Rassegna stampa 24 febbraio

 

Giustizia: 2 detenuti suicidi in un solo giorno, 10 da inizio anno

 

Apcom, 24 febbraio 2010

 

Sono già 10 i detenuti che si sono suicidati in cella dall’inizio del 2010: ieri, in un solo giorno, due detenuti, uno a Fermo e uno a Padova, si sono tolti la vita.

Il giorno prima, un’altra morte nel carcere di Brescia. Il triste bilancio è reso noto dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. La cronaca dei fatti parla da sola: il 22 febbraio 2010, alle 15.30 nel carcere di Brescia si suicida un detenuto tunisino di 26 anni, il 23 febbraio 2010, alle 17 nel carcere di Fermo si suicida Vincenzo Balsamo, di 40 anni, e poco dopo alle 23.45 nel carcere di Padova si suicida Walid Aloui, 28 anni.

Le altre sette vittime del carcere del 2010 sono: Volpi Ivano, 29 anni, il 19 gennaio a Spoleto, Mohamed El Abbouby, 25 anni, il 15 gennaio a San Vittore, Abellativ Eddine, 27 anni, il 13 gennaio a Massa Carrara, Attolini Giacomo, 49 anni, il 7 gennaio a Verona, Tammaro Antonio, 28 anni il 7 gennaio a Sulmona, Frau Celeste, 62 anni, il 5 gennaio a Cagliari, Ciullo Pierpaolo, 39 anni, il 2 gennaio ad Altamura.

Nel carcere di Padova ieri sera si è suicidato Walid Aloui, tunisino di 28 anni. L’uomo era nel carcere di Padova da circa un mese, trasferito dal carcere di Trento. Era nella sezione "protetti", accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di Trento, fatto che sarebbe avvenuto nel novembre 2008.

I "protetti" - spiega l’osservatorio - non possono avere contatti con il resto dei reclusi, perché il tipo di reato di cui sono accusati è ritenuto inaccettabile per il "codice etico" dei detenuti, quindi vivono la detenzione in condizioni di ulteriore emarginazione, senza poter accedere alle attività trattamentali quali scuola, lavoro, sport. Walid stava, insieme a due compagni, in una cella di 3 metri per 2, più un piccolo bagno annesso.

Uno spazio al di sotto dello standard minimo di vivibilità previsto, che è di 3,5 mq a persona, sottolinea l’Osservatorio, ricordando che per situazioni analoghe lo Stato Italiano è già stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo, che ravvisa gli estremi del "trattamento inumano e degradante" quando un detenuto non ha a disposizione almeno 3,5 metri quadri di spazio.

Nella carcere di Fermo ieri pomeriggio si è ucciso Vincenzo Balsamo, di 40 anni. L’uomo è stato trovato impiccato nel bagno dai compagni di cella, che hanno immediatamente lanciato l’allarme. Nonostante il pronto intervento della polizia penitenziaria e dei sanitari delle Croce Verde, per Balsamo non c’è stato nulla da fare: il suo cuore, che aveva cessato di battere da diversi minuti, non si è più ripreso. Sulla vicenda ha aperto un fascicolo la Procura della Repubblica di Fermo.

Al momento l’ipotesi più accreditata è quella del gesto estremo, anche se la vittima non aveva dato alcun segno di voler tentare il suicidio. L’uomo fino a poco prima della tragedia aveva giocato tranquillamente a carte con gli altri detenuti, poi si era appartato in bagno. I compagni di cella, non vedendolo rientrare, si sono preoccupati e, quando hanno aperto la porta, si sono trovati di fronte alla macabra scena.

Balsamo ieri aveva effettuato il colloquio settimanale con lo psicologo del carcere ed era apparso tranquillo: era anche un consumatore di droga e una settimana fa era scappato dalla Comunità dove era stato provvisoriamente trasferito. Così, con i due suicidi di ieri salgono a 10 i detenuti che si sono tolti la vita da inizio dell’anno.

 

Suicida a Fermo, dopo revoca affidamento in prova

 

Vincenzo Balsamo, il detenuto italiano di 40 anni che si è ucciso ieri pomeriggio nel carcere di Fermo, era stato arrestato da pochi giorni, in seguito alla revoca dell’affidamento in prova ad una comunità di accoglienza. Lo si è appreso presso il Dipartimento regionale dell’amministrazione penitenziaria delle Marche.

L’uomo era già stato arrestato altre volte in passato, sempre per reati legati allo spaccio di stupefacenti, ed aveva trascorso periodi di detenzione nello stesso carcere fermano e in quello di Ascoli Piceno. Si è impiccato nella propria cella utilizzando la cordicella dei pantaloni della tuta. Inutili i soccorsi dei sanitari del carcere e quando un equipaggio del 118 è giunto sul posto Vincenzo Balsamo era già morto. L’ufficio regionale del Dap ha avviato un’indagine amministrativa, parallela all’inchiesta aperta dalla procura della Repubblica di Fermo.

 

Antigone: detenuto suicida a Fermo ci aveva chiesto aiuto

 

Vincenzo Balsamo, il detenuto che si è suicidato ieri pomeriggio nel carcere di Fermo, aveva scritto, con alcuni compagni di cella, una lettera ad Antigone per fare ricorso, tramite l’associazione, alla Corte europea per i diritti dell’uomo contro il sovraffollamento in quel penitenziario. A renderlo noto è Stefano Anastasia, difensore civico di Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri.

"Nella lettera - riferisce Anastasia - Balsamo raccontava di una situazione pesante nel carcere di Fermo e di uno spazio a disposizione ben inferiore al minimo vitale, che la corte europea ha fissato in 3 metri quadrati, sotto ai quali si parla di trattamento inumano. "Come associazione - aggiunge Anastasia - abbiamo risposto a Balsamo e ai suoi compagni chiedendo maggiori dettagli per poi inoltrare il ricorso alla corte, ma lui non ha fatto in tempo a risponderci: ieri si è suicidato". Sono già oltre 1.200 i detenuti per i quali Antigone ha inoltrato ricorsi alla Corte per i diritti dell’uomo contro il trattamento inumano subito nelle carceri italiane a causa del sovraffollamento.

 

Detenuto suicida a Padova, la denuncia della Uil

 

"Non c’è troppa voglia di commentare quest’ennesima morte in carcere - dichiara Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - abbiamo deciso di surrogare l’amministrazione penitenziaria in tema di comunicazione e trasparenza. Non possiamo non rimettere al capo del Dap, Ionta, ma allo stesso ministro Alfano l’opportunità di ritirare le disposizioni per cui il personale penitenziario non può fornire alcuna notizia autorizzata dallo stesso capo del Dap". "Padova non è quell’Eden penitenziario di cui sui favoleggia - aggiunge Sarno - ci sono evidenti criticità. Questo suicidio è la più spietata delle denunce sulle vere condizioni della casa di reclusione di Padova, tra l’altro da noi denunciate attraverso una relazione redatta al termine di una mia visita effettuata nel novembre 2008. Purtroppo le personalità che visitano gli istituti lo fanno attraverso percorsi individuati dagli amministratori del carcere. Sarebbe il caso che si visitassero le strutture in tutta la loro estensione e mettendo il naso in tutti gli ambienti".

E conclude: "Nascondere la polvere sotto il tappeto è operazione inutile, anzi dannosa. Una cosa deve essere chiara: i tanto declamati percorsi trattamentali e risocializzanti di Padova non riguardano l’intera popolazione detenuta e sono possibili solo ed esclusivamente penalizzando il personale che è sottoposto ad incredibili carichi di lavoro ed alla quotidiana contrizione dei diritti soggettivi".

Giustizia: troppi suicidi e il Dap chiede l’aiuto delle associazioni

 

Redattore Sociale, 24 febbraio 2010

 

Nella sede del Dap a Roma si è svolto oggi un incontro tra Sebastiano Ardita, Direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dap, e i rappresentanti della Conferenza nazionale volontariato giustizia, del Seac, dell’Associazione Altro Diritto e di Ristretti Orizzonti per la messa a punto di iniziative di prevenzione del suicidio alle quali possano collaborare anche i volontari penitenziari: più di 8.000 persone, che garantiscono una presenza in quasi tutte le carceri italiane.

Un piano contro i suicidi, una serie di azioni da mettere in campo per ridurre la piaga, sempre più terribile, degli atti di autolesionismo in carcere. L’emergenza suicidi (sono dieci dall’inizio dell’anno) arriva al Dap, con un incontro fra l’amministrazione penitenziaria e una rappresentanza delle associazioni da tempo impegnate nelle carceri. E potrebbe rappresentare l’inizio di una stretta collaborazione per trovare idee, proposte e soluzioni.

A Roma, questa mattina, i responsabili della Direzione generale dei detenuti e del trattamento hanno incontrato il mondo associativo e del volontariato in carcere: una prima riunione, per molti aspetti conoscitiva e interlocutoria, servita a tracciare i contorni di un percorso continuato nel tempo. In agenda, c’è la volontà di avviare un monitoraggio nazionale delle iniziative di prevenzione dei suicidi messe finora in atto dai singoli Istituti di pena, ma anche l’apertura di un dialogo franco per definire possibili strade da percorrere. In questo senso, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha chiesto ai rappresentanti dell’associazionismo - c’erano fra gli altri Ristretti Orizzonti, Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario) e Cnvg (Conferenza nazionale volontariato giustizia) - di preparare proposte concrete da discutere in un prossimo incontro, fissato approssimativamente fra 15 - 20 giorni a partire da oggi.

"Abbiamo avuto la sensazione - confida Laura Baccaro di Ristretti Orizzonti - che si voglia davvero fare qualcosa per migliorare la vivibilità del carcere, e che lo si voglia fare insieme a coloro che il carcere lo frequentano sempre: ci è stato chiesto un contributo anche in termini di promozione di idee e di intuizioni, il che da’ la misura dell’interesse sul tema". Secondo Baccaro quello di stamane "è un passo importante per una collaborazione concreta fra l’amministrazione e le associazioni", nell’ovvio riconoscimento della diversità dei ruoli. "Credo che stavolta ci ascolteranno: ho visto persone molto motivate e ho percepito la misura della stima verso il nostro mondo. Spero davvero che possa essere l’inizio di un percorso positivo".

Giustizia: da Alfano un ddl, per affrontare il sovraffollamento

di Emanuela Mei

 

Agenzia Radicale, 24 febbraio 2010

 

A distanza di un giorno dal suicidio di un detenuto tunisino di 27 anni nella Casa Circondariale di Brescia, l’ottavo dall’inizio dell’anno, il ministro della Giustizia Alfano ha reso noto il contenuto di un disegno di legge che prevede due importanti innovazioni tese a rispondere all’iniziativa nonviolenta portata avanti da Rita Bernardini e da altri parlamentari radicali in tema di carceri e del loro sovraffollamento.

Il dl introduce l’esecuzione domiciliare della pena per pene non superiori ai 12 mesi e la sospensione del procedimento e la messa alla prova per reati minori. Nel primo caso si tratta della previsione di poter vedere eseguita la pena per condanne inferiori ai 12 mesi o per pene residue inferiori ai 12 mesi con esclusione dei reati più gravi quali terrorismo, mafia, violenza sessuale, omicidio, rapina, estorsione etc.

A supporto della validità delle proposte del ministro Angelino Alfano, ci sono le statistiche che indicano nel 32% i detenuti che versano in questa condizione. Palese, quindi, che se la misura verrà approvata e messa a regime, potrebbe potenzialmente abbattere la popolazione carceraria del 32% e quindi in buona parte risolvere l’annoso problema del sovraffollamento carcerario.

L’esecuzione domiciliare della pena sarebbe applicata d’ufficio dal magistrato di sorveglianza su impulso della direzione del carcere e sulla base di un’osservazione di buona condotta nella detenzione, o dallo stesso pubblico ministero che ha emesso o sta per emettere l’ordine di esecuzione.

"La sospensione del procedimento e messa alla prova - come ha fatto notare questa mattina Giandomenico Caiazza, presidente della Camera Penale di Roma e del Comitato Radicale per la Giustizia "Piero Calamandrei", curatore della rubrica quotidiana di Radio Radicale "pillola del rovescio del diritto" - è un istituto che già esiste nel diritto minorile e che nelle intenzioni del ministro Alfano andrebbe ad estendersi ai reati minori cioè con pene non superiori a 3 anni o punite solo con pene pecuniarie". Con la sospensione del procedimento, inizia la messa alla prova del soggetto vale a dire un periodo di osservazione il cui esito positivo porta all’estinzione del reato. L’unica condizione è che il soggetto accetti di prestare attività di pubblica utilità per periodi limitati, per non più di 4 ore al giorno, presso strutture pubbliche, gratuitamente.

Se si arrivasse ad una estinzione del reato e quindi sostanzialmente ad una sua non persecuzione, fa notare Caiazza, "si andrebbe nel senso di una delle questioni cruciali indicate dall’iniziativa politica radicale che è quella della messa in discussione del principio della obbligatorietà dell’azione penale come precondizione necessaria per risolvere il problema esplosivo delle carceri oltre che più in generale della paralisi del processo penale".

Due aspetti di un dl che dovrà essere discusso e approvato, ma che vanno tuttavia apprezzati in quanto sintomo di un’inversione di tendenza netta rispetto ad una politica giudiziaria di cancerizzazione della società.

Giustizia: Lega; cercare accordi su rimpatrio detenuti stranieri

 

Il Velino, 24 febbraio 2010

 

La Provincia di Brescia ha il triste primato della presenza dei clandestini e questo triste primato rende il carcere di Canton Monbello quello con il maggior numero di detenuti stranieri, confermando la correlazione tra la clandestinità e la delittuosità". È quanto afferma il senatore della Lega Nord, Sandro Mazzatorta, capogruppo in commissione Giustizia sulla situazione del carcere di Brescia. Per il senatore della Lega e sindaco di Chiari "stiamo purtroppo subendo gli effetti deleteri delle politiche delle porte aperte praticate, in materia di immigrazione, dalla sinistra a Brescia e nel Paese intero. Dobbiamo dunque supportare il ministro Maroni - prosegue Mazzatorta - a proseguire e sviluppare la politica di sottoscrizione di accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei detenuti stranieri per far si che gli stessi scontino la pena nel loro paese d’origine e dare massima priorità alla realizzazione del piano carceri adeguandolo alle esigenze del nostro sistema giudiziario".

Giustizia: Osapp; ci sono 68mila detenuti, mancano le brande!

 

Agi, 24 febbraio 2010

 

"Per la prima volta nel 2010 i dati ufficiali sui detenuti superano la fatidica soglia delle 66mila presenze che, in sintesi e tenuto conto degli internati con misure di sicurezza e di chi è provvisoriamente assente per permessi premio o di necessità, significano 68mila presenze effettive". A sostenerlo è il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, che a titolo di esempio indica la regione Piemonte in cui sarebbero effettivamente presenti 5.280 detenuti mentre ne vengono ufficialmente conteggiati solo 5008.

Secondo il segretario, "capienze e regole anche straordinarie di detenzione sono saltate su tutto il territorio, tant’è che ieri sera a Roma-Rebibbia, dopo gli arresti legati alla vicenda Fastweb, su 14 soggetti condotti in carcere 5 non avevano brande in cui trascorrere la notte, mentre, a Milano-San Vittore per una capienza massima di 900 detenuti ce ne sono 1.615, a Torino Lo Russo-Cutugno ci sono 1620 detenuti per 1092 posti tra uomini e donne e, addirittura, a Napoli-Poggioreale per un massimo di 1.400 posti ci sono 2.730 detenuti".

Secondo Beneduci, "i poteri straordinari e pressoché assoluti conferiti dal disegno di legge sulla protezione civile al commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, Franco Ionta, nulla hanno a che vedere con le carenze organizzative e gestionali dell’attuale amministrazione penitenziaria per la cui risoluzione sono necessari un maggiore numero di agenti di polizia penitenziaria in servizio in compiti operativi ed un vertice del Dipartimento diverso dall’attuale".

Giustizia: Osapp; nuove carceri? saranno cattedrali in deserto

 

Agi, 24 febbraio 2010

 

Il problema del sistema penitenziario non è la mancanza di nuove carceri, ma l’assenza di personale per farle funzionare. Lo afferma Leo Beneduci, segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria (Osapp), a proposito dell’approvazione in Senato dell’articolo 17 ter del Decreto sulla Protezione Civile, che prevede la realizzazione d’urgenza di nuove carceri, con potere assoluto conferito al capo capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), Franco Ionta.

"Le nuove carceri - dice Beneduci - saranno probabilmente delle cattedrali nel deserto, perché le 2.000 unità di agenti penitenziari in più promesse dal ministro Alfano basteranno appena a colmare le carenze degli istituti detentivi in Lombardia, Piemonte e Veneto. In tal senso è emblematico ciò che sta accadendo al nuovo carcere di Rieti, che su 500 detenuti previsti ne ospita solo 78 per mancanza di personale. Ci attendiamo analoghe disfunzioni per tutte le nuove infrastrutture come, ad esempio, il nuovo padiglione del carcere di Avellino che avrebbe bisogno di 40 agenti in più, che però non verranno mai assegnati al capoluogo irpino". Contro il sovraffollamento, secondo il sindacalista, l’unica soluzione sarebbe una riforma organica del Codice Penale, "depenalizzando i reati di minore allarme", e un’azione sulla carcerazione preventiva, "tenuto conto che almeno 30mila degli attuali internati sono in attesa di giudizio definitivo". Al posto della costruzione di nuove carceri, Beneduci propone la possibilità, per il capo del Dap, di acquisire, ristrutturare e utilizzare immobili dismessi, come caserme o scuole.

Giustizia: un "superpiano carceri"? solo una torta da spartire

di Riccardo Arena

 

Pagina di Radio Carcere su Il Riformista, 24 febbraio 2010

 

Quello del Governo serve a far soldi e non all’efficienza del sistema penitenziario. Il 19 febbraio la Camera dei Deputati ha approvato la conversione del decreto legge sulla Protezione Civile. Ora il testo è all’esame del Senato. Che centra questo col "Piano carceri"? Centra e come. Il Governo infatti ha infilato in questo decreto la norma base del tanto proclamato intervento sui penitenziari. È l’articolo 17 ter, intitolato appunto: "Disposizioni per la realizzazione urgente di istituti penitenziari". Nell’articolo si conferiscono amplissimi poteri al Commissario per le carceri, ovvero al capo del Dap Franco Ionta.

Poteri che gli consentono di individuare le aree per la realizzazione dei nuovi penitenziari e per gli interventi necessari. Ma non solo. È previsto che il Commissario per le carceri può assumere le proprie decisioni in deroga a diverse normative come: le previsioni sull’urbanistica, il testo unico sugli espropri di pubblica utilità e il limite ai subappalti delle lavorazioni prevalenti, che potranno aumentare dall’attuale 30 per cento fino al 50 per cento.

Ed infine la ciliegina. Nella normativa sulle carceri si prevede che il Commissario straordinario può avvalersi della Protezione civile per le attività di: progettazione, scelta del contraente, direzione lavori e vigilanza degli interventi. Una previsione questa già contenuta nel comunicato del Consiglio dei Ministri del 13 gennaio dove c’è scritto: "Il braccio operativo con cui gestire l’emergenza carceri sarà la Protezione Civile". Più chiaro di così!

Nella sostanza il progetto governativo sui penitenziari, che vorrebbe seguire lo stesso modello adottato per L’Aquila, è semplice. Costruire, alla modica cifra di 600 milioni di euro, 47 palazzine all’interno di strutture carcerarie già esistenti. E poi, se e quando si vedrà, realizzare 18 carceri nuove. Lo scopo: creare 21 mila nuovi posti nelle sgangherate patrie galere.

Ora, visti gli interventi pensati dal Governo per risolvere il degrado delle nostre carceri, sembra che il "Super Piano" altro non sia che un modo per spartirsi una ghiotta torta. Quella delle costruzioni. Una spartizione che coinvolge anche la Protezione Civile, di cui resta ignota la competenza sulle carceri. Una sparizione che pare essere anche non idonea a risolvere il gravissimo problema dei sovraffollati e vecchi penitenziari italiani.

Basti pensare allo scopo del "Super Piano". La realizzazione di 21 mila posti in più. Uno scopo che non riuscirebbe a soddisfare neanche il fabbisogno odierno delle nostre carceri. Carceri dove infatti vivono 67 mila detenuti, a fronte di soli 43 mila posti. Per non dire del tanto pubblicizzato "metodo de L’Aquila" che si vuole applicare anche per il "Piano carceri". Uno spot idiota. È evidente infatti che un conto è costruire delle casette prefabbricate in un comune, altro è edificare strutture penitenziarie su tutta la Nazione.

Torte e spot a parte, il fatto è che oggi il sistema penitenziario versa in condizioni vergognose. E, per risolvere tale vergogna, occorre ripensare l’intero sistema con un approccio innovativo. Vendere le ottocentesche galere, e sono tante, per realizzare nuove e diverse strutture a seconda della loro finalità. Riscrivere il sistema delle pene, al fine di introdurre sanzioni differenti dal carcere, magari eseguibili in primo grado.

Lazio: su nomina Garante dei detenuti continuano le polemiche

 

Il Velino, 24 febbraio 2010

 

Sarà una battaglia interna al centrosinistra quella che si combatterà in Consiglio regionale per la nomina del garante dei detenuti del Lazio. Il mandato del Democratico Angiolo Marroni, nominato nel 2005, è già scaduto a gennaio e domani l’Aula della Pisana dovrà decidere se riconfermargli l’incarico.

Ma a ostacolare la corsa dell’esponente del Pd c’è Antonio Marchesi, per anni presidente di Amnesty International e sostenuto dalle associazioni Antigone, Arci, a Buon Diritto, Vic Caritas e, soprattutto, dall’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, esponente di punta di Sel, che nei giorni scorsi aveva chiesto di rimandare la nomina evitando gli "inciuci" di fine legislatura. L’appello invece è caduto nel vuoto e così domani, salvo la mancanza del numero legale, si dovrebbe arrivare al voto.

E a dare filo da torcere a Marroni non ci sarà solo Sinistra ecologia e libertà, ma anche l’Italia dei valori, che per bocca del suo segretario regionale ha più volte invitato Marroni a farsi da parte. "Non si facciano nomine scriteriate prima delle elezioni - ha affermato Stefano Pedica -. Se è vero che esiste un accordo tra Pd e Pdl per riconfermare Angiolo Marroni e in blocco anche i suoi attuali coadiutori, si aprirebbe un problema politico non indifferente e soprattutto ai limiti della legalità e alla faccia della trasparenza. Non credo di sbagliarmi - ha osservato l’esponente del partito di Antonio Di Pietro - quando dico che anche e proprio in campi come questo si rileverebbe essenziale l’apporto di una nuova cultura, di giovani professionisti che diano una diversa spinta su queste tematiche che necessitano in molti casi di quel cambiamento che può arrivare attraverso l’impiego di nuove e preparate forze".

Trasparenza auspica pure Nieri, secondo cui la scelta del garante dei diritti dei detenuti dovrebbe avvenire "senza accordi tra i partiti fuori dal Consiglio regionale". Per l’assessore "sarebbe stato opportuno posticipare la decisione per assicurare l’audizione delle associazioni, dei sindacati e delle organizzazioni di volontariato", ma dal momento che domani si voterà allora, invita "calorosamente tutti i consiglieri a esprimersi a favore di Antonio Marchesi".

A parte l’opposizione di Idv e Sel, Marroni conta su un ampio consenso bipartisan. Non a caso, il primo a difenderlo dagli attacchi dell’Idv è stato il consigliere del Pdl Donato Robilotta, il quale ha ricordato che la sua nomina si deve alla giunta di centrodestra. "Ha fatto un ottimo lavoro - ha sottolineato - e altrettanto farebbe ancora se domani il Consiglio regionale lo dovesse riconfermare nell’incarico di Garante dei detenuti come io auspico. Per questo gli esprimo tutta la mia solidarietà umana e politica di fronte agli attacchi scriteriati che gli sta portando Pedica e l’Italia dei valori.

Mi auguro che il Pd rifletta su questi attacchi e si interroghi sul come può ancora allearsi con una forza profondamente giustizialista come l’Italia dei valori di Di Pietro e Pedica". Solidarietà a Marroni è arrivata anche dall’assessore regionale alla Casa, Mario Di Carlo (Pd), che parla di "attacchi incomprensibili" e dal presidente della commissione Lavoro della Pisana. La sua eventuale riconferma, ha concluso Peppe Mariani (Lista civica) "non può essere certamente considerata un accordo al ribasso, né un manovra di bassa macelleria politica, come qualcuno vorrebbe far intendere in queste ore".

 

Nieri (Sel): trasparenza su nomina garante Lazio

 

"Penso che la scelta del garante dei diritti dei detenuti debba avvenire senza accordi tra i partiti fuori dal Consiglio regionale. Ritengo che sarebbe stato opportuno posticipare la decisione per assicurare l’audizione delle associazioni, dei sindacati e delle organizzazioni di volontariato. Invece pare domani si voti. Allora invito calorosamente tutti i consiglieri a esprimersi a favore di Antonio Marchesi". È quanto afferma in una nota l’assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri (Sel).

"La sua è una candidatura di altissimo profilo culturale e sociale - spiega Nieri - Per anni è stato presidente di Amnesty International. È sostenuto da Antigone, Arci, a Buon Diritto e Vic Caritas. Insegna diritti umani e diritto internazionale a Roma Tre e a Teramo. È esperto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. È una candidatura non di partito ed è anche l’occasione per promuovere un rinnovamento negli organismi di tutela e partecipazione".

 

Mariani: nomina Marroni garante Lazio non è accordo al ribasso

 

"L’eventuale riconferma di Angiolo Marroni a Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, non può essere certamente considerata un accordo al ribasso, né un manovra di bassa macelleria politica, come qualcuno vorrebbe far intendere in queste ore". Lo afferma in una nota Peppe Mariani, presidente della Commissione Lavoro, Pari Opportunità, Politiche Giovanili e Politiche Sociali della Regione Lazio. "La storia di Marroni, il suo curriculum, le battaglie combattute negli anni, lontano dai riflettori e senza tornaconti personali - continua Mariani - in difesa dei diritti degli ultimi, ne fanno una persona di altissimo livello morale, tale da non essere sporcata dalle polemiche sollevate in queste ultime ore. Siamo davvero al paradosso se, in nome di un generico bisogno di forze nuove, si considera "scriteriato" lo splendido lavoro fatto da Marroni in questi anni, che ha fatto dell’Ufficio del Garante dei detenuti della Regione Lazio un modello per tutte le regioni italiane". "Per altro, la nomina del Garante - prosegue - non è un atto di consociativismo preelettorale, ma una necessità imposta al Consiglio Regionale dalla legge istitutiva dell’Ufficio, che non prevede proroghe dopo la scadenza quinquennale del mandato. È stato pubblicato un bando per la carica. Spetta, ora, alla Pisana - conclude Mariani - scegliere quale persona possa tutelare al meglio le legittime istanze di coloro che sono sottoposti a limitazioni delle libertà personali. Non c’è bisogno di polemiche di infimo livello, ma di scelta di chi conosce il carcere e la sua drammaticità".

 

Pedica (Idv): non si facciano imbrogli su nomina garante

 

"Non si facciano nomine scriteriate prima delle elezioni. Se è vero che esiste un accordo tra Pd e Pdl per riconfermare Angiolo Marroni e, in blocco, anche i suoi attuali coadiutori, si aprirebbe un problema politico non indifferente e soprattutto ai limiti della legalità e alla faccia della trasparenza". Lo afferma in una nota Stefano Pedica, segretario regionale Lazio di Italia dei Valori. "Non credo di sbagliarmi - continua Pedica - quando dico che anche, e proprio in campi come questo, si rileverebbe essenziale l’apporto di una nuova cultura, di giovani professionisti che diano una diversa spinta su queste tematiche che necessitano in molti casi di quel cambiamento che può arrivare attraverso l’impiego di nuove e preparate forze". "Per questo - conclude - gli chiedo di fare un passo indietro e di lasciare ad altri, magari con più energie propositive, la guida di un ufficio che necessariamente deve attrezzarsi a far fronte ad un emergenza carceraria che non a pari nella storia della Repubblica a cui si deve porre urgente rimedio".

 

A Marroni solidarietà dal Pdl per attacchi da Idv

 

"Angiolo Marroni fu nominato garante dei detenuti dalla giunta di centro destra nella scorsa legislatura, per la sua esperienza maturata sul campo di anni di volontariato nelle carceri. Ha fatto un ottimo lavoro ed altrettanto farebbe ancora se domani il Consiglio Regionale lo dovesse riconfermare nell’incarico di Garante dei detenuti come io auspico", dichiara Robilotta del PdL. "Per questo, gli esprimo tutta la mia solidarietà umana e politica di fronte agli attacchi scriteriati che gli sta portando Pedica e l’Italia dei valori. Mi auguro che il Pd rifletta su questi attacchi e si interroghi sul come può ancora allearsi con una forza profondamente giustizialista come l’Italia dei Valori di Di Pietro e Pedica.

 

Di Carlo (Pd): nomina del Garante non è rinviabile

 

"Se, come è nei fatti, le carceri rappresentano una vera e propria emergenza sociale in questo Paese è davvero da irresponsabili invocare il rinvio della nomina del garante dei detenuti della Regione Lazio". Lo afferma in una nota l’assessore alla Casa della Regione Lazio, Mario Di Carlo. "Esprimo la mia solidarietà all’attuale garante Angiolo Marroni - aggiunge Di Carlo - al centro di attacchi francamente incomprensibili. La tutela dei più deboli non è mai stata, né potrà essere, oggetto di accordi consociativi e di oscure trame.

Visti gli importantissimi risultati raggiunti in anni di attività in un settore tanto delicato ed impopolare come la difesa dei diritti dei detenuti, Marroni ha fatto bene a riproporre la sua candidatura, ed altrettanto bene farebbe il Consiglio Regionale a riconfermarlo".

 

Coop sociali: con Marroni creati centinaia di posti di lavoro

 

"Il lavoro svolto in questi anni dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni su temi delicati come i diritti al lavoro e alla dignità è stato prezioso e impagabile e non può essere sminuito da una polemica di carattere esclusivamente politico". Lo affermano, in una nota i vertici del Consorzio delle cooperative di ex detenuti "Lavoro e Libertà" e delle Cooperative sociali integrate "Cecilia", "Ape" e "29 giugno". "Inciucio e consociativismo sono termini lontani da chi cerca di rientrare a pieno titolo nella società - si legge ancora nella nota.

Insieme all’Ufficio del Garante Marroni abbiamo costruito, in questi anni, un percorso di collaborazione reciproca che ha creato occupazione per centinaia di ex detenuti. Speriamo che le decisioni del Consiglio Regionale ci consentano di poter continuare su questa strada".

 

Consulta Penitenziaria Roma: sostegno ad Angiolo Marroni

 

Il Direttivo della Consulta Penitenziaria del Comune di Roma e il suo Presidente Lillo di Mauro esprimono il proprio sostegno ad Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio, per continuare una proficua collaborazione a favore dei diritti dei detenuti della Regione.

Brescia: la direttrice; "le condizioni di detenzione sono difficili"

 

Brescia Oggi, 24 febbraio 2010

 

Il giovane tunisino era stato arrestato il 16 febbraio, nel penitenziario era arrivato il giorno successivo. Soccorso dai quattro compagni che rientravano dall’ora d’aria. La direttrice: "Le condizioni di detenzione sono difficili"

Ha tolto le lenzuola dal letto, le ha legate ben salde a un tubo in bagno e all’estremità opposta ha creato un nodo scorsoio, ci ha infilato la testa, ha gettato un’occhiata ai pochi metri di cella in cui aveva trascorso gli ultimi giorni, e poi si è lasciato cadere, le ultime immagini di vita soffocate dal ruvido tessuto.

È morto così, l’altro pomeriggio un detenuto tunisino di 26 anni (avrebbe compiuto i ventisette il prossimo 4 aprile). Il giovane si è suicidato nella sua cella verso le 15.30 mentre i quattro compagni erano fuori ai passeggi, per l’ora d’aria. Sono stati i compagni a trovarlo in bagno, agonizzante, ma ancora vivo. I detenuti hanno dato l’allarme, un agente della polizia penitenziaria ha cercato di fare il possibile, i soccorritori del 118 sono arrivati in pochi istanti, ma il 26enne non ce l’ha fatta. Il detenuto è morto alle 16.30 al pronto soccorso dell’ospedale Civile, inutile ogni tentativo di medici di rianimarlo. La salma del giovane è stata composta all’obitorio dell’ospedale Civile, in attesa delle disposizioni della magistratura.

Il cittadino tunisino era arrivato a Canton Mombello solamente da sei giorni. Era stato arrestato per detenzione ai fini di spaccio il 16 febbraio dagli agenti di Polizia locale e il giorno successivo era stato trasferito in cella. Da Canton Mombello era già passato in precedenza, per lui non era la prima volta. Forse proprio il ricordo delle precedenti detenzioni può averlo spinto alla scelta estrema.

 

Radicali: il carcere di Brescia è forse il peggiore della Lombardia

 

"Conosco bene il carcere di Canton Mombello a Brescia: è forse il peggiore della Lombardia". Così Alessandro Litta Modignani, esponente radicale candidato a Brescia nella Lista Bonino-Pannella, commenta la notizia del suicidio di un giovane tunisino in quell’istituto penitenziario - l’ottavo in Italia dall’inizio dell’anno.

"Canton Mombello è una struttura impossibile, obsoleta, cadente e soffocante - racconta Litta, che in passato ha visitato più volte l’istituto, da consigliere regionale - Un carcere a porta girevole, dove gli arrestati entrano ed escono a getto continuo, e vengono ammassati uno sull’altro fino a una dozzina nella stessa cella, senza lo spazio neppure per stare in piedi, senza l’assistenza di psicologi ed educatori prevista dalla legge".

"Con undici milioni di processi pendenti (cinque e mezzo dei quali penali) e le carceri sovraffollate oltre qualsiasi limite tollerabile, si impongono misure urgenti, come un’ampia amnistia per i reati minori e una radicale riforma della giustizia. Invece la politica latita, incapace di affrontare l’emergenza - accusa Litta - perché succube del populismo di Lega e Italia dei Valori, rendendosi così responsabile di questi dolorosi episodi".

"Devo constatare amaramente - conclude l’esponente radicale - che anche di fronte a questo suicidio, il cosiddetto "Movimento per la Vita" non ha nulla da dire, essendo troppo impegnato a ostacolare e colpevolizzare, negli ospedali lombardi, le donne che decidono dolorosamente di interrompere una gravidanza. Dove sono in questo caso i difensori dei valori cristiani?"

Castrovillari: (Cs); detenuto tenta suicidio, salvato in extremis

di Vincenzo Alvaro

 

Gazzetta del Sud, 24 febbraio 2010

 

Tenta il suicidio nella sua cella di detenzione. Salvato dal personale medico della casa circondariale. È successo lunedì pomeriggio nel perimetro di reclusione del braccio maschile della struttura detentiva di Castrovillari. Un giovane, di nazionalità italiana, molto probabilmente con l’utilizzo di una cintura da pantaloni, ha tentato di farla finita con la vita, per cause ancora in corso di accertamento.

Tutto accade in pochi attimi, e solo il pronto intervento del medico e dell’infermiere di turno nella struttura di reclusione hanno evitato che l’ennesimo gesto di disperazione di un detenuto si trasformasse in tragedia. Nello scorso anno, infatti, la struttura di reclusione castrovillarese, purtroppo, ha registrato tre casi di suicidio finiti in tragedia con la morte dei detenuti che si sono lasciati vincere dalla disperazione. Lunedì poteva essere l’ennesimo tentativo finito male, ma solo l’abilità di medico ed infermiere presenti sul posto, e la vigilanza del personale detentivo hanno permesso che il giovane italiano, di cui non si conosco le generalità, si salvasse la vita.

Tutto accade in pochi attimi. Durante una ispezione di routine delle celle, siamo nell’orario dopo il pranzo, una guardia si accorge di qualcosa che non va in una cella. Apre la porta e nota il giovane appeso alle sbarre della finestra con una cinghia da pantaloni. Lancia l’allarme, avverte il personale medico. All’arrivo del medico e dell’infermiere di turno trovano il giovane già quasi in uno stato di agonia, con la bava alla bocca e il battito appena percettibile. Tentano di liberarlo da quella stretta mortale, ma devono servirsi di un coltello per togliere quell’abbraccio mortale che il giovane si è inflitto.

Subito si allerta il 118 di Castrovillari che arriverà e coadiuverà il lavoro di soccorso che permetterà al giovane di avere salva la vita. Dopo il primo intervento nella struttura carceraria il giovane viene trasferito prima al nosocomio di Castrovillari, dove riceverà ulteriori soccorsi e poi trasferito a Rossano, dove si trova attualmente ricoverato non più in pericolo di vita.

Un nuovo caso, purtroppo, nella struttura detentiva di Castrovillari, questa volta però sventato dall’intervento del personale sanitario e di sorveglianza che interrompe quella scia negativa che ha caratterizzato il carcere della città del Pollino. La disperazione di tanti detenuti, a volte, è così forte da far tentare gesti estremi. Questa è la prima volta che un tentato suicidio viene sventato e l’uomo protagonista ne ha salva la vita. Il giovane ora fuori pericolo di vita dovrà recuperare la piena potenzialità delle sue funzioni fisiche prima di tornare a scontare la sua pena molto probabilmente in una struttura diversa da quella castrovillarese.

Genova: Sappe; la città non ha bisogno di carceri galleggianti

 

Ansa, 24 febbraio 2010

 

Non so a Trieste, ma sono convinto che Genova non abbia alcun bisogno di carceri galleggianti. Piuttosto serve eventualmente una nuova cittadella penitenziaria sulla terra ferma in aggiunta alle carceri di Marassi e Pontedecimo. Non credo infatti ipotizzabile, per Genova e la Liguria, l’adozione di nuove soluzioni detentive quali le piattaforme marine penitenziarie che dovrebbero essere presentate il 26 febbraio prossimo a Trieste dalla Fincantieri, quale soluzione al problema del sovraffollamento degli istituti carcerari. Mi sembra una soluzione stravagante rispetto ad un problema serio, che andrebbe - almeno a Genova - a creare indubbiamente problemi logistici e di movimento alle stesse aree portuali delle città e, soprattutto, di sicurezza sociale e degli stessi poliziotti. Chi metteremmo a bordo delle navi? Quali detenuti e per quali pene? Quanti agenti dovremmo impiegare? E, soprattutto, quali sono i costi di queste carceri galleggianti?

È quanto afferma Roberto Martinelli, commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri.

Credo che per risolvere i problemi del sovraffollamento penitenziario, dovrebbero essere costruiti nuovi carceri. A Genova, ad esempio, si potrebbe pensare di realizzare un nuovo carcere a Forte dei Ratti o Pianderlino o meglio una vera e propria cittadella penitenziaria, in cui prevedere un carcere minorile che oggi a Genova non c’è. E questo crea mille problemi ad ogni arresto di minorenne, che deve essere sistematicamente trasferito dai nostri Agenti nelle carceri minorili di Torino o Milano. Dopo tante chiacchiere, finalmente il Governo si è reso conto della drammatica situazione che si sta vivendo nelle carceri Italiane per il drammatico sovraffollamento di detenuti, che si acuisce nella Liguria con circa 1.700 detenuti a fronte di circa 1.100 posti disponibili.

Il Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, maggior sindacato di categoria, chiede ora di fare presto poiché continuano i suicidi, i tentativi di suicidio, le manifestazioni di protesta o le violenze tra gli stessi detenuti, o contro il personale di Polizia Penitenziaria. In questa situazione il prezzo più pesante lo pagano proprio i Poliziotti Penitenziari liguri sempre più stanchi e sempre più pochi ad affrontare una situazione di estrema emergenza.

Il Sappe ritiene che il piano carceri da solo non basterà poiché si rendono necessarie altre misure, come la depenalizzazione di reati che non creano allarme sociale; il maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione (semilibertà, affidamento ai servizi sociali); al braccialetto elettronico per cui si sono sprecati a tutt’oggi oltre 100 milioni di euro; far scontare la pena agli stranieri nei loro paesi d’origine, ma soprattutto l’assunzione di almeno 5.000 poliziotti penitenziari. Solo con i provvedimenti sopradescritti, la costruzione di nuovi Penitenziari (ma certo non galleggianti) avrebbe un senso poiché consentirebbe di disporre di strutture più adeguate per ospitare i detenuti in condizioni igienico-sanitarie più umane nonché si consentirebbe di far lavorare gli operatori penitenziari in condizioni più degne di un Paese civile.

Mantova: il carcere scoppia, detenuti alloggiati in sala colloqui

 

La Gazzetta di Mantova, 24 febbraio 2010

 

"Vorrei vedere il detenuto..." chiede l’avvocato. La risposta dell’agente: "Mi spiace, deve tornare, le sale colloquio sono occupate". Il motivo: nelle tre stanze del carcere adibite agli interrogatori con i magistrati e ai colloqui con avvocati e assistenti sociali erano parcheggiati tre detenuti in attesa di trovare un posto libero in cella.

L’episodio è accaduto giovedì scorso, in coincidenza con un blitz dei carabinieri e l’arresto di undici presunti spacciatori di droga. Sullo sfondo della vicenda ancora l’emergenza sovraffollamento in cui versa la casa circondariale di via Poma. Ieri le persone recluse nel carcere di Mantova erano 232, contro un tetto massimo di 180 previsto dal regolamento (il limite di capienza era di 130 detenuti fino a qualche anno fa). Il che, tradotto in qualità della vita, vuol dire fino a dodici-tredici detenuti in celle che a malapena ne conterrebbero otto, brande a castello da tre piani e materassi stesi sul pavimento parchè non c’è più una branda disponibile (e non ci sarebbe comunque spazio per sistemarla).

"Una situazione tragica, se si pensa che non si vede una soluzione, né a breve né a lungo termine. E le cose potrebbero peggiorare ancora..." ha avuto modo di spiegare di recente Raffaele Donnarumma, sovrintendente della polizia penitenziaria e rappresentante sindacale per la Cisl. A frenare l’emergenza è servito a poco anche l’invito fatto lo scorso novembre dal procuratore capo Antonino Condorelli e dal presidente del tribunale Filippo Nora: processare subito gli arrestati per i reati minori e, in attesa della direttissima, trattenerli nelle celle di sicurezza della questura e dei carabinieri in modo da non pesare su un carcere già strapieno. Manca lo spazio ma mancano anche gli agenti addetti ai servizi e alla sorveglianza. Secondo le rappresentanze sindacali della polizia penitenziaria in via Poma sarebbero necessari almeno altri dieci agenti per garantire un livello ottimale di sicurezza. Agenti che il ministero non è intenzionato ad assumere.

Trieste: "Etica del lavoro", aree riqualificate grazie ai detenuti

 

Il Piccolo, 24 febbraio 2010

 

Hanno sgomberato rifiuti, rimuovendone anche di ingombranti e pesanti, sono stati impegnati nel taglio di erbacce e nella risistemazione di prati e recinzioni. I loro interventi hanno restituito un aspetto dignitoso a varie aree del territorio comunale, dalla zona di Chiarbola a quella di Rozzol e, ancora, fino a Santa Croce. Gli autori di queste operazioni sono i 13 detenuti del Coroneo coinvolti nel progetto "Etica del lavoro", giunto al suo sesto anno e frutto della convenzione stipulata fra il carcere di Trieste, il Comune e l’AcegasAps. Cinque persone hanno operato per conto del Municipio, altre otto per AcegasAps: a ognuna è stata assegnata una borsa lavoro da 450 euro circa al mese, somma da cui vanno comunque detratte le spese per il mantenimento in carcere.

A illustrare i risultati ottenuti fin qui nell’ambito dell’attività avviata in ottobre e che proseguirà almeno sino a dicembre (è in ogni caso probabile che sarà poi riproposta) è stato ieri, davanti ai suoi colleghi di giunta, l’assessore comunale con delega alla Sicurezza, nonché direttore del carcere triestino, Enrico Sbriglia. "Ho voluto sottolineare come anche in questo modo si può fare sicurezza - ha spiegato Sbriglia. Grazie alla sensibilità degli enti locali, è possibile utilizzare al meglio le risorse disponibili.

Ringrazio l’ingegner Alberto Mian dell’area Sviluppo economico del Comune per il sostegno al progetto e Bruno Casertano in qualità di tutor delle 13 persone coinvolte, ammesse da un provvedimento del magistrato di sorveglianza al lavoro esterno. Abbiamo ottenuto risultati concreti importanti in pochi mesi". L’assessore ha anche spiegato che "fra i coinvolti nel progetto, quanti tornano in libertà proseguono ancora per qualche mese in questi lavori, venendo poi sostituiti da altri detenuti in possesso dei requisiti di affidabilità necessari".

Nello specifico, gli interventi di riqualificazione di aree verdi e terreni hanno interessato le zone di Rozzol, strada di Fiume, Santa Croce, Chiarbola, via Emo, Opicina, via Fianona, San Giusto, via del Teatro romano, via Dandolo, via Donota, via Capitelli e strada di Cattinara. Alcuni lavori sono stati effettuati anche sul tetto e le facciate di palazzo Carciotti e in quei tratti di strada dove la vegetazione era cresciuta talmente tanto da nascondere la segnaletica verticale.

Firenze: Garante detenuti a Rai; informare sul voto in carcere

 

Ansa, 24 febbraio 2010

 

In vista delle prossime elezioni regionali, il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, ha inviato una lettera al presidente della Rai, Paolo Garimberti, per sollecitare una azione incisiva del servizio pubblico, che possa assicurare una adeguata informazione delle complesse procedure che i detenuti devono compiere per poter esercitare il diritto di voto. Lo rende noto lo stesso garante. Una nota è stata inviata anche all’amministrazione penitenziaria, perché adotti tutte le iniziative necessarie per la realizzazione concreta di questo diritto da parte dei detenuti.

Cuba: dissente politico morto dopo 85 giorni di sciopero fame

 

Ansa, 24 febbraio 2010

 

Orlando Zapata, un operaio dissidente cubano di 44 anni, è morto all’ospedale dell’Avana dove si trovava ricoverto dopo 85 giorni di sciopero della fame. Lo ha reso noto Elizardo Sanchez, portavoce della Commissione cubana dei diritti umani e riconciliazione nazionale. L’operaio è deceduto alle 15.30 (le 21.30 ora italiana, ndr). "Quello che hanno fatto con lui è stato in realtà un omicidio mascherato da una copertura giudiziaria carceraria", ha proseguito Sanchez, sottolineando che, nonostante la gravità delle condizioni di salute, Zapata "è stato portato in terapia intensiva solo lunedì". Zapata faceva parte del gruppo di 75 dissidenti detenuti a Cuba dal 2003, di cui 53 rimangono in carcere. Era stato condannato a 36 anni per diversi reati, fra cui "vilipendio della figura del Comandante" Fidel Castro.

Usa: i detenuti costano troppo? e la California li rilascia prima

 

Il Manifesto, 24 febbraio 2010

 

Fa notizia in questi giorni il rilascio anticipato di migliaia di detenuti in California. Una singolare inversione di tendenza e vera e propria bestemmia nel panorama politico di un paese la cui deriva giustizialista negli ultimi 30 anni ha prodotto il più alto tasso di carcerazione al mondo. Dove per giustizialismo si intende la criminalizzazione come universale palliativo nell’assenza di sensate politiche sociali.

Gli Stati Uniti hanno il 5% della popolazione mondiale e il 15% dei detenuti grazie all’imperante retorica del hard-on crime, dell’ordine pubblico a tutti i costi, che in California ha prodotto le famigerate leggi 3 strike che impongono maxisentenze obbligatorie dopo tre condanne per infrazioni anche non violente. Il risultato è una faraonica infrastruttura della libertà vigilata e il boom delle prigioni che per anni hanno costituito uno dei settori economici di massima crescita.

Negli anni 90 il settore penitenziario è stato un nuovo Eldorado e l’ultima spiaggia per certe località dell’ hinterland sottosviluppato dove la costruzione di una nuova prigione (pubblica o privata) poteva significare centinaia di impieghi e fare la fortuna di un comune o una contea. Ma lo scoppio della bolla liberista ha svelato l’amara realtà di forzieri pubblici svuotati da anni di demagogia del "meno tasse" e al pettine sono venuti anche i costi di manutenzione di un gulag costruito in gran parte per "ospitare" piccola criminalità legata agli stupefacenti. Si da il caso, come hanno scoperto amministratori alle prese con bilanci in bancarotta, che mantenere le 170.000 persone detenute nelle 33 prigioni dello stato (più una ventina di riformatori e campi di lavoro - un numero triplicato dal 1980) costa una montagna di soldi - una cosa come $10 miliardi l’anno (anche questo il triplo di quello che si spendeva nel 1998) - ovvero, come da un po’ di tempo in qua va sottolineando anche il governatore Schwarzenegger, più di quello che si spende per le scuole.

Ecco dunque l’eretica idea di sfoltire la popolazione carcerata raccorciando le pene più lievi, subito accolta da un prevedibile stracciamento di vesti. Il fatto è che con politiche penali sempre più severe e la manipolazione dell’opinione pubblica il cosiddetto prison-industrial complex era assurto a florido settore economico in cui lavorano 70.000 impiegati fra cariche politiche, amministratori, funzionari e guardie carcerarie - il cui sindacato è il più potente della California e la sua più efficace lobby politica. Col successivo sviluppo di un’altrettanto redditizio settore privato ad affiancare i penitenziari statali, i detenuti sono diventati materia prima di un eccellente business pubblicamente finanziato.

La fotografia di una società polarizzata, in cui la criminalizzazione delle ha sostituito l’integrazione delle classi emarginate e il mercato ha preso il posto del patto sociale. Ma recentemente col mercato che scricchiola il "business model" si è incrinato; le corti federali (solite dirigiste) ad esempio hanno intimato alla California di fornire servizi sanitari di "livello costituzionale" ai propri prigionieri al costo di ulteriori $8 miliardi ed improvvisamente i politici hanno scoperto una insospettata misura di compassione d fino a contemplare l’impensabile - scarcerare i detenuti.

 

 

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