Rassegna stampa 1 gennaio

 

Giustizia: il carcere nel 2009; 71 suicidi e 20mila detenuti in più

di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro

 

Liberazione, 1 gennaio 2010

 

La morte di Stefano Cucchi ha rappresentato il definitivo tramonto di un principio che ritenevamo ormai acquisito: il principio dell’habeas corpus, l’idea che lo Stato non è padrone del nostro corpo e deve tutelare la vita e la dignità di chi è ristretto nella propria libertà.

Non a caso, il 2009 è stato definito l’annus horribilis per il sistema penitenziario. Perché si è raggiunto il record dei suicidi in carcere (71) e del sovraffollamento (oltre 20.000 presenze in più di quelle consentite), tanto che siamo stati condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 3 della Convenzione, quello relativo alla tortura e ai trattamenti disumani. Uno "squallore intollerabile", come ha avuto modo di ricordarci il cardinale Dionigi Tettamanzi.

Manifestiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che vivranno ammassati l’ultimo dell’anno, portando loro il nostro simbolico saluto con una visita al carcere di Rebibbia nella mattinata dell’ultimo dell’anno. Ci appelliamo alla sensibilità del Presidente della Repubblica, convinti che una sua attenzione al dramma delle carceri nel discorso di fine anno possa spronare interventi, ormai indilazionabili, per restituire la dignità a chi è privato della libertà.

Crediamo che la discussione della mozione parlamentare sulla emergenza carceri, prevista per i prossimi 11 e 12 gennaio, necessita del sostegno di tutta la società civile, perché sarà il banco di prova su cui testare la volontà della politica di affrontare questo dramma. Noi saremo lì a ricordare che il solo piano edilizia e il sedicente processo breve non bastano.

Si deve intervenire sul diritto sostanziale, depenalizzando determinate condotte non lesive dei diritti altrui, riducendo il numero di reati che oggi in Italia supera le 5000 fattispecie. Non vogliamo più un diritto forte con i deboli e debole con i forti. Si deve ricorrere maggiormente alle misure alternative al carcere, perché chi esce dal carcere nell’80% dei casi vi rientra, mentre tra chi ha usufruito di una misura alternativa reitera il reato (solo) il 19%. Ci auguriamo che se il 2009 verrà ricordato come l’anno di approvazione del pacchetto sicurezza, l’annus horribilis del sistema penitenziario e della negazione dell’habeas corpus vissuta con la morte di Stefano Cucchi, il 2010 sia l’anno delle depenalizzazioni e dell’approvazione delle leggi che istituiscono il reato di tortura e il garante delle persone private della libertà.

Giustizia: in quelle zone d’eccezione, dove la vita perde valore

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 1 gennaio 2010

 

L’anno carcerario si chiude con la notizia di un’altra morte. Pierpaolo Prandato, 45 anni, internato nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa è morto "soffocato da un rigurgito". Il decesso risale al 21 dicembre scorso, ma solo ieri è stato reso noto per volontà della famiglia.

Lo riferisce, in un comunicato, l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, messo in piedi dai Radicali Italiani e da alcune associazioni (Antigone, Il Detenuto ignoto, A buon diritto), insieme alle redazioni di Radio Carcere e Ristretti Orizzonti. Con la morte di Prandato salgono a 175 i detenuti del cui decesso si è avuta notizia dall’inizio dell’anno, di cui 72 suicidi. Questo episodio ricorda quello di Francesco Mastrogiovanni, il maestro salentino morto la scorsa estate in un letto di contenzione dell’ospedale di Vallo della Lucania.

La frequenza impressionante di questi decessi, o dei maltrattamenti certificati che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale, non solo all’interno del sistema penitenziario, sollevano un allarme grave sulla cultura degli apparati repressivi e di contenimento. La morte di Stefano Cucchi è per la sua dinamica la più emblematica. Riassume tutte le altre accadute nel corso del 2009 e negli anni precedenti. Cucchi ha attraversato nel corso del suo rapido e terribile calvario tutti i luoghi e le amministrazioni che si occupano della "presa" e della "cura" dei corpi. Per sua sfortuna all’inizio è finito in mano ai carabinieri, ha pernottato nel corso di una notte in due diverse camere di sicurezza, visitato inutilmente dal personale del 118.

Il giorno successivo ha conosciuto, sventura ancora più grande, i sotterranei del tribunale. È salito per un po’ in superficie, dove pare si amministri la giustizia, ma nessuno si è accorto di come era ridotto. È finito in carcere, dove ha soggiornato in infermeria. È passato per due ospedali, il Fatebenefratelli e il Pertini. Diverse amministrazioni dello Stato hanno avuto in consegna il suo corpo, non si può dire che si siano occupate della sua persona, al punto che si può affermare senza remore: "Cucchi è morto di Stato".

Come Alì Juburi, il detenuto iracheno quarantaduenne deceduto nell’agosto 2008 a causa di uno sciopero della fame intrapreso per protesta contro una condanna che considerava ingiusta. "Abbandono terapeutico" che ha causato anche il decesso di Franco Paglioni in una cella del carcere di Forlì. Cinismo, indifferenza, sprezzo della vita umana, hanno precipitato la morte di questo uomo di 44 anni profondamente debilitato da una malattia che il senso comune fa fatica a pronunciare, l’Aids.

Stefano Brunetti, sempre nel 2008 morì in ospedale il giorno successivo al suo arresto a causa delle percosse subite. Dall’autopsia sarebbe emersa, secondo quanto riportato dal legale, la presenza di "un’emorragia interna dovuta a un grave danno alla milza. Risultano fratturate anche due costole". Nell’estate 2009 un detenuto straniero, di nome Mohammed, moriva suicida nella "cella di punizione" del carcere di santa Maria Maggiore, a Venezia. Il luogo, descritto da testimoni e da chi aveva potuto verificarne l’esistenza, come "stretto, buio, dall’odore nauseabondo", assomigliava più a una segreta medievale che a una moderna camera di sicurezza. Potremmo continuare ricordando il suicidio di Diana Blefari Melazzi, la cui sofferenza psichiatrica non fu mai presa sul serio. Citare la morte del testimone scomodo del carcere di Teramo, il "negro" Uzoma Emeka che aveva assistito al pestaggio di un altro detenuto. Per quell’episodio, il comandante degli agenti di custodia, Giovanni Luzi, venne preso in castagna da una registrazione audio mentre in un concitato colloquio rimproverava un assistente di polizia penitenziaria per aver pestato un detenuto in sezione, davanti agli altri reclusi, invece di averlo portato "sotto", cioè nel reparto di isolamento, dove abitualmente al riparo da sguardi indiscreti avvengono i pestaggi, le "punizioni".

Questo tipo di vicende, oltre a porre un problema di tutela dei corpi, dei diritti e delle libertà calpestate, suggeriscono una riflessione meno episodica è più attenta alla natura sistemica del problema.

Negli ultimi decenni l’Italia ha conosciuto diversi tipi di eccezione. Sul finire degli anni 70 s’impose un "stato d’eccezione giuridico" contro la lotta armata, procastinata successivamente contro la mafia. Forma subdola e insidiosa che stravolgeva l’eccezione classica della modernità, quella di matrice giacobina codificata nelle costituzioni liberali, che attribuisce pieni poteri all’esecutivo e sospende le garanzie giuridiche per un periodo limitato nel tempo e nello spazio.

Da noi, al contrario, il ricorso all’eccezione è stato gestito dalla magistratura per delega politica. Circostanza che ha dato forma a un sistema penale ibrido, dove norma regolare e regola speciale convivono, si integrano e si sostengono reciprocamente. Tanto che non è più possibile pensare di poter ripristinare la normalità giuridica poiché non vi è mai stata sospensione, ma unicamente ibridazione di più registri giuridici e penali, legislativi e procedurali, fino a determinare un groviglio inestricabile che non consente più alcun riassorbimento o fuoriuscita.

Negli anni 90 si è andato diffondendo un nuovo modello emergenziale flessibile, modulabile, a macchia di leopardo, caratterizzato dalla presenza di "zone grigie", buchi neri in cui il confine tra legalità e illegalità resta incerto. "Ambiti riservati davanti ai quali lo stato di diritto arretra", come ha scritto una volta sul Corriere della sera il professor Panebianco.

Una sorta di doppio binario: legalità e diritti riconosciuti solo per una parte della popolazione e trattamenti differenziati per la restante. Le camere di sicurezza delle questure e dei carabinieri, i reparti d’ospedale dove si somministrano trattamenti sanitari obbligatori, sono spazi di diritto attenuato facilitato dall’opacità dei luoghi. I Cie, le frontiere, le zone costiere, gli aeroporti, appartengono alle "zone d’eccezione" che pongono limiti allo spazio giuridico, espellono lo stato di diritto. Definiti da alcuni anche "Non luoghi", spazi di arresto della mobilità di persone che non hanno commesso alcun crimine, caratterizzano la democrazia reale.

Giustizia: Napolitano; i detenuti sono "esposti ad abusi e rischi"

 

Ansa, 1 gennaio 2010

 

"È necessario essere vicini a tutte le realtà in cui si soffre anche perché ci si sente privati di diritti elementari: penso ai detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca". Lo dice il Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno, parlando della necessità del valore della solidarietà.

Giustizia: Sappe; bene Napolitano, ora Governo trovi soluzioni

 

Apcom, 1 gennaio 2010

 

"Un discorso di alto profilo in cui, come da noi auspicato, è stato pure affrontato il grave sovraffollamento penitenziario". Così Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria, commenta il discorso di fine anno del presidente della Repubblica proponendo "un termine di cento giorni entro i quali Governo e Parlamento trovino soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano".

"Dopo le nobili parole del Presidente Napolitano, auspichiamo che si prenda finalmente atto del momento di estrema gravità del sistema carcerario - continua Capece -, che i nostri 39 mila colleghi e le loro famiglie sono costretti a vivere, sopportare, subire, per le indifferenze mostrate fino ad oggi da tutto l’arco parlamentare.

Il Corpo di Polizia Penitenziaria ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni ed aggressioni, da parte di una popolazione detenuta esasperata dal sovraffollamento e da politiche repressive".

Giustizia: ergastolano ha diritto a scontare pena in cella singola

 

Ansa, 1 gennaio 2010

 

Gli ergastolani devono scontare la pena in una cella singola. Il napoletano Guido De Liso, condannato al carcere a vita con sentenza definitiva per un omicidio di camorra, ha ottenuto di lasciare la cella che divide con un altro detenuto. De Liso, 37 anni, è recluso nel carcere Petrusa di Agrigento. Il suo legale, l’avvocato Salvatore Collura, ha presentato un reclamo al tribunale di sorveglianza per sollecitare il trasferimento in una cella singola. Il campano è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’assicuratore Giustino Perna, ucciso il 30 aprile 1999, per una vendetta trasversale nell’ambito della faida di Pianura. Il giudice gli ha dato ragione e ha ordinato il trasferimento.

Giustizia: 75 bambini passano il Capodanno in cella con madri

 

Ansa, 1 gennaio 2010

 

In tutto il territorio nazionale sono 75 i bambini in cella con la madre. "La nostra presenza questa mattina nel carcere di Pontedecimo vuole testimoniare il particolare e caloroso ringraziamento rivolto alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria che, nell’Istituto di pena della Valpolcevera come negli oltre 200 carceri italiani, sono in servizio anche in questo giorno di festa, per molti anche lontano dalle famiglie.

I nostri valorosi Agenti lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive (in quelle carceri "terribilmente sovraffollate" cui ha fatto riferimento, nel suo discorso di fine anno, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, al quale rinnoviamo ancora una volta stima e gratitudine), sventando anche tentativi di suicidio e atti di autolesionismo dei detenuti. Professionalità ed umanità particolari, quelle delle nostre colleghe di Pontedecimo, che mettono in luce quotidianamente anche una particolare sensibilità umana verso i bimbi minori di 3 anni che sono in cella con le mamme detenute nell’asilo nido del carcere (l’unico in Liguria, uno dei 16 a livello nazionale per i circa 75 bambini presenti). Ora ci auguriamo che dopo le nobili parole del Presidente Napolitano di ieri sera si prenda finalmente atto del momento di estrema gravità del sistema carcerario e si trovino dunque soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano.

È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri, che questa mattina visita il carcere genovese di Pontedecimo con i responsabili locali del Sindacato.

"La situazione penitenziaria della città di Genova è particolarmente grave. Nel carcere di Marassi, in cui 456 sono i posti letto regolamentari, le presenze sono ben oltre le 720 unità e, di questo passo, si raggiungerà a breve il numero di ottocento detenuti (oltre il 55% gli stranieri presenti); in quello di Pontedecimo si sono già raggiunte le 150 presenze rispetto ad una capienza regolamentare di 97 posti. Particolarmente grave è la situazione relativa alle carenze organiche del Personale di Polizia Penitenziaria dei due Istituti: mancano infatti, rispetto a quanto previsto, ben 165 appartenenti alla Polizia Penitenziaria a Marassi e 58 a Pontedecimo. Marassi e Pontedecimo non possono e non devono essere considerati dei corpi estranei nel territorio cittadino. Il sovraffollamento è causa ed effetto di molti problemi ma costringe principalmente a stressanti e gravose condizioni di lavoro l’encomiabile personale di Polizia penitenziaria."

Il sindacalista del Sappe mette anche in luce una ulteriore triste realtà delle carceri: "Pochi lo sanno ma in Italia, dietro le sbarre, ci possono finire anche gli innocenti per definizione, i neonati. Al momento la legge prevede che i bambini figli di detenute vivano in carcere fino a quando compiono tre anni ed oggi a Pontedecimo ci sono infatti 4 bimbi. Ebbene, le nostre Agenti (spesso mamme loro stesse) sanno conciliare perfettamente il binomio di tutore dell’ordine e della sicurezza e di operatore del trattamento rieducativo. A tutto il Personale di Polizia Penitenziaria, alle nostre Agenti in particolare, va il più sincero e caloroso "grazie!" del Sappe per tutto quello che quotidianamente fanno con passione e professionalità nelle carceri genovesi e italiane".

Giustizia: revocato a boss Graviano regime carcerario di 41-bis

 

Apcom, 1 gennaio 2010

 

È stato tolto il regime di carcere duro 41 bis al boss mafioso Giuseppe Graviano, attualmente detenuto nel carcere milanese di Opera. La misura era stata richiesta dal legale di Graviano. Durissima la reazione dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. "È scandaloso - si legge in una lettera inviata al ministro della Giustizia Alfano - che in questo clima di buonismo a buon mercato a Graviano Giuseppe sia stato fatto un regalo di Natale che gli ammorbidisce il 41 bis.

Butti via le chiavi per il mafioso che ci ha rovinato la vita ammazzando i nostri figli e rendendone di invalidi alla mercé di organismi di Stato tutt’altro che buoni, o chieda a Graviano Giuseppe di dirci, collaborando con la giustizia, la verità sulla morte dei nostri figli, quella che spavaldamente ha sempre negato in Tribunale ricattando i Governi".

"Il Tribunale di sorveglianza di Palermo - scrive l’associazione - rifletta sul massacro di via dei Georgofili e ci spieghi bene perché Giuseppe Graviano deve tornare a socializzare, non lo abbiamo capito e siamo infuriati davanti a tanta cattiveria che ci perseguita, quali fossimo noi i colpevoli. Siamo pronti a mettere le tende con striscioni di protesta in via dei Georgofili quanto prima e diremo con tutte le nostre forze, se sarà necessario, al mondo intero come sono trattate le vittime del terrorismo mafioso in Italia e come sono premiati i mafiosi terroristi". "Signor ministro dell’Interno - conclude la missiva rivolgendosi a Maroni - è sicuro che i falsi attentati sparsi in giro in questi giorni natalizi non fossero il ricatto della mafia per l’annullamento del 41 bis? Noi no".

Lettere: l'augurio che nelle carceri sia abolita la pena di morte

di Valerio Evangelisti

 

Il Manifesto, 1 gennaio 2010

 

Caro direttore, ti scrivo per auspicare che, nel 2010, si interrompa la catena di omicidi di poveri cristi caduti nelle mani delle forze dell’ordine.

Il 2009 era sembrato promettere bene. Condanne, sia pure in larga misura simboliche (c’è poco da sperare che abbiano effetti pratici), per gli assassini in divisa di Riccardo Rasman e di Federico Aldrovandi. "Omicidi colposi", secondo i giudici, ma in Italia è difficile chiedere di più. C’era la speranza che queste sentenze potessero dissuadere chi, corazzato dei crismi dell’autorità e avendo un poveraccio (magari fastidioso) in sua balia, si ritiene autorizzato a massacrarlo.

Come nel caso dell’innocuo Aldo Bianzino, che coltivava canapa indiana nel suo campetto a uso personale, condannato a morte per una così grave trasgressione. Come in decine di casi non meno tragici. Non è stato così. La pena capitale è stata inflitta a Stefano Cucchi, un altro "drogato di merda", e l’evento è stato celebrato da tale onorevole Giovanardi che ha attribuito alla vittima stessa e ai suoi costumi la fine inevitabile.

Questo Giovanardi, noto per inciso, è autorevole esponente di un partito che il Pd, e persino il Prc, corteggiano in tutte le maniere. Prima ancora era toccato a Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare, anarchico. Idolatrato dai suoi scolari e apprezzato dai genitori di costoro. Dopo un dubbio incidente stradale (avrebbe sbandato e tamponato quattro macchine in sosta), vigili urbani e carabinieri lo conducono direttamente in manicomio. Per quattro giorni giace legato al letto di contenzione.

Ne esce morto, per un edema polmonare che nessuno sa spiegare. A fine anno tocca a Uzoma Eneka, "il negro" (così lo definirono le guardie carcerarie) che era stato testimone di un pestaggio avvenuto nei sotterranei delle carceri di Teramo. La sua testimonianza scompare con la sua vita. L’elenco potrebbe proseguire. Il 2009 è stato un anno funebre, ma non più degli anni precedenti. Chi nel 2001 ha ucciso Carlo Giuliani e massacrato e torturato centinaia di manifestanti l’ha fatta franca: assoluzioni in massa, condanne solo virtuali, promozioni per i più attivi.

Con le autorità che recitano il mantra di sempre: solidarietà incondizionata con polizia e carabinieri, qualunque cosa facciano. Vale anche per i nostri soldati scoperti a uccidere bambini, a violentare in massa una giovane somala, a torturare un ladruncolo - anch’egli somalo - con la corrente elettrica, sotto la supervisione di un medico.

Una storia antica. Degli oltre trecento morti "per incidente" della legge Reale nessuno ha mai risposto. Gli omicidi sono stati anzi all’origine, almeno in qualche caso, di brillanti carriere. Cambierà qualcosa nel 2010? Ci vorrei sperare. Ma con un ministro della difesa che tesse l’elogio della X Mas, con un partito al governo che promuove apertamente la xenofobia, con un centrosinistra che corteggia il regista del macello di Genova 2001, gli auspici non sono tanto positivi. Per questo ti scrivo, caro amico. Per distrarmi un po’.

Non voglio pensare che la logica secondo la quale chi è debole è passibile di crudeltà varie, fino all’omicidio impunito, sia diventata filosofia di governo. Approvata, quel che è peggio, dall’opposizione. Altrimenti dovrò lasciare un paese molto bello, ma nelle mani di gente molto brutta.

Genova: Sappe; 2 poliziotti penitenziari aggrediti da detenuto

 

Ansa, 1 gennaio 2010

 

Non posso che giudicare con estrema preoccupazione l’ennesima grave aggressione a due poliziotti penitenziari, avvenuta ieri sera nel carcere di Genova Marassi. I due sovrintendenti - a ci sono stati dati 10 e 7 giorni di prognosi ed ai quali esprimiamo tutta la nostra vicinanza e solidarietà - sono stati improvvisamente e violentemente aggrediti da un detenuto, che opponeva resistenza ad un cambio di cella. Tutto questo è gravissimo ed inaccettabile, tanto più che si tratta della sedicesima aggressione avvenuta a danno di appartenenti alla Polizia penitenziaria quest’anno a Marassi.

Basta, basta, basta! Bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza in danno dei rappresentati dello Stato in carcere e punire con pene esemplari chi li commette. Servono provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse: mi riferiscono alla necessità di introdurre un efficace isolamento giudiziario ed una esclusione dalle attività in comune che punisca i comportamenti violenti. E sarebbe anche l’ora che in Italia, in analogia a quanto avviene ad esempio in America, i detenuti indossassero in carcere tutti una divisa e si potesse eventualmente contenerli anche nelle sezioni detentive con manette e catene. In una situazione di emergenza, come è quella attuale, servono provvedimenti straordinari.

È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri, a commento del grave episodio accaduto ieri sera nel carcere genovese di Marassi.

Aggiunge Martinelli: "Marassi patisce una gravissima situazione deficitaria per quanto riguarda gli organici del Personale di Polizia Penitenziaria: mancano infatti, ben 165 poliziotti! I detenuti, invece, aumentano ogni giorno di più. Nel carcere della Valbisagno, in cui 456 sono i posti letto regolamentari, le presenze sono ben oltre le 720 unità e, di questo passo, si raggiungerà a breve il numero di ottocento detenuti (oltre il 55% gli stranieri presenti). Nonostante ciò i nostri valorosi Agenti lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive di Marassi, sventando anche tentativi di suicidio e atti di autolesionismo dei detenuti. Ma servono con urgenza nuovi agenti. Servono fatti concreti, altrimenti il sistema implode!".

 

 

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