcere ed a sanzioni diverse dalla detenzione. Le statistiche hanno costantemente dimostrato che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva bassissimo, mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere, con una percentuale del 70%. Occorre convincere l’opinione pubblica che con le pene alternative si abbattono i costi della detenzione, si riduce la possibilità che il detenuto commetta nuovi reati, con aumento della sicurezza sociale. Si sconfigge il deleterio "ozio del detenuto", che invece potrebbe essere avviato a lavori socialmente utili, con diretto vantaggio per l’intera comunità. Alessandro Margara, storico Magistrato di Sorveglianza ed alcuni anni fa Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sosteneva "Senza misure alternative recidiva ed insicurezza aumentano". La riforma organica del processo penale. Il 60% dei detenuti sono in attesa di giudizio. Il ricorso sempre più ricorrente alla misura cautelare in carcere e la durata dei processi produce questo dato abnorme con "presunti innocenti" che scontano pene disumane. Occorrono urgentemente nuovi investimenti nel settore Giustizia, sia in tecnologie avanzate, sia aumentando l’organico degli Amministrativi che dei Magistrati, anche richiamando al "processo" quelli applicati altrove. Evitare che la misura cautelare sia la vera pena da scontare. Inoltre sarebbe opportuno che venissero razionalizzate le risorse, responsabilizzando i dirigenti degli Uffici, ai quali va impartita un’adeguata formazione. L’effettivo valore della rilevanza penale. Nonostante l’emergenza, la politica del Governo va sempre di più verso una maggiore carcerazione, con una riduzione proporzionale della discrezionalità del Magistrato. Molte ipotesi di reato vengono inutilmente aggravate per facili consensi e sull’onda di fatti di cronaca che hanno allarmato l’opinione pubblica. Alcune fattispecie vanno poi depenalizzate, perché troverebbero nella sanzione amministrativa un corretto deterrente. Si rispettino i principi costituzionali e le norme in vigore, si inizi a ragionare su prevenzione e rieducazione. Una maggiore repressione ed una maggiore carcerizzazione non solo non migliorano la vita dei cittadini "liberi", ma non dovrebbero trovare applicazione in un Paese civile. Il dichiarato "stato di emergenza" preveda un tavolo permanente con rappresentanti dell’amministrazione giudiziaria, degli enti locali, magistrati ed avvocati che possa individuare le soluzioni da adottare.
Associazione "Il carcere possibile Onlus", Napoli Firenze: l’Opg di Montelupo diventerà un carcere "ordinario"
In Toscana, 28 gennaio 2010
Per il trasloco però non ci sono date. I detenuti resteranno per altri due anni almeno in celle umide e sporche Mancano anche i medici. "Matti" con varie patologie - psicotici, schizofrenici, paranoici - 160 in tutto ricoverati nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo, lasceranno l’imponente villa medicea per essere rispediti nelle rispettive regioni di appartenenza. I lombardi in Lombardia, i campani in Campania, gli abruzzesi in Abruzzo, i toscani a "Solliccianino" che al momento ospita ragazzi tossicodipendenti. Questo, in sostanza, è quello che è stato sancito dall’accordo Regione-ministero firmato ieri a Firenze. Un protocollo che "ridefinisce le modalità di collaborazione in una serie di campi come la salute in carcere, l’edilizia penitenziaria, i progetti per le mamme detenute, per i minorenni. E per i quali la Regione anticipa 3 milioni e mezzo. Lo svuotamento dell’Opg non è, però, una novità. Anzi doveva essere già "in movimento" perché era stato deciso con un decreto dell’ultimo Consiglio dei ministri del governo Prodi, il primo aprile 2008. Quanto sancito allora ha iniziato a concretizzarsi solo in parte (vedi l’ingresso dell’Asl negli ospedali psichiatrici) ma lo spostamento dei malati da Montelupo ha ancora da iniziare. E anche nel protocollo di ieri, firmato dal presidente della Regione Claudio Martini e dal capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, manca un requisito essenziale: le date. Non si fanno accenni né a mesi né ad anni. Nell’ambiente carcerario si parla, nella migliore delle ipotesi, di due anni in cui i detenuti avranno ancora tutto il tempo per godersi le celle in cui stanno pigiati come sardine. Anche sette in pochi metri quadrati, dove devono fare tutto, dal mangiare ai bisogni. L’Opg di oggi è quello delle celle sporche, con mura decrepite e umide, dei disturbi mentali non curati perché non ci sono medici che prendono in carico i malati in maniera continuata. E ancora: Opg significa poca igiene perché l’Asl non ha soldi a sufficienza per assumere gli ausiliari che dovrebbero cambiare e lavare gli internati. L’Opg oggi è quello dove il ministero ha fatto ricorso al Tar per l’ordinanza del sindaco Rossana Mori che, con il sostegno dell’Asl 11, firmò a marzo scorso un’ordinanza in cui intimava all’amministrazione penitenziaria di pulire alcuni ambienti, rifare i bagni e ridurre il numero degli internati. I motivi: gravi carenze igieniche, promiscuità e rischio di epidemie. Ma una volta che il protocollo Regione-ministero verrà attuato, l’Opg non chiuderà, cambierà solo ospiti. Martini e Ionta hanno spiegato che "diventerà un carcere ordinario". Addio dunque ai sogni di riaprire i battenti a una delle meraviglie toscane del Cinquecento, un argomento su cui si era impegnato anche l’attuale sindaco di Firenze quando era in Provincia. La villa dell’Ambrogiana sembra avviata a diventare casa circondariale, una succursale di Sollicciano, dove gli ospiti potrebbero aumentare fino a 300 perché nelle ex scuderie verrebbero messi anche i letti a castello. Un destino, questo, che ha stupito il sindaco di Montelupo Rossana Mori e l’assessore alle politiche sociali Giacomo Tizzanini. "Sul protocollo non c’è scritto questo - spiegano - e ogni cambiamento deve essere concordato con gli enti locali". E ancora: "Noi stiamo combattendo per una qualità di vita migliore degli internati che devono essere curati, questi luoghi non sono adatti per loro. E come non sono adatti per loro non lo sarebbero neppure per detenuti comuni". Ma la fame di carceri passa sopra tipo bulldozer alle amministrazioni comunali e a tesori inestimabili tant’è che l’amministrazione penitenziaria ha iniziato a ristrutturare parte dei locali a Montelupo (poco rispetto a quello che servirebbe ma sempre qualcosa in prospettiva). Ed è proprio "la mancanza di una visione generale rispetto alla situazione drammatica e al sovraffollamento" che fa scattare la denuncia di Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze. "È vero, erano anni che si aspettava questo atto tra Regione e ministero - spiega - ma arriva in un momento sbagliato. Si parla di madri detenute, di polo universitario come se per il resto ci fossero rose e fiori. Invece in carcere si muore, ci si ammazza e non c’è posto".
Comune di Montelupo: il sindaco sulla questione Opg
"Negli atti firmati non si fa menzione al fatto che la Villa Medicea dovrà ospitare un carcere ordinario. Noi ci atteniamo a quelli". L’assessore al sociale Giacomo Tizzanini, che ha seguito l’evoluzione delle vicende relative all’opg, fa presente che all’articolo 4 è espressamente richiesto il coinvolgimento degli enti locali per quanto concerne l’edilizia penitenziaria. Ciò che è scritto rimane, le parole volano. Nelle situazioni critiche e di indecisione l’unica soluzione è quella di attenersi a quanto definito dagli atti. In merito alla questione Opg, il sindaco di Montelupo Fiorentino, Rossana Mori non ha dubbi: "Ho letto attentamente i protocolli firmati fra la Regione Toscana, Ministero della giustizia e articolazioni regionali dell’Amministrazione penitenziaria e non ho trovato alcun riferimento alla destinazione della Villa Medicea dell’Ambrogiana a carcere ordinario. Questo è quello che conta oggi per me. Posso solo basarmi su documenti istituzionali". Nel protocollo solo poche righe sono dedicate all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo: "In riferimento agli internati in Opg, le parti si impegnano a individuare, sul territorio regionale, una struttura penitenziaria a custodia attenuata da destinare al trattamento sanitario degli internati toscani nella prospettiva indicata dal Dpcm del 1° aprile 2008, come definita nell’Allegato C, di superamento degli Opg. Tale struttura - previa decisione di competenza del Dap - può essere individuata nella CC di Firenze Solliccianino (Gozzini) che avrebbe una funzione prettamente sanitaria, gestita dal Servizio Sanitario Regionale, con una protezione penitenziaria esclusivamente perimetrale come indicato dal citato Dpcm". Inoltre, nell’accordo si fa specifico riferimento alla necessità che nelle decisione relative al futuro delle strutture vengano coinvolti gli Enti Locali. Considerata l’importanza che l’edilizia penitenziaria riveste per l’attuazione del principio di territorializzazione dell’esecuzione della pena, per la realizzazione del trattamento dei detenuti ed internati, nonché per assicurare condizioni di lavoro dignitose agli operatori coinvolti, le parti si impegnano a confrontarsi in merito all’eventuale programmazione, da concordare, di nuove strutture penitenziarie sulla base dei criteri di territorializzazione e diversificazione della pena e l’eventuale modifica di destinazione, parziale o totale, delle strutture penitenziarie già esistenti, in accordo con gli Enti Locali di competenza territoriale, secondo un criterio di specializzazione dei circuiti di pena su base regionale. Venezia: direttrice; nuovo carcere sarà costruito in terraferma di Nadia de Lazzari
Nuova di Venezia, 28 gennaio 2010
"Mi risulta che Venezia sia inserita nel piano carceri del governo: dovrebbe prevedere lavori di edilizia penitenziaria con la costruzione di un nuovo istituto da individuare in terraferma, a Mestre probabilmente. Ufficialmente non ho ancora notizia, la notizia mi giunge da colleghi". Si è insediata nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore sette mesi fa durante le proteste dei detenuti. È la direttrice, la goriziana Irene Iannucci. Alle spalle quindici anni di esperienza negli istituti penitenziari di Udine, Trieste, Tolmezzo, Gorizia e Vicenza. "Il clima surriscaldato dei mesi estivi si è attenuato - spiega la direttrice. C’erano detenuti che avevano assunto atteggiamenti di leader. Oggi viene redatto un minor numero di rapporti disciplinari e constato atti di autolesionismo meno frequenti. La popolazione detenuta rimane però ancora alta. Oggi sono 314, su una capienza regolamentare di 160, tollerabile di 240. La situazione diventa particolarmente problematica quando la presenza dei detenuti supera il numero dei 330. Ormai nelle celle c’è sempre il terzo letto a castello". Celle singole non ne esistono più, si passa da due posti fino a otto. Non ci sono celle per l’isolamento disciplinare. Nel reclusorio, oltre al ben noto sovraffollamento, si riscontrano altre criticità: "Quella psichiatrica è di nuovo rilievo". E permane un’alta percentuale di alcolisti e tossicodipendenti. "Per queste necessità perché non pensare a struttura specifica con operatori sanitari loro dedicati?", chiede la direttrice. Il carcere di Santa Maria Maggiore viene classificato circondariale, in quanto ospita persone in attesa di giudizio o già condannate a brevi pene definitive. "Nei miei primi sette mesi ho visto confermata la previsione di un impegno particolarmente oneroso - dice la Iannucci - Una delle peculiarità dell’Istituto è la costante fluttuazione degli ingressi. Su circa 600 ingressi, si riscontra un turnover di circa 520 persone nell’arco di tre giorni. Ciò comporta un sostenuto onere burocratico, soprattutto nel momento dell’immatricolazione e della scarcerazione. Ciò rende più difficile il colloquio con i nuovi giunti". Il 70% della popolazione detenuta è straniera. Il primo impatto nel carcere è difficile e la lingua pone robusti ostacoli. "Tra i detenuti ci sono bulgari, cinesi, iracheni, turchi". Per la prima volta la direttrice avanza una proposta qualificante: l’inserimento di mediatori linguistici e culturali per riuscire a comunicare con i detenuti stranieri. Elemento portante del trattamento rieducativo è rappresentato dal lavoro. Allontana spettri quali la solitudine degli affetti e la paura del dopo. "Purtroppo di lavoro non ce n’è molto - spiega - e alcune posizioni lavorative sono state ridotte per difficoltà economiche. L’ozio è una grossa difficoltà. Fa nascere pensieri cupi". A Santa Maria Maggiore le opportunità lavorative si dividono in lavoro intramurario pagato dall’amministrazione, nel quale trovano occupazione oltre venti persone (pulizie, manutenzione ordinaria del fabbricato, servizio in magazzino o in cucina); e lavoro extramurario proposto dalla cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri (laboratori di pelletteria, xerigrafia e taglio del vetro). Vi trovano occupazione una decina di persone. E gli altri cosa fanno? "È prevista un’ora d’aria al mattino e una al pomeriggio. Qualcuno utilizza la palestra, regolamentata, altri frequentano corsi di alfabetizzazione". La Iannucci riferisce che è prossima l’apertura di due reparti: "Si potranno sistemare una trentina di detenuti". Rievoca due momenti di grande emozione: "La messa di Natale con il patriarca Scola e la rappresentazione teatrale Eldorado". Conclude: "Le idee ci sono, ma l’ordinaria emergenza non ti fa fare passi avanti. Vorrei avere più possibilità di incontro con i detenuti. Recentemente come Paese siamo stati condannati. Ma la nostra è una legge modello... se potesse essere applicata". Il lavoro della direttrice è incessante. Ancora non ha potuto concedersi una passeggiata in Piazza San Marco".
Ben 314 detenuti, ma solo 30 lavorano
Attualmente dietro le sbarre a Santa Maria Maggiore ci sono 314 detenuti: 118 italiani, 196 stranieri. Tra questi ultimi i più numerosi provengono dalla Tunisia (60), dal Marocco (28), dall’Albania (20), dalla Bulgaria (9), dalla Moldavia (8), dall’Iraq (8), dalla Romania (8). La capienza regolamentare è di 160 detenuti, quella tollerabile di 240. La direttrice Irene Iannucci afferma: "Anche se la struttura è affollata non ho mai rifiutato ingressi. Come media ormai ci siamo attestati a 310/320 detenuti. Di lì non si scende più. Abbiamo chiesto di evitare l’ingresso nelle ore notturne". I detenuti lavoranti sono una trentina. Molti chiedono di espiare la pena nel Paese di provenienza. Prossimamente è prevista l’apertura di due reparti: l’ex-infermeria con una capienza regolamentare di dieci/quindici persone e cinque stanze con una capienza regolamentare di venti persone. La carenza del personale penitenziario è sotto gli occhi di tutti. Cremona: il carcere scoppia, tanti i malati e tossicodipendenti
Cremona Web, 28 gennaio 2010
Il sovraffollamento delle carceri torna ad essere un problema serio. Anche a Cremona, dove, secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone, risalente alla fine del 2009, emerge che il numero dei detenuti è decisamente superiore (del 146%) della capienza regolamentare: per 196 posti sono presenti 286 detenuti (mentre la capienza tollerabile è di 353 posti). Il tutto per un totale di 4 educatori, un agente di rete uno psicologo (per 28 ore mensili). Per quanto riguarda la polizia penitenziaria, vece 129 agenti in servizio, mentre 66 gli agenti mancanti rispetto alle necessità della struttura. I detenuti stranieri sono 140 (49% del totale). Sono presenti 25 nazionalità (fra cui Marocco 51 detenuti, Romania 22, Albania 11, Egitto 9, Ghana 5, Nigeria 4, Algeria 3). Parlando di salute, nel quadro sanitario del presidio rientrano: 8 casi di HIV (di cui 6 trattati con antiretrovirali), 6 casi di Epatite C (non trattati con interferone); 7 casi di diabete (di cui 2, attualmente, in trattamento insulinico); 15 casi di cardiopatia. "L’area del disagio e dei disturbi psichiatrici è caratterizzata soprattutto da sindromi ansiose e depressive" si legge nel rapporto: "la risposta farmacologica è basata in misura consistente sulle benzodiazepine di cui a una prima stima approssimativa farebbe uso - con posologia e frequenza variabili - una metà circa dei detenuti. Le terapie sono sempre somministrate a vista e non si segnalano fenomeni di "accumulo". Per i casi psichiatrici di maggiore gravità (schizofrenia o psicosi acute, per es.) si tende a trasferire i detenuti in più idonee strutture penitenziarie. Nessun rapporto con i servizi psichiatrici territoriali". Fra i servizi sanitari disponibili per i detenuti dell’Istituto, da segnalare anche il "repartino" carcerario presso l’Ospedale di Cremona (2 stanze da due posti), in cui è possibile effettuare osservazione, accertamenti, ricoveri programmati. Dal 1° gennaio 2009 questo reparto custoditi ha ospitato 10 detenuti per un totale di 18 giorni. Ma quali sono le criticità del carcere? Secondo il rapporto di Antigone nell’ultimo anno l’Istituto ha registrato tre tentati suicidi, tre atti di autolesionismo, sei scioperi della fame, cinque aggressioni, un decesso per cause naturali e un danneggiamento. I rapporti disciplinari, dal 1° gennaio 2009 al 10 settembre 2009, sono stati 69 (in genere per litigi fra detenuti). Area educativa-trattamentale "Nel 1° semestre del 2009 sono state effettuate 45 "sintesi" e 10 aggiornamenti di "sintesi". La presenza di 4 educatori consente quindi di far fronte regolarmente a questi profili del lavoro" si legge nel rapporto. "Non si può dire lo stesso per le attività di sostegno psicologico, considerata la limitatezza del monte ore dello psicologo e l’entità dei problemi su cui andrebbero investite ben diverse risorse". I detenuti che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria sono 52. Negli ultimi tre anni la cifra in bilancio per la retribuzione di questi lavori è diminuita, con le ripercussioni del caso. In particolare nel 2007 era pari a 310.678 euro, nel 2008 260.087 (-16,29%) mentre nel 2009 è precipitata a 234.778 (-24% rispetto al 2007). Attività come la cucina (che occupa cinque detenuti) e la lavanderia (3 gli addetti) sono in buona funzione. Alle docce si può accedere con orari flessibili, d’estate anche due volte al giorno, ma i locali presentano i tipici problemi da insufficiente aerazione: la condensa produce ai soffitti scrostature e muffe più o meno estese. Le celle (di circa 9 mq) sono I Gli stranieri sono circa il 50% dei reclusi, soprattutto marocchini e rumeni. Tra le criticità il tetto, con problemi di infiltrazione 10 Cremona Venerdì 22 Gennaio 2010 tutte a due posti (non a castello), ciascuna con bagno (water, lavandino, bidet) isolato dal resto della cella, e con interruttore elettrico interno. I colloqui con i familiari si svolgono da lunedì a sabato, cercando di favorire, nel caso particolare del sabato, i familiari con impegni di lavoro o scolastici. Per i colloqui sono disponibili due sale entrambe climatizzate, dotate ciascuna di 8 tavoli con 4 sedie per tavolo. Una terza saletta è arredata in funzione degli incontri con i bambini. Nella bella stagione i colloqui si possono effettuare anche all’aperto, sotto due gazebo opportunamente attrezzati. In attesa dei colloqui, i visitatori hanno a disposizione uno spazio che le decorazioni degli stessi detenuti hanno reso più accogliente: qui si può attendere seduti, fruire di dignitosi servizi igienici, intrattenere con qualche gioco i bambini, per i più piccoli dei quali è disponibile un fasciatoio. Fuori dal recinto dell’Istituto, subito prima dell’ingresso, c’è inoltre un piccolo parco giochi di cui l’Istituto stesso si prende cura. È possibile seguire in Istituto corsi di italiano e di scuola media (gruppi di 12-15 detenuti) curati dal Centro territoriale permanente per l’Educazione degli adulti di Cremona. Ogni corso è seguito da 10-15 detenuti. Formazione professionale Diversi detenuti sfruttano questa possibilità. Gli ormai tradizionali corsi di formazione per muratori, idraulici, assemblaggio materiale elettrico, produzione di miele, della durata di 120 ore, nel 2009 hanno complessivamente coinvolto 40 detenuti. I corsi di manutenzione edile prevedono soprattutto attività di cantiere: questa attività si svolge non in un cantiere "simulato" ma in un reale contesto di lavoro cui i detenuti corsisti accedono formalmente. È stato in tal modo possibile ristrutturare in passato la palazzina semiliberi (alloggia ora 9 persone in art. 21) e nel 2009 la palazzina agenti. l corso per la produzione di miele si avvale delle 10 arnie dell’Istituto cui è addetto un detenuto in art. 21 (un secondo detenuto art. 21 si dedica alla serra cui in precedenza sono stati dedicati corsi di ortoflorovivaismo). L’Istituto consente inoltre di frequentare corsi di restauro mobili e di falegnameria. Una delle esperienze di maggiore interesse è costituita dal progetto Digit & Work per il recupero digitalizzato di archivi cartacei, cui ha contribuito in particolare Pier Paolo Beluzzi, magistrato referente per l’informatica alla Corte d’Appello di Brescia. Attivo dal 2007 attraverso la cooperativa sociale Cremona Labor, il progetto ha consentito di digitalizzare i faldoni processuali della strage di Piazza Fontana (più o meno 70mila pagine). Volontariato In Istituto operano 5 volontari ex art. 17 e 5 ex art. 78. Molto attiva la Caritas che in base a un protocollo d’intesa è presente con un centro d’ascolto che consente una buona rilevazione dei bisogni di una popolazione detenuta socialmente assai fragile. L’Associazione Zona Franca ha attivato in istituto un servizio guardaroba, il Baule, per fornire indumenti. Criticità. Tra le criticità dell’Istituto da evidenziare il tetto, che presenta seri problemi d’infiltrazione. È del tutto inagibile, inoltre, la grande palestra (quasi le dimensioni di un campo di calcio) la cui copertura ha cessato da tempo d’essere impermeabile. In questa fase il cantiere per la costruzione del nuovo padiglione da 200 posti sta coinvolgendo nei lavori anche il campo sportivo che non è quindi praticabile. Gorizia: celle gelide i detenuti devono portare coperte da casa
Il Piccolo, 28 gennaio 2010
Coperte per non congelare. Fa freddo nelle celle del carcere di via Barzellini. E i detenuti chiedono ai parenti di inviare loro delle coperte. I pacchi in arrivo al corpo di guardia si sono moltiplicati in questi ultimi giorni. Qualcuno si presenta direttamente alla guardiola, chiedendo di lasciare lì coperte e piumoni, sperando che poi il personale della Penitenziaria li possa recapitare in cella. I (comprensibilmente) rigidi protocolli di sicurezza, però, escludono questa possibilità. I pacchi devono essere spediti. Altrimenti non possono essere accettati. E così in più di qualche ufficio postale si presentano i familiari dei detenuti per provvedere alla spedizione. La struttura carceraria - lo sappiamo - fa acqua da tutte le parti. È possibile, dunque, che anche l’impianto di riscaldamento non funzioni a dovere. Di qui la necessità di provvedere "in proprio" da parte dei reclusi. La coperta fornita dall’amministrazione penitenziaria è pensata evidentemente per ambienti dove, anche negli inverni più duri, la temperatura sotto un certo numero di gradi non scendere. Ma il carcere goriziano da tempo non rientra in questa dimensione di "normalità". E i pesanti muri eretti all’allora amministrazione asburgica non riescono a isolare le prigioni. Le infiltrazioni, poi, fanno il resto, generando quell’umidità che, nelle giornate più rigide, fa diventare il freddo ancora più insopportabile. Di giorno si resiste. Di notte, invece, servono delle coperte. Sulmona: esito della visita di Commissione Consiglio regionale
Adnkronos, 28 gennaio 2010
La Commissione "Affari Sociali e politiche della salute" del Consiglio regionale abruzzese ha effettuato oggi una visita istituzionale al supercarcere di Sulmona. La delegazione guidata dalla Presidente Nicoletta Verì era composta anche dai Consiglieri Antonio Menna, Lucrezio Paolini, Marinella Sclocco, Alessandra Petri, Claudio Ruffini, Antonio Del Corvo, Franco Caramanico, Antonio Saia nonché da funzionari e dirigenti dell’Assemblea regionale. Accolta dal direttore dell’Istituto Sergio Romice la delegazione ha effettuato una visita ad alcune strutture ma anche ai laboratori del carcere (falegnameria, sartoria, calzature) interessandosi ai sistemi di lavorazione e di produzione nonché alle condizioni generali degli ospiti. Nella seconda parte della visita la Commissione e la direzione del carcere hanno approfondito alcuni aspetti soprattutto di natura socio-sanitaria alla luce dei riflessi che si sono determinati dal 1 gennaio scorso con il passaggio delle competenze dall’Amministrazione penitenziaria alle Regioni in materia di assistenza sanitaria. Alla delegazione del Consiglio regionale è stata sollecitata particolare attenzione alle problematiche della popolazione carceraria legati ai problemi del sovraffollamento (a Sulmona sono ospitati circa 500 detenuti rispetto ad una capienza reale che si aggira sulle 290 posti) ma anche quelli di natura sociale, sanitaria e strutturali. Si è trattata di un’occasione straordinaria - ha commentato la Presidente Nicoletta Verì a margine della visita - che ha consentito di prendere coscienza della dimensione di alcuni problemi che certamente impegneranno la Commissione ed il Consiglio regionale a lavorare nella giusta direzione per venire incontro ai bisogni che oggi ci sono stati rappresentati. È un dovere delle Istituzioni - ha aggiunto - ascoltare queste sollecitazioni ma è anche dovere dare risposte concrete nell’immediato. Spesso per chi vive all’esterno percepisce un’immagine talvolta deformata della realtà carceraria. Invece ci sono degli aspetti positivi e delle sfide da portare avanti. Parlo del problema dell’assistenza sanitaria, delle visite specialistiche, di alcune forme di collaborazione con le Asl, dell’utilizzazione del lavoro anche positivo che proviene dai detenuti. Su questo terreno con i colleghi della Commissione intendiamo continuare a lavorare concretamente e in tempi assai rapidi. Il carcere di Sulmona negli ultimi tempi oltre ai problemi di sovraffollamento è passato alla ribalta della cronaca per i numerosi tentativi di autolesionismo. Rossano (Cz): Sappe; in arrivo dieci "terroristi internazionali"
Ansa, 28 gennaio 2010
"A breve arriveranno in Calabria circa dieci terroristi internazionali che saranno ospitati nell’istituto di Rossano. In conseguenza di ciò l’organico del carcere di Rossano sarà integrato con dodici agenti di polizia penitenziaria, in parte provenienti da altre regioni". È quanto si afferma in una nota del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). "L’individuazione del carcere di Rossano - affermano il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante e il segretario regionale Damiano Bellucci - denota sicuramente fiducia, da parte del ministero, nel personale di polizia penitenziaria che ci lavora da molti anni. Si tratta di un’iniziativa importante che deve consentire anche di stanziare risorse economiche adeguate per rafforzare i sistemi di sicurezza di tutta la struttura penitenziaria che già ospita detenuti ad alta sicurezza. Il carcere di Rossano è sicuramente un modello all’avanguardia per quanto riguarda l’organizzazione, ma necessita di più risorse, anche per avviare le attività lavorative che dovrebbero consentire ai condannati di intraprendere i programmi di recupero previsti dall’ordinamento penitenziario". Cagliari: Caligaris; detenuto "incompatibile" da 3 mesi in cella
Agi, 28 gennaio 2010
"Le perizie, anche quella del Tribunale, non lasciano dubbi. Roberto Vinci, 38 anni, è incompatibile alla detenzione ma subisce il carcere ormai da tre mesi. L’uomo, affetto da un grave disturbo depressivo cronico, con manie suicidarie, è detenuto in una cella del Centro diagnostico terapeutico di Buoncammino dove viene costantemente monitorato attraverso una telecamera. Le sue condizioni peggiorano quotidianamente e diventa sempre più difficile contenerne le reazioni. Un caso clamoroso che richiede un’immediata soluzione". Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" segnalando il caso del detenuto di Genoni invalido all’80% proprio per la psicopatologia di cui è portatore, dichiarato incompatibile anche all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. "È assurdo che una persona con una così grave sofferenza psichica - ha aggiunto - possa essere tenuta di fatto in isolamento dentro un Istituto di Pena in cui non è possibile svolgere alcun tipo di terapia specifica. L’uomo peraltro soffre anche per la lontananza dai familiari che non possono garantirgli la costante presenza ai colloqui. Nelle lettere inviate all’associazione e negli incontri in carcere manifesta un profondo disagio e chiede insistentemente di poter andare in una comunità". È evidente - ha sottolineato Caligaris - che la mancanza in Sardegna di strutture idonee ad accogliere soggetti affetti da patologie psichiatriche sta mettendo in luce una situazione drammatica. In un Istituto come Buoncammino, sovraffollato, con un numero di agenti del tutto inadeguato, dove i medici a contratto non ricevono lo stipendio da settembre e dove si fanno i salti mortali per garantire un certo decoro, non può trovare ospitalità un detenuto incompatibile con il carcere e con l’ospedale psichiatrico giudiziario. Lo Stato in questo modo compromette la propria credibilità e si mette contro la legge di cui dovrebbe essere il principale fautore". "In attesa dell’individuazione di una struttura adeguata - ha concluso la presidente di Sdr - è forse opportuno che l’uomo ottenga i domiciliari. A casa con un supporto farmacologico compensativo, con un costante aiuto psichiatrico e psicologico, grazie agli affetti familiari potrà vivere in modo meno doloroso". Roberto Vinci è affetto da disturbo bipolare dell’umore di tipo I e disturbo di personalità. Un anno fa gli è stata diagnosticata una lombalgia e nello scorso mese di agosto ha subito un intervento chirurgico di nucleoplastica percutanea. In questi ultimi giorni in seguito a una risonanza magnetica gli sono state riscontrate due ernie del disco che gli provocano forti dolori. Roma: "Dodici mesi a Rebibbia" esce il calendario dei detenuti
www.innocentievasioni.net, 28 gennaio 2010
Il tema dominante dei calendari "carcerari"per il 2010 sembra essere la cucina e l’alimentazione: dalla Casa Circondariale di Rimini arriva "Saperi e sapori", da Siracusa "Arte e cultura nei sapori della cucina tradizionale", da Enna "L’arte di arrangiarsi. Tasselli di vita quotidiana in carcere". Un po’ in controtendenza "Un anno a Rebibbia" realizzato da insegnanti e detenuti della casa di reclusione romana, propone scene di ordinaria attività "intramurale" corredati da testi e poesie. "L’idea nasce da un "credo nella formazione" dice Maria Falcone, docente della scuola carceraria e coordinatrice del progetto "Con ciò intendo dire che io credo fermamente nelle possibilità evolutive di una persona. Tali possibilità si riferiscono a una innata predisposizione dell’altro all’apprendimento, ovvero, alla modifica del comportamento a partire dalle esperienze che vive. L’uomo per natura, in contatto con un ambiente, apprende. Partendo da questo presupposto, durante la mia attività lavorativa, cerco sempre di proporre ai detenuti attività che li vedano coinvolti in altre esperienze di formazione. Lavoro da nove anni nelle carceri e il calendario è un’idea che nasce dalla volontà di fare dei gesti concreti che rispondano alle necessità apprenditive. Ho messo in pratica quello che da anni propongo nel gruppo pedagogico, prima nel carcere di Monza ed ora al Rebibbia Reclusione. Tale progetto si può sintetizzare con la frase di uno dei ragazzi intervistati da Gérard Lutte, che racchiude lo spirito di una Pedagogia dell’emancipazione". "Quando hai una difficoltà riesci a risollevarti solo se incontri qualcuno che ti consente di vivere esperienze diverse".
Ci sono state difficoltà nella realizzazione del progetto? Non c’è stata nessuna difficoltà nel realizzare tale iniziativa. La parte relativa al finanziamento poteva sembrare un’iniziale difficoltà. Non avendo trovato nessuno che sponsorizzasse il calendario si è attivata quella che abbiamo definito "una meravigliosa macchina di solidarietà". I detenuti, i docenti, gli educatori e volontari vari hanno autofinanziato il progetto. Su richiesta dei detenuti, inoltre, i proventi che deriveranno dal ricavato delle offerte volontarie, escluse le spese per la tipografia, saranno devoluti all’associazione "A Roma Insieme" che si occupa dei bambini del nido di Rebibbia Femminile.
Nelle immagini del calendario non si vedono sbarre o ambienti tipicamente carcerari. Perché questa scelta? Le immagini del calendario sono state concordate con Giovanni Iacomini, docente della sezione staccata presso il carcere dell’Istituto "J. Von Neumann", che ha anche realizzato il servizio fotografico. Tali immagini riprendono momenti di vita quotidiana e nello specifico: le attività scolastiche e formative, il gruppo universitario, i momenti ricreativi, i volti. L’espressività dei volti è esemplare perché comunica emozioni, mostra i segni del tempo e ha un valore sul piano personale e sociale. Si è scelto di mostrare forme di vita perché, a mio parere, il carcere non è un nucleo isolato dalla società. Il carcere è società. Se ci si convincesse di questo saremmo tutti un po’ più consapevoli del fatto che dare un contributo agli altri significa darlo a noi stessi.
Le fotografie sono corredate da testi e poesie dei detenuti, tutte molto curate, alcune particolarmente efficaci. Quanto è importante la scrittura in carcere? Il detenuto in carcere espia una pena fisica che è la privazione della libertà e una pena mentale che è pena del pensiero. Il pensiero ha una illimitata capacità di creare, di andare oltre i confini stabiliti dalle mura e nessuno può limitarla. La scrittura è l’arte del pensiero. Pensiero libero, puro e genuino.
In quasi tutte le poesie c’è un sentimento di fiducia e di speranza. È un caso o si riscontra nella maggior parte delle persone che vivono la detenzione? La fiducia e la speranza implicano una certa consapevolezza nei confronti della vita, che corrisponde a una visione positiva di se stessi e degli altri. Tale predisposizione non è innata, ma si acquisisce solo se si predispongono le condizioni fisiche e sociali. È necessario adottare una siffatta misura poiché, come molti sanno, superata una certa soglia critica di dolore, non c’è più apprendimento. Le persone che vivono la detenzione devono essere messi nella condizione di poter sviluppare e coltivare sentimenti di fiducia e di speranza.
"Non è lecito infliggere una pena con un altro fine se non quello che chi ha peccato si corregga". È una frase tratta da un brano degli "Elementi filosofici sul cittadino" di Hobbes che avete scelto di inserire nel mese di ottobre. Secondo la sua esperienza il carcere oggi in Italia assolve in qualche modo una funzione rieducativa? Gli operatori carcerari (direzione, educatori, insegnanti, psicologi, assistenti sociali, polizia penitenziaria) giorno dopo giorno si adoperano affinché la formazione di un detenuto possa realizzarsi nella maniera più efficace possibile. Nelle carceri italiane tale possibilità dovrebbe essere maggiormente ampliata perché uno Stato che pone attenzione alla persona è uno Stato degno di essere vissuto. Riuscire a guardare l’altro con uno spirito di vicinanza è un obiettivo che tutti dovremmo sentire come dovere. Immigrazione: il Senato discute sanatoria ai lavoratori in nero di Marco Ludovico
Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2010
Sanatoria per gli immigrati irregolari che lavorano in nero. Lo prevede il testo del disegno di legge comunitaria, in discussione in aula al Senato. È una norma di delega al governo, nata all’inizio da un emendamento di opposizione e poi recepita nel testo approvato dalla commissione e proposto all’aula, con l’intesa dunque del ministro Andrea Ronchi, titolare del dicastero per le politiche europee. La disposizione, in sé, è dirompente: stabilisce - senza distinguere tra colf, badanti o lavoratori di specifici settori - che, a seguito di dichiarazione-denuncia del datore di lavoro, al lavoratore immigrato assunto in modo irregolare "venga concesso un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di lavoro, trascorso il quale" aggiunge la norma quasi per cautelarsi "si potrà procedere all’espulsione". L’obiettivo è quello di contrastare il lavoro nero e il caporalato. Occorre perciò "introdurre meccanismi atti a facilitare la possibile denuncia dello sfruttamento lavorativo o delle condizioni di irregolarità del rapporto di lavoro". Il fine non si discute, ma la soluzione a sorpresa adottata per ora dal Senato è il rilascio del permesso di soggiorno (temporaneo) e alcuni incentivi agli imprenditori illegali. Infatti, alla lettera e) dell’articolo 48 del disegno di legge sulla comunitaria, che l’aula sta esaminando, si prevede la "non applicazione delle sanzioni a carico di quei datori di lavoro che scelgano di autodenunciarsi e siano disposti a regolarizzare la posizione dei lavoratori impiegati clandestinamente". Dopo lo sfruttamento, dunque, niente sanzioni. Però, dice il testo, gli imprenditori che avevano assunto in nero e decidono di autodenunciarsi e mettersi in regola devono "corrispondere" agli immigrati sfruttati "le retribuzioni e i contributi arretrati che sarebbero stati dovuti in caso di assunzione irregolare". Un testo, quest’ultimo, che a un lettore inconsapevole della provenienza potrebbe sembrare scritto da Paolo Ferrero, portavoce della Federazione della Sinistra, e non dalla commissione Politiche dell’Unione europea del Senato, a maggioranza di centro-destra. Anche perché la lettera f) aggiunge che occorre "verificare la possibile estensione delle norme contro il lavoro nero extracomunitario anche al lavoro nero nazionale qualora tali norme - sottolinea l’articolo - risultassero più favorevoli alla parte contrattuale più debole". Il tenore di queste disposizioni sembra risuonare echi di posizioni politiche trasversali, come quelle sulla cittadinanza agli immigrati, assunte dall’opposizione e sostenute dalla parte della maggioranza che si rifà al presidente della Camera, Gianfranco Fini. Di certo, queste norme sull’immigrazione sono clamorose: il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha detto più volte che non intende fare più alcun genere di sanatoria. In realtà fonti qualificate del Viminale affermano che il ministero dell’Interno non è stato affatto coinvolto o informato di questa operazione. E se è così, potrebbe aprirsi un altro problema politico all’interno della maggioranza, fatto quanto mai singolare durante la campagna elettorale delle regionali. Va anche detto che si tratta di una norma di legge delega: per diventare operativa ha bisogno di un decreto delegato di attuazione, emanato dal governo. Dunque la palla torna in mano ai ministeri interessati. Ma intanto il segnale è stato lanciato: sembra difficile che la Lega non scenda in guerra contro queste novità e si scateni un’altra bagarre nella maggioranza. Europa: il trattamento dei detenuti transessuali in alcuni Paesi
Ansa, 28 gennaio 2010
Questa le norme che regolano la detenzione di transessuali nelle carceri di alcuni Paesi europei. Germania. In Germania non esistono carceri ad hoc per i detenuti transessuali. Tutti i detenuti hanno il diritto di chiedere una cella singola, la decisione se accogliere o meno la richiesta spetta alle autorità. Nel caso dei detenuti transessuali, ogni regione decide in modo autonomo. In generale, vale la regola che se il detenuto si è già sottoposto all’operazione per il cambio del sesso viene mandato in un carcere femminile. Ci sono delle eccezioni, come è successo in passato nel Nord Reno-Westfalia (Ovest), dove le autorità hanno accolto la richiesta di un transessuale che non aveva ancora cambiato sesso di scontare la pena in un carcere femminile. In un altro caso, nel Land di Berlino, un transessuale ha fatto causa perché era stato rinchiuso in un carcere maschile e chiedeva di essere trasferito in una prigione femminile. L’uomo ha vinto la causa. Gran Bretagna. Per quel che riguarda transessuali che devono essere sottoposti a misure di tutela cautelari, in Gran Bretagna, si valuta caso per caso. La collocazione di persone che presentano uno status sessuale diverso da quello della nascita e che non si sono ancora sottoposte a intervento chirurgico viene stabilito solo in seguito a una valutazione di rischio. Il quadro normativo che gestisce questa situazione risale al Gender Recognition Act del 2004. In base a questa legge a tutti i detenuti transessuali viene "applicato" il genere stabilito dall’inchiesta, ovvero il Gender Recognition Certificate (Grc). Dopo di che vengono trasferiti nella struttura idonea. La procedura di solito rispetta il nuovo genere sessuale acquisito dal soggetto. Spagna. In Spagna non sono previste carceri separate per i transessuali. I transessuali di cui è stato già riconosciuto formalmente il cambiamento di sesso vengono detenuti nelle carceri corrispondenti. Per quelli che ancora non hanno finalizzato o ufficializzato il cambiamento di sesso è previsto che possano scegliere di andare in un carcere per uomini o per donne a seconda di dove si sentono più a loro agio. Francia. In Francia non esistono carceri per detenuti transessuali ma ci sono gli "Arrangements dans les prisons", cioè delle regole che ciascuna prigione decide di applicare: nelle carceri si fa in modo di non mettere un trans con i documenti di un uomo (se ha documenti di donna viene automaticamente messo con le donne) fra persone particolarmente pericolose, come rapinatori o omicidi perché rischierebbe di subire violenze. Venezuela: rissa in carcere tra bande di detenuti, morti e feriti
Ansa, 28 gennaio 2010
È di almeno otto morti e 16 feriti il bilancio ancora provvisorio di scontri fra bande rivali scoppiate oggi nel carcere di Planta, nella capitale venezuelana Caracas. Lo ha reso noto la responsabile dei servizi penitenziari, Consuelo Serrada. Lo scontro tra i detenuti del padiglione 2 e quelli del 3, scoppiato per il controllo interno del carcere, è avvenuto durante la visita dei loro familiari. Dopo aver sedato la rissa, le autorità hanno avviato le indagini del caso.
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