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Giustizia: "cemento e castigo"… questa è l’Italia di Berlusconi di Paolo Persichetti
Liberazione, 19 gennaio 2010
Il capo del Dap Franco Ionta ha ottenuto l’apertura dello stato d’emergenza per le carceri. Secondo l’ex pm antiterrorismo, salito ai vertici dell’amministrazione penitenziaria nel luglio 2008, i "poteri straordinari" conferitigli all’inizio del 2009, in qualità di "commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria", non erano più sufficienti per fronteggiare la gravità della situazione carceraria. In una lettera inviata a Settembrino Nebbioso, attuale capo di gabinetto del ministro della Giustizia Angelino Alfano, il massimo responsabile del carceri ha chiesto poteri speciali da "commissario delegato". Un ampliamento delle competenze simile a quelle attribuite a Guido Bertolaso nel campo della protezione civile. Un potere d’eccezione che gli consentirebbe di aggirare le normali procedure in materia di edilizia penitenziaria prospettati, a più riprese, nel piano carceri annunciato dal governo. Ionta chiede di fare a meno delle gare pubbliche di appalto per l’attribuzione dei lavori alle ditte costruttrici e di avere in cambio la facoltà di affidare in via riservata, con modalità arbitrarie e discrezionali, i contratti per la costruzione di 47 nuovi padiglioni nei penitenziari già esistenti, e per i quali la finanziaria ha stanziato 500 milioni di euro (in buona parte presi dalla "cassa ammende", circa 350 milioni, in precedenza utilizzati per finanziare programmi di trattamento e rieducazione che in questo modo verranno meno). Il piano indica anche la costruzione di 24 nuovi penitenziari a struttura modulare, di cui 9 "flessibili" (vale a dire carceri di "prima accoglienza" destinati a governare l’enorme flusso di ingressi/uscite rappresentato da quella fascia di persone arrestate, o detenute con pene lievi, che soggiornano in prigione per pochi giorni), da costruire nelle grandi aree metropolitane o in aree considerate "strategiche", e di altre 7 strutture "pesanti", a pianta architettonica tradizionale; progetti per i quali manca la copertura finanziaria. Il project financing si è infatti arenato di fronte all’indisponibilità dei costruttori privati ad anticipare il costo dei lavori in cambio di contratti di leasing poco remunerativi a breve termine. Un emendamento alla finanziaria, che consentiva la permuta di aree demaniali e delle sedi di vecchie carceri situati nei centri storici urbani, molto appetiti dagli speculatori del cemento, in cambio di nuove carceri da costruire nelle periferie, è stato fortunatamente bocciato. La richiesta del capo del Dap ha un precedente pericoloso, estremamente evocativo delle mire speculative che si nascondono dietro il piano carceri. Si tratta dei poteri speciali attribuiti nel maggio del 1977 al generale dei carabinieri Carlo Alberto Dal la Chiesa. Con un decreto interministeriale ripetutamente prorogato, il responsabile dei nuclei speciali antiterrorismo venne nominato Comandante dell’ufficio di coordinamento per la sicurezza esterna degli stabilimenti penitenziari. A Dalla Chiesa fu affidato il compito di individuare i penitenziari destinati alla creazione di un nuovo circuito di massima sicurezza: le famose "carceri speciali". In soli due giorni, con l’ausilio anche di elicotteri bimotore, vennero trasferiti sulle isole e da un capo all’altro del Paese circa 600 detenuti. Ma i poteri eccezionali conferiti al generale non si limitavano solo a questo. Dalla Chiesa aveva assunto anche competenze di intelligence che gli consentivano di entrare senza problemi all’interno degli istituti ed esercitare un forte potere gerarchico sui direttori. Nell’ambito di questi poteri d’eccezione, il Parlamento approvò, sempre nel dicembre del 1977, una legge recante "disposizioni relative a procedure eccezionali per lavori urgenti ed indifferibili negli istituti penitenziari". Si tratta del precedente legislativo a cui si ispirano le pretese dell’attuale capo del Dap. Questa legge attribuiva al ministero della Giustizia ampi poteri discrezionali in materia di lavori pubblici e di appalti per la realizzazione di interventi che andavano ben oltre l’ordinaria manutenzione. Da quella operazione prese origine uno dei più importanti episodi di corruzione e truffa ai danni dello Stato. Scandalo scoperto nel febbraio 1988 e che travolse un ministro, il socialdemocratico Nicolazzi. La chiamata nominativa delle imprese di costruzione e l’opacizzazione dei protocolli, oltre all’avvio di un vasto programma di nuova edilizia penitenziaria basato su impressionanti colate di calcestruzzo e ferro in poco tempo divenute fatiscenti, diede origine allo scandalo delle carceri d’oro. Ogni "posto detenuto" venne a costare circa 250 milioni di lire, il prezzo di un appartamento in una grande città dell’epoca. Come allora, la banda del calcestruzzo, sponsor di questo governo, sarà il vero fruitore del piano carceri. Cemento e castigo, ecco l’Italia di Berlusconi. Giustizia: dal Governo, prime aperture per carcere più umano di Leonardo Filippi (Ordinario di Diritto processuale penale Università di Cagliari)
L’Unione Sarda, 19 gennaio 2010
La situazione carceraria italiana sta implodendo con circa 65 mila detenuti (tra condannati e imputati, dei quali il 37% stranieri, il 30% tossicodipendenti e il 10% malati mentali) a fronte di una capienza regolamentare di 44 mila posti, con appena 38 mila agenti di custodia rispetto ai 42 mila previsti in organico e con un sistema sanitario penitenziario che necessita di nuove risorse. Come dimostrano le statistiche, in carcere stanno per lo più soggetti deboli, ai quali non si può infliggere la pena supplementare della privazione della dignità, oltre quella, legale, della restrizione della libertà. È allarmante il dato che i suicidi in carcere nel 2009 siano stati 177 e che quest’anno, in quindici giorni, siano già 15. Di fronte alla crisi del "pianeta carcere" il Governo, anziché ricorrere al solito decreto di clemenza con la concessione di amnistie e condoni al fine di svuotare le carceri, ha adottato una nuova politica. Infatti il Consiglio dei ministri ha deliberato la dichiarazione di stato d’emergenza fino a tutto il 2010 proprio per fronteggiare il problema del sovraffollamento delle carceri e avviare, con la massima urgenza, gli interventi necessari a realizzare nuovi penitenziari e l’aumento della capienza di quelli esistenti. È prevista la costruzione di nuovi padiglioni e nuovi istituti, con la predisposizione di oltre 21mila nuovi posti. È stata disposta inoltre l’assunzione di 2mila nuovi agenti di polizia penitenziaria, in modo da rendere meno massacrante il loro delicato lavoro negli istituti. Ma sono annunciate anche alcune interessanti modifiche normative, che potrebbero essere immediatamente in vigore per decreto legge. La prima introduce la possibilità della detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare solo un anno di pena residua. La seconda novità è ancora più interessante e prevede la messa alla prova (attualmente applicabile solo ai minorenni) anche per gli imputati maggiorenni incensurati, che, per pene fino a quattro anni, potranno così svolgere lavori di pubblica utilità. Infine si prevede che i detenuti ammessi al lavoro all’esterno del carcere potrebbero essere autorizzati a dormire a casa. Tutte e tre mirano a ridurre la detenzione carceraria e questo consentirà di liberare un certo numero di celle. Si tratta di importanti iniziative, sia normative sia organizzative, che si pongono nel solco di un maggior rispetto per i diritti dei detenuti. Solo in questo modo la pena riacquista la sua funzione che, oltre che punitiva, deve essere rieducativa, come prescrive non solo la nostra Costituzione e l’ordinamento penitenziario, ma pure le "regole minime" per il trattamento dei detenuti, adottate dall’Onu e poi recepite dal Consiglio d’Europa nelle "regole penitenziarie europee". Giustizia: giornalisti devono avere diritto di entrare negli istituti
Adnkronos, 19 gennaio 2010
Al ministro della Giustizia, che denuncia l’emergenza carceri, segnaliamo che esiste anche un’emergenza informazione. Per questo chiediamo che venga riconosciuta ai giornalisti il diritto di entrare nelle carceri". Con queste parole il quotidiano Il Manifesto e l’Associazione Antigone lanciano una campagna per la possibilità di informare su quanto accade negli istituti di pena italiani. Ad aderire per primi all’appello la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, i giuristi Stefano Rodotà e Valerio Onida, i giornalisti Gian Antonio Stella, Bianca Berlinguer, Lucia Annunziata, Maria Rosaria Capacchione. Giustizia: carcere malato ma la riduzione del danno non entra
www.imgpress.it, 19 gennaio 2010
Oltre il 50% di persone incarcerate per motivi legati alla droga, almeno un detenuto su 4 tossicodipendente, una presenza di Hiv/Aids intorno al 5% mentre un terzo della popolazione carceraria non si sottopone al test, e il 60% dei detenuti con un’epatite, il tutto aggravato dal sovraffollamento, questa la fotografia dello stato della salute nelle carceri italiane. Una situazione che secondo la Lila richiederebbe, oltre a una migliore e più diffusa applicazione di misure alternative alla pena detentiva, il ripensamento degli interventi di riduzione del danno. Diversa la posizione del ministro Fazio, che in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, lo scorso 1° dicembre, al periodico di informazione Anlaids Notizie ha dichiarato che gli interventi di riduzione del danno in ambito carcerario, quali la disponibilità di siringhe sterili o di strumenti per la loro sterilizzazione, "presentano diverse controindicazioni, e in molti casi non esistono evidenze di efficacia degli interventi stessi nel ridurre la trasmissione dell’infezione da Hiv". Mentre la disponibilità di preservativi per i detenuti "può apparire come una legittimazione dell’omosessualità coatta". Il ministro Fazio pare dimenticare che fin dagli anni Novanta da organismi quali la World Health Organization, le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, arrivano ben altre indicazioni. E che nella letteratura scientifica le evidenze di efficacia di tali interventi nel ridurre la diffusione di Hiv e altre patologie sono ormai ben documentate. "Signor Ministro, il sesso in carcere è praticato, e non attende certo la nostra "legittimazione", ma non può essere "safe". Così come esiste, per quanto altrettanto proibito, il consumo di stupefacenti, ma non con aghi sterili. È una realtà che non si può negare, sulla quale voglio richiamare la Sua attenzione, dal momento che oggi, a differenza del passato, anche la salute nelle carceri compete al Suo Ministero", scrive la presidente Lila Alessandra Cerioli, in una lettera pubblicata oggi da Anlaids Notizie. Citando il recente documento della Commissione Europea "La lotta contro l’Hiv/Aids nell’Unione europea e nei paesi vicini 2009/2013", dove si legge: "L’accesso ad aghi sterili, il trattamento della tossicomania sulla base di dati scientifici, tra cui la sostituzione e le altre misure di riduzione dei danni, sono risultati strumenti molto efficaci, anche nelle zone a prevalenza elevata e in ambienti particolari come le carceri". La Lila chiede al ministro Fazio di rivedere le proprie affermazioni sulla riduzione del danno in ambito carcerario alla luce della documentazione proposta. Assieme a quelle, sempre negative, espresse nei confronti di uno strumento che, contrariamente al Governo italiano, istituzioni ed esperti internazionali giudicano positivamente: il profilattico femminile. "Non esiste alcuna evidenza che la commercializzazione del condom femminile, la cui accettabilità fra le donne risulta essere piuttosto bassa, possa favorire la riduzione della diffusione dell’Hiv", ha affermato il ministro, ancora nell’intervista ad Anlaids. Ma Lila, che da molto tempo, e in buona compagnia (Oms e Unaids), spinge per la diffusione di questo strumento di prevenzione, rifiuta di vedere vanificati i suoi e altrui sforzi in nome di una convinzione basata non si sa su cosa, dato che, sottolinea la presidente Cerioli, "la sua efficacia nel prevenire le infezioni sessualmente trasmesse, Hiv compreso, è provata in molti studi clinici, e il fatto che il sia a oggi l’unico strumento di prevenzione che può essere utilizzato in prima persona dalla donna, lo rende importantissimo. Data la maggiore possibilità che hanno le donne di infettarsi. E data anche la difficoltà delle donne, più volte emersa, a contrattare il sesso sicuro". Giustizia: Camere Penali; nuovo sciopero dal 27 al 29 gennaio
Agi, 19 gennaio 2010
L’Unione Camere Penali Italiane annuncia un nuovo blocco dell’attività giudiziaria penale dal 27 gennaio al 29 gennaio per protesta contro l’inerzia riformatrice della politica che, anziché pervenire ad una riforma organica della giustizia, continua a privilegiare interventi tampone e dannose scorciatoie che non risolveranno i reali problemi dell’ordinamento giudiziario. "In un contesto di permeante conflittualità tra maggioranza ed opposizione che investe sia i tempi sia i contenuti delle riforme, continuano a maturare - scrivono i penalisti in una nota - le gravi inefficienze del sistema ed a manifestarsi aspri contrasti tra politica e magistratura. La mancata separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, l’assenza di regole di disciplina dell’esercizio dell’azione penale, il perdurare del fenomeno delle assegnazioni dei magistrati ad incarichi extra giudiziari, il significativo ritardo della riforma del Csm e di quella forense producono ulteriori guasti ed anomalie. L’Ucpi che non può consentire né tollerare - prosegue la nota - il protrarsi di una simile situazione di stallo, annuncia inoltre che diserterà, come ormai da anni, le cerimonie ufficiali di apertura dell’anno giudiziario per organizzare una propria cerimonia alternativa di inaugurazione dell’avvocatura penale che si terrà il 28 gennaio, all’Aquila, alla presenza del presidente Oreste Dominioni. L’auspicio dell’Ucpi è che la politica abbandoni definitivamente gli indugi e dia priorità assoluta all’avvio del dibattito parlamentare su una riforma strutturale della giustizia e con essa dell’ordinamento forense". Giustizia: non basta un carcere per dare dignità ai transessuali
www.gaynews.it, 19 gennaio 2010
"Che riapra il carcere del Pozzale di Empoli. Ma per favore, non diciamo che è per transessuali. Molti di quelli che sono oggi definiti trans, in realtà sono uomini semplicemente mascherati o travestiti da donne che fanno denaro sulla tendenza di altri uomini. Parliamo invece, per tutelarli come si deve, di trans nella fase della loro vita nella quale stanno affrontando il percorso per diventare, da uomini, donne. Quando arrivano in fondo sono donne vere, come all’inizio erano uomini veri, non trans". Così ieri Sandra Alvino (Presidente dell’Associazione Italiana Transessuali), in aperta polemica con Vladimir Luxuria che aveva sollecitato l’apertura della casa circondariale empolese, è intervenuta sul caso. Sandra Alvino non è una donna qualsiasi. È la donna nata uomo, diventata appunto donna dopo un percorso difficile, fatto anche di carcere. E di battaglie per arrivare ad una legge capace di disciplinare la "trasformazione". È la donna che, sposata e giunta alle nozze d’argento, "essendo cattolica" come ha voluto precisare, aveva deciso di avere una benedizione, alle Piagge, da don Alessandro Santoro. Benedizione che è stata impartita e che è costata a don Santoro l’allontanamento dalle Piagge. Entriamo nei dettagli del discorso di Sandra Alvino, che ha inviato anche una nota al giornale con cui contesta la troppo generica definizione di carcere per transessuali: "Le persone trans che cercano di raggiungere la meta di diventare donne, se ne guardano bene dal commettere reati. Al massimo, chi non trova lavoro si prostituisce. Luxuria sta definendo trans i travestiti col seno che commettono reati. Non è onesto dire che sono donne o che vanno trattate da donne. Molti di loro dichiarano che fanno i maschi. Usano la debolezza di uomini, anche con famiglia, per fare denaro, mascherandosi con seni rifatti, ma lungi dall’assumere ormoni. Anzi, usano il viagra per essere più attivi". Contattata in merito su questa nota, Sandra Alvino ha detto che alle spalle e a fianco del difficile percorso che l’ha portata da uomo ad essere donna c’è stato il carcere, il sapore amaro di una vita chiusa, l’aiuto chiesto ad associazioni poi caduto nel vuoto. Dopo quanto detto da Luxuria su Empoli, la Alvino è uscita allo scoperto: non confondere il trans "in mezzo al suo percorso" dai "travestiti modernizzati". "Un carcere del genere - spiega la Alvino - sarebbe fatto per coloro che da travestiti usano questo mercato per far denaro. E che commettono reati. Sono, ripeto, i travestiti mascherati da donna e che in realtà sono maschi e continuano a far la parte del maschio". Invece, conclude, chi ha fatto quel percorso travagliato non ha compiuto reati, ha vissuto una vita spesso ai margini, difficile. Giustizia: periti caso Cucchi; su corpo di Stefano molte lesioni
Il Manifesto, 19 gennaio 2010
Incontro importante ieri, ma non conclusivo, tra i medici che devono cercare di capire cosa abbia ucciso Stefano Cucchi, il ragazzo morto nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini di Roma. "Stiamo lavorando per la verità - dice il medico nominato dai Cucchi, Vittorio Fineschi - io per ora posso dire che trovo gravissimo anche solo il fatto di aver rilevato numerose lesioni sul corpo del ragazzo" Il problema principale riguarda la divergenza di vedute tra la parte civile e gli indagati sulla datazione di una delle fratture alle vertebre: antica o recente? E quindi quanto le lesioni hanno influito sulla morte del giovane? Ma le fratture potrebbero non essere neanche così importanti. A uccidere Stefano potrebbe essere stato uno squilibrio elettrolitico che ha causato una forte disidratazione. Venerdì prossimo l’incontro conclusivo. Sicilia: tra carceri sovraffollate e carceri nuove… mai utilizzate di Lucia Russo
Quotidiano di Sicilia, 19 gennaio 2010
L’ipotesi del Garante dei detenuti, Salvo Fleres, sulla revisione del percorso di legalità. La Sicilia ha il primato della fatiscenza delle strutture e delle condizioni detentive. "Le carceri siciliane stanno scoppiando, i detenuti vengono continuamente tradotti da una struttura all’altra spesso disattendendo l’art. 42 dell’Ordinamento penitenziario che prevede la territorialità della pena ed è impossibile gestire nuovi accessi, come è accaduto nei giorni scorsi a Catania nel corso della retata che ha portato all’arresto di 79 soggetti" Questo l’allarme lanciato dal Garante dei diritti dei detenuti, il senatore Salvo Fleres. "Le otto le strutture penitenziarie interessate hanno sede nella Sicilia orientale e ciò comporterà anche problematiche nella conduzione degli interrogatori, viste le distanze che separano gli istituti. Quello che auspico - ha proseguito Fleres - è l’adozione di misure utili per affrontare l’emergenza carceri nel più breve tempo possibile ed è quello che ho sempre sostenuto prospettando diverse ipotesi di soluzione, fino ad ora rimaste nel silenzio. "I due istituti penitenziari di Catania scoppiano, sono troppo pieni, e noi non possiamo più arrestare le persone indagate perché non sappiamo dove metterle" ha detto il sostituto procuratore della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Francesco Testa, a margine della conferenza sull’operazione antidroga Ouverture. "Nella casa circondariale di piazza Lanza, già sovradimensionata di 200 unità, - ha spiegato il magistrato - abbiamo potuto portare soltanto quattro dei 51 arrestati, e altri sei nel carcere di Bicocca, che 160 detenuto in più rispetto alla capienza prevista. Gli altri 40 sono stati distribuiti tra Siracusa, Augusta, Ragusa, Caltagirone, Enna, Caltanissetta e Messina. In quest’ultimo ne abbiamo mandati pochi perché un’ala è chiusa per il crollo di un controsoffitto". Il Garante Fleres ha avanzato l’ipotesi di una rivisitazione delle norme in materia di liberazione anticipata, collegata ad un accertato avvio di un percorso di legalità da parte dei reclusi. "Questa ipotesi - ha detto Fleres - è già contenuta in un disegno di legge che ho depositato presso il Senato della Repubblica lo scorso 16 dicembre (S 1938) di cui auspico una rapida trattazione in quanto il suo contenuto potrebbe rientrare tra le iniziative utili per affrontare lo "stato di emergenza" recentemente proclamato dal Ministro della Giustizia". Nel comunicato diffuso dal Garante la scorsa settimana è scritto che "la Sicilia, in quanto a sovraffollamento, è la seconda Regione d’Italia subito dopo la Lombardia ma ha il primato rispetto alla fatiscenza delle strutture e dunque, rispetto alle condizioni detentive in cui sono costretti a vivere i detenuti. In queste condizioni a poco valgono gli interventi dei pochi e volenterosi agenti di Polizia penitenziaria o del personale, di ruolo e non, presente negli istituti, oggi è necessario un intervento del Governo, in grado di colmare le diverse criticità presenti negli istituti di pena siciliani a tutela dei diritti dei detenuti".
A Gela esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto
Mentre il sovraffollamento carcerario ha raggiunto livelli di emergenza, nel nostro Paese ci sono 40 istituti penitenziari già costruiti, spesso ultimati, a volte anche arredati e vigilati, che però sono inutilizzati e versano in uno stato d’abbandono totale. I casi più clamorosi sono al Sud: a Gela esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto; a Morcone (Benevento) un istituto è stato costruito, abbandonato, ristrutturato, arredato e poi nuovamente lasciato a se stesso dopo un periodo di costante vigilanza. Ad Arghillà (Reggio Calabria) è inutilizzato un carcere dotato persino di accorgimenti tecnici d’avanguardia, e che sarebbe pronto se venisse completato con la strada di accesso, le fogne e l’allacciamento idrico. Eppure "l’Italia stanzia 500 milioni in finanziaria per costruirne di nuovi e chiede ulteriori fondi all’Unione Europea", nonostante la "notevolmente meno onerosa ristrutturazione degli edifici già presenti sul territorio risulterebbe attuabile sicuramente in tempi brevissimi". Milano: il detenuto suicida aveva scritto "lotterò fino alla fine"
Agi, 19 gennaio 2010
"Anche se mi sento fisicamente depresso sto bene e come voi lotterò per la giusta causa fino al mio ultimo respiro". È quanto si legge nella lettera inviata dal carcere di San Vittore da Mohamed El Abbouby, un mese prima di togliersi la vita nella struttura penitenziaria. Oggi gli spettatori del processo a 4 imputati per una rivolta nel Cie milanese di via Corelli stanno protestando anche per la sua morte, oltre che per la decisione dei giudici di espellerli dall’aula. "Prima o poi la verità verrà a galla - scriveva El Abbouby, al quale restava da scontare un mese di pena, dopo essere stato condannato per un’altra ribellione all’interno dello stesso centro - non possiamo che vincere, sapendo che il prezzo sarà salato, ma ne vale tutto il sacrificio. Che dire di questo governo razzista, senza idee per la gioventù che, secondo logica, è il futuro di ogni nazione. Senza giovani lavoratori non si possono incassare le tasse e senza tasse addio pensioni". "Nella prossima missiva sarò molto più esplicito e dettagliato a proposito del mio passato e della mia persona", concludeva. Parole di speranza, ma El Abbouby si è suicidato inalando gas di una bomboletta da campeggio nella sua cella.
Antirazzisti ricordano Mohammed con protesta
Gli esponenti del "Comitato antirazzista milanese", che per alcuni minuti hanno interrotto l’udienza del processo milanese ad alcuni immigrati accusati di una rivolta avvenuta nel Cie di Milano, hanno ricordato con uno striscione e alcuni volantini Mohammed El Abbouby, condannato nei mesi scorsi per alcuni disordini avvenuti il 13 agosto scorso nel Cie di via Corelli e poi morto nel carcere di San Vittore il 15 gennaio scorso, dopo aver inalato del gas da una bomboletta. I manifestanti hanno esposto uno striscione sulla porta dell’aula del processo che riportava il nome dell’immigrato morto per un probabile suicidio e frasi come "in custodia cautelare a San Vittore da agosto, è morto in carcere il 15 gennaio 2010, vittima del razzismo di stato. Quanti ancora ne volete uccidere?". El Abbouby era stato condannato assieme ad altri dodici immigrati per una rivolta avvenuta nel Cie di via Corelli. Il giudice aveva inflitto pene comprese tra i 6 e i 9 mesi di reclusione. Il processo ai 4 immigrati, interrotto dalle grida dei manifestanti, proseguirà a porte chiuse. I legali degli imputati, gli avvocati Mauro Straini, Massimiliano D’Alessio e Eugenio Losco, hanno spiegato che "attraverso questa protesta si esprime il disagio che fortunatamente una parte della popolazione prova di fronte a queste ingiustizie". Sulmona: 2 nuovi tentati suicidi, protestano i medici e gli agenti
Agi, 19 gennaio 2010
Il personale medico e paramedico che opera nel carcere di Sulmona ha indetto lo stato di agitazione "per le difficili condizioni alle quali sono sottoposti per prestare le cure ai detenuti". Attualmente cinque medici prestano servizio a parcella con il vecchio contratto del Ministero di Grazia e Giustizia, mentre altri due sono contrattualizzati dalla Asl Avezzano Sulmona. La diversità di trattamento economico a parità di prestazione, più bassa per i primi e più alta per i secondi, sta ingenerando problemi all’interno della struttura di reclusione, così come la riduzione del personale addetto al Sert, nonostante l’elevata presenza di detenuti tossicodipendenti. A causa del sovraffollamento e carenza di agenti penitenziari, i medici sono costretti a lavorare senza il supporto di questi ultimi, esponendosi a rischi che oltrepassano la previsione di contratto. "Il dlgs 230 del 1999 per il trasferimento delle competenze dal Ministero di Giustizia al Servizio sanitario nazionale - spiega Fabio Federico, responsabile medico del carcere di Sulmona - è rimasto di fatto inapplicato, anche perché tutto è in mano alle Asl regionali, con gravi pregiudizi per la difformità nei protocolli sanitari diversi regione per regione. Ogni Asl è autonoma, quindi è facilmente prevedibile che le regioni più sane sotto il profilo del bilancio della Sanità sono quelle che più possono investire in termini di tutela per la salute dei detenuti. Questo è profondamente ingiusto per i reclusi, che invece - conclude Federico - devono vedersi assicurati i trattamenti di cui hanno bisogno". I tentativi autolesionistici nel carcere "maledetto", così è definito quello di Sulmona visto in numero di suicidi, 10 in 16 anni, tra cui una direttrice di carcere e un sindaco, non sembra diminuire. Ieri l’ennesimo tentativo da parte di un detenuto della sezione internati, che ha cercato di strangolarsi con i lacci delle scarpe ed è stato salvato dai poliziotti penitenziari. Visti gli analoghi episodi degli ultimi giorni, il timore è che si sia instaurato un percorso di emulazione da parte dei reclusi per tenere alta l’attenzione dei media.
Uil penitenziari chiede invio esercito
Chiederemo allo Stato l’invio dell’esercito fuori e dentro il carcere se prima delle prossime elezioni il Dap non provvederà a potenziare l’organico degli agenti del penitenziario di Sulmona. Lo afferma la Uil penitenziari per la pericolosa situazione che si vive nella struttura penitenziaria peligna, favorita soprattutto dalla drammatica carenza di organico. Con le prossime consultazioni elettorali - afferma Mauro Nardella, della Uil penitenziari - molti degli attuali agenti in servizio andranno in congedo per 45 giorni così come prevede la legge, perchè si candideranno, e sarà praticamente impossibile coprire tutti i turni di lavoro. L’organico del carcere di Sulmona prevede 310 agenti, ma attualmente ce ne sono in servizio poco più di 200, a fronte di una popolazione carceraria che supera i 500 detenuti: secondo una prima stima gli agenti che chiederanno il congedo elettorale dovrebbero essere circa 30, ma il sindacato teme che possano essere molti di più anche in relazione alla situazione che si vive dentro al carcere. Ci troviamo di fronte a una situazione esplosiva - aggiunge Nardella - con un sovraffollamento di circa 200 detenuti, quasi tutti con problemi psichici, ai quali viene data la possibilità di poter bere il vino che aggiunto ai psicofarmaci diventa un mix esplosivo. Per questo torniamo a chiedere alla direzione del carcere di togliere dalla dieta dei detenuti qualsiasi tipo di alcolico. Prima di mettere in atto gli ultimi tentativi di suicidio i detenuti avevano fatto abuso di vino.
Quarto tentativo suicidio in 10 giorni
Ancora un tentativo di suicidio, il quarto in 10 giorni nel carcere di Sulmona. Un detenuto della sezione internati, quella che sta letteralmente scoppiando per la drammatica situazione di sovraffollamento in cui si trova, ha tentato di strangolarsi con i lacci delle scarpe da tennis. Il recluso era già cianotico quando sono arrivati due agenti di polizia a salvarlo. Trasportato in infermeria, il detenuto è stato rianimato grazie all’intervento dei medici del 118 dell’ospedale di Sulmona. La lista di episodi autolesionistici era iniziata subito dopo l’Epifania con il suicidio di Tammaro. Morte a cui era seguito, a distanza di poche ore, un altro tentativo di suicidio. Appena due giorni fa poi un altro detenuto aveva tentato di impiccarsi e darsi fuoco durante la visita della parlamentare radicale Rita Bernardini.
Fa sciopero fame, malore in trasferimento
Un detenuto del carcere di Sulmona è stato ricoverato in ospedale in seguito ad un malore che ha avuto mentre era in corso il suo trasferimento nel carcere di Lanciano (Chieti). Il detenuto, che è originario di Roma e ha 30 anni, da dieci giorni rifiutava il cibo dell’amministrazione penitenziaria in segno di protesta per il sovraffollamento in cui versa la struttura peligna. Subito dopo il malore il detenuto è stato soccorso dagli agenti di polizia penitenziaria che invece di proseguire nel trasferimento sono tornati indietro raggiungendo il pronto soccorso dell’ospedale di Sulmona dove il detenuto è stato rianimato e sottoposto alle terapie del caso. Il carcere di Sulmona è assurto alle recenti cronache per il suicidio di un detenuto e per il tentativo di suicidio di altri tre carcerati. Massa e Vicenza: 2 tentativi di suicidio, allarme per emulazione
Ansa, 19 gennaio 2010
Suicidio sventato la notte scorsa all’interno del carcere di Massa. Un giovane magrebino, clandestino, tossicodipendente e con diverse problematiche psicologiche, ha tentato di uccidersi ingerendo alcuni oggetti raccolti nella sua cella. È stato un agente di polizia penitenziaria, in servizio di vigilanza, a notare lo strano atteggiamento del detenuto, in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti e violazione delle norme sull’immigrazione. Il detenuto è stato immediatamente accompagnato, sotto scorta, all’ospedale di Massa. Il giovane pare fosse controllato a vista a causa di numerosi altri tentativi autolesionistici. Non si esclude che abbia trovato il coraggio per provare a togliersi la vita per un effetto emulativo, a seguito del suicidio avvenuto nel carcere di Massa. Quello della notte scorsa è il secondo suicidio sventato nel carcere di Massa. Il 14 gennaio scorso si è ucciso, impiccandosi ad una doccia del reparto infermeria, Eddine Sirage Abdellatif, marocchino, 27 anni, clandestino.
Tenta suicidio a Vicenza, salvato da agenti
Un giovane originario di Bassano del Grappa (Vicenza), arrestato nei giorni scorsi per un reato legato a motivi di droga, ha tentato il suicidio all’interno del carcere San Pio X di Vicenza dove è detenuto. Secondo quanto si è potuto apprendere, il giovane ha cercato di farla finita, impiccandosi con un lenzuolo all’interno della propria cella, ma è stato visto e soccorso dagli agenti della Polizia penitenziaria che l’hanno salvato. È stato quindi trasportato nell’infermeria per alcuni controlli. Le sue condizioni non destano preoccupazione. Agrigento: 450 detenuti in 250 posti, "miglior carcere" regione
Apcom, 19 gennaio 2010
"Il carcere di Agrigento? È uno dei migliori della Sicilia, figuratevi gli altri" : risponde con ironia l’ispettore Domenico Nicotra, vice segretario del sindacato Osapp della polizia penitenziaria, sulla pagina settimanale di Radio Carcere curata da Riccardo Arena, che sarà in edicola domani col Riformista. Ed infatti "sono 450 i detenuti presenti nella galera agrigentina, a fronte di soli 250 posti. Le celle sono molto piccole, perché pensate per una sola persona. Le dimensioni: 3 metri di lunghezza e 2 di larghezza. Eppure in quelle celle di appena 6 mq ci vivono oggi tre detenuti. Tre persone private del minimo spazio per muoversi e per vivere in modo dignitoso. Tre persone che dormono su un letto a castello a tre piani". "Io dormivo all’ultimo piano del letto a castello - racconta Lino da poco libero - E mi sembrava di essere stato messo vivo dentro a una bara, tanto il soffitto era attaccato alla faccia". "Oltre al sovraffollamento - sottolinea Arena - il carcere di Agrigento, anche se costruito solo nel 1987, presenta già gravissimi problemi strutturali. Manca l’acqua calda per lavarsi e il riscaldamento. I muri sono pieni di crepe. Quando fuori piove, piove anche dentro le celle dell’ultimo piano. Per non parlare dei piani inferiori. Lì tutte le celle sono invase da infiltrazioni d’acqua causate dalla rottura delle tubazioni". Ma non solo. "Diverse celle ad Agrigento sono inagibili e quindi inutilizzabili, proprio perché inondate - afferma l’ispettore Nicotra - Inoltre i corridoi del carcere sono privi di finestre e, quando fa caldo, spesso agenti o detenuti svengono perché manca l’aria". Piacenza: Comune ha nominato Garante dei diritti dei detenuti
Agi, 19 gennaio 2010
Il Comune di Piacenza ha nominato oggi un Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. È il prof. Alberto Gromi, insegnante e dirigente scolastico, impegnato nel volontariato anche come assistente carcerario, nonché consulente del Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna. Il prof. Alberto Gromi è stato nominato oggi, in sede di Conferenza dei Capigruppo, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Questo incarico, votato all’unanimità da parte della Conferenza, è stato accolto con soddisfazione da parte di tutti i Capigruppo, che hanno sottolineato l’alto profilo e le doti umane e professionali del prof. Gromi, la cui candidatura è stata presentata dall’associazione di volontariato penitenziario "Oltre il Muro". Una nomina che - stando ai componenti la Conferenza dei Capigruppo - è di indubbio prestigio per l’Amministrazione comunale e per la casa circondariale. Il Garante promuove l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone che attualmente sono in una condizione di restrizione, con particolare riferimento ai diritti fondamentali della casa, del lavoro, della formazione, della tutela della salute, della cultura e, per le altre attribuzioni riguardanti il Comune, nell’ambito dei servizi alla persona. Promuove inoltre iniziative di sensibilizzazione sui diritti umani delle persone private della libertà personale, anche in coordinamento con altri soggetti pubblici. Tale incarico è gratuito. La competenza del prof. Gromi è provata dalla lunga esperienza professionale come insegnante e dirigente scolastico, e soprattutto dall’impegno nel volontariato: come assistente carcerario presso la struttura delle Novate, come direttore della comunità "Villa dei Gerani", sperimentazione del Ministero di Grazia e Giustizia nell’ambito delle carceri minorili, e come consulente del Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna. Gromi si è inoltre occupato di disagio giovanile, di formazione, di istruzione e di integrazione sociale, collaborando con la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Firenze: per i detenuti, necessario un presidio sanitario esterno
Sesto Potere, 19 gennaio 2010
"Il carcere è parte integrante della città e per questo al centro dell’attenzione dell’Amministrazione comunale". È quanto ha dichiarato l’assessore alle politiche sociosanitarie Stefania Saccardi nel corso del suo intervento in occasione del convegno "La Regione Toscana per la salute dei detenuti e degli internati" presso l’Auditorium del Consiglio Regionale. "L’Amministrazione comunale considera il carcere e gli istituti penitenziari parti integranti del territorio e della città. Si tratta quindi di un tema che ci interessa anche se i detenuti sono considerati, nell’ambito della marginalità, i più marginali; anche se si tratta di soggetti che hanno un forte impatto sociale e che non sono certamente veicolo di consenso politico. Recentemente la normativa ha affidato alla Regione, agli enti locali e quindi alla Società della Salute responsabilità maggiori per quanto riguarda la salute della popolazione carceraria. Prima di Natale - ha continuato l’assessore Saccardi - ho visitato insieme all’assessore al diritto alla salute Enrico Rossi l’istituto di Sollicciano e mi sono resa conto di persona di quanto bisogno di sanità ci sia in carcere sotto diversi punti di vista. Prima di tutto quello degli ambienti, da mettere a norma sia per quanto riguarda il rispetto delle normative per la sicurezza sui luoghi di lavoro sia soprattutto la funzionalità dei locali. In secondo luogo la questione delle attrezzature, spesso inadeguate, vecchie e mal funzionanti. Nel corso della visita mi sono anche resa conto della necessità di un presidio sanitario stabile esterno al carcere in cui ricoverare i detenuti affetti da patologie complesse superando la situazione attuale che prevede, in caso di necessità, il trasferimento dei pazienti negli ospedali del territorio. Un presidio la cui localizzazione dovrà essere indicata dall’Azienda sanitaria". L’assessore Saccardi si è poi soffermata sul tema del superamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino. "Firenze ha una grande tradizione su questo tema e per questo sarebbe un peccato se la sede regionale per gli internati fosse localizzata altrove. Ovviamente questo non deve tradursi in un trasferimento dell’Opg a Sollicciano o al Gozzini. La Regione Toscana deve cogliere l’opportunità offerta dalle nuove norme e proseguire con interventi che segnino una inversione di tendenza rispetto alle politiche nazionali, fatte soprattutto di annunci che poi restano sulla carta" ha concluso l’assessore Saccardi. Trapani: Borsellino (Pd); ridurre l'utilizzo di custodia cautelare
a.marsala.it, 19 gennaio 2010
"Nelle carceri italiane, il sovraffollamento di detenuti, a fronte del sottodimensionamento del personale della polizia penitenziaria, rischia di vanificare la funzione rieducativa della reclusione e di limitare pesantemente la sicurezza. Per questo, è necessario che il Parlamento avvii con urgenza una riforma in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti e di trattamenti sanzionatori e rieducativi. La strada dell’adozione di pene alternative per i detenuti che hanno compiuto reati minori permetterebbe di risolvere in parte il problema del sovraffollamento e contribuirebbe a ridurre il disagio psicologico". Lo dice l’europarlamentare Rita Borsellino a sostegno della mozione Bernardini sulle criticità dei penitenziari italiani discussa alla Camera. E l’intervento dell’on. Borsellino è condotto indicando come esempio la situazione nel carcere di San Giuliano: "Quest’anno - ha aggiunto infatti l’europarlamentare del Pd - in occasione dell’iniziativa "Ferragosto in carcere 2009" promossa dai Radicali italiani, ho avuto modo di toccare con mano questa realtà disastrata, in particolare di quella di San Giuliano, in cui la popolazione carceraria è di oltre 500 detenuti, quasi il doppio rispetto alla capienza reale della struttura, che è di 280 persone". Ma nel carcere di Trapani al sovraffollamento c’è da affiancare il problema della carenza di personale: "Nonostante la struttura disponga di locali per attività alternative per i detenuti ai fini della rieducazione - ha aggiunto l’on. Borsellino - la carenza di personale, destinato ai servizi classici di sorveglianza, non lo consente". A dare i numeri di una situazione non più tollerabile è Peppe Poma, Presidente del Consiglio Provinciale. La casa circondariale del capoluogo ha superato ampiamente ogni possibile e sopportabile limite tecnico e umano. Ci sono circa 500 detenuti rispetto alla prevista capienza di 280 persone. A questo, va drammaticamente a sommarsi la contemporanea pesante carenza di personale che mette a serio rischio anche le più elementari garanzie di sicurezza. "Mi permetto inoltre di ricordare - scrive Poma al ministro della giustizia Alfano- che, sulla base dei dati ufficiali raccolti dalle organizzazioni sindacali di categoria, fra Trapani, Favignana, Castelvetrano e Marsala sono in atto detenute 309 persone in più rispetto alla ricettività massima a fronte della mancanza di almeno 100 agenti nel previsto organico". Il presidente del consiglio provinciale, nella lettera, non manca di puntualizzare come, nonostante le ripetute sollecitazioni, quest’ultimo aspetto venga ad oggi eluso. Poma infine torna ad invitare Alfano a venire a constatare di persona la situazione della carceri trapanesi per rendersi conto della gravità della situazione. "Non basta proclamare la costruzione di un nuovo padiglione, occorre intervenire concretamente". E non è un caso se lo scorso 18 Aprile sono avvenuti dei disordini nel carcere di Trapani. Un gruppo di detenuti tunisini, nella sezione Mediterranea dove si trovano molti extracomunitari, ha aggredito le guardie penitenziarie. Cinque agenti sono rimasti feriti: uno di loro ha riportato la frattura scomposta dell’avambraccio destro mentre gli altri hanno prognosi che vanno dai 5 ai 10 giorni. Dichiarò Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa penitenziari. "Quanto accaduto deve far riflettere sull’opportunità di interventi immediati atti a deflazionare il grave sovrappopolamento delle carceri italiane o episodi come quello registrato ieri sera saranno cronaca quotidiana. La Uil penitenziari da tempo ha lanciato l’allarme sulla ingestibilità degli istituti di pena. "Dopo quanto accaduto a Trapani - disse Sarno - il ministro Alfano, il Governo e tutto il Parlamento hanno il dovere di aprire immediatamente un confronto parlamentare sulle possibili soluzioni per evitare una catastrofe annunciata. L’emergenza penitenziaria va risolta con interventi immediati e mirati". Reggio Calabria: per carcere di Arghillà fondi per soli 150 posti
Asca, 19 gennaio 2010
Lo stato di emergenza fino al prossimo 31 dicembre e un piano Carceri con 18 nuovi istituti penitenziari per arrivare a 80 mila posti totali, tra cui 21 mila in 47 nuovi padiglioni in vecchie carceri, che costeranno 600 milioni di euro. Questa la soluzione posta dal ministro della Giustizia Angelino Alfano per la questione annosa e ancora irrisolta del sovraffollamento e delle condizioni di detenzione, e che riguarderà anche la struttura sita ad Arghillà che avrebbe dovuto divenire il carcere di periferia di Reggio Calabria: peccato che questa stessa struttura adesso sia tutt’altro che pronta per entrare in funzione ma sia invece da riadattare e ammodernare, oltre che da completare. Data anche la situazione di sovraffollamento e di difficoltà in cui versa il carcere reggino di San Pietro, giunge la risposta del governo. Sono infatti già arrivati dal governo 21 milioni e 500 mila euro per porre fine a questa vicenda e terminare i lavori presso la struttura di Arghillà nelle condizioni attuali. Essa sarà infatti resa fruibile, anche se solo con 150 posti, nel prossimo futuro. Per la realizzazione degli altri 150 posti, dovrà infatti attendersi il successivo sforzo del governo per lo stanziamento di altri nove milioni di euro. In clamoroso stato di degrado e abbandono da anni, l’opera incompiuta richiede adesso una nuova gara di appalto per i restanti lavori da eseguire, oltre che una riqualificazione dell’area che la ospita. Non si faranno attendere anche i contenziosi con la vecchia impresa di costruzione. In progetto era un’opera imponente, un carcere di massima sicurezza che avrebbe dovuto ospitare trecento persone detenute, oggi un fabbricato incompleto e circondato da erbacce, dove i lavori non sono più in corso, fermi al 60% dal 2006 dopo svariati ritardi e problemi evidentemente irrisolti. L’assenza di fondi sufficienti ha reso necessario un commissariamento straordinario per il completamento dei lavori, affidato nel dicembre 2006 al presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro Giovanni Grimaldi. Ebbene tale struttura ormai in preda al degrado, dopo l’impegno assicurato a tutti i livelli e da tutti gli schieramenti in questi anni, adesso sarà resa funzionale per la parte già realizzata, dunque parzialmente e con ritardo rispetto al progetto avviato oltre venti anni fa. Una vicenda contorta per la quale oggi si aprono nuovi scenari poiché anche in Calabria il numero dei posti non coincide con quello delle persone detenute e il completamento dell’opera di Arghillà non è solo funzionale a tale scopo; tale opera è, infatti, necessaria anche per riqualificare tutta quell’area e portare a compimento un progetto per soldi pubblici sono già stati spesi. Oltre sessanta mila in tutta Italia, a fronte dei 44 mila posti, sono le persone detenute. La soluzione di implementare l’edilizia carceraria può essere una ma, si auspica, non l’unica. Mantova: carcere di Revere, 22 anni di lavori e oggi è in rovina
La Gazzetta di Mantova, 19 gennaio 2010
La popolazione carceraria aumenta ogni giorno e i penitenziari scoppiano. Il sovraffollamento sta superando ogni limite del vivere civile, con tutti i problemi igienico-sanitari che invariabilmente vengono a crearsi. Il problema è grave e richiede soluzioni rapidissime se non immediate. In questo settore, per fortuna, la possibilità c’è. E a costi irrisori. Basterebbe aprire quei 40 carceri - tra cui quello di Revere - in stato di abbandono da lustri. Ma il ministro Angelino Alfano sembra essersene dimenticato. E con lui il suo entourage. E allora pensa di dichiarare lo stato di emergenza, battere la burocrazia velocizzando tutti gli iter e realizzare 47 padiglioni accanto ai maggiori istituti penitenziari entro il 2010. Questo per quanto riguarda la prima fase. Il decollo della seconda si riferisce all’individuazione di nuove aree per la costruzione di nuove carceri (2010-2011) con l’ovvia assunzione di altro personale. Ma le 40 carceri che già esistono, sparse su tutto il territorio nazionale, diverse delle quali - come denuncia il partito per gli Operatori della Sicurezza e della Difesa - arredate e dotate di accorgimenti tecnici all’avanguardia, che fine faranno? Si tratta di istituti costati miliardi che sono in uno stato di assoluto abbandono e che rappresentano uno spreco di denaro pubblico. Istituti dei quali fa parte anche il carcere di Revere. Una struttura che dopo 22 anni rappresenta una cattedrale nel deserto, minacciata dai ladri e vittima dell’incuria del tempo. Un penitenziario che prevedeva la capienza di 90 detenuti, costato fior di miliardi, i cui lavori sono ormai fermi da una decina d’anni. Un carcere colpevolmente abbandonato dal ministero, ma dimenticato anche da tutti quei parlamentari che l’hanno via via visitato gridando allo scandalo per lo stato di dimenticanza in cui è stato lasciato. Una struttura che se non serve alla giustizia potrebbe essere utilizzata per le esigenze del territorio. Come fa osservare il sindaco di Revere Gloria Bonini. "Alcuni mesi fa abbiamo inviato una petizione al Governo - visto che quella struttura, nata come carcere mandamentale sta piano piano cadendo in rovina, perché noi abbiamo solo il compito di sorvegliarla ma non di metterci mano - di cedercela o darla al territorio per poterla utilizzare per scopi sociali, ma non abbiamo mai avuto risposta. Un vero peccato perché è una dispersione di capitale". Al primo cittadino non sono giunte nemmeno comunicazioni sulle eventuali intenzioni del ministro Alfano e della sua èquipe di recuperare lo stabile per adibirlo alle funzioni per il quale è stato realizzato. "Fino a questo momento - ha detto Gloria Bonini - non ci è pervenuta in proposito nessuna comunicazione". Tutto tace, insomma. Il silenzio pare sovrano. Mentre le carceri continuano a scoppiare. Verona: il carcere entra nelle scuole la legalità comincia da qui di Anna Zegarelli
L’Arena di Verona, 19 gennaio 2010
Spiegare il carcere agli studenti, non è facile ma serve a fare incontrare due mondi. Lo ha fatto Antonio Fullone, il direttore della Casa Circondariale di Montorio, che ha parlato agli studenti delle classi quinte dell’istituto superiore Seghetti. È stata la sua prima visita in una scuola veronese, e l’accoglienza fatta di interesse e voglia di comprendere, lo ha sorpreso e rallegrato. Questo incontro è uno dei molti promossi da Carcere & Scuola, l’iniziativa ventennale nata dall’associazione progetto Carcere 663 Acta non Verba che si pone l’obiettivo di rieducare i detenuti ma anche di educare alla legalità le nuove generazioni, lavoro portato avanti da Maurizio Ruzzenenti e dai volontari dell’associazione. Lo ha sottolineato lo stesso Fullone invitando gli studenti ad un approccio ragionato sulla questione in quanto "il carcere è sì un luogo di detenzione e quindi di espiazione della pena, ma soprattutto si lega alle persone". Un approccio umano quindi quello proposto dal direttore e non a caso l’incontro ha visto la partecipazione di un detenuto che si è prestato a rispondere alle domande degli studenti e dell’insegnante che li segue per tutto il percorso, Francesca Rossi, impegnata a spiegare la legalità sin dalle prime classi superiori. "Non è facile parlare di criminalità, di deviazioni. Si toccano corde intime della collettività per questo è bene far comprendere alle nuove generazioni che i detenuti sono persone che tornano nella società". Per Fullone l’intervento è soprattutto mirato alla conoscenza e non solo a monito, per questo vede nel progetto di Carcere & scuola la valorizzazione della persona. Insomma il detenuto è prima di tutto una persona, un essere umano che ha sbagliato ma che va reintegrato. Con Follone era presente anche Antonella Salvan, responsabile dei servizi sociali del Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) che ha fornito i dati riguardanti i casi seguiti con misura alternativa alla detenzione, domiciliare, in semilibertà e in affidamento ai servizi sociali. Per Verona sono 309. I detenuti definitivi seguiti per il reinserimento sociale sono 396. Questi numeri hanno fatto riflettere gli studenti e li hanno portati a chiedere al detenuto presente all’incontro quale fosse stata la sua colpa e come si svolge la sua giornata tipo: la risposta per il detenuto condannato per fatti di droga, è stata immediata. "Mi alzo alle 8 e dalle 9 alle 11 sto in cortile a prendere aria. Vale anche dalle 13.30 alle 15.30. Certo sono impegnato in attività, ma vi assicuro che il carcere è sempre il carcere". A parlare agli studenti è stato Paolo Bottura di Impresa responsabile che ha esortato i ragazzi ad uscire dagli schemi dell’informazione che riducono il carcere alla sola notizia del sovraffollamento. "Il carcerato non solo ha la percezione di perdere la libertà ma anche tutto ciò che vive. È per lui una lacerazione totale dei rapporti". La rieducazione è quindi fondamentale anche se si scontra con una società che non sempre offre il perdono. Cagliari: Annino Mele in permesso, presenta il libro "Strabismi"
Agi, 19 gennaio 2010
"Permesso straordinario" per Annino Mele che sabato 23 gennaio parteciperà a Cagliari alla presentazione del suo nuovo libro "Strabismi. Dove si racconta del carcere e del senso delle cose". Lo farà con due contributi recapitati all’associazione "Socialismo Diritti Riforme" che, in collaborazione con la cooperativa "Sensibili alle Foglie", ha organizzato l’incontro di Cagliari, in programma alle 17, nella sala conferenze dell’Associazione della Stampa Sarda in via Barone Rossi, 29. Incentrato su "vizi e virtù" del sistema carcerario italiano, "Strabismi" è anche una spietata analisi del passato e del presente della società sarda descritta senza mai cadere nel folclore. Annino Mele, che è stato ristretto a Como, Fossombrone, Saluzzo racconta la sua esperienza e induce a riflettere. In occasione dell’appuntamento sarà presente anche il Presidente della Cooperativa Mario Da Prato. Ad animare il dibattito saranno gli interventi di Anna Maria Busia, avvocato penalista, e di Renato Curcio, direttore editoriale della casa editrice milanese "Sensibili alle Foglie". Coordinerà l’incontro Maria Grazia Caligaris, presidente di "Socialismo Diritti Riforme". Mamoiadino, 59 anni, ristretto da 26 anni, 22 dei quali consecutivi dal 1987. Autore di sette pubblicazioni, il detenuto-scrittore Annino Mele è stato presente anche al Salone del Libro di Torino, lo scorso mese di maggio. Con la casa editrice milanese ha pubblicato altri tre titoli, ognuno dei quali ha suscitato reazioni polemiche. Stati Uniti: nessun reato per morte di 3 detenuti a Guantanamo
Associated Press, 19 gennaio 2010
Il Dipartimento della Giustizia statunitense ha smentito quanto pubblicato dal settimanale Harper’s, secondo il quale vi sarebbero dei dubbi sulle circostanze della morte di tre detenuti di Guantanamo, avvenuta nel 2006 e archiviata come suicidio. "Il Dipartimento ha indagato seriamente sulla questione, gli avvocati hanno esaminato attentamente tutte le circostanze e non hanno trovato alcuna prova di irregolarità", ha commentato la portavoce, Laura Sweeney. Secondo la ricostruzione del settimanale - che cita le testimonianze di alcune guardie di sicurezza - poche ore prima della morte i tre detenuti sarebbero stati trasportati dalle loro celle in un sito segreto sull’isola: i decessi sarebbero quindi avvenuti nel cosiddetto "Camp No", una struttura che si troverebbe a circa un miglio dal complesso principale che ospita il carcere e nella quale sarebbero stati condotti interrogatori particolarmente duri. I tre detenuti, uno yemenita e due sauditi, morirono nella notte fra il 9 e 10 giugno del 2006: in una riunione tenuta la mattina successiva uno degli ufficiali informò il personale che i tre erano morti soffocati da alcuni stracci, raccomandando tuttavia di non commentare o smentire in alcun modo la versione ufficiale che sarebbe stata data alla stampa, quella di suicidio per impiccagione. Svizzera: aumenta il numero dei detenuti, il 70% sono stranieri
Associated Press, 19 gennaio 2010
Aumenta il numero di detenuti nelle prigioni svizzere. Secondo l’ultimo dato disponibile, che si riferisce all’inizio del settembre scorso, i diversi istituti ospitavano 6.084 persone, il secondo più elevato numero dal 1999. Erano 5.780 nel 2008. Un terzo di queste persone erano in prigione in detenzione preventiva. Gli stranieri rappresentano il 70 percento circa della popolazione carceraria. Solo il 6 per cento sono donne. Nella Svizzera romanda alcuni penitenziari sono al completo. Nel confronto con altri paesi europei, il numero di ospiti di carceri in Svizzera rispetto alla popolazione è più basso ciò che indica una criminalità inferiore.
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