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Giustizia: Governo e Parlamento scoprono l’emergenza carceri di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)
www.linkontro.info, 15 gennaio 2010
Il Consiglio dei Ministri ha riconosciuto lo stato di emergenza per le carceri. In Consiglio dei Ministri non è stato ancora presentato un piano dettagliato. Lo stato di emergenza per ora si sostanzia in una dichiarazione di attribuzione di nuovi poteri al già commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, nonché capo del Dap, Franco Ionta. Il ministro Angelino Alfano ha ribadito la promessa di usare 600 milioni di euro per ottenere 21 mila nuovi posti letto. Nulla è stato invece detto circa le misure deflattive che il giorno prima il Guardasigilli aveva preannunciato a Montecitorio, durante una sessione di lavoro dedicata al tema delle condizioni di vita durissime in carcere e del sovraffollamento. Sono oggi infatti 66 mila i detenuti contro i 43 mila posti letto regolamentari. Alla Camera pendevano varie mozioni: la prima in ordine cronologico era stata presentata dalla radicale Rita Bernardini. A seguire hanno depositato un loro testo l’Udc - primo firmatario Vietti, l’Idv - primo firmatario Di Stanislao, il Pd, primo firmatario il capogruppo Franceschini, il Pdl - primo firmatario l’ex sottosegretario alla giustizia Vitali. Tutte le mozioni riguardavano la situazione del sistema carcerario italiano e proponevano alcune soluzioni. L’Aula ha votato in modo compatto affinché il governo assuma a breve iniziative, anche di carattere normativo, volte a riformare le norme sulla custodia cautelare, a prevedere meccanismi effettivi di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, a rafforzare il sistema delle misure alternative al carcere e l’applicazione della detenzione domiciliare. Il governo si è anche impegnato a far rispettare il principio della territorializzazione della pena. Gli esperti del settore sostengono che dietro l’alto numero di suicidi in ambiente penitenziario vi è spesso un problema di rottura di rapporti affettivi determinati dalla lontananza del luogo di carcerazione da quello di residenza dei familiari o degli amici. Ovviamente anche questo è un effetto, seppur indiretto, del sovraffollamento che rende difficile le scelte alloggiative dell’amministrazione penitenziaria. La Camera ha votato sì agli adeguamenti degli organici di tutto il personale penitenziario. Non solo devono essere assunti nuovi poliziotti, ma anche medici, infermieri, educatori, assistenti sociali. Il tutto al fine di favorire le pratiche di reinserimento sociale dei detenuti. Con lo stesso obiettivo è stato deciso di rivitalizzare la cosiddetta legge Smuraglia sul lavoro penitenziario; il che significa rifinanziarla per consentire la defiscalizzazione degli oneri sociali per quelle imprese che intendono assumere detenuti. In modo netto la Camera ha affermato che debba essere prevista l’esclusione dal circuito carcerario per le donne detenute insieme ai loro figli sotto i tre anni. Al momento sono circa settanta i bambini ristretti, loro malgrado, nelle carceri italiane. Veniamo ora ai no detti dall’Assemblea di Montecitorio ad alcune parti della mozione che aveva come prima firmataria la deputata Rita Bernardini. Per una manciata di voti e con il parere contrario del governo è stata respinta la proposta di istituire una figura indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Il primo disegno di legge bipartisan risaliva al lontano 1998. L’iniziativa fu presa dall’allora vicepresidente del Senato Ersilia Salvato. Sono mancati otto voti. Due sono stati gli astenuti. L’Italia non ha ancora ratificato il protocollo opzionale alla Convenzione Onu sulla tortura, pur avendolo firmato per iniziativa del precedente governo Berlusconi nel 2003. La mancata ratifica si spiega anche perché il protocollo impone la creazione di un organismo di garanzia indipendente che possa monitorare carceri, stazioni di polizia, centri per immigrati. La Francia di Sarkozy l’ha istituita un paio di anni fa. Il parlamento ha votato inoltre contro eventuali modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva la cui applicazione costituisce una delle cause primarie del sovraffollamento. Nessuna proposta di revisione degli articoli 4 bis e 41 bis dell’ordinamento penitenziario è stata accolta. I due articoli, introdotti nel 1991 nella nostra legislazione a seguito delle stragi di mafia, prevedono preclusioni per l’accesso ai benefici penitenziari per molti reati nonché il carcere duro per i detenuti definiti più pericolosi. Un no netto è stato detto anche alla possibilità di rivedere il sistema delle misure di sicurezza cancellando quello che i penalisti chiamano doppio binario punitivo (uno per gli imputabili, il secondo per gli incapaci di intendere e volere) nonché alla possibilità di istituire una anagrafe pubblica delle carceri al fine di renderle più trasparenti nella gestione. Infine è stata espressa contrarietà alla possibilità per i detenuti di intrattenere riservatamente rapporti sessuali con il proprio coniuge. Le altre mozioni sono state tutte approvate. Giustizia: parole in libertà su stato di emergenza delle carceri di Guido Melis (Deputato Pd)
www.rassegna.it, 15 gennaio 2010
Quando non si riesce a amministrare, quando non si hanno i mezzi, allora si mettono in soffitta le regole, si interrompono i controlli, si procede per ordinanze dove occorrerebbero le leggi. Le parole sono pietre. Ma a volte possono essere bolle di sapone. Davanti alle mozioni, in gran parte concordi, presentate alla Camera sul disastro delle carceri, il ministro Alfano se ne è uscito con un gran colpo ad effetto: "Proporrò al Consiglio dei ministri - ha detto solennemente - di proclamare lo stato d’emergenza". Stato d’emergenza? Per un attimo la Camera è ammutolita. Caspita, che uomo. Poi qualcuno (primo fra tutti il capogruppo Pd Franceschini) si è domandato: ma cos’è poi lo stato d’emergenza? Nella Costituzione esiste, sì, qualcosa di simile, ma ha a che fare con le situazioni di crisi nazionale più disperate. Le carceri italiane sono una vergogna (65 mila detenuti dove ce ne starebbero 43 mila, condizioni di vita da lager) ma non siamo ancora alla crisi finale dello Stato. Ma allora di che parla Alfano? Allora stato d’emergenza non vuol dire proprio nulla, sono parole in libertà. Salvo che si stia pensando al solito modello della scorciatoia. Quando non si riesce a amministrare, quando non si hanno i mezzi, allora si mettono in soffitta le regole, si interrompono i controlli, si procede per ordinanze dove occorrerebbero le leggi. Qualcuno (naturalmente un amico del governo) viene chiamato da solo a tenere il timone della barca. Si spende per qualche anno senza troppi ostacoli formali, e pazienza se c’è chi ci mangia sopra. La nave va, o comunque così sembra. Pazienza se non si fa il Piano carceri del quale ci hanno riempito la testa per mesi (non ci sono i fondi). Pazienza se i detenuti, conseguenza di leggi repressive che sanno solo aggravare le pene, aumentano a ritmi ingovernabili. Pazienza se muoiono ogni anno in carcere 170 persone (dato 2009). L’importante è che la nave vada, anche se non si sa dove e per quali fini. Giustizia: Pd; dov’è il "piano"? Alfano risponda in Parlamento
"Il ministro Alfano venga in Parlamento a spiegare cosa sia contenuto veramente nel cosiddetto piano carceri che al momento nessuno ha potuto vagliare mentre si sollevano inquietanti ombre sui metodi di assegnazione degli appalti utilizzando la legge di secretazione". A chiederlo con un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia sono i vicepresidenti del gruppo Pd del Senato Felice Casson e Luigi Zanda nella quale sottolineano che il provvedimento sottoposto all’esame del Consiglio dei Ministri "appare del tutto inadeguato allo scopo, non potendosi certo risolvere in termini di edilizia penitenziaria un problema che investe in primo luogo l’attuazione del principio rieducativo della pena, le modalità di esecuzione della condanna, la funzionalità dei programmi trattamentali, l’effettiva applicazione delle misure alternative, la predisposizione di programmi di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti". "A parte le notizie di stampa - spiegano - di questo piano carceri non si hanno notizie utili a far sapere e capire al Parlamento e al Paese se la grave situazione carceraria italiana sia realmente e concretamente affrontata con mezzi e interventi adeguati allo scopo. Ma cosa più inquietante è che viene paventato il rischio che, approfittando di questa situazione carceraria, il piano carceri preveda la possibilità di assegnare appalti e in particolare di costruire nuovi stabilimenti carcerari utilizzando legge di decretazione". "È evidente - proseguono Zanda e Casson - che ciò comporterebbe la non trasparenza di procedure e dei comportamenti dei pubblici amministratori, con estensione inaccettabile e quasi eversiva delle norme vigenti in materia, così determinando la possibilità di turbative delle regole del mercato, nonché di produrre fenomeni corruttivi, soprattutto se si riterrà di dilatare in maniera irragionevole il regime della normativa in materia di protezione civile". "La situazione drammatica delle carceri italiane - aggiungono - dove è presente un sovraffollamento non tollerabile, il numero dei suicidi e delle morti ha raggiunto livelli più che preoccupanti e persiste una costante violazione della dignità dei detenuti, impone al ministro di chiarire al Parlamento al più presto i contenuti reali del suo piano carceri". Giustizia: le nostre carceri disumane, aldilà delle emergenze
Il Mattino di Padova, 15 gennaio 2010
Nel momento in cui il ministro Alfano annuncia lo stato d’emergenza per le carceri italiane, giova ricordare che nell’anno appena trascorso, con decisione del 16 luglio, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento disumano e degradante riservato a una persona detenuta nel carcere romano di Rebibbia (uno dei tanti alberghi a cinque stelle che secondo l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli abbiamo in Italia). Il fatto riguarda un cittadino bosniaco, tale Izez Sulejmanovic, condannato a una pena complessiva di poco più di due anni di reclusione per i reati di furto, ricettazione e falso. Scontata la pena, l’uomo ha pensato bene di rivolgersi ai giudici europei, lamentando vari aspetti a suo giudizio illegali della pena subìta (compresa la circostanza di avere chiesto inutilmente di poter lavorare), in particolare di essere stato costretto per alcuni mesi a vivere in una cella piccolissima insieme ad altre tre persone. Una decisione sorprendente? Niente affatto, per chi conosca anche approssimativamente la situazione italiana. Dopo un breve periodo di alleggerimento della situazione dovuto all’indulto, di fronte alla continua crescita della popolazione detenuta, frutto dell’attuale politica del "diritto penale massimo", l’unica alternativa che ci si è posti è stata se costruire nuove carceri o se spedire gli stranieri a scontare la pena nei loro Paesi di origine (nel frattempo mettendo anche otto detenuti nelle celle per quattro, come ha potuto verificare a metà agosto 2009 la senatrice Donatella Poretti nel carcere di Arezzo, o portando da due a tre i letti a castello, o costringendo le persone a dormire per terra su un pagliericcio). All’inizio della primavera del 2009, quando il numero dei detenuti era ancora al di sotto di quota 60.000, sempre Alfano aveva dichiarato, in occasione di un convegno, che le nostre carceri sono fuori dalla Costituzione. Di primavera ne sta arrivando un’altra, intanto a fine agosto i detenuti erano saliti a 64.000, oggi chissà (si dice che l’aumento sia di circa 800 al mese). Che fare? Il ministro ha annunciato ieri nuove carceri, nuove misure alternative, l’assunzione di nuovi agenti. Probabilmente non si farà nulla di risolutivo, salvo tentare di riattrezzare alla meglio vecchie strutture dismesse. Certo, la legittimazione a punire, per lo Stato, è strettamente legata al fatto che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", come stabilisce la legge fondamentale della Repubblica. E però, guai a parlare di un provvedimento di amnistia e indulto: la gente non ne vuole sentire parlare, i partiti che per governare guardano ai sondaggi neppure. Guai a parlare di un ampio ricorso alle misure alternative, a cominciare dall’affidamento in prova, che pure hanno dimostrato di produrre una recidiva largamente inferiore al carcere: la gente, in nome della certezza della pena (che deve essere sempre il carcere, "altrimenti che pena è"), non le vuole, i partiti di governo di conseguenza neppure, e anzi ne riducono gli spazi (prima con la legge "ex Cirielli", di recente con il "pacchetto sicurezza"). Una volta si pensava che la politica debba fare la sua parte in autonomia, che chi ha responsabilità di governo abbia il compito di affrontare i problemi per quel che sono, cercando di orientare anche culturalmente gli elettori anziché farsi meccanicamente interprete di sentimenti e risentimenti della più diversa origine. Oggi ci si regola diversamente, e i risultati, non solo per il carcere sono sotto gli occhi di tutti. È davvero troppo sperare che questi antichi principi ritornino di attualità? Giustizia: Ferri (Csm); per uscire da emergenza serve la riforma
Adnkronos, 15 gennaio 2009
Era inevitabile che accadesse. Il sistema carceri è al collasso, e ne è la prova la dichiarazione dello stato di emergenza fino al dicembre del 2010, tempo durante il quale al capo del Dap Franco Ionta saranno dati poteri di commissario delegato, affinché possa realizzare da subito 47 nuovi padiglioni nelle vecchie carceri. Ma come si è arrivati al tracollo? ‘La questione del sovraffollamento è un problema complesso - dichiara il togato di Magistratura Indipendente al Csm, Cosimo Maria Ferri - un problema che nasce da una pluralità di fattori: disattenzione della politica; sostanziale blocco dell’edilizia carceraria per ragioni politiche ed economiche; legislazione su ‘tolleranza zero’ per recidivi e colpevoli di reati di particolare allarme sociale (sex-offender, rapinatori, mafiosi). Ma anche un atteggiamento più severo della magistratura di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari. Ferri ricorda come tra l’altro, è stata persa un’occasione formidabile rappresentata dallo svuotamento delle carceri dopo l’indulto del 2006. Quella finestra di opportunità - spiega - avrebbe consentito interventi su strutture carcerarie fatiscenti e realizzazione di politiche penitenziarie più adeguate ai tempi. Non è realistico quindi pensare di risolvere in tempi brevi un problema che si è creato in anni di errori e trascuratezze. Un Paese libero e democratico come l’Italia, sottolinea il togato del Csm, non deve aver timore nell’affrontare il tema di una riforma carceraria. E, nel dare atto al Ministro Alfano di aver affrontato il problema con serietà tanto che il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza, desidero evidenziare che la vera soluzione è uscire dall’emergenza. Per arrivare ad una riforma, però, afferma Ferri, è necessaria una ripresa del dialogo con gli operatori chiamati ad applicare concretamente le norme, in un clima di costruttiva collaborazione da attuarsi in via istituzionale, attraverso forme permanenti di consultazione, ciò allo scopo di recuperare finalmente alla politica, cui è demandata la responsabilità della sintesi legislativa, l’indispensabile apporto tecnico. Il consigliere di Palazzo dei Marescialli, riflette sul fatto che se è vero che la metà dei detenuti si trova in carcere per un titolo cautelare, forse si poteva incidere maggiormente sulla disciplina delle misure cautelari (tra l’altro alla luce delle norme costituzionali sulla presunzione di innocenza), magari ampliando il ricorso agli arresti domiciliari o in comunità, piuttosto che sul fronte delle misure alternative. Ma ora servono degli obiettivi precisi per uscire dall’emergenza. La tutela dei diritti dei detenuti all’interno delle carceri, le condizioni di vita dei detenuti e le politiche necessarie a migliorarle - rileva il magistrato - devono costituire obiettivi comuni e primari per tutte le istituzioni. Certo, la magistratura di Sorveglianza non deve essere lasciata sola. Infatti anche se il magistrato di sorveglianza si recasse ogni giorno in carcere e constatasse che l’amministrazione penitenziaria non rispetta le leggi, regolamenti e principi europei non risolverebbe il problema, poiché i poteri che l’attuale legislazione prevede, si risolvono in una mera sollecitazione al Ministero (art. 35, L. 354/75). Ferri, punta l’attenzione anche sui compiti del Csm, che, dice può suggerire al legislatore politiche legislative volte ad allentare la pressione della sovrappopolazione carceraria. Nell’attesa, dato che realisticamente i tempi per la realizzazione di un piano di edilizia carceraria ed un incremento dei posti per rendere dignitose le condizioni dei detenuti in carcere saranno lunghi, sarebbe opportuno, da subito, riflettere sul potenziamento dell’attuale sistema delle misure alternative, richiamando alcune proposte avanzate in passato sul piano politico e successivamente accantonate. Una soluzione concreata e di facile attuazione, anche sotto il profilo dell’iter legislativo, spiega il togato di MI, potrebbe passare attraverso la rimozione di alcune delle preclusioni normative che negli anni hanno reso più arduo il ricorso allo strumento delle misure alternative idonee a garantire un adeguato contenimento della pericolosità sociale del condannato. Questo è proprio il caso della detenzione domiciliare, prevista dall’art 47 ter della legge penitenziaria, la quale consente ai condannati per pene inferiori ai 2 anni di scontare la pena presso il proprio domicilio, ad eccezione dei recidivi reiterati e dei condannati per alcuni reati più gravi. Si deve, a tal proposito, considerare che la detenzione domiciliare rappresenta, in raffronto alla semilibertà ed all’affidamento in prova ai servizi sociali, la misura alternativa con il più basso rischio di recidiva, considerato che l’eventuale evasione del condannato è suscettibile di arresto in flagranza di reato. Inoltre, l’effetto deterrente della detenzione domiciliare, per il togato, "potrebbe essere opportunamente potenziato facilitando il ricorso di forme di controllo a distanza più stringenti: si tratta di una possibilità già astrattamente prevista dall’Ordinamento Penitenziario - sottolinea - che consentirebbe modalità di verifica dell’osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici, in realtà mai applicate stante l’indisponibilità delle relative strumentazioni". Altra soluzione pratica, potrebbe essere per il togato, quella di istituire dei reparti o sezioni speciali di personale della polizia penitenziaria specificamente dedicati al controllo dei condannati in esecuzione di misure alternative alla detenzione: "un po’ come accade nei sistemi anglosassoni - spiega - come ad esempio negli Usa, dove è prevista la figura del poliziotto di sorveglianza che viene assegnato al detenuto ammesso alla libertà vigilata e ne controlla i movimenti". Infine, per ridurre sensibilmente la presenza di extracomunitari nell’ambito della popolazione detenuta, ‘potrebbe essere potenziato - conclude Ferri - lo strumento dell’espulsione quale sanzione alternativa applicabile da parte del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 16 comma 5 d.lvo 286/98. Tale norma, nata con una chiara funzione di deflazione della popolazione carceraria, consente al magistrato di disporre l’espulsione dello straniero detenuto per pene inferiori ai 2 anni, che sia stato identificato e che non sia stato condannato per delitti di particolare gravità specificatamente previsti o per i delitti previsti in materia di immigrazione. Tuttavia, l’operatività della norma risulta di fatto vanificata da problemi applicativi concernenti la mancata identificazione dello straniero, spesso noto alle cronache giudiziarie con vari alias, e l’estrema lentezza con la quale il decreto di espulsione emesso giunge ad esecuzione, spesso dopo che lo straniero ha ormai terminato di espiare la sua pena. Giustizia: Cgil; con ci convince l’affidarsi solo a nuove strutture
Asca, 15 gennaio 2010
"I tempi necessari all’ampliamento e alla edificazione degli istituti penitenziari indicati nel piano carceri non consentono di attribuire alla scelta compiuta immediata capacità risolutiva", spiegano dalla Cgil Funzione Pubblica. Ieri il ministro alla Giustizia Angelino Alfano aveva annunciato il "piano l’Aquila" per la costruzione di 47 nuovi padiglioni. Per la Cgil il provvedimento continuerà a gravare su chi lavora nelle strutture penitenziarie, le 1.800 nuove assunzioni di agenti di polizia non avranno rilevanza significativa se scaglionate in cinque anni. "Chiediamo al ministro Alfano di individuare e pianificare gli interventi necessari a favorire l’assunzione straordinaria di almeno altri 5.000 poliziotti penitenziari". Emergenza carceri. Il governo ne prende atto e propone la cura. "Nel corso di quest’anno intendiamo realizzare 47 nuovi padiglioni, cioè strutture che insistano e si affiancano a istituti di pena già esistenti, che non ci danno l’incombenza di dover individuare l’area, espropriarla e procedere a tutto l’iter amministrativo" ha spiegato ieri il Ministro Alfano al termine del Cdm. La valenza emergenziale del procedimento è comparata più al terremoto de l’Aquila che ai numeri di sovraffollamento che argomentano bollettini di associazioni e sindacati. "Mentre apriamo questi 47 cantieri sul modello dell’Aquila, noi evadiamo tutta la procedura burocratica per realizzare nel 2011 e nel 2012 le strutture tradizionali e flessibili a cui daremo vita con tempi tipo l’Aquila e con modelli organizzativi di quel tipo. Abbiamo reperito 500 milioni nella legge Finanziaria e altri 100 milioni sono stati presi dal bilancio del ministero della Giustizia. Con 600 milioni costruiremo i 47 nuovi padiglioni e nel frattempo individueremo le modalità sia dal bilancio statale che dai finanziatori privati per realizzare gli altri istituti nel 2011 e nel 2012. Il totale dovrà fare 21.749 posti, che si aggiungeranno ai posti attualmente disponibili". Il provvedimento prevede anche l’assunzione di altri duemila agenti di polizia penitenziaria. "Non è esattamente quello che ci aspettava", commenta Francesco Quinti della Fp Cgil polizia penitenziaria. Il provvedimento non ridimensiona quello che il sindacalista definisce "un aggravio di lavoro spaventoso al mondo carcerario e in particolare alla polizia penitenziaria". "Una polizia penitenziaria che sconta una carenza di organico di seimila unità. I 1.800 nuovi agenti assicurati del ministro, questi i numeri i numeri in nostro possesso, verranno conteggiati di anno in anno, gli ultimi duecento sono previsti per il 2013". Da più parti ci si attendeva un atteggiamo atto a diminuire la popolazione carceraria, "almeno per i reati minori, la tossicodipendenza potrebbe essere spostata nelle comunità terapeutiche", spiega Quinti. Ma gli operatori delle strutture circondariali da ieri devono fare i conti con il modello Aquila, "un modello che qualche minimo beneficio lo porterà pure sul breve termine", altrimenti non se ne vedrebbe proprio l’utilità, "ma aspettiamo provvedimenti che migliorino la qualità e non la quantità della vita carceraria, quindi la costruzione di nuove strutture purché si chiudano le vecchie e fatiscenti come Favignana e Ravenna". Per chi lavora all’interno delle carceri italiane la missione del mandato è "avere spazi liberi, aperti, la possibilità di usufruire di locali dove si possa lavorare per il reinserimento dei detenuti". Giustizia: il Cgil proclama stato di agitazione della penitenziaria
Dire, 15 gennaio 2010
"Il Coordinamento Nazionale Fp-Cgil Polizia Penitenziaria ha proclamato lo stato di agitazione del personale su tutto il territorio nazionale. L’attesa dei lavoratori e della nostra organizzazione nei confronti del Dap e del ministro della Giustizia Alfano ha raggiunto il limite". È quanto afferma Francesco Quinti, responsabile nazionale comparto sicurezza Fp-Cgil Polizia Penitenziaria, in merito all’innalzamento dell’orario di lavoro da 36 a 42 ore. "Niente e’ stato fatto per rendere accettabili, o quantomeno sopportabili, i carichi e le condizioni di lavoro - spiega Quinti. Niente sul fronte del personale e delle risorse. Niente di incisivo e tangibile sul versante del sovraffollamento delle carceri, gravate da un surplus che ormai supera i 20 mila detenuti, a fronte di una carenza di organico di 6mila unità". Per la Cgil "non e’ certo bastato il continuo richiamo del ministro all’ormai leggendario piano carceri, e la dichiarazione di stato d’emergenza, tardiva quanto infruttuosa, accompagnata dall’annuncio dell’assunzione di 2.000 munita, che a noi risulta essere ben più ridotto, e che comunque non tiene conto dei pensionamenti (oltre le 2.500 unità nei prossimi tre anni)". Da oggi, dunque, il personale di Polizia Penitenziaria aderente alla Funzione Pubblica Cgil "entra in stato di agitazione permanente, riservandosi di informare l’amministrazione sulle forme di lotta e mobilitazione che verranno messe in campo". Giustizia: Uil; più agenti per garantire la sicurezza nelle carceri
Il Mattino, 15 gennaio 2010
Solo nel 2009, in Italia ci sono state sette evasioni con dodici detenuti fuggiti dal carcere: un numero che equivale al totale degli evasi nei dieci anni precedenti. La ragione? Per il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, l’avellinese Eugenio Sarno, non ci sono dubbi: "La carenza di agenti di polizia nelle case circondariali - dice - comporta, tra gli altri contraccolpi negativi, anche un abbassamento dei livelli di sicurezza". Quali sono le segnalazioni più frequenti di disagi che arrivano dagli agenti di polizia penitenziaria? "Le lamentele riguardano principalmente la qualità del lavoro, fortemente condizionata dal sovraffollamento di detenuti. Il sovraffollamento, inoltre, amplia il contatto con la sofferenza, alimentando l’aggressività dei carcerati, che può sfociare in atti di violenza contro gli agenti in servizio. La polizia penitenziaria reclama innanzitutto migliori condizioni di sicurezza". I direttori delle carceri irpine lamentano una carenza di agenti di Polizia penitenziaria. Condivide? "Certamente. Ma la priorità non riguarda la casa circondariale di Bellizzi. Le sofferenze più gravi, a quanto mi risulta, interessano piuttosto Ariano e Sant’Angelo dei Lombardi". Come giudica il piano carceri messo a punto dal ministro Alfano? "Non sarà sufficiente a risolvere l’emergenza carceri nel nostro Paese. Senza entrare nei dettagli, occorrerebbe riflettere bene sulla distribuzione delle risorse sul territorio. In Italia ci sono, ad esempio, 14mila detenuti con residenza in Campania, che andrebbero reclusi nell’ambito della regione di residenza per evitare gli sprechi economici dovuti a quello che potremmo definire "pendolarismo penitenziario. Nella realtà dei fatti, in Campania sono ospitati 7500 detenuti a fronte dei 5700 previsti per la capienza delle strutture. Solo in questa regione, dunque, bisognerebbe costruire altre due nuove carceri". Quali atti concreti ha intenzione di mettere in campo la Uil Penitenziari per sensibilizzare il Governo verso le problematiche che interessano la categoria? "L’otto febbraio prossimo, in occasione di un convegno per commemorare Pasquale Campanello, il sovrintendente della Polizia Penitenziaria ucciso a Mercogliano, rimetteremo le stesse problematiche sul tavolo, alla presenza, tra gli altri, del ministro Alfano e del vicepresidente del Csm Mancino". Giustizia: quinto detenuto suicida, Ionta riferirà in Parlamento di Eleonora Martini
Il Manifesto, 15 gennaio 2010
Quinto suicidio in tredici giorni, la strage silenziosa continua. Mentre dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, arriva una delle migliaia di storie che raccontano in modo emblematico i motivi del sovraffollamento carcerario: "A 16 anni vive da solo in casa perché il padre, settantenne, sta scontando cinque mesi di carcere a Velletri. Per accudire il figlio, l’anziano aveva riscosso per tre volte la pensione della moglie morta". L’uomo, che abita a Marino, nei Castelli romani, era sotto sfratto esecutivo perché non riusciva a pagare l’affitto di casa con il "contributo economico continuativo" di 150 euro al mese che riceve. Il giudice di sorveglianza gli ha negato l’affidamento in prova ai servizi sociali, che gli avrebbe consentito di seguire meglio il figlio rimasto solo, perché non si è mai pentito del suo gesto compiuto per disperazione. "In carcere ormai i casi surreali come questo sono la regola e non l’eccezione", è il laconico commento del garante Marroni. E di storie simili ne avrebbero da raccontare a centinaia, gli operatori e i volontari del carcere. Come Fiorella Barbieri, dell’associazione Antigone che per anni ha insegnato ai detenuti e che ha ricevuto qualche giorno fa la lettera accorata di un recluso. "Uno spagnolo in carcere a Piacenza (dove ci sono più di 430 detenuti, invece dei 150 regolari), diabetico, che ha deciso di rifiutare l’insulina mettendo a rischio la vita, prima per protestare contro l’impossibilità di riceverla regolarmente, poi contro le condizioni terribili in cui sono costretti a vivere". Barbieri racconta anche la storia di un suo ex alunno, "un lavoratore che lascia moglie e figlio, condannato a tre anni e mezzo per il possesso di una trentina di piantine di marijuana che aveva piantato nel suo orto di casa". Aveva 27 anni, invece, Eddine Abellativ Sirage. Si è impiccato ieri mattina al tubo di una doccia del reparto infermeria del carcere di Massa, non uno dei peggiori d’Italia. Marocchino clandestino, era stato arrestato quattro giorni prima di Natale dopo un rocambolesco inseguimento per aver rubato sotto effetto di stupefacenti un’automobile. Era anche accusato di violenza sessuale e lesioni. Era stato trasferito nel reparto infermeria perché "psicologicamente molto provato", "un soggetto debole e probabilmente devastato dall’esperienza carceraria", come ha raccontato il direttore della Casa circondariale Salvatore Iodice. Il medico di turno e l’infermiere che lo hanno trovato non erano "tenuti a sorvegliare a vista i detenuti del reparto infermeria". È il quinto suicidio dall’inizio dell’anno, una "strage silenziosa", come l’ha definita il senatore Pd Francesco Ferrante che chiede al governo di intervenire subito. Perché, come aggiungono i suoi colleghi di partito Luigi Zanda e Felice Casson - che con un’interrogazione parlamentare chiedono al ministro Alfano di riferire in Parlamento - il Piano carceri al momento nessuno l’ha visto, "mentre si sollevano inquietanti ombre sui metodi di assegnazione degli appalti e di costruzione dei nuovi padiglioni carcerari utilizzando la legge di decretazione" e dilatando "in maniera irragionevole il regime della normativa in materia di protezione civile". E per fare luce sul suicidio di Massa, proprio Franco Ionta, il neocommissario straordinario per l’emergenza carcere decretata mercoledì dal consiglio dei ministri, sarà ascoltato il 3 febbraio dalla commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari presieduta da Leoluca Orlando.
Orlando: il 3 febbraio audizione direttore Dap
"Con riferimento all’ennesimo, tragico suicidio avvenuto nel carcere di Massa Carrara di cui si è avuta notizia poche ore fa, ricordo che la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari, da me presieduta, ha convocato per il prossimo 3 febbraio il direttore del Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria, con la cui audizione la commissione intende dare avvio concreto all’inchiesta, che sarà seguita dai deputati Melania De Nichilo Rizzoli e Doris Lo Moro, sul sistema carcerario e sul diritto alla integrità e alla salute dei detenuti. Diritto purtroppo non garantito a sufficienza, come dimostrano i decessi causati da autolesionismo, lesioni subite da terzi o mancata assistenza che si ripetono con drammatica cadenza". Lo ha dichiarato Leoluca Orlando, presidente della Commissione di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali.
Domani autopsia per accertare cause
Era stato arrestato per furto, lesione e tentata violenza il 20 dicembre a Pontremoli, in Lunigiana, il clandestino marocchino che si è suicidato, impiccandosi con le lenzuola, nel carcere di Massa, questa mattina. L’uomo, 27 anni, era stato arrestato dopo un rocambolesco inseguimento concluso con una colluttazione con gli uomini del corpo dei Carabinieri di Pontremoli. Il marocchino, sotto stato di stupefacenti, aveva rubato un’auto con cui poi si è andato a schiantare ferendosi. E ne stava rubando una seconda quando la proprietaria dell’auto si è accorta e ha tentato di impedirlo ricevendo anche delle percosse. Al momento del suicidio si trovava in cella assieme ad altri quattro detenuti nell’area infermeria. È quanto ha riferito il Direttore del Carcere, Salvatore Iodice. Domani è in programma l’autopsia per accertare le cause del decesso.
Ferrante (Pd): è strage silenziosa, governo intervenga
"Quello del giovane Abellativ Sirage Eddine è incredibilmente il quinto suicidio in carcere nei soli primi 14 giorni del 2010. Il fenomeno ha ormai assunto le dimensioni di una strage silenziosa, una morte ogni tre giorni. È necessario che il governo intervenga immediatamente per migliorare le condizioni di vita nei penitenziari, certo senza aspettare il piano carceri pomposamente varato ieri, visto che ci vorranno con tutta probabilità anni per attuarlo". Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante che sottolinea come sia ‘necessario che il governo intervenga immediatamente per rendere più umane le condizioni della vita quotidiana nei penitenziari, senza aspettare di costruirne altre". Secondo Ferrante, "occorre sfollare le carceri attraverso il ricorso, quando possibile, alle pene alternative, che vanno finanziate, e garantendo a chi sta scontando la pena un adeguato sostegno psicologico. Come avevamo chiesto ben prima che avvenisse questo ennesimo suicidio, vorremmo - conclude il senatore del Pd - che il presidente del Consiglio venisse al più presto in Parlamento a riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti nelle carceri e nei Cie, in modo che possano essere distinti i suicidi dalle morti naturali e dalle morti per cause sospette".
Evangelisti (Idv): suicidio Massa, sistema è fuorilegge
Il suicidio del detenuto nel carcere di Massa è figlio di "un sistema penitenziario fuorilegge": ne è convinto Fabio Evangelisti, vice capogruppo alla Camera dell’Italia dei Valori, secondo cui "il Governo non ha fatto niente per quasi due anni, visto che ci sono nuove carceri ancora da inaugurare; e l’annunciato piano straordinario servirà più per le clientele politiche a lungo termine". Abellativ Sirage Eddine, di 27 anni, si è impiccato durante la notte, nei locali dell’infermeria del carcere di Massa, annodando un lenzuolo al tubo della doccia. È il quinto suicidio in carcere del nuovo anno. "Le condizioni degli istituti penitenziari toscani rivelano un quadro allarmante", dice Evangelisti, ricordando che "il numero complessivo dei detenuti ammonta a 4.085 (al giugno scorso), di cui 3.914 uomini e 171 donne. La capienza regolamentare, pari a 3.279, è ben al di sotto di questa cifra". Il deputato dell’Idv ha inoltre ricordato che "ieri il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza per il sovraffollamento delle carceri. "Io le chiamo disumane, al di là delle possibilità di sopravvivenza in un consesso umano. Lo scorso agosto l’Italia è stata condannata a risarcire 1.000 euro un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui è stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia: è stata la Corte Europea dei diritti dell’uomo a stabilire i trattamenti disumani e degradanti di cui egli è stato vittima. In Italia i detenuti che vivono in condizioni di gravissimo sovraffollamento sono la quasi totalità e lo Stato rischia di dover pagare 64 milioni di euro di indennizzi".
Manconi: nel piano carceri mancano gli psicologi
"Ancora un suicidio nelle carceri italiane. Abellativ Sirage Eddine, nordafricano, 27 anni, si è tolto la vita nel carcere di Massa Carrara. Mai ho detto e mai dirò che la responsabilità di questa strage infinita debba attribuirsi al ministro della Giustizia, ma non ho taciuto e non tacerò che l’immobilismo delle autorità politiche e amministrative rischia di farsi complicità". Lo afferma Luigi Marconi, presidente di A Buon Diritto. "Esattamente 24 ore fa il ministro ha annunciato l’intenzione di assumere duemila agenti di polizia penitenziaria: decisione opportuna e saggia che rischia di evidenziare ancor più la mancata assunzione, da anni e anni, di educatori e psicologi, quegli operatori, cioè, che più potrebbero risultare essenziali al fine di ridurre il numero dei suicidi. Sa il ministro che in molti istituti il tempo che gli psicologi possono dedicare a ciascun detenuto è di appena dieci minuti al mese?. Mai ho detto e mai dirò che la responsabilità di questa strage infinita debba attribuirsi al ministro della Giustizia - conclude Manconi - ma non ho taciuto e non tacerò sul fatto che l’immobilismo delle autorità politiche e amministrative rischia di farsi complicità". Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena
Io drogato e sena cure. Caro Arena, sono un detenuto tossicodipendente. Devi sapere che prima mi trovavo nel carcere di Busto Arsizio dove ero ristretto in una sezione per tossicodipendenti. Li seguivo un programma di recupero e stavo quasi per ottenere la possibilità di scontare la mia condanna in una comunità terapeutica. Invece all’improvviso sono stato trasferito qui nel carcere di Prato. Sono lontano dalla mia famiglia e soprattutto non vengo più seguito per i miei problemi di tossicodipendenza. In altre parole con un semplice trasferimento hanno cancellato la mia speranza di essere curato. Per quanto riguarda il carcere di Prato considera che potrebbe ospitare 300 detenuti mentre oggi siamo arrivati al limite di 800 persone. Un sovraffollamento che getta il carcere di Prato nel caos. Siamo ammucchiati in piccole celle, il freddo ci spezza le ossa in quanto il riscaldamento non funziona bene e spesso manca l’acqua in cella. Il che ci crea gravissimi problemi igienici, basti pensare che non possiamo scaricare il cesso della cella, cesso che rimane pieno di merda e piscio. Una carenza di acqua che incide anche sull’igiene delle cucine e dei carrelli con cui ci viene portato il vitto. Senza acqua tutto rimane sporco perché non lavato. Vi informo che anche per questo a giorni inizierò lo sciopero della fame e vi ringrazio per quello che fate.
Michele, dal carcere di Prato
La nostra cella di Ariano Irpino. Ciao Riccardo, ho 23 anni e ti scrivo per far sentire anche la mia voce in modo che si sappia come siamo costretti a vivere qui dentro. Ti dico subito che in cella siamo in 7 detenuti. 7 detenuti costretti a dividere lo stesso spazio vitale che è di pochi metri quadri. Il bagno in cella ovviamente è soltanto uno e come se non bastasse spesso manca l’acqua calda. Inoltre in cella fa un freddo cane in quanto le finestre non si chiudono in modo corretto e la cella è invasa da spifferi gelati. Anche il cibo qui lascia a desiderare. Infatti non solo è poco e cattivo, ma addirittura spesso ci troviamo dentro capelli e scarafaggi. Caro Riccardo, per farti capire l’aria che si respira qui ti dico solo che l’altro giorno l’ennesimo ragazzo per disperazione si è tagliato le braccia e a causa del ritardo nei soccorsi stava addirittura morendo dissanguato. Ti rendi conto? I cittadini hanno ragione: dobbiamo pagare le nostre colpe, ma non trovo giusto pagarle in questo modo ovvero trattati come bestie chiuse in gabbia. Sappi che tra pochi giorni inizieremo lo sciopero della fame e la battitura, sperando che il Ministro della Giustizia Alfano intervenga a fronte dell’emergenza nelle carceri. Ti saluto con un messaggio: non ci arrenderemo mai perché non possiamo più vivere così.
Aniello, dal carcere di Ariano Irpino
La nostra vita nella colonia agricola di Isili. Carissimo Riccardo siamo 15 detenuti e ti scriviamo da una cella del carcere di Isili, ovvero un carcere che sperduto tra i monti della Sardegna. Ti volevamo informare che anche qui c’è tanto sovraffollamento. Nel carcere di Isili dovremo essere 150 detenuti ed invece siamo più di 250. La conseguenza è che in alcune celle siamo in 15 detenuti ed in altre siamo addirittura in 17 detenuti. Inoltre qui c’è molta severità. La polizia penitenziaria non ci permette neanche di lamentarci e di chiedere il rispetto dei nostri diritti. Ci minacciano con rapporti disciplinari e altre volte usano addirittura le mani. Inoltre considera che il carcere di Isili è a 700 metri di altezza e fa molto freddo, ma ancora oggi nel mese di gennaio non hanno acceso i riscaldamenti e noi stiamo letteralmente gelando! Le docce poi sono sporche e fatiscenti, i vetri delle finestre delle nostre celle sono rotti o pieni di spifferi e noi siamo quasi tutti influenzati o raffreddati. Vorremo fare un appello a tutti i detenuti d’Italia. Aiutiamo tutti insieme i Radicali che sono gli unici che si battono per i nostri diritti. Facciamo proteste non violente, scioperi della fame, battiture delle sbarre ma facciamo qualcosa per aiutare i Radicali che si stanno facendo in quattro per noi detenuti e ricordatevi l’unione fa la forza.
15 detenuti della colonia agricola di Isili
Detenuti senza speranza nel carcere di Foggia. Carissimo Arena, la situazione qui nel carcere di Foggia è davvero a rischio. Pensa che qui ci potrebbero stare solo 300 persone, mentre oggi ce ne sono rinchiuse ben 750. Un sovraffollamento mai visto che ci costringe a vivere in modo disumano. Non a caso in celle piccolissime ci dobbiamo vivere in 5 detenuti, 5 detenuti costretti a restare chiusi in cella per più di 22 ore al giorno. Ti assicuro che è davvero dura vivere così. Anche gli agenti della polizia penitenziaria subiscono il caos che c’è nel carcere di Foggia. Infatti sono costretti a fare turni massacranti perché manca il personale. Il fatto è che il Governo deve prendere subito un provvedimento, pensa che qui ci sono persone arrestate per stupidaggini che stanno in carcere solo per 2 o 3 mesi. Ma io domando: perché non li mettono ai domiciliari? Io sono da 3 anni in carcere e potrei avere una misura alternativa anche perché fuori ho trovato un lavoro, eppure resto in carcere e questo non mi sembra giusto. Riccardo, scusa se ti chiedo di rimanere anonimo..ma ho tanta paura. Ciao e ringrazia il Riformista per Radiocarcere.
Una persona detenuta nel carcere di Foggia Toscana: salute in carcere; la situazione della regione ai raggi x
9Colonne, 15 gennaio 2010
La radiografia è esplicita: sovraffollamento, condizioni igieniche critiche, attrezzature e strutture obsolete, carenze di personale: quello della salute in carcere è un problema scottante, apertissimo nonostante il trasferimento delle competenze alle Regioni e ai significativi interventi già messi in campo in Toscana. Se ne è parlato oggi, venerdì 15 gennaio, dalle ore 9.30, presso l’Auditorium del Consiglio regionale, via Cavour 4, nell’ambito del convegno "La Regione Toscana per la salute dei detenuti e degli internati" organizzato dal Forum nazionale per il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute e dalla Regione Toscana. Tra i temi che affrontati una prima valutazione sull’attuazione del Dpcm del 1° aprile 2008 in Toscana, la collaborazione tra Regione Toscana e Amministrazione penitenziaria, il modello organizzativo della sanità nelle carceri della regione e i problemi e le proposte relative al superamento dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Secondo una rilevazione aggiornata al 31 dicembre 2009 nei 19 istituti di pena toscani i detenuti erano 4.313, di cui circa la metà stranieri. I posti letto "regolari" sarebbero invece 3006. I detenuti tossicodipendenti sono il 27%, i sieropositivi l’1,65%. Tra gli ultimi provvedimenti assunti di recente dalla Regione ricordiamo la delibera che stanzia 3,5 milioni di euro, come anticipazione dei fondi nazionali, per potenziare i servizi sanitari e l’acquisto, deciso dall’assessore Rossi dopo una visita al carcere di Sollicciano, di 4.500 nuovi materassi e di kit per l’igiene personale dei detenuti. Catania: il pm; carceri troppo piene, non possiamo fare arresti
Ansa, 15 gennaio 2010
"I due istituti penitenziari di Catania scoppiano, sono troppo pieni, e noi non possiamo più arrestare le persone indagate perché non sappiamo dove metterle". È l’allarme lanciato dal sostituto procuratore della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Francesco Testa, a margine della conferenza sull’operazione antidroga Ouverture. "Nella casa circondariale di piazza Lanza, già sovradimensionata di 200 unità, - ha spiegato il magistrato - abbiamo potuto portare soltanto quattro dei 51 arrestati, e altri sei nel carcere di Bicocca, che 160 detenuto in più rispetto alla capienza prevista. Gli altri 40 sono stati distribuiti tra Siracusa, Augusta, Ragusa, Caltagirone, Enna, Caltanissetta e Messina. In quest’ultimo ne abbiamo mandati pochi perché un’ala è chiusa per il crollo di un controsoffitto". "È una situazione veramente complessa che rende difficile il lavoro di tutti - ha osservato il sostituto Testa - dalla polizia che deve trovare il posto libero per ai destinatari dell’ordine di carcerazione e, soprattutto, all’ufficio del Giudice per le indagini preliminari, con il Gip che dovrà girare le prigioni di tutta la Sicilia per gli interrogatori degli indagati". Reggio Calabria: arrivano i soldi per finire il carcere di Arghillà
Il Quotidiano di Calabria, 15 gennaio 2010
Il via libera al piano carceri ha riportato in primo piano la vicenda di Arghillà. Mentre il Governo programma di edificare in due anni altri 18 nuovi istituti per arrivare a 80 mila posti e superare l’emergenza, alla periferia della città sta per riaprire il cantiere della struttura penitenziaria che una volta entrata in funzione risolverebbe i problemi a livello provinciale. I lavori sono fermi da anni per una mancanza di denaro e il degrado si coglie nella foresta di erbacce che sta crescendo attorno ai corpi di fabbrica. Adesso arrivano segnali confortanti che fanno pensare che la situazione sia stata sbloccata definitivamente. Basti pensare alla circostanza che il direttore della casa circondariale di Reggio ha avuto nei giorni scorsi in custodia dal provveditore alle opere le chiavi della struttura di Arghillà. Ma ancora più importante è la circostanza riferita dal commissario straordinario Giovanni Grimaldi sul finanziamento di 21 milioni e 500 mila euro erogato dal Governo a fronte dei 22 milioni richiesti per completare l’opera nelle condizioni attuali che assicurano 150 posti. La cifra stanziata è sufficiente a realizzare quanto manca ancora per arrivare alla tanto agognata apertura. Il commissario Grimaldi aveva proposto di raddoppiare i posti (rispettando l’impostazione iniziale dell’opera) o di portarli almeno a 250, una cifra sicuramente più rispondente alle caratteristiche della costruzione e più adeguata alle esigenze attuali. Non bisogna dimenticare che quando era stata ideato e progettato il carcere di Arghillà 300 posti potevano sembrare una cifra che andava oltre le esigenze dell’epoca. Oggi, la situazione è cambiata e, come è noto, gli istituti di pena scoppiano per il sovraffollamento. E 300 nuovi posti sarebbero appena sufficienti a superare la fase critica dell’emergenza. Per raddoppiare i posti e arrivare al tetto originariamente programmato per Arghillà servono altri 9 milioni. Al governo dovrà essere chiesto un ulteriore sforzo finanziario per superare anche questo handicap. L’aspetto più importante, comunque, è che finalmente si stia per giungere al capitolo conclusivo di una vicenda lunga e travagliata. Una storia che va avanti da oltre vent’anni, da quando con Italo Falcomatà sindaco era stata individuata l’area su cui doveva sorgere l’opera. Per indire la gara erano passati cinque anni e per arrivare all’inizio dei lavori di costruzione era stato necessario attenderne altri 9. Era il 2002 quando nel cantiere era iniziata l’attività per realizzare una struttura dove avrebbero trovato lavoro duecento persone. Tra scorsi due anni erano iniziate le prime difficoltà legate all’instaurazione di un contenzioso. In questa fase era venuto fuori che non c’era una strada di collegamento. Nel 2006 c’era stata la nomina del commissario straordinario Giovanni Grimaldi con l’incarico di sbloccare la situazione impantanata a causa del contenzioso con la ditta aggiudicataria dell’appalto. Nel novembre del 2008 la vicenda del carcere dimenticato era diventata un caso nazionale. La denuncia della "Gazzetta del Sud" era stata rilanciata dopo un paio di giorni dal "Corriere della Sera" ed era finita sugli schermi di Raiuno. Le telecamere avevano ripreso i corpi di fabbrica con le celle destinate ad accogliere i detenuti, realizzati impiegando buona parte dei 16 milioni di euro già spesi. Adesso si registra il nuovo stanziamento di fondi che dovrebbe preludere alla chiusura della telenovela. Roma: 70 enne arrestato; ritirava la pensione di moglie morta
Apcom, 15 gennaio 2010
A 16 anni da poco compiuti è costretto a passare da solo la notte, e gran parte del giorno, in casa perché il padre settantenne - unico suo punto di riferimento - deve scontare una condanna a 5 mesi e mezzo di carcere a Velletri. L'uomo, è stato infatti condannato per aver riscosso 3 mensilità della pensione della moglie morta al solo scopo di assicurare un sostentamento al figlio. La vicenda è stata denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. A quanto appreso dai collaboratori del Garante la vicenda si inserisce in un quadro di estrema difficoltà economica e sociale. Il settantenne detenuto a Velletri e residente a Marino, che chiameremo Mario, dopo la morte della moglie ha accudito da solo del figlio sedicenne. Colpito da uno sfratto esecutivo perché, a causa delle difficoltà, non riusciva a pagare l'affitto, Mario si era rivolto ai servizi sociali del comune di Marino, che gli avevano garantito un "contributo economico continuativo" di € 150 al mese, aiuto confermato anche nel 2010. Per questo Mario aveva giustificato l'appropriazione delle tre mensilità della pensione della moglie morta con il grave stato di necessità. Data l'esiguità della pena da scontare i suoi avvocati avevano chiesto l'affidamento in prova ai servizi sociali; una misura che, tra l'altro, gli avrebbe consentito di seguire il figlio. Ma il magistrato di Sorveglianza ha rigettato la richiesta - concedendo la semilibertà con uscita dal carcere dalla mattina alla sera - per non aver accertato, in Mario, una revisione critica del suo gesto. "In carcere, ormai, i casi surreali sono la regola e non l'eccezione - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - In poche settimane è il terzo caso, di cui ci siamo occupati, di anziani costretti in carcere per delitti tutt'altro che efferati. Prima l'ultrasettantenne di Anzio che occupava abusivamente una spiaggia con gli ombrelloni, poi l'uomo costretto a passare Natale in cella per essersi allacciato abusivamente, anni prima, a un palo della corrente, infine questo. Di tutte queste vicende - prosegue Marroni - colpisce non solo l'età avanzata dei protagonisti, ma soprattutto l'eccessiva durezza della condanna a fronte del reato". "Forse dovremmo riflettere su un sistema per cui, come nel caso di Marino, sembra più importante punire un uomo che evitare che il figlio minorenne passi la notte da solo in casa. Io credo - conclude Marroni - che una risposta duratura all'emergenza carceri, come auspicato dal governo, possa passare in primis dall'evitare di ricorrere al carcere nelle centinaia di casi come quello che stiamo denunciando". Napoli: due concerti musica pop, a Poggioreale e Secondigliano
Agi, 15 gennaio 2010
L’Orchestra "I solisti di Napoli", in collaborazione con Pietrarsa & Mimmo Maglionico, hanno tenuto stamattina un concerto nella chiesa della Casa Circondariale di Poggioreale. Musica popolare, etnica e tradizionale, melodie di Astor Piazzolla, Roberto De Simone ed uno splendido tango "Mediterraneo" scritto da Domenico Maglionico, hanno entusiasmato i detenuti, spesso in piedi ad applaudire. L’Orchestra diretta dal Maestro Susanna Pescetti, ha rielaborato con sapienza le musiche mentre le voci di Carmine D’Aniello e Sara Tramma hanno interpretato antiche villanelle, accompagnate da archi, flauti, tammorre, chitarre buzuki ed ukulele. Presenti il Presidente della Provincia Luigi Cesaro, il Direttore di Poggioreale Cosimo Giordano. L’iniziativa dell’Associazione "Napoli Capitale Europea della Musica" e de "Il Carcere Possibile Onlus - Camera Penale di Napoli", con il contributo della Provincia di Napoli - sarà proposta domani nell’Istituto di Secondigliano e sabato in quello Minorile di Nisida.
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