Rassegna stampa 20 gennaio

 

Giustizia: maltrattamenti ai detenuti, Italia spesso maglia nera

di Mauro Palma*

 

www.linkontro.info, 20 gennaio 2010

 

Mentre si celebrano i vent’anni del Cpt (Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani o degradanti), il problema in Europa non è affatto risolto. Si sono fatti - è vero - molti progressi, ma la piaga dei maltrattamenti è ancora viva e preoccupante. Un problema, questo, da cui l’Italia non è purtroppo esente. Questi comportamenti avvengono soprattutto nelle prime ore successive all’arresto e coinvolgono quell’autorità pubblica che dovrebbe essere responsabile, non solo della custodia delle persone, ma anche della protezione dei loro diritti. E fino a quando non sarà pienamente acquisita la consapevolezza che proprio il rispetto di ogni persona è il comportamento più efficace per combattere ogni forma di criminalità, la battaglia per sradicare tortura e maltrattamenti non sarà vinta.

In Italia il problema principale è oggi il ritmo di crescita della popolazione carceraria, tra i più alti in Europa. Inoltre, il nostro paese è maglia nera per l’alta percentuale di coloro che in carcere sono in attesa di sentenza definitiva: una situazione che è il prodotto sia della lunghezza dei processi sia dell’esteso ricorso alla misura detentiva in fase d’indagine. Allarmante è l’elevato numero di decessi in carcere e, tra questi, il numero di suicidi correlati col sovraffollamento. L’elemento positivo che caratterizza la situazione italiana è la legge penitenziaria, che è tra i migliori in Europa. Ma che, come avviene per molte delle nostre leggi, è ben lontano dall’essere pienamente attuato.

Per quanto riguarda l’immigrazione, il caso dei respingimenti in mare ha rappresentato una situazione inedita nel panorama europeo su cui è bene riflettere anche sul piano culturale oltre che interrogarsi sulle garanzie da offrire a persone in quelle condizioni. Così come lasciano perplessi alcune espulsioni coatte, attuate nonostante le sentenze contrarie della Corte europea. Infine, attenzione va anche rivolta ai trattamenti sanitari obbligatori per motivi psichiatrici, indagando proprio a partire da un caso di decesso avvenuto l’estate scorsa.

Sono vent’anni, però, che, in base a un trattato ratificato dai 47 paesi del Consiglio d’Europa, il Comitato per la prevenzione della tortura realizza visite periodiche o ad hoc, non annunciate, nei luoghi di detenzione, nelle celle di custodia delle varie polizie, negli ospedali psichiatrici, nei centri per immigrati. Visita e controlla documentazione e condizioni delle persone, per poi indirizzare agli stati le conseguenti raccomandazioni e vigilare che vengano implementate. Un’azione che costituisce di per sé un successo perché indica che in Europa non ci possono essere luoghi impenetrabili e non consentiti al controllo.

Ma vent’anni sono un periodo breve per guarire una piaga secolare che fa parte, purtroppo, di certa cultura, pronta a riemergere alla prima emergenza, secondo cui i maltrattamenti possono, in casi estremi, essere consentiti in nome della sicurezza della collettività.

Proprio l’importanza e la limitatezza del cammino fin qui percorso ha portato a celebrare i vent’anni del Cpt con un triplice approccio: soddisfazione per i risultati conseguiti; consapevolezza delle nuove difficili sfide; esportazione del nostro modello fuori dall’Europa. È stato, infatti, adottato dall’Onu e già ratificato da 50 paesi un protocollo che prevede l’istituzione di un organismo simile a livello globale: in grado di compiere visite in tutti i luoghi di privazione della libertà, anche interagendo con un’autorità nazionale indipendente che goda dei suoi stessi poteri. Più della metà degli stati dell’Unione europea ha ratificato il protocollo e ha istituito questa autorità nazionale indipendente: l’Italia ancora no; alla sua iniziale firma di sei anni fa, non è seguita la ratifica.

Tre sono le sfide che il Comitato vuole ricordare nell’occasione dei suoi vent’anni e che rappresentano le linee del suo attuale impegno: la sovrappopolazione carceraria, la detenzione degli immigrati e la persistente impunità dei pubblici ufficiali responsabili di maltrattamenti.

Perché la crescita della popolazione carceraria, unita alla crisi economica e ai minori investimenti in questo settore, porta inevitabilmente a condizioni di detenzione inaccettabili, oltre che a vanificare qualunque finalità della pena. Perché la privazione della libertà di migranti illegalmente presenti nel territorio europeo avviene in numero sempre più alto, per periodi sempre più lunghi e in condizioni sempre più preoccupanti. Perché l’impunità dei responsabili di maltrattamenti oltre a essere nuova violenza verso le vittime è un attacco a chi opera democraticamente all’interno delle forze dell’ordine.

Proprio quest’ultimo aspetto, la lotta all’impunità, costituisce il banco di prova dell’impegno degli stati a cooperare con il Comitato nel suo compito di tutelare la dignità e l’integrità personale di ogni persona, anche di chi ha commesso un reato.

 

* Presidente del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani o degradanti

Giustizia: "Diritti umani e tortura…", se la violenza è di Stato

di Daniele Palumbo

 

www.step1.it, 20 gennaio 2010

 

A Catania un incontro su "Diritti Umani e Tortura: potenza e prepotenza dello Stato democratico" di Paolo Garofalo: un libro che aiuta a capire quanto sia necessario inserire nell’ordinamento italiano il reato di tortura: "È una realtà presente anche da noi, nelle carceri come tra le mura di un appartamento".

Raccontando la sua esperienza di lavoro, Paolo Garofalo, autore del libro "Diritti Umani e Tortura: potenza e prepotenza dello Stato democratico" (Caefor) fa notare come la tortura non sia poi così lontana da noi: "È una realtà presente anche nel civilissimo Occidente di cui non ci accorgiamo perché crediamo solo alle verità lontane che ci mostra la tv, come quella di Guantanamo. Ma la tortura si pratica anche in Italia, in Sicilia, nelle carceri così come tra le mura di un appartamento".

L’autore siciliano ha presentato il suo libro venerdì scorso alla Biblioteca Civica Ursino Recupero di Catania:"In una biblioteca che contiene importanti testi riguardanti i diritti umani, pena di morte e tortura, anche di autori siciliani, reputo sia importante parlare qui di un libro che sottolinea interamente quanto l’argomento della tortura sia ancora attuale e presente anche nelle società occidentali".

Così Salvo Fleres, senatore e coordinatore nazionale dei Garanti dei Detenuti, ha introdotto l’incontro, moderato dalla giornalista Assia La Rosa. Al centro del dibattito l’annosa questione del "buco istituzionale" italiano sul tema dell’uso della tortura e del suo peso a livello sociale e giuridico. Il libro ha due prefazioni una di Pietro Marcenaro, senatore del Pd, l’altra di Salvo Fleres, schierato col Pdl; ed è proprio questo elemento a fare capire all’auditorio quanto l’argomento sia trasversale a ogni schieramento politico.

La convenzione dell’Onu del 1988 alla voce tortura riporta questo lemma: "Il Termine tortura designa qualsiasi atto si infligge a una persona, dolore o sofferenze fisiche o psichiche, al fine di ottenere da questa, o da una terza persona, informazioni o confessioni qualora tale sofferenza venga inflitta da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che rivesta cariche istituzionali o sotto istigazioni di un uno di esso". Un significato diverso, più specifico, rispetto a quello che gli si attribuisce nel sentire comune. Eppure, dalla convenzione dell’Onu sono passati più di vent’anni e ancora in Italia dell’istituzione del reato di tortura non si parla in termini definitivi.

Il paradosso della legislazione italiana è che nel nostro ordinamento sono stati di recente introdotti due reati, quello di mobbing e quello di stalking, che, afferma Fleres "sono di minore entità mentre non sono stati invece inseriti il reato di tortura o di stupro. Nel caso della tortura si fa ricorso ad altre norme del codice penale e si arriva all’identificazione del reato attraverso moltissimi cavilli giuridici".

In questo momento paradossalmente le forze politiche, sia di centro destra sia di centro sinistra, manifestano una disponibilità ad affrontare la questione del reato di tortura ma per vari motivi, non sempre espliciti, i disegni di legge proposti, già passati in Parlamento, sono stati respinti e rimessi all’attenzione della commissione di valutazione. La motivazione? "Sapendo di farmi qualche nemico in più - risponde Fleres - dico che la resistenza all’approvazione di questa legge la bisogna ricercare in alcune categorie statali: nella magistratura, nella polizia e nelle forze armate perché si è fortemente convinti che questo reato possa alterare l’equilibrio dell’attività ordinaria di queste autorità".

Nel 2006 il Parlamento approvò un progetto di legge che istituiva il reato di tortura che nel 2007 fu respinto dal senato. "In quel caso - chiediamo a Fleres - quali sono stati i motivi della mancata approvazione"? "Nel 2008 le Camere furono sciolte e il disegno di legge non fu approvato. Sono stati presentati ben cinque disegni di legge al senato sostanzialmente identici che riprendono il testo sia del ddl del 2006 sia quello della convenzione Onu. Ma è accaduta una cosa grave: nel 2009 al Senato io e altri presentammo un emendamento, rifacimento del ddl del 2006, e quell’emendamento fu bocciato per soli sei voti. Ecco perché i fautori e gli avversari dell’introduzione del reato di tortura sono trasversali: perché intorno a ciò ruotano posizioni controverse".

La forte opposizione di queste componenti sta tuttora rallentando il processo di approvazione, ma in questo campo è la politica che spinge a una tavola rotonda in grado di portare dei risultati. "Bisogna proseguire nello sforzo di accelerare l’iter legislativo. L’introduzione del reato di tortura è un tema bipartisan sul quale i fronti politici devono trovare una soluzione ragionevole e unitaria",commenta il deputato nazionale del Pd Giuseppe Berretta, presente al tavolo di discussione. A tal proposito Fleres conclude invitando tutte le componenti sociali e istituzionali "a partecipare al dibattito. Perché il libro di Paolo Garofalo serva a dedicare qualche ora del vostro tempo a pensare e a farvi formare un’ opinione su questo problema del nostro tempo e della nostra società".

Giustizia: interrogazione; nelle carceri meno diritti e più suicidi

 

Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2010

 

Interrogazione al Ministro della Giustizia, del Senatore Felice Casson (Pd) ed altri.

A fronte della drammaticità delle condizioni in cui versano gli istituti di pena italiani, il "piano carceri" sottoposto - secondo quanto può evincersi dalle notizie di stampa - all’esame del Consiglio dei ministri appare, a giudizio degli interroganti, del tutto inadeguato allo scopo, non potendosi certo risolvere in termini di edilizia penitenziaria un problema che investe in primo luogo l’attuazione del principio rieducativo della pena, le modalità di esecuzione della condanna, la funzionalità dei programmi trattamentali, l’effettiva applicazione delle misure alternative (la cui efficacia specialpreventiva è dimostrata dal minore tasso di recidiva, circa il 28 per cento, che determina rispetto a quanti scontano la pena in carcere, il 68 per cento), la predisposizione di programmi di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti;

a parte le notizie di stampa, certamente insufficienti e da approfondire, al momento attuale di questo "piano carceri" non si hanno notizie utili a far sapere e capire al Parlamento e al Paese se la grave situazione carceraria italiana sia realmente e concretamente affrontata con mezzi e interventi adeguati allo scopo;

sempre a seguito delle notizie di stampa, viene paventato il rischio che, approfittando di questa situazione carceraria, il "piano carceri" preveda la possibilità di assegnare appalti e in particolare di costruire nuovi stabilimenti carcerari ricorrendo a disposizioni di secretazione degli atti, che comporterebbero la non trasparenza di procedure e comportamenti dei pubblici amministratori, con estensione inaccettabile e quasi "eversiva" delle norme vigenti in materia, così determinando la possibilità di turbative delle regole del mercato, nonché di produrre fenomeni corruttivi, soprattutto se si riterrà di dilatare in maniera irragionevole il regime della normativa in materia di "protezione civile";

premesso inoltre che:

il Garante per i diritti delle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale del Lazio, Angiolo Marroni, ha affermato in una nota del 23 dicembre 2009 che con i due suicidi registrati nel mese di dicembre a Vicenza e a Roma "i detenuti che si sono tolti la vita nel 2009 nelle carceri italiane sono 71, cifra che supera la precedente soglia massima di 69, fatta registrare nel 2001". Il totale dei detenuti che sono morti nelle carceri di tutta Italia nel 2009, secondo i dati diffusi da "Ristretti orizzonti", salirebbe dunque a 173;

tra i fattori del progressivo incremento del numero dei suicidi e delle morti (spesso anche per cause sospette) in carcere possono verosimilmente annoverarsi le condizioni di estremo degrado e di vero e proprio abbandono in cui versano molte delle strutture penitenziarie in Italia, al punto da rendere oltremodo difficoltosa (se non impossibile e utopica) l’attuazione del principio rieducativo che, ai sensi dell’articolo 27, terzo comma, della Costituzione, deve orientare e, prima ancora, legittimare, la stessa esecuzione della pena;

la drammaticità delle condizioni che caratterizzano le carceri italiane e la stessa, conseguente, violazione della dignità dei detenuti è imputabile in misura significativa al grado di sovraffollamento che si registra con incremento preoccupante negli istituti di pena italiani: l’entità della popolazione detenuta, che ad oggi si avvicina alle 66.000 presenze - a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e "tollerabile" di 64.111 - cresce con un tasso di poco inferiore alle 800 unità al mese, sicché si prevede che a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100.000 nel giugno del 2012).

Tale condizione di sovraffollamento - incompatibile non solo con le norme regolamentari ma anche con le norme penitenziarie europee, adottate con raccomandazione Rec (2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa - ha determinato addirittura la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per violazione dell’art. 3 della CEDU, in relazione al caso di un detenuto costretto a vivere in una cella di soli 2,70 metri quadrati, affermandosi che la mancanza palese di uno spazio personale costituisce di per sé un trattamento inumano o degradante, soggiungendosi peraltro che debba ritenersi deplorevole che il ricorrente non abbia potuto svolgere alcuna attività lavorativa all’interno del carcere (si veda la sentenza della Corte europea di Sulejmanovic del 16 luglio 2009 contro Italia - ricorso n. 22635/03);

come dimostra la suddetta sentenza, il disagio della popolazione detenuta (comprensiva non solo di condannati, ma anche di imputati in attesa di giudizio, come tali presunti innocenti sino a sentenza definitiva) è dovuta non soltanto alle pur rilevanti condizioni di sovraffollamento che caratterizzano gli istituti penitenziari italiani, ma anche alla pressoché assoluta carenza dei progetti di formazione, lavoro e studio in carcere, nonché a programmi trattamentali idonei ad attuare pienamente la finalità di reinserimento sociale della pena, cui si finisce così per attribuire una funzione di mera incapacitazione e neutralizzazione del reo, priva dei contenuti rieducativi cui invece l’art. 27, comma terzo, della Costituzione subordina la legittimità della sanzione penale;

considerato che:

il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli artt. 2 e 3 della Costituzione; dagli artt. 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000; dagli artt. 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli artt. 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli artt. 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 12 febbraio 1987, recante "Regole minime per il trattamento dei detenuti" e dall’art. 1 della raccomandazione (2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa dell’11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall’art. 1, commi 1 e 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona", dovendo altresì essere attuato "secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti";

l’art. 15, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, prescrive che "il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia",

si chiede di sapere:

quali siano i contenuti effettivi del "piano carceri" di cui in premessa e se esso consista unicamente in provvedimenti adottati ai sensi della legge n. 225 del 1992 ovvero preveda anche misure legislative di tipo ordinamentale, idonee a rimuovere le cause, prima ancora degli effetti, delle numerose e gravi disfunzionalità che caratterizzano la situazione degli istituti penitenziari italiani;

se sia vero che il "piano carceri" preveda la possibilità di assegnare appalti e di costruire nuovi stabilimenti carcerari, utilizzando norme di secretazione degli atti (e quali essi siano) e ricorrendo al regime normativo previsto per la protezione civile, già utilizzato in altri ambiti, intendendo l’emergenza in un’accezione molto ampia;

quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare al fine di risolvere, o quantomeno minimizzare, i gravi pregiudizi che le condizioni di estremo disagio nelle quali versano le carceri italiani determinano nei confronti della popolazione detenuta;

se non ritenga opportuno predisporre misure idonee ad attuare pienamente - attraverso la previsione di programmi trattamentali, progetti di formazione e lavoro in carcere, nonché di reinserimento lavorativo e sociale dei detenuti - il contenuto rieducativo della pena;

se non ritenga necessario disporre un’inchiesta ministeriale sulle ragioni delle morti in carcere; sullo stato di sovraffollamento degli istituti penitenziari e sulla piena attuazione delle norme previste dalla legge n. 354 del 1975 in ordine al diritto dei detenuti all’istruzione, al lavoro, al libero esercizio della propria religione, alle attività culturali, ricreative e sportive e al mantenimento delle relazioni familiari.

Giustizia: Pannella; da stasera sciopero di fame per l'amnistia

 

Agi, 20 gennaio 2010

 

"Vi annuncio che, per quel che mi riguarda, inizio da stasera lo sciopero della fame ad oltranza". Lo ha detto Marco Pannella durante una conferenza stampa con Emma Bonino nella sede dei radicali a via di Torre Argentina: tre sono gli obiettivi che si pone il leader radicale con questa protesta non violenta:

- Per la grande urgente amnistia volta a riformare e riportare nella legalità violata la giustizia, per mobilitare la comunità internazionale contro la tortura di massa strutturalmente ed istituzionalmente praticata ai danni di tutti i componenti della comunità penitenziaria (detenuti, agenti, personale amministrativo e sanitario) e contro la continua profanazione del diritto-dovere alla verità, alla conoscenza, alla informazione democratica negata da Raiset, Sky Italia e La7.

- Per rapidamente istruire e processare i responsabili della guerra e dell’occupazione dell’Iraq scatenata il 18 marzo 2003 per impedire l’ormai assicurato esilio del dittatore la liberazione con la democrazia e la pace del popolo iracheno. Le formali denunce radicali contro il Presidente Bush ed il Premier Blair ed i loro complici, perché Occidente e democrazia tornino ad affermarsi come le grandi armi di attrazione di massa nel mondo.

- Perché la comunità internazionale accerti la realtà sui negoziati tra Pechino e il Dalai Lama, così come sulle posizioni delle altre "minoranze etniche" a cominciare dal popolo uiguro.

Giustizia: Mussolini; chi fa violenza sulle donne stia in carcere

 

Apcom, 20 gennaio 2010

 

Bisogna fare più attenzione a scarcerare gli uomini che si macchinano di violenza sulle donne, perché il rischio è che ripetano le proprie azioni. È l’appello della deputata Alessandra Mussolini, che ieri è stata contattata dalla squadra mobile di Lucera, in provincia di Foggia, per parlare con Massimiliano Credico, l’uomo che ha tenuto in ostaggio una 14enne per 7 ore.

"Sono state - ha raccontato la Mussolini ai microfoni di Mattino 5 - ore angosciose. Io credo che chiunque si sarebbe messo in contatto e avrebbe dato la propria disponibilità quando si presentano questo tipo di richieste. C’è stato un contatto con la squadra mobile, però Massimiliano Credico non credeva che fossi realmente io al telefono, perché questo già era successo nel 2007. Allora, mi chiedo come mai è stato messo in prigione solamente per diciotto mesi per poi essere scarcerato, e dopo due mesi, ritenta questi gesti estremi?". "Questo è molto grave e spero non accada più e che i giudici capiscano che questa è una persona pericolosa se lasciata libera. Le donne devono assolutamente denunciare, però le persone che commettono questi reati devono andare in carcere e rimanerci".

Giustizia: se Filomena Rotolo "valeva meno"... di chi l’ha uccisa

 

www.linkontro.info, 20 gennaio 2010

 

Nella notte tra domenica e lunedì Filomena Rotolo è stata violentata, picchiata, derubata delle poche cose che aveva. Viveva per strada, a Taranto. È morta ieri, dopo due giorni di agonia. Una morte terribile, come fu terribile quella di Giovanna Reggiani, la donna violentata e uccisa a Roma da un ragazzo rumeno nell’autunno del 2007, nell’episodio che riempì giornali e telegiornali e segnò l’inizio della tolleranza zero veltroniana.

Anche il presunto assassino di Filomena Rotolo è uno straniero, di origine bulgara e senza permesso di soggiorno. Della sua morte il pur stimabilissimo tg3 ha parlato in un servizio marginale, poco prima di chiudere sulle inflessioni linguistiche degli allenatori di calcio. Approveremmo la scelta - non crediamo si debba dare tanto spazio agli episodi di cronaca nera - se seguisse un criterio generalizzato. Ma così di solito non accade. E questa volta nessuno ha profittato della vicenda nemmeno per parlar male di un clandestino. Scopriamo così come sia senso più che comune che, nell’epoca delle aggressioni fisiche e culturali agli immigrati, la triste classifica della marginalità continua a vedere i poveri ancora a un livello inferiore rispetto agli stranieri. Finanche il Tg3, l’unico che fin dal principio dette la notizia della morte di Stefano Cucchi.

Giustizia: padre Cucchi; in paese civile non si può fare sua fine

 

Agi, 20 gennaio 2010

 

"Io credo nella giustizia, se c’è una responsabilità prima o poi verrà fuori. In un Paese civile non si può fare la fine che ha fatto mio figlio. Mi aspetto che la magistratura faccia il suo dovere, faccio appello a chi di dovere che faccia le indagini in modo scrupoloso e con coscienza". Sono parole di Giovanni Cucchi, padre di Stefano, il ragazzo romano morto in carcere in circostanze ancora da accertare. "Le foto che abbiamo deciso di pubblicare - ricorda Cucchi intervenuto alla trasmissione Punto Dem, in onda su YouDem Tv - non rendono quanto la visione che abbiamo avuto all’obitorio. La nostra rabbia nasce da lì. Vedere un figlio che esce di casa sano e si ritrova dentro un obitorio ridotto a uno scheletro non è accettabile". Secondo Cucchi, quello di Stefano è solo uno dei tanti casi di violenza nelle carceri che avvengono in Italia: "mi spaventa la situazione, il caso di Stefano è solo la punta dell’iceberg. Tutto questo va affrontato nel modo giusto".

Giustizia: Cucchi; garante detenuti alla commissione inchiesta

 

Adnkronos, 20 gennaio 2010

 

Il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni è stato ascoltato, in audizione, dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino nell’ambito dell’inchiesta sull’efficacia, l’efficienza e l’appropriatezza delle cure prestate a Stefano Cucchi. Nel corso dell’audizione il Garante ha anche affrontato le problematiche, nel Lazio, legate al passaggio dell’assistenza sanitaria ai detenuti dal ministero della Giustizia ai singoli Servizi Sanitari Regionali. A chiedere l’incontro con la Commissione Parlamentare d’Inchiesta era stato lo stesso Garante dei detenuti, all’indomani della morte di Stefano Cucchi e del suicidio di Diana Blefari Melazzi, con una lettera inviata al presidente dell’organismo parlamentare, il senatore Marino. Nella lettera il Garante, ricordando che quello alla salute è uno dei diritti più vilipesi in carcere, aveva proposto alla Commissione di visitare le strutture sanitarie per detenuti di Roma e della Regione Lazio, per comprendere le difficoltà che, quotidianamente, affrontano i detenuti e gli operatori della medicina penitenziaria.

Giustizia: Fp-Cgil; in agitazione contro iniziative del Governo

 

Adnkronos, 20 gennaio 2010

 

Nei giorni scorsi il Coordinamento nazionale Fp-Cgil Polizia Penitenziaria ha proclamato lo stato di agitazione del personale su tutto il territorio nazionale "per protestare - si legge in una nota -verso le insufficienti iniziative assunte dal governo e dal ministro della Giustizia in tema di emergenza carcere e politiche di adeguamento del personale, contro le pessime condizioni lavorative e l’aumento dell’orario di lavoro dei poliziotti imposto dal Dap, adottato in barba alla normativa vigente e, anche, senza tenere conto dei recenti pronunciamenti offerti da taluni Tar in materia".

"Lo abbiamo fatto -afferma Francesco Quinti, responsabile nazionale del Comparto sicurezza Fp-Cgil Polizia Penitenziaria- perché, nella stragrande maggioranza degli istituti penitenziari del Paese, continua ad aggravarsi ogni giorno di più irrisolta la situazione di profonda inadeguatezza e forte criticità del sistema carcerario; si moltiplicano gli episodi di autolesionismo e i suicidi, e altrettanto numerosi sono i tentativi sventati grazie alla professionalità, alla prontezza e all’alto senso di umanità del personale di Polizia Penitenziaria, gli ultimi dei quali a Sulmona e Como, causati dalla drammatica condizione di forte sovraffollamento in atto nelle strutture detentive".

"Su questo piano -conclude Quinti- reputiamo insufficienti le misure adottate e gli interventi declinati dal ministro con la dichiarazione di stato di emergenza e il famoso piano carceri. Si tratta di risposte che a nostro giudizio rimandano sine die la soluzione dei problemi, che non offrono rimedi per l’immediato e gettano ulteriori ombre sulla tenuta del sistema penitenziario e del mondo del lavoro".

Lettere: i detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 20 gennaio 2010

 

Io, internato a Sulmona. Caro Riccardo, sono internato nel carcere di Sulmona. Sono uno dei tanti che si trova qui perché sottoposto a misura di sicurezza detentiva. Secondo la legge dovremo lavorare, ma invece siamo costretti a stare sempre in cella, come gli altri detenuti. Di fatto viviamo in tre persone dentro una cella di soli 6 mq e ti assicuro che non è facile vivere per 22 ore così. Qui a Sulmona molti sono indotti alla disperazione, qualcuno tenta il suicidio e altri purtroppo ci riescono.

Così come è accaduto la notte tra il 7 e l’8 gennaio quando si è impiccato un ragazzo di 28 anni, che era internato come me. Dopo poche ore anche un altro internato ha cercato di uccidersi, prima tagliandosi le vene e poi impiccandosi, ma per fortuna è stato salvato dai compagni di cella. Qualche giorno fa un detenuto ha poi tentato di impiccarsi, dandosi anche fuoco e un altro ancora ha tentato di uccidersi impiccandosi con i lacci delle scarpe. Il tutto nel giro di 48 ore. Insomma la situazione a Sulmona è sempre più tesa e ne vedo tanti di ragazzi pronti a farla finita. D’altra parte sopravvivere qui basta poco per lasciarsi andare. Pensa che io, dopo aver scontato ben 17 anni di carcere, sono stato portato a Sulmona da internato. Una pena senza condanna e senza una fine che mi sta facendo impazzire.

 

Mimmo, dal carcere di Sulmona

 

A Udine anche Il Riformista ci viene negato. Caro Arena, anche a Udine viviamo malissimo a causa del sovraffollamento. Infatti il carcere di Udine è fatto solo per circa 100 detenuti mentre oggi ci viviamo ammassati in più di 230 persone. Nelle celle non c’è più posto, tanto che ora stanno mettendo i detenuti appena arrestati dentro luoghi che celle non sono. Pensa poi che il medico di notte non c’è e se qualcuno di noi sta male, come è capitato, non manca anche un infermiere che possa soccorrerlo. Per quanto riguarda la magistratura di sorveglianza devi sapere che qui a Udine c’è una media di 12 detenuti al mese che chiede misure alternative. Beh, dall’inizio del 2009 solo 5 persone hanno ottenuto l’affidamento, ovvero meno del 5%, mentre altri no.

Per il resto siamo costretti a restare sempre chiusi in cella. Il lavoro qui non esiste e su 230 detenuti lavorano solo 6 persone. A Udine anche Il Riformista ci viene negato, nonostante le nostre ripetute richieste, ma noi vi riusciamo a leggere grazie ai nostri familiari che ci portano il giornale qui. Sappiate che anche noi detenuti di Udine abbiamo organizzato una protesta pacifica non per chiedere impunità, ma il rispetto della dignità e di quanto è previsto dalla legge. Arena, grazie per quello che fai.

 

Fabio e altri 151 detenuti dal carcere di Udine

Sardegna: Consiglio; attuare trasferimento sanità penitenziaria

 

Ansa, 20 gennaio 2010

 

"Il mancato insediamento della commissione paritetica per l’attuazione dello Statuto sardo è un fatto molto grave che sta avendo in Sardegna ripercussioni disastrose. La invito ad attivarsi per rendere operativo questo organismo il cui compito più urgente è l’attuazione del protocollo di intesa tra Stato e Regione per il trasferimento della sanità penitenziaria". Lo scrive in una lettera al ministro per i rapporti con le regioni Raffaele Fitto il vice presidente del Consiglio regionale Michele Cossa. "Non è possibile - ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio - che il ministro mostri disinteresse per un atto che la Sardegna aspetta da tempo. Mentre da Roma non arrivano decisioni la situazione sanitaria nelle nostre carceri è ormai al tracollo.

I medici che lavorano negli istituti di pena aspettano da mesi gli stipendi e devono far fronte a una situazione carceraria da terzo mondo, con un rischio di suicidi e di malattie altissimo. Il vicepresidente Cossa auspica una presa di posizione anche da parte della giunta regionale: "Non voglio pensare che l’esecutivo resti indifferente e non richiami duramente il ministro alle sue responsabilità".

Spoleto: si impicca detenuto 29enne; il settimo suicidio del 2010

 

Ansa, 20 gennaio 2010

 

Settimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Ivano Volpi, detenuto di 29 anni, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. Settimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Ivano Volpi, detenuto italiano di 29 anni, si è impiccato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. L’uomo - secondo quanto si è appreso - sarebbe stato arrestato lo scorso 16 gennaio per reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Secondo le prime informazioni, Volpi, con precedenti penali, sarebbe stato processato per direttissima e poi trasferito nel carcere di Spoleto.

Nel giro di 20 giorni, dunque, sono già sette i detenuti che hanno deciso di farla finita nelle sovraffollate carceri italiane per il quale la settimana scorsa il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza. Proprio martedì 19 gennaio, presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si è tenuta una riunione, presieduta dal capo del Dap, Franco Ionta, con all’ordine del giorno il rischio suicidi nelle carceri italiane. Nel corso della riunione si è deciso di impartire a breve delle direttive affinché si possa offrire maggiore assistenza psicologica ai detenuti che ricevono in carcere notizie negative quali, ad esempio, malattie di familiari, separazioni matrimoniali, oppure condanne definitive.

Bologna: Sappe; ok ampliamento carcere, ma serve personale

 

Dire, 20 gennaio 2010

 

L’ampliamento del carcere bolognese della Dozza trova l’ok del Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria (Sappe) che, con una nota del segretario aggiunto Giovanni Battista Durante, fa sapere: "Apprendiamo con favore l’ipotesi contenuta nel piano carceri di costruire un nuovo padiglione di 200 posti detentivi, perché ciò consentirà di deflazionare l’istituto esistente, dove ci sono oltre 1.150 detenuti dei quali i due terzi sono in attesa di sentenza definitiva, 290 tossicodipendenti e circa il 60% stranieri".

È comunque evidente, aggiunge Durante, che "l’apertura di un nuovo padiglione deve essere accompagnata da un adeguato incremento di organico, ma ciò è garantito dal fatto che il piano carceri prevede l’assunzione di 2000 nuovi agenti, ai quali se ne aggiungeranno altri 1800 derivanti dal turnover". E poiché l’Emilia-Romagna "ha una carenza di organico di oltre 600 agenti", ricorda Durante, "è opportuno" che almeno questi vengano destinati in regione. Inoltre, "chiediamo che venga ultimato al più presto il nuovo carcere di Forlì, in modo che si possa definitivamente chiudere quello attuale, situato in un vecchio castello, dove non è possibile garantire le condizioni minime di sicurezza e di vivibilità". In quella struttura, sottolinea Durante, "per la mancanza di spazi adeguati spesso i detenuti sono costretti a dormire sui materassi posti per terra".

Inoltre, "fa ben sperare l’ipotesi deflattiva contenuta sempre nel piano carceri - continua la nota - riguardante la possibilità di scontare il residuo pena di un anno agli arresti domiciliari, anche se come Sappe avevamo chiesto che tale ipotesi fosse estesa ai detenuti con un residuo pena fino a tre anni".

Napoli: l’Italia dei Diritti chiede un intervento per Poggioreale

 

Italia dei Diritti, 20 gennaio 2010

 

Lo sdegno congiunto della vice responsabile campana Licia Palmentieri e del responsabile per la Giustizia Giuliano Girlando: "È necessaria una maggiore tutela dei carcerati".

Col raggiungimento del poco invidiabile primato di 2.680 reclusi, la situazione del carcere di Poggioreale, il più vecchio del capoluogo campano, ha assunto ormai i tratti di un’emergenza. Condizioni fatiscenti, un sovraffollamento stimato nell’ordine di mille unità oltre la capienza massima prevista, celle ospitanti fino a nove detenuti ognuna, condizioni igieniche precarie e un numero di agenti penitenziari ormai fermo dal 2001.

Uno scenario che ha spinto l’Italia dei Diritti, nelle persone della vice responsabile campana Licia Palmentieri e del responsabile per la Giustizia Giuliano Girlando, a invocare a piena voce un intervento istituzionale: "Alfano ha appena ottenuto l’approvazione di un decreto speciale per la costruzione di nuove carceri - ha commentato la Palmentieri - ma per me è solo una boutade elettorale che non avrà seguito, perché serviranno circa 15 anni per costruire nuove strutture, mentre si potrebbero attuare soluzioni più rapide, penso all’adattamento di edifici dismessi, che potrebbero senza dubbio accelerare i tempi.

Garantire un’esistenza più umana ai detenuti è doveroso - incalza la vice responsabile campana dell’Italia dei Diritti - perché il carcere deve essere sì punitivo, ma anche finalizzato a un recupero sociale dell’individuo. Si dovrebbe prestare più attenzione al tema, anche in conseguenza del caso Cucchi, che ha una certa correlazione con il quadro carcerario italiano. Ci auguriamo, pertanto - conclude -, che lo Stato prenda a cuore quelli che appaiono sempre come i soliti dimenticati".

La corrispondenza tra la morte di Stefano Cucchi e il tema del sovraffollamento delle carceri è stata ribadita anche da Giuliano Girlando, responsabile per la Giustizia del movimento nazionale: "La tutela dei carcerati - spiega - è un obiettivo primario che le istituzioni devono impegnarsi a raggiungere perché, come abbiamo visto nel caso Cucchi, c’è stata una violazione dei diritti del detenuto ed è evidente che è un aspetto che viaggia di pari passo col sovraffollamento.

Oltre questo, il governo deve fare chiarezza sulla presenza di fondi per nuove strutture carcerarie, magari stanziandone una parte per incrementare il numero delle forze dell’ordine, polizia penitenziaria compresa. L’aspetto più importante, però - conclude il rappresentante del movimento presieduto da Antonello De Pierro -, è la riapertura delle carceri già esistenti, come quelle di Pianosa e dell’Asinara, soprattutto per quei reati per i quali il 41 bis appare necessario".

Caserta: Opg Aversa; false perizie sul boss, arrestato direttore

 

Ansa, 20 gennaio 2010

 

Lo psichiatra Adolfo Ferraro, 59 anni, direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta) è tra i destinatari delle ordinanze di custodia emesse oggi nell’ambito di una operazione contro il traffico di droga. Ferraro è accusato di favoreggiamento per aver agevolato la latitanza del boss Giuseppe Gallo, attraverso false perizie su patologie mentali. Nell’ambito dell’operazione denominata "Pandora" che ha portato all’arresto di 81 indagati, è finito in cella anche lo psichiatra Adolfo Ferraro, 59 anni, attuale direttore dell’ospedale giudiziario di Aversa che è risultato "aver favorito il capo clan Gallo Giuseppe durante il suo periodo di latitanza", spiegano il pm della direzione distrettuale antimafia di Napoli che hanno coordinato l’operazione eseguita dai militari della Guardia di Finanza del comando provinciale di Napoli e del Ros. L’operazione ha praticamente sgominato il clan Gallo-Limelli-Vangone, attivo nell’area vesuviana ma con interessi anche nel salernitano e a Latina.

Torino: nigeriano si uccide nel tentativo di sfuggire all’arresto

 

La Repubblica, 20 gennaio 2010

 

C’è una testimone, una donna nigeriana, che dice di aver visto tutta la scena. Dice che quell’uomo scappava su per le scale, inseguito dai poliziotti. Ha provato a rifugiarsi su un balcone, scavalcando la grata di protezione. Ed è scivolato, cadendo giù nel cortile. Gli agenti si sono sporti, hanno inutilmente allungato le braccia nel tentativo di afferrarlo, ma non sono riusciti a fermare il volo nel vuoto, dal secondo piano di un palazzo di ringhiera, in via Sassari 11. Non ha ancora un nome, ma una dozzina di alias, il cadavere di un giovane centrafricano poco più che ventenne precipitato durante un controllo di polizia. Irregolare, ogni volta che le forze dell’ordine lo avevano controllato aveva dato un nome diverso, ma quasi sempre aveva detto di essere nato in Senegal nel 1988.

Forse proprio perché era clandestino, quando ieri pomeriggio alle 18 ha visto la pattuglia della squadra mobile che entravano nel portone di casa, si è preso paura e ha cercato di sfuggire al controllo. Addosso non aveva droga, ma le chiavi di un alloggio. Lo stesso che la Mobile doveva controllare. In casa la polizia ha trovato sostanza da taglio, bilancini di precisione, soldi e ovuli di droga già confezionati.

Il nigeriano era per le scale quando si è trovato di fronte i due poliziotti. Ha provato a scappare, loro sono riusciti a bloccarlo, nonostante fosse piuttosto corpulento. Sono stati attimi di concitazione, c’è stata una colluttazione. Gli agenti lo stavano ammanettando - gli avevano bloccato solo uno dei polsi - quando lui si è divincolato e si è messo a correre su per le scale, con una manetta che penzolava dalla mano. In pochi balzi è saltato all’ultimo piano, dal ballatoio ha cercato di infilarsi in uno dei balconi protetti da un cancello. Ma ha perso l’equilibrio ed è morto sul colpo. L’ambulanza è arrivata in pochi minuti, ma se n’è andata via a sirene spente, lasciando il posto agli uomini della Scientifica, che attraverso la comparazione delle impronte digitali, hanno cercato di dare un’identità, una storia e una famiglia a quel corpo.

L’ultimo controllo a giugno dell’anno scorso. In casa è stato trovato anche un ordine di perquisizione di maggio, abbinato a una persona che probabilmente in un periodo era vissuta lì. Quella volta non era stato trovato nulla. Stavolta la droga c’era e lui, in carcere, non ci voleva tornare. Le indagini sono affidate al sostituto procuratore Paolo Toso.

Verona: detenuto non arriva in aula; il caso finisce al Ministero

 

L’Arena, 20 gennaio 2010

 

Costola dell’operazione Testuggine: l’udienza davanti al collegio presieduto da Dario Bertezzolo (Giuditta Silvestrini e Raffaele Ferraro a latere) e al pm della Dda di Venezia Paola Tonini doveva iniziare poco dopo mezzogiorno. Ma uno degli imputati, attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza di Prato, in aula non è arrivato. Al suo posto la comunicazione della direzione della polizia penitenziaria che giustificava la mancata traduzione di Conti con la mancanza di personale. O meglio gli agenti in servizio erano sufficienti a garantire la sicurezza del trasferimento di detenuti al tribunale di Pistoia ma non per quel che riguardava la traduzione, autorizzata fin dalla scorsa udienza dal collegio, a Verona.

Il collegio, prendendo atto nell’ordinanza di rinvio dell’udienza (aggiornata a martedì prossimo) che l’imputato non ha rinunciato a comparire e che è suo pieno diritto presenziare al processo, prendendo atto delle difficoltà lamentate dal servizio scorte detenuti per mancanza di personale ha comunque disposto nuovamente la traduzione del detenuto. E copia del documento è stata trasmessa, per conoscenza, al Ministero di Grazia e Giustizia.

Genova: detenuta tenta di aggredire Comandante degli agenti

 

Secolo XIX, 20 gennaio 2010

 

Tentata aggressione al Comandante della polizia penitenziaria del carcere femminile di Pontedecimo. Intorno a mezzogiorno una detenuta trentenne originaria del Sud Africa dopo aver richiesto, ed ottenuto, un colloquio con il comandante della polizia penitenziaria, ha dapprima tentato di aggredirlo e successivamente ha inveito ed attaccato anche il personale accorso in difesa del comandante. "È del tutto evidente che la detenuta era prevenuta ed aveva l’intenzione di porre in essere un’aggressione - scrive il segretario regionale della Uil Pa Penitenziari, Fabio Pagani - in quanto aveva abilmente occultato una lametta nello slip con l’intento di colpire Stefano Bruzzone, Comandante del Reparto".

"Come quasi tutte le strutture liguri - denuncia il sindacato - anche Genova Pontedecimo sconta una grave carenza d’organico tanto da risultare il 7° istituto con maggiore carenza di personale in Italia. Purtroppo il personale non solo deve fronteggiare, in piena solitudine, queste criticità ed emergenze quotidiane quanto deve subire anche l’indifferenza e la scarsa sensibilità dell’Amministrazione. Moltissime unità di polizia penitenziaria di Pontedecimo sono distaccate in altre strutture o palazzi del potere romano. Questa è una vera offesa a chi lavora in prima linea. Noi chiediamo che il Provveditore regionale si faccia portavoce di una richiesta di immediato rientro di queste unità. Qui il personale è al collasso. Non ne può più di turni non sostenibili Vogliamo sperare - conclude Pagani - che l’incontro che il Ministro Alfano avrà il 26 gennaio con i sindacati possa portare a qualche intelligente soluzione, per dare fiato alle prime linee ed evitare l’assiepamento dei detenuti nelle celle".

Milano: convegno europeo su reinserimento dei minori detenuti

 

Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2010

 

Il 28 e 29 gennaio 2010 si terrà a Milano il secondo workshop della Rete Transnazionale FSE Ex Offender Community of Practice (ExOCoP) dedicato al tema delle misure e degli strumenti per l’inserimento socio-lavorativo dei minori autori di reato. Il Workshop dal titolo "Education and training experiences of young offenders in view of their social and work inclusion" è organizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, la Regione Lombardia e con il supporto tecnico scientifico dell’Isfol.

L’obiettivo generale dell’incontro è di contribuire al miglioramento delle condizioni dei minori autori di reato. Nello specifico, si intende accrescere la conoscenza dei partner della Rete ExOCoP sul tema oggetto dei lavori da una parte capitalizzando le migliori esperienze sviluppate ad esempio attraverso l’Iniziativa Comunitaria Equal e altre linee di finanziamento europee ed individuando dall’altra aspetti di criticità da affrontare a livello comunitario.

Ai lavori, coordinati da un esperto dell’Olanda, prenderanno parte rappresentanti di Germania, Spagna, Irlanda del Nord, Inghilterra, Grecia, Portogallo, Italia e Romania, cui si assoceranno due Organizzazioni internazionali, l’International Juvenile Justice Observatory (OIJJ) e l’European Prison Education Association (Epea). Gli esperti provengono sia dalle amministrazioni della Giustizia sia dal mondo accademico che degli operatori.

Gli esperti tematici si confronteranno su temi quali Diagnosis, Profiling, Assessment, Methodologies and tools for guidance, training and care services, networking in un ottica europea con l’obiettivo di predisporre raccomandazioni da presentare nell’ambito di un prossimo seminario rivolto alle Autorità di Gestione Fse e ai Ministeri di Giustizia dei Paesi Membri. L’evento non è aperto al pubblico. Per informazioni sulla rete: Struttura di Supporto alla Cooperazione Transnazionale Isfol: www.transnazionalita.it.

Bollate: Riccardo Muti ai detenuti; "la vera musica è speranza"

di Pierachille Dolfini

 

Avvenire, 20 gennaio 2010

 

Ascoltata qui non può non metterti un brivido. Ascoltata qui, tra i lunghi corridoi dove gli orologi sono tutti fermi, non può non farti sobbalzare quella nota che Chopin ripete all’infinito in un suo Preludio. Carcere di Bollate. Alle porte di Milano. Riccardo Muti è seduto al pianoforte, lo stesso che i ragazzi, che qui sono chiamati a saldare il loro debito con la giustizia, suonano durante le loro lezioni di musica e i loro spettacoli. Il direttore d’orchestra ha raccolto l’invito di uno di loro. Willi, che oggi è tornato libero, qualche tempo fa aveva ascoltato un’incisione del maestro. Si è fatto coraggio, ha preso carta e penna e ha scritto a Muti, invitandolo a Bollate. Pochi giorni fa la risposta.

Il sì del direttore d’orchestra che ieri, di ritorno da Parigi e prima di ripartire per Chicago - "Anche in America farò musica nei penitenziari" annuncia - ha varcato i cancelli dell’istituto di pena. "Non ci ho pensato due volte a venire qui da voi" racconta Muti, emozionato di fronte ai ragazzi che appena lo vedono entrare nel capannone che hanno adibito a teatro si alzano in piedi e lo acclamano al grido di "Sei grande Riccardo".

Muti si presenta. "Saprete chi sono leggendo i giornali. Ma i giornali mi dipingono per quello che non sono: burbero e sempre con la faccia scura". E lo dimostra sorridendo, fissando i ragazzi dritto negli occhi mentre racconta che la musica "può essere compresa da tutti perché non esprime concetti, ma sentimenti che parlano al cuore". E quando un tecnico abbassa le luci per creare l’atmosfera, si interrompe: "Riaccendetele voglio vedere i volti di tutti". Il maestro invita i ragazzi ad abbandonarsi alla musica "dentro queste mura ma anche fuori di qui perché essa vi aiuterà a essere migliori, a non sentirvi soli". A sperare. E glielo spiega. Raccontando la vita travagliata e infelice di Schumann e di Chopin. Ma anche di Schubert, "il più infelice di tutti" rivela il maestro.

Suona un Preludio, un Improvviso, un Valzer. Poi si ferma.

"Vi domanderete perché vi parlo solo di persone infelici. Perché tutti i più grandi hanno sofferto, ma hanno saputo, attraverso la musica, trasformare questo dolore in amore". Muti suona ancora Schumann. "Ho trovato una grande disperazione in questo pezzo, ma anche la capacità di allungare la mano e chiedere aiuto" lo incalza una ragazza. Muti le fa una carezza: "Hai colto perfettamente il senso di questo autore". Poi torna al pianoforte. Sviscera le partiture che ha davanti, spiega cos’è la melodia e cosa l’armonia. Osa arrivare fino a Schoenberg spiegando la rivoluzione della dodecafonia. Poi spiazza tutti.

"Ascoltate ancora Schubert. Sentite quanta tenerezza. Quella che manca al mondo di oggi, ruvido, sempre pronto a giudicare. Tutti sbagliano, ma tutti possono rialzarsi ci dice il musicista austriaco con le sue note". E di fronte a qualche faccia perplessa insiste: "Abbandonatevi alla musica". E si lascia andare a una confidenza. "Sapete come ho scoperto di amare la musica? - chiede -. Da ragazzino ascoltando la banda del mio paese, Molfetta". Gli occhi di Giuseppe si illuminano: "Anch’io sono di Molfetta".

Muti gli stringe la mano, poi torna al piano e si mette a suonare La santa allegrezza , "una canzone natalizia che si canta ancora oggi in Puglia". Giuseppe intona il ritornello con il maestro che gli promette: "Tornerò presto, in estate. E magari vi racconterò la mia vita". I cinquanta ragazzi, che per due ore lo hanno seguito concentrati, lo prendono in parola. Gli si fanno attorno. Vogliono un autografo. Una foto con lui. E a chi gli chiede se tornerà anche alla Scala risponde con una battuta: "Oggi sono Muti, ma anche Sordi. Sono qui solo per questi meravigliosi ragazzi e non voglio adombrare questa serata con altre cose". Tommaso gli sussurra: "Lei ha bisogno della musica per vivere, ma la musica ha bisogno di lei perché tutti la amino". Diego lo ringrazia "per la tenerezza e l’amore che ci ha portato stasera" gli dice Davide. Muti stringe le mani di tutti. "Sono io che devo ringraziarvi perché facendo musica posso dare qualcosa alla gente, vuol dire che la mia professione ha davvero un senso".

Immigrazione: procura Bari indaga su condizione vita nel Cie

di Vincenzo Damiani

 

Corriere del Mezzogiorno, 20 gennaio 2010

 

Sulle condizioni di vita degli immigrati clandestini si accendono i riflettori della Procura e dei Carabinieri.

Sulle condizioni di vita degli immigrati clandestini all’interno del Cie di Bari si accendono i riflettori della Procura. Ieri mattina, i carabinieri del Nas si sono presentati nella struttura dove sono detenuti gli extracomunitari in attesa di espulsione. I militari hanno esibito ai responsabili del centro che conta 198 posti letto il decreto di ispezione dei luoghi. La magistratura barese vuole fare chiarezza dopo i numerosi esposti approdati sulle scrivanie dei pm e le denuncie dei parlamentari del Pd, Ignazio Marino e Dario Ginefra.

Il politico barese, lo scorso 8 dicembre, ha visitato il Cie, restandone negativamente impressionato. "Le condizioni igienico sanitarie non sono degne di un Paese civile", disse al termine del sopralluogo. Alla denuncia verbale è seguita quella scritta con tanto di foto allegate. L’input ad indagare sulla qualità della vita degli immigrati all’interno del Cie è arrivata anche dalla prefettura, dopo che lo stesso Ginefra aveva inviato una nota per chiedere "un impegno formale ad affrontare e risolvere i problemi di natura infrastrutturale che aggravano la permanenza degli ospiti del Cie".

I carabinieri hanno ispezionato tutti i moduli, dalle stanze dove sono sistemati i letti fino alle cucine, bagni e sala tv. Al momento non è stato trasmesso alcun dossier in Procura, probabile che avvenga nei prossimi giorni. Da quanto trapelato, sembra che i Nas non abbiano rilevato importanti pecche strutturali ma si tratta solo di indiscrezioni. La denuncia di Ginefra, al contrario, è dettagliata e mette in evidenza numerose carenze.

Il deputato del Partito democratico è stato due volte all’interno del Cie, la prima volta a ottobre l’ultima a dicembre. E il suo giudizio è stato sempre negativo. "A distanza di due mesi - denunciava - nulla è stato fatto e la situazione in cui versano gli ospiti del Cie appare peggiorata e indegna di un paese civile. Occorrerà verificare, inoltre, cosa preveda il contratto di manutenzione della struttura e a chi debbano essere imputate tali inadempienze.

Per quanto concerne la velocizzazione delle procedure di identificazione, chiederò al ministro dell’Interno di conoscere se sono in atto intese finalizzate a migliorare le relazioni bilaterali con le delegazioni straniere, con particolar riferimento a quelle presso i consolati del Marocco e della Tunisia". Due settimane fa, circa 300 immigrati fuggiti da Rosario furono trasferiti a Bari.

Alcuni di essi, 26 per l’esattezza, furono trasferiti nel Cie perché non in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Qualche giorno dopo, gli extracomunitari inscenarono anche una protesta, salendo sul tetto della struttura. Proprio in quelle ore, nel centro fece visita Ignazio Marino. "Peggio di un carcere, un limbo infernale", il suo commento all’uscita. Le parole poi si sono trasformate in fatti attraverso una interrogazione parlamentare rivolta al ministro dell’Interno, Roberto Maroni.

Francia: un ex detenuto a capo missione per carceri più umane

 

Ansa, 20 gennaio 2010

 

Parigi ha scelto un ex detenuto per guidare una missione che renda più umane le sue prigioni. Si tratta di Pierre Botton, ex uomo d’affari che, negli anni Novanta, fu uno dei detenuti più mediatici di Francia, finito in prigione per ricettazione.

È stata la stessa ministra della Giustizia, Michele Alliot-Marie, ad affidargli l’incarico. Ma oggi la cosa lascia perplessi alcuni media francesi. Il giornale on-line Rue 89 parla di "evento inedito", Liberation di "situazione aneddotica". I giornalisti sono andati in massa a seguire la conferenza stampa della guardasigilli accanto all’ex detenuto. Pierre Botton, 54 anni, è stato condannato due volte per aver finanziato illegalmente la campagna elettorale del suocero, l’ex sindaco di Lione, Michel Noir. Il suo processo era stato iper mediatico. Aveva poi passato 20 mesi dietro le sbarre, trascorsi in ben sette prigioni diverse. Nel 1992, mentre era detenuto alla prigione di Nanterre, nei pressi di Parigi, aveva tentato di togliersi la vita.

Ora è proprio alla prigione di Nanterre, che accoglie diversi giovani delle banlieue parigine, che il nuovo "uomo di fiducia" del governo francese torna, ma questa volta nei panni di responsabile di uno studio contro lo shock vissuto dai detenuti nei primi giorni di carcere. Secondo l’istituto di studi demografici, Ined, infatti, un quarto dei suicidi in prigione avviene nei primi due mesi di detenzione. Più volte ripresa dall’Unione europea, la Francia punta ora sul caso umano e l’esperienza diretta. "So di che cosa parlo", ha assicurato Botton ai giornalisti, raccontando la sua esperienza dietro le sbarre. "È la prigione che mi ha salvato - ha detto - è grazie al sistema giudiziario che sono cambiato". Il giorno del suo tentato suicidio "una guardia, che si era accorta che qualcosa non andava, ha aperto la porta della mia cella andando contro il regolamento. Quel giorno - ha aggiunto - mi ha salvato la vita".

La missione affidata dal governo a Botton, che ha anche creato l’associazione Prison du coeur (La prigione del cuore), ha finito persino per oscurare la notizia più grave che conferma il triste record francese di suicidi nelle prigioni: nel 2009, 115 detenuti si sono tolti la vita dietro le sbarre, erano 109 nel 2008. La Francia (con un tasso di suicidi in prigione del 20% su 10.000 detenuti) si riconferma al primo posto in Europa, davanti alla Danimarca (13,4) ed il Belgio (13,2%). Il tasso di suicidi in carcere si è moltiplicato per cinque dagli anni 60 a oggi.

Questa situazione si spiega con la sovrappopolazione, la mancanza di personale (di sorveglianza, ma anche medici e lavoratori sociali) e l’eccesso di misure "controproducenti" che mirano a ridurre questo tasso. Per esempio, ormai ai carcerati francesi viene consegnato un "kit di protezione" che dovrebbe rendere più difficile il passare all’atto: materasso anti-fuoco, lenzuola che non si strappano, pigiama di carta. Invece non viene fatto nulla per ridare "la voglia di vivere" a chi si trova messo a confronto con la violenza dell’incarcerazione. Un quarto dei suicidi è concentrato nei primi due mesi di imprigionamento.

La ministra della giustizia, Michéle Allliot-Marie, ha promesso di intervenire. Entro il 2017 ci saranno 68mila posti nei carceri francesi, suddivisi in una sessantina di istituti, che non dovrebbero più superare i 700 detenuti. Alliot-Marie ha ripromesso anche quest’anno la generalizzazione delle celle individuali. E assicura che tra qualche anno verranno proposte "cinque ore di attività giornaliere" ad ogni detenuto. "Quali mezzi verranno dedicati a queste buone idee? Quanti detenuti saranno coinvolti?" chiede l’Osservatorio internazionale delle prigioni. Per il momento, la situazione resta drammatica.

Australia: detenzione in Centri immigrati porta malattie mentali

 

Ansa, 20 gennaio 2010

 

Più a lungo si tengono i richiedenti asilo nei centri di detenzione, e maggiore è il rischio che sviluppino malattie mentali. È quanto emerge da uno studio australiano pubblicato sull’ultimo numero del Medical Journal of Australia. Lo studio, basato sulle cartelle cliniche di 720 detenuti, risale al 2006 e copre un periodo di 12 mesi. Secondo i ricercatori, i problemi mentali aumentano nei casi in cui la detenzione è prolungata negli anni.

Abbiamo incrociato dati sulle malattie sviluppate durante l’anno preso in esame, da quanto tempo erano reclusi e perché, ha spiegato ai media australiani Janette Green, ricercatrice dell’Università di Wollongong. Secondo la Green, è evidente che i problemi mentali aumentano con la detenzione, e siccome le richieste di asilo sono spesso accettate, significa che portiamo nella società individui in uno stato di salute peggiore di quello antecedente la detenzione. Secondo lo studio, i detenuti passano dal chiedere sostegno psicologico per affrontare problemi sociali e ansia, allo sviluppo di patologie più serie, come la depressione, per finire con episodi di violenza su se stessi.

 

 

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