Rassegna stampa 23 febbraio

 

Giustizia: i "tagli" all'informazione, sono tagli alla società civile

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Atigone)

 

www.linkontro.info, 23 febbraio 2010

 

Quando la famiglia di Stefano Cucchi fece vedere pubblicamente, in un’aula del Senato della nostra Repubblica, le fotografie del corpo livido e straziato del loro caro, i giornali - anche i più ufficiali, anche i più venduti, anche i più patinati - si riempirono di prime pagine a questo dedicate. Faceva notizia il contrasto tra quel corpo teso e magro di tossicodipendente uscito martoriato dalle mani di qualche organo statale e la pacata compostezza del dolore di un padre, una madre e una sorella che fino al giorno prima avrebbero potuto essere ognuno di noi, o quantomeno il vicino di casa di ognuno di noi, e adesso sapevano gestirsi flash e telecamere respingendo con la sola ferma ovvietà del buon senso comune la violenza di cui erano stati vittime, e insieme quella che potenzialmente si sarebbe potuta creare per vendicare Stefano.

Faceva notizia una ragazza dal viso bello e dolce, due bambini, un medio impiego, che stringeva e sventolava immagini terribili impugnate solitamente da centri sociali e circoletti di partiti estremisti. Poi più niente. Tutto sommato, passata la moda passata la notizia. Oggi quel corpo è sotto le lenti di discordanti autopsie, su di esso si taglia, si lavora, si indaga, si litiga. Ma in pochi lo sanno o se ne interessano.

Mi occupo di un tema che fa in fretta a passare di moda. Anzi, cui non capita quasi mai di esserlo. Antigone, l’associazione che presiedo, si batte per i diritti delle persone detenute e per un sistema penale più equo. Per i delinquenti, insomma. I delinquenti di oggi, che non sono quelli che rubano tanto e in alto - per i quali l’indignazione è mitigata dall’invidia e dalla tacita approvazione di furbizia, e da qui è un passo che diventino il logo di magliette e profumi "Fabrizio Corona" venduto a suon di quattrini - ma quei delinquenti che rubano poco e per strada con un occhio alla sopravvivenza.

Se in questi anni non avessi avuto la vicinanza e i piccoli megafoni costituiti da tante testate cooperative, no profit, di partito questo modello di delinquenti - i poveracci, insomma - sarebbe ancora più solo, più sommariamente incarcerato, più malmenato nelle galere. È stato grazie a quei tanti fogli che hanno saputo moltiplicare le storie nel loro piccolo e piccolissimo, farle conoscere al vicinato, alla prossimità, alle comunità, alle mani non troppo numerose in cui arrivavano e che avevano e continuano ad avere il diritto a un loro strumento di comunicazione, seppure minoritario, così come qualsiasi minoranza ha diritto a vivere in modo pieno e a interpretare in modo ricco la propria condizione. E allora le persone si indignavano perché qualcuno era morto nella prigione sotto casa, e magari era il figlio della signora del negozio accanto, e magari lo vedevano passare con il motorino nella piazzetta. E da lì l’indignazione veniva raccontata un po’ più lontano, e sono stati allora quei fogli cooperativi o no-profit a permettere che si costituissero dei comitati che chiedevano la verità, e sono stati questi comitati a contribuire a dare forza e spinta a un’associazione come Antigone, che poi queste cose le ha raccontate come ha potuto e il più lontano che ha potuto, al Parlamento, in Europa, all’Onu, alle università italiane e perfino estere.

Se il finanziamento pubblico a questa editoria non sarà più un diritto, neanche la libera informazione lo sarà. E se la libera informazione non è un diritto bensì qualcosa da mendicare, l’Italia fascista, classista, razzista di oggi perderà lo strumento essenziale per combattere se stessa.

Giustizia: messa in prova e domiciliari, associazioni favorevoli

 

Redattore Sociale, 23 febbraio 2010

 

Concessione quasi automatica dei domiciliari per i detenuti (anche recidivi) che devono scontare l’ultimo anno di pena e allargamento della messa alla prova nei processi per reati con pena inferiore a tre anni. Sono le principali novità contenute in una bozza di disegno di legge che il ministro Alfano ha spedito ai capigruppo alla Camera. Un testo che ha raccolto pareri positivi da molti esponenti dell’associazionismo, del volontariato e della politica.

Per la parlamentare Rita Bernardini (Pd), che dopo aver letto il documento ha interrotto uno sciopero della fame lungo 19 giorni, "segna un’importante inversione di tendenza della politica di carcerazione fin qui seguita". Per Francesco Morelli, del Centro studi Ristretti Orizzonti si tratta di "un’apertura positiva, segno che finalmente si sta aprendo qualcosa verso le misure alternative".

La bozza prevede, per i detenuti che devono scontare gli ultimi 12 mesi di pena, una procedura semplificata che assicuri decisioni rapide e semi-automatismo nella concessione dei domiciliari. Un provvedimento che riguarderebbe circa 10mila persone. Secondo le stime del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, nel settembre 2009, circa il 32% dei 31mila detenuti cosiddetti "definitivi" scontavano pene residue non superiori a un anno. La misura verrebbe applicata d’ufficio dal magistrato di sorveglianza, su impulso della direzione dell’istituto di pena o del pubblico ministero.

Altra importante novità contenuta nella bozza del disegno di legge Alfano è l’applicazione nel processo ordinario della sospensione della pena con messa alla prova, così come avviene per i minorenni, quando si procede per reati che prevedono pene detentive non superiori ai tre anni. Questo beneficio però non può essere applicato automaticamente, ed è inoltre subordinato alla prestazione di lavoro di pubblica utilità e alla "riparazione" nei confronti delle vittime.

"Cosa sacrosanta, ma assai difficile da applicare", commenta Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto. Si prevede poi un aggravamento delle pene in caso di violazione delle regole delle misure alternative. "La direzione è quella giusta - conclude Manconi - ma il rischio è che obblighi così rigidi svuotino il provvedimento di molte delle sue potenzialità". L’imputato che ottiene la messa alla prova dovrà lavorare gratuitamente, per un massimo di quattro ore al giorno, presso enti pubblici (Stato, Regioni, Provincie o Comuni), associazioni di volontariato, enti di assistenza sociale. Il periodo di messa alla prova va da un minimo di dieci giorni a un massimo di due anni.

Anche per Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, la proposta di Alfano "va nella direzione giusta", purché non venga bilanciata da paure e ripensamenti. "Includere la riparazione delle vittime tra i requisiti per le misure alternative rischia di renderle più difficili, se non impossibili, per i reati senza vittima. Come quelli legati al consumo di droghe o all’immigrazione".

Giustizia: Antigone; sovraffollamento delle carceri… che fare?

 

Riforma, 23 febbraio 2010

 

Intervista a Susanna Marietti dell’Osservatorio sulla detenzione di "Antigone": piuttosto che costruire nuovi penitenziari, bisognerebbe aumentare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, che ci sono e funzionano.

Il 13 gennaio 2010 il Consiglio, dei Ministri approva il piano carceri proposto dal guardasigilli Angelino Alfano per affrontare un’emergenza che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi definisce intollerabile. Soluzioni? Maggiori poteri al responsabile del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), coinvolgimento dell’edilizia privata per la costruzione di nuove strutture grazie allo stanziamento di 500 milioni di euro (non è ancora chiara la procedura per la destinazione delle gare d’appalto e come verrà recuperata la cifra). Il mondo del volontariato insorge e chiede al Governo di destinare i soldi (o almeno una parte) a progetti per il recupero sociale delle persone detenute, con quella cifra ne potrebbero essere finanziati oltre 10.000.

Perché le misure alternative alla carcerazione (a esempio affidamento in prova, semilibertà con attività lavorative o istruttive utili al reinserimento sociale) ci sono e funzionano: il tasso di recidiva ordinario è circa del 68%, cala al 30% per chi sconta la pena in regime prevalente di misura alternativa. Senza contare che molti detenuti potrebbero svolgere ben più proficui lavori socialmente utili. Il sovraffollamento delle carceri italiane è sicuramente uno dei problemi attualmente più urgenti: oltre 65.000 le persone detenute a fronte di una capienza regolamentare di 44.066 posti. Gravi e ovvie le conseguenze: celle stracolme, condizioni igieniche precarie, bassissima assistenza socio sanitaria, conflitti, dovuti spesso alla convivenza forzata in cella di più persone di culture ed etnie diverse, maltrattamenti fino a suicidi. E in Italia il ritmo di crescita della popolazione carceraria è tra i più alti in Europa, così come alta è la percentuale di coloro che in carcere sono in attesa di sentenza definitiva. Una situazione monitorata attraverso l’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione in Italia e Europa dell’associazione "Antigone", che da oltre vent’anni si occupa di difesa dei diritti dei detenuti e delle garanzie nel sistema penale, e spesso denunciata. Susanna Marietti ne è la coordinatrice nazionale.

 

A gennaio 2010 sono 65.067 le persone (detenute nelle carceri italiane, Una vera emergenza: quali le cause principali?

"Lo cause principali derivano da elementi che si muovono su due differenti livelli. Il primo è quello normativo, dove alcune leggi recenti hanno cominciato a dare frutti a pieno regime, in particolare la cosiddetta Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fi-ni-Giovanardi sulle droghe e la ex-Cirielli nella parte in cui allunga le pene e rende più difficile l’accesso ai benefici penitenziari per i recidivi. che costituiscono la grande maggioranza dei detenuti nelle carceri, caratterizzata da uno siile di vita legato alla piccola e piccolissima criminalità, di cui la recidiva è fattore caratterizzante. L’altro livello è quello culturale, che vede competere le forze politiche nel chi grida più forte alla sicurezza pubblica e alla tolleranza zero. Si è perso il senso del risolvere i problemi delle persone con strumenti diversi da quello carcerario. Se questo è il messaggio che viene dalla politica, è evidente la ricaduta che può avere sull’operato delle forze di polizia e della magistratura. Ecco allora, per esempio, che quasi metà della popolazione detenuta in Italia è in custodia cautelare, una percentuale tra le più alte in Europa".

 

Qual è la situazione dei detenuti nelle carceri italiane che emerge dal lavoro dell’Osservatorio di Antigone? Quali le condizioni di vita?

"L’attuale affollamento rende le condizioni di vita intollerabili. E Antigone è in buona compagnia nel denunciarlo: nel luglio scorso l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, quello che proibisce la tortura e le pene e i trattamenti inumani o degradanti. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che far vivere una persona in condizioni di sovraffollamento come quelle che erano state imposte a un detenuto di origine bosniaca nel carcere romano di Rebibbia significhi sottoporlo a un trattamento inumano e degradante. Ora molti altri detenuti, aiutati dai nostri legali, stanno presentando analogo ricorso alla Corte. Il sovraffollamento è innanzitutto mancanza di spazi fisici vitali, ma ha ripercussioni su ogni aspetto della vita detentiva, dall’assistenza sanitaria alle attività di studio e ricreative. Oggi la maggior parte delle persone detenute vive chiusa in celle piene di letti e brandine, dove spesso si deve fare a turno per potersi alzare in piedi".

 

Si può parlare di triste specificità italiana rispetto all’Europa?

"In parte sì e in parte no. In parte sì, visto che abbiamo il peggior rapporto legge-prassi. Ossia: la legge riconosce diritti e opportunità che la prassi nega quotidianamente. In parte no, perché tutta l’Europa si è caratterizza per un maggior investimento pubblico nelle politiche di sicurezza, con un progressivo rialzo dei tassi di detenzione".

 

Settantadue suicidi in carcere nel 2009, già sette nel 2010: assenza di assistenza sociale e psicologica, maltrattamenti, abbandono, sovraffollamento.. quali le cause principali?

"Il 2009 ha costituito l’apice della curva statistica sui suicidi penitenziari, e il 2010 già si annuncia non da meno. Non c’è dubbio che il sovraffollamento abbia una forte incidenza su questo. Vivere in simili condizioni porta alla disperazione. E ovviamente educatori, psicologi e assistenti sociali, in numero pensato per 44.000 detenuti, non sono in grado di gestirne oltre 65.000, nelle esigenze individuali, nelle problematiche specifiche. Non si riesce a dare attenzione al singolo, l’individualità del trattamento rimane un ricordo da libro di giurisprudenza. Durante lo scorso Governo, l’Amministrazione penitenziaria emanò una circolare - fortemente voluta dall’allora sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri Luigi Manconi (cui Antigone diede il proprio contributo) - che riguardava i cosiddetti "nuovi giunti", cioè quei detenuti appena arrivati in carcere dalla libertà, tra i quali è più frequente il rischio di suicidio. Si prevedevano per loro sezioni apposite, particolarmente seguite nell’assistenza psicologica. Bene: il nostro Osservatorio ha riscontrato che di queste sezioni c’è poca traccia in giro per le carceri italiane".

 

Qual è la situazione degli stranieri detenuti anche in relazione al reato di clandestinità del "pacchetto sicurezza"? Quale a vostro parere la prospettiva?

"Gli stranieri nelle carceri italiane sono 23.530. Di questi, 13.825 sono in custodia cautelare: il 58,75% degli stranieri in carcere è in carcerazione preventiva. Gli italiani in custodia cautelare sono circa il 15% in meno rispetto agli stranieri. È evidente che nei confronti di questi ultimi vi è una maggiore propensione all’uso del carcere anche durante la fase processuale. Ciò forse accade per una sommatoria di ragioni: assenza di riferimenti esterni dove disporre gli arresti domiciliari; minore capacità di difesa adeguata; cautela giudiziaria contro il rischio di irreperibilità. Sta di fatto che esiste una discriminazione nell’uso degli strumenti cautelari. Guardando al numero degli ingressi degli stranieri in carcere, vediamo che nel 2008 sono stati 43.099, ossia il 46% del totale. 13 mila di questi sono stati motivati dalla mancata ottemperanza all’ordine di allontanamento del questore. Basterebbe depenalizzare questa condotta per risolvere il sovraffollamento penitenziario. In ordine decrescente, ecco le etnie più rappresentate in carcere: i marocchini sono 4714, i rumeni 2670, gli albanesi 2610, i tunisini 2499. Le Regioni con più detenuti stranieri sono la Lombardia con 3525, il Piemonte con 2376, l’Emilia Romagna con 2116, il Lazio con 2064. Rispetto ai reati compiuti si segnala che agli stranieri è ascrivibile solo Io 0,2% dei crimini di associazione a delinquere di stampo mafioso, contro il 3,9% ascrivibile agli italiani; il 16,4% dei reati contro la persona, contro il 15,5% ascrivibile agli italiani; il 14,8% delle violazioni della legge sulle armi, contro il 18,4% ascrivibile agli italiani; il 15,9% delle violazioni della legge sulle droghe, contro il 12,4% ascrivibile agli italiani".

 

Quali le proposte principali presentate da Antigone per migliorare le condizioni e affrontare il problema sovraffollamento?

"Lo scorso ottobre presentammo a parlamentari, magistrati, avvocati, alti funzionari dell’amministrazione, giornalisti - un documento con tre gruppi di proposte, classificati come a breve, a medio e a lungo termine. Quel documento racchiude le nostre convinzioni sulla riforma del sistema penale e penitenziario. Ma ci rendiamo conto che, nell’attuale situazione politica, esso non è praticabile in tutte le sue parti. Una seria riforma del Codice penale, a esempio, è stata in parte tentata in varie passate legislature, ma si è sempre arrivati a un nulla di fatto. Figuriamoci che cosa potrebbe accadere nel clima di oggi... Eppure quella sarebbe la via maestra. Una soluzione a lungo termine, tanto nei tempi che ci vogliono per portarla a compimento quanto negli effetti duraturi cui condurrebbe. Volendo essere costruttivi, proponiamo alcune misure di carattere normativo e amministrativo che sarebbero praticabili nell’immediato. Le abbiamo elencate alla Camera del Deputati insieme a Vie Caritas e Arci nel giorno in cui l’Aula discuteva le mozioni sul carcere. Si tratta di aumentare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, rivedere le tre leggi che ho citato sopra, diminuire il ricorso alla custodia cautelare in carcere, introdurre anche per gli adulti l’istituto della messa alla prova, introdurre il difensore civico nazionale delle persone private della libertà, prevedere il reato di tortura nel nostro Codice penale, assumere mille nuovi educatori e mille nuovi assistenti sociali".

Giustizia: Italia lavoro; con "Progetto Indulto" 330 assunzioni 

 

Redattore Sociale, 23 febbraio 2010

 

Su 2.058 tirocini avviati, 1.529 quelli portati a termine: 2.700 euro l’anno per ogni tirocinante e un incentivo di 1.000 euro per le imprese, l’investimento dello stato. I risultati del progetto dei ministeri del Lavoro e della Giustizia.

2.058 tirocini avviati, 1.529 terminati, 330 assunzioni realizzate: sono questi i numeri del progetto sperimentale "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’Indulto", realizzato a partire dalla fine del 2006 grazie all’accordo tra ministero del Lavoro e ministero della Giustizia e affidato ad Italia Lavoro. "Il progetto nasceva per offrire una risposta all’emergenza verificatasi all’indomani della legge n. 241 del 31 luglio 2006 che metteva in libertà tra i 13 e i 14 mila detenuti", come ha riferito stamattina Mario Conclave, responsabile dell’Area disabilità e inclusione sociale di Italia Lavoro, in occasione del convegno "Accompagnare dalla pena al lavoro. Integrazione delle politiche di inclusione a livello locale, nazionale, comunitario". Destinatari del programma erano dunque gli ex-indultati, ma "presto la platea dei beneficiari si è allargata, per includere anche i detenuti in fine pena, quelli in misura alternativa e i detenuti minori in età adulta".

Il progetto, che aveva in dotazione 2.700 euro l’anno per ogni tirocinante e un incentivo di 1.000 euro per le imprese, si proponeva di disegnare un modello di intervento per la transizione delle persone del circuito penitenziario all’inserimento socio-lavorativo, costruendo reti tra soggetti che operano nel campo del reinserimento dei detenuti.

Dal punto di vista operativo, l’obiettivo era realizzare 2.000 tirocini nelle 14 aree metropolitane con maggiore concentrazione di detenuti indultati. L’iniziativa si è poi estesa anche dal punto di vista geografico, comprendendo 46 aree metropolitane e 32 province, all’interno delle quali sono stati avviati 18 sportelli informativi, sottoscritti 15 protocolli e costituiti 29 Gruppi territoriali operativi.

4.003 i beneficiari intercettati, 3.004 le domande di adesione ricevute, 1.521 le convenzioni di inserimento sottoscritte con le imprese, 2.158 i progetti formativi sottoscritti, 2.593 i tirocini previsti. Ad essere maggiormente coinvolti sono stati gli uomini (1.966, pari al 91%), soprattutto italiani (92%), destinati per lo più a mansioni di addetti servizi di pulizia (34,2%), giardinieri (15,5%) e operai (11,7%).

Un dato importante riguarda il legame tra la precedente esperienza lavorativa e il nuovo inserimento tramite tirocinio: solo l’1% dei tirocinanti, infatti, non aveva alcuna esperienza precedente. "Segno di quanto sia importante - ha commentato Conclave - rafforzare l’attività lavorativa in fase di pre-uscita". Ma ciò che maggiormente interessa è il dato sulla recidiva: solo 181 beneficiari, pari all’8% del totale, sono rientrati in carcere. Segno di quanto "il lavoro penitenziario possa favorire la crescita della sicurezza di tutta la società".

 

Fleres: l’85% dei detenuti assistiti non torna a delinquere

 

"Sono numeri grandi per l’Italia, ma insignificanti se rapportati al potenziale che bisognerebbe attivare": così Natale Forlani, presidente di Italia Lavoro, ha commentato i dati relativi al progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’Indulto", presentati questa mattina a Palazzo Rospigliosi. "Questo programma ha creato animazione e reti: ora però occorre un salto di qualità, capace di produrre un effetto strutturale. Serve un passaggio istituzionale, che oggi sollecito ai due ministeri coinvolti, affinché si costruisca un’azione che abbia il respiro della strutturalità".

D’accordo Salvo Fleres, coordinatore nazionale del Garante regionale dei diritti dei detenuti. "Oggi il carcere non è quello di cui parla l’articolo 27 comma 3 della Costituzione. La gestione autoreferenziale, le ridottissime risorse, il limitato numero di educatori e psicologi fa sì che troppo spessa il dopo pena si ricongiunga con il prima, a causa di un cattivo svolgimento del durante".

Occorre dunque rafforzare la potenzialità educativa e le occasioni di assistenza verso i detenuti, visto che "l’85% dei detenuti assistiti non torna a delinquere, mentre l’85% dei non assistiti torna a farlo. E visto che un detenuto in carcere costa da 70 a 100 mila euro l’anno, mentre una borsa lavoro costa 25 mila euro una tantum e produce un alto indice di non ritorno alla pena".

Fleres ha dunque sollecitato l’istituzione di "un tavolo in cui siedano i soggetti interessati: ministero della Giustizia, del Lavoro, e della Sanità, insieme a Regioni e altri soggetti - volontari, cooperative, associazioni - che stanno offrendo sostegno prezioso al sistema penitenziario, senza cui il numero dei suicidi in carcere sarebbe ancora più alto".

Giustizia: i suicidi in carcere, un tema sempre più "scottante"

di Simona Carandente (Avvocato)

 

www.ilmediano.it, 23 febbraio 2010

 

Non è facile affrontare un tema delicato come questo, senza cadere nell’errore di limitarsi a riportare semplicemente dati, di matrice statistica, che rendano effettivamente l’idea delle dimensioni del fenomeno.

Dagli anni 90, fino ad oggi, questi non ha accennato a diminuire, raggiungendo invece dimensioni assolutamente preoccupanti per una società civile che si rispetti, con dei veri e propri picchi in determinate situazioni di allarme socio-penitenziario.

Il 93% dei suicidi in carcere avviene, e il dato non sorprende affatto, nelle carceri sovraffollate. Il dato appare ancor più impressionante se si considera che, pacificamente, la stragrande maggioranza delle carceri esistenti sul territorio nazionale opera in condizioni di sovraffollamento.

Dalle statistiche emerge un altro dato: la propensione al suicidio è inversamente proporzionale alla speranza di rimessione in libertà. Più il detenuto è giovane, la posizione giuridica non particolarmente allarmante, maggiori sono i rischi che esso avvenga, nonostante la speranza di una rapido inserimento nella società civile.

Un dato che lascia pensare è quello relativo alla tipologia di detenuto che, nella stragrande maggior parte dei casi (38.3 %) mette fine alla propria esistenza: si tratta, difatti, dei detenuti in attesa di giudizio. Per gli altri, i cosiddetti "definitivi", vi è una sorta di elaborazione del proprio vissuto penitenziario nonché, verosimilmente, una sorta di adattamento all’ambiente stesso. Non a caso, ben il 61% dei suicidi avviene entro il primo anno di detenzione e, contrariamente a quanto accade "fuori", si uccidono soprattutto i giovani tra i 18 ed i 25 anni.

Le motivazioni non sono difficili da comprendere: il giovane, specie al suo primo ingresso in carcere, è assolutamente smarrito, confuso. Oltre all’impatto claustrofobico e alla perdita della libertà, il detenuto deve apprendere velocemente i codici di sopravvivenza, scontrandosi con un mondo fatto di regole, linguaggi, codici di comportamento e sovente anche gerarchie. Per cercare di arginare il problema, sarebbe auspicabile l’esistenza di un presidio carcerario dedito ai cd. nuovi giunti, del quale però a tutt’oggi, nonostante le parole, non vi è traccia in Italia.

Analogo problema è quello dei suicidi "annunciati". Tantissime morti, tra quelle denunciate negli anni scorsi e fino ad oggi, si sarebbero potute evitare attraverso una costante opera di monitoraggio del detenuto stesso, sovente già affetto da patologie psichiatriche ed in cura farmacologica. Il problema dei suicidi all’interno del carcere investe, o almeno dovrebbe investire, l’intera società civile, quella dei "liberi": difatti, un sistema detentivo che non riesce a restituire un individuo rieducato, consapevole della gravità del gesto commesso e orientato ad una sistema di vita lecito, è da considerarsi assolutamente fallimentare.

Non può non considerarsi, difatti, che lo scottante tema del suicidio sia proprio lo specchio del fallimento del sistema carcerario: se la pena venisse scontata in condizioni "normali", senza trattamenti inumani o degradanti, con l’ausilio di tutte quelle strutture (educative, sociali, legali) che dovrebbero farne parte per dettato costituzionale, la stessa società ne trarrebbe giovamento, facendo si che realmente il soggetto detenuto, una volta uscito fuori dal carcere, possa costituire una risorsa e non un grave peso.

Giustizia: da Fincantieri un progetto di "carcere galleggiante"

 

Ansa, 23 febbraio 2010

 

Fincantieri ha ultimato il progetto per la realizzazione delle carceri galleggianti. La notizia è stata diffusa oggi, a Trieste, dal segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari (Sidipe), Enrico Sbriglia. Il modellino della piattaforma - ha detto Sbriglia - sarà presentato venerdì in occasione del convegno nazionale del Sidipe. Il progetto, richiesto alla Fincantieri dal Ministero della Giustizia nell’ambito delle misure che mirano ad affrontare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane, ha una struttura modulare e può essere realizzato in tempi brevi.

La piattaforma che sarà presentata a Trieste ridotta in scala nel plastico, potrà ospitare dai 600 agli 800 detenuti, e la sua realizzazione è stimata in un tempo compreso tra i 12 e i 24 mesi. Anche il costo dell’opera è soggetto alla quantità di ponti, come quelli di una normale nave, che verranno costruiti. La piattaforma è studiata per essere ancorata alle banchine di una zona portuale, e, dunque, non in mare aperto.

Per il segretario nazionale del Sidipe, Enrico Sbriglia, la soluzione delle carceri galleggianti è alla portata delle nostre capacità tecnologiche. Sbriglia ha sottolineato l’aspetto positivo dei tempi certi di realizzazione, e la possibilità, nelle nuove piattaforme, di poter dare ai detenuti gli spazi di cui hanno diritto, cosa spesso difficile nelle strutture penitenziarie.

"In Italia peraltro - ha aggiunto Sbriglia - c’è una eccessiva utilizzazione dello strumento sanzionatorio dove invece bisognerebbe avere più ragionevolezza. In questo senso - ha affermato - bisogna rivedere le norme del codice di procedura penale. Ma anche - ha aggiunto - pensare ad una nuova architettura penitenziaria che sia dignitosa e poi occorre muoversi nell’ottica di ricercare soluzioni che potrebbero apparire avveniristiche ma che sono alla portata della nostra tecnologia, del nostro know how.

Giustizia: situazione sanitaria delle carceri è di grande pericolo

 

Adnkronos, 23 febbraio 2010

 

"La situazione sanitaria delle carceri in Italia è di grande pericolo. Bisogna intervenire seriamente: fare campagne di profilassi e visite preventive". A mettere in guardia è Aldo Morrone, direttore dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), a margine della visita del primo cittadino di Roma, Gianni Alemanno, all’Inmp-San Gallicano. "Bisognerebbe trovare anche delle pene alternative al carcere - suggerisce Morrone - perché uno dei problemi maggiori è quello del sovraffollamento delle strutture". "Noi lavoriamo nelle carceri - sottolinea - perché è un’altra delle realtà di emarginazione nel nostro Paese. Ci stiamo adoperando anche per far applicare la riforma che prevede il coinvolgimento delle Asl all’interno del carcere. Questo significa fare dei piani di formazione per gli operatori: bisogna prevenire le malattie infettive all’interno di queste strutture, ma soprattutto bisogna evitare che in carcere ci siano bambini".

Lazio: sul Garante dei detenuti, un "inciucio" all’ultima curva 

di Matteo Bartocci

 

Il Manifesto, 23 febbraio 2010

 

Pd e Pdl insieme nel segno del consociativismo. Manca poco più di un mese al voto regionale e alcune caselle evidentemente vanno messe al sicuro prima dell’esito nelle urne. Soprattutto se accontentano i "partitoni" maggiori. È prevista per domani nell’ultima seduta del consiglio regionale del Lazio prima dello scioglimento la nomina del nuovo garante dei detenuti. Un authority indipendente che il Lazio, prima regione in Italia, ha istituito nel 2003. Una funzione importante e particolarmente delicata viste le condizioni critiche delle carceri italiane e romane, basti pensare al "caso Cucchi".

Secondo tutti i pronostici della vigilia, il nuovo garante sarà il "vecchio", cioè Angiolo Marroni. Pd e Pdl avrebbero blindato un accordo per la conferma di Marroni anche perché, quel che è peggio, insieme a lui sarebbero confermati in blocco anche i suoi attuali "coadiutori", entrambi di area Pdl e che poco o nulla hanno etto o fatto in questi anni in materia di carceri.

Alla faccia dell’indipendenza e della competenza, il primo vice di Marroni si chiama Francesco Russo, ed è un generale di divisione dei carabinieri che proprio prima di natale è stato nominato alla guida di IrpiniAmbiente, il gestore unico dei rifiuti ad Avellino, per uscire dall’emergenza campana. L’altro, Candido D’Urso, in cinque anni non ha lasciato traccia alcuna, né pubblica né privata, del suo impegno sul terreno dei diritti umani e del carcere più in generale.

Anche Marroni, 79 anni, ha alle spalle quasi mezzo secolo di vita istituzionale nel Lazio e alla provincia di Roma. È stato eletto per la prima volta a palazzo Valentini prima dello sbarco sulla Luna, nel 1965. Da allora ha avuto diversi incarichi importanti in regione sia in consiglio che in giunta. Un’attività politica intensa proseguita anche dal figlio Umberto, attuale capogruppo del Pd in consiglio comunale. Garante e coadiutori, va da sé, hanno uno stipendio pari alla metà di quello dei consiglieri regionali (quindi circa 6mila euro lordi al mese) e godono di strutture e uffici idonei alla loro attività ispettiva e consultiva in materia di detenzione.

L’accordo Pd-Pdl sembra violare, per di più, la stessa legge regionale che istituisce il garante. L’eventuale conferma del generale Russo dopo la nomina in Irpinia, infatti, apparirebbe illegittima perché la carica di garante e coadiutori "è incompatibile con quella di "amministratore di ente pubblico, azienda pubblica o società a partecipazione pubblica, nonché amministratore di ente, impresa o associazione che riceva, a qualsiasi titolo, sovvenzioni o contributi dalla regione".

L’accelerazione sulle nomine non è sfuggita alla consigliera regionale Anna Pizzo e all’assessore al bilancio uscente di Sinistra e libertà Luigi Nieri, che hanno scritto al presidente dell’assemblea laziale, Bruno Astorre, di non procedere alla nomina nella seduta finale della legislatura. O, almeno, di renderla trasparente ascoltando le ragioni di associazioni prestigiose come Arci, A buon diritto, Caritas e Antigone che hanno proposto alla regione il curriculum di Antonio Marchesi, per molti anni presidente di Amnesty International, esperto del Comitato europeo contro la tortura e professore di diritti umani e diritto internazionale all’università di Teramo e Roma Tre.

Forse per mettere al sicuro la sua conferma, Marroni organizza sempre domani a Roma un evento importante per la campagna elettorale del vicepresidente della giunta Esterino Montino (Pd). Un appuntamento in cui però non si parlerà di galere ma di... sanità.

Brescia: 27enne tunisino s’impicca, è l’ottavo suicidio del 2010

 

Apcom, 23 febbraio 2010

 

Un detenuto di origine tunisina di 27 anni si è suicidato nel carcere Canton Mombello di Brescia, impiccandosi con le lenzuola, lo comunica il segretario generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio Sarno, sottolineando che si tratta dell’ottavo suicidio in cella del 2010, un dato che "impone di trovare soluzioni". Il giovane, pluripregiudicato, ieri pomeriggio intorno alla 15.30 dopo essere rientrato dall’ora d’aria si è suicidato nella propria cella usando le lenzuola in dotazione. L’agente di sorveglianza è subito intervenuto - spiega Sarno - e ha allertato i soccorsi, ma il detenuto è morto sull’ambulanza, durante il trasporto in ospedale.

Si tratta - ricorda il segretario Uil Pa Penitenziari - dell’ottavo suicidio in cella del 2010, l’ultimo il 29 gennaio a Spoleto, è "un triste ritorno alla realtà, che impone di trovare quelle soluzioni che ancora non si intravvedono nonostante la dichiarata buona volontà del Dap e del ministero". "Non può, ne potrà, essere la polizia penitenziaria - sottolinea Sarno - a surrogare i compiti di assistenza psicologica necessaria, sebbene è utile sottolineare come dal 1 gennaio siano ben 19 i tentati suicidi in cella sventati dal personale di sorveglianza".

Uil Pa Penitenziari sollecita quindi "il ministro Alfano e il Capo del Dap Ionta ad organizzare un confronto sull’impiego delle risorse umane e sulla necessità di rammodernare tecnologicamente gli istituti penitenziari". Sarno ad esempio, cita ciò che è accaduto nel carcere di Prato dove per due giorni un completo black-out ha destato grande allarme e preoccupazione, anche per un non efficiente funzionamento del gruppo elettrogeno, "un esempio di come molte strutture necessitino di manutenzione ordinaria e straordinaria".

E il segretario ribadisce come una parte dei fondi stanziati per il piano carceri debba essere impiegato per una grande opera di restauro e recupero delle strutture degradate. Inoltre, aggiunge Sarno, a fronte dei 67mila detenuti, "in attesa delle tanto sospirate 2000 assunzioni straordinarie in polizia penitenziaria, occorre definire un incontro propedeutico al recupero di quelle unità, e sono tante, impiegate in luoghi diversi dagli istituti penitenziari".

Con 67mila detenuti i carichi di lavoro aumentano quotidianamente ma, inversamente, gli organici di "frontiera" continuano ad essere depauperati facendo segnare preoccupanti buchi. Ne consegue che il personale non solo non può garantire i livelli minimi di sicurezza ma nemmeno aspirare al godimento dei propri diritti elementari. Su questo Alfano e Ionta rischiano non solo di perdere la sfide del piano carceri ma persino la loro credibilità".

Brescia: Osservatorio; oltre la denuncia, la ricerca di soluzioni

 

Comunicato stampa, 23 febbraio 2010

 

Il suicidio nel carcere di Brescia di un detenuto tunisino di 27 anni ha riportato l’attenzione sulla drammatica condizione di vita nelle carceri italiane, dove sono stipati più di 66.000 detenuti (negli ultimi due anni sono aumentati di ben 18.000) a fronte di circa 44.000 posti. La situazione della Casa Circondariale di Brescia è emblematica: ha una "capienza regolamentare" di 206 posti, ma i detenuti sono 510, di cui 305 stranieri (dati Dap riferiti al 19 febbraio scorso). Questo significa che ogni detenuto ha a disposizione uno spazio in cella inferiore ai 2 mq, spazio nel quale trascorre 20-22 ore al giorno, durante le quali cerca di dormire, di nutrirsi, di lavarsi… e di non impazzire. Un accatastamento di corpi reso possibile dalla disposizione "a castello" delle brande, fino a 3 o anche 4 piani.

 

L’affollamento delle celle determina un aumento dei suicidi?

 

L’affollamento significa condizioni di vita peggiori: per mancanza di spazi di movimento, di intimità, di igiene e salute, etc., quindi è tra le possibili ragioni della scelta di uccidersi. Va anche detto che il 30% circa dei suicidi avviene mentre il detenuto è da solo, perché in cella di isolamento o perché i compagni sono usciti per "l’ora d’aria".

 

La frequenza dei suicidi tra i detenuti è cambiata nel corso degli anni?

 

Negli ultimi dieci anni (2000-2009) i detenuti suicidi nelle carceri italiane sono stati 568, mentre nel decennio 1960-69 sono stati "soltanto" 100, con una popolazione detenuta che era circa la metà dell’attuale: in termini percentuali, la frequenza dei suicidi è quindi aumentata del 300%.

I motivi di questo aumento sono diversi: 40 anni fa i detenuti erano prevalentemente criminali "professionisti" (che mettevano in conto di poter finire in carcere ed erano preparati a sopportarne i disagi), mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall’emarginazione sociale (immigrati, tossicodipendenti, malati mentali), spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere.

 

Cosa sta facendo l’Amministrazione Penitenziaria?

 

Lo scorso 25 gennaio il DAP ha emanato la Circolare GDAP-0032296-2010 "Emergenza suicidi: istituzione unità di ascolto Polizia Penitenziaria", con la quale dispone che in ogni carcere venga formato un gruppo di 4 - 5 Ufficiali o Sottufficiali di Polizia Penitenziaria, da avviare a un percorso di formazione al termine del quale dovrebbero essere in grado di gestire delle "Unità di ascolto" per la prevenzione dei suicidi. Gli Psicologi Penitenziari e anche alcuni Sindacati della Polizia Penitenziaria hanno vivacemente protestato contro questa decisione, evidenziando da un lato che già ora i poliziotti sono in numero insufficiente ad assolvere le funzioni loro assegnate e dall’altro che si creerebbe una commistione indebita tra professionalità diverse.

Anche il volontariato è stato chiamato a collaborare e, proprio domani, nella sede del DAP di Largo Daga si svolgerà un incontro tra Sebastiano Ardita (Direzione generale dei detenuti e del trattamento) e una rappresentanza delle Associazioni, con in agenda l’avvio di un monitoraggio nazionale delle iniziative di prevenzione dei suicidi messe finora in atto dai singoli Istituti di pena.

 

Quali prospettive?

 

Il primo obiettivo rimane la riduzione dell’affollamento delle celle, che consentirebbe un miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e, con ogni probabilità, una diminuzione dei suicidi. Non può essere conseguito affidandosi unicamente al programma di edilizia penitenziaria: se i detenuti continuano ad aumentare con questi ritmi (18.000 in più negli ultimi due anni) il rischio è che dopo aver speso 1 miliardo e mezzo di euro e creato 20.000 nuovi posti ci si ritrovi al punto di partenza. Per questo è importante puntare sulle misure contenute nella bozza del Disegno di legge "Alfano" sulla detenzione domiciliare nell’ultimo anno di pena e la "messa in prova" per chi ha commesso reati punibili fino a tre anni.

Sulle iniziative per la prevenzione "diretta" dei suicidi serve chiarezza: non si possono ottenere risultati a "costo zero". 

In Italia esiste da più di 20 anni la cosiddetta "Circolare Conso", che prevede la creazione dei "Presidi Nuovi Giunti" per dare un immediato supporto ai detenuti all’ingresso in carcere (il 25% dei suicidi avviene, infatti, nei primissimi giorni di detenzione). Ma di questi "Presidi", a tutt’oggi, ne sono attivi pochi, perché mancano gli psicologi per farli funzionare.

Non si può certo chiedere agli agenti di sopperire alla mancanza di psicologi delegandoli a fare "prognosi" sul rischio che una persona si suicidi. È possibile, invece, investire maggiormente nella formazione della Polizia Penitenziaria (di tutti, non solo di 4-5 operatori ogni istituto) sul versante della relazione e della comunicazione con i detenuti.

 

Osservatorio permanente sulle morti in carcere

Viterbo: banche discriminano detenuto il Garante scrive all’Abi

 

Agi, 23 febbraio 2010

 

L’uomo, un detenuto rom di origine italiana, deve incassare in risarcimento danni di oltre 400.000 euro dall’Ater ma non può avere i soldi perché per le banche è un cliente indesiderato e non può aprire un conto corrente.

Un caso "gravissimo" di discriminazione, di cui si è avuta notizia nei giorni scorsi e che ora viene denunciato dal garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni in una lettera inviata al presidente dell’Associazione banche italiane (Abi), Corrado Faissola.

Il caso segnalato dal garante riguarda un detenuto nel carcere di Viterbo per reati contro il patrimonio, che ha ottenuto dal tribunale il risarcimento danni perché 8 anni fa, a causa delle condizioni in cui versava lo stabile in cui abitava, cadde nella tromba dell’ascensore riportando numerose lesioni. L’uomo, che uscirà dal carcere entro la fine di quest’anno, non può però incassare il risarcimento perché detenuto. Per mesi il suo avvocato ha interpellato le filiali di diverse banche. Ma tutte, anche per iscritto come Unicredit, hanno fatto capire che si trattava di un cliente "indesiderato" rifiutando l’apertura del conto.

"Al di là della sua attuale condizione di persona privata della libertà personale - ha scritto Marroni a Faissola - quest’uomo ha subito un grave danno cui, oggi, se ne aggiunge un secondo: quello di non poter incassare il risarcimento accordatogli. Io credo che, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, ognuno dovrebbe essere pronto a fare la propria parte. Anche le banche, che hanno il potere di aprire quei ‘rubinetti economici’ che possono dare ossigeno a tante famiglie altrimenti senza speranza. In questo caso, invece, le banche, si sono comportate in maniera opposta abbandonandosi ad un comportamento miope, discriminatorio e assolutamente in contrasto con ogni norma di carattere etico e comportamentale.

Per questo spero in un suo autorevole intervento che possa consentire a quest’uomo di entrare in possesso di quanto legittimamente suo, concedendogli una nuova opportunità di tornare a far parte della nostra società".

Firenze: il Garante dei detenuti presenta relazione in Comune

 

Comune di Firenze, 23 febbraio 2010

 

Da qualche tempo - ha spiegato la responsabile delle politiche sociosanitarie - anche la salute dei detenuti è diventata di competenza del territorio. "Per l’Amministrazione comunale il carcere di Sollicciano è a pieno titolo parte del territorio di Firenze. Quindi non solo possiamo ma dobbiamo intervenire su questo tema perché le persone presenti in carcere sono sul nostro territorio e ne fanno parte".

È quanto ha sottolineato l’assessore alle politiche sociosanitarie Stefania Saccardi durante il dibattito a seguito della presentazione della relazione del garante dei detenuti Franco Corleone. "L’Amministrazione sta portando avanti da tempo molti progetti all’interno del carcere di Sollicciano grazie alla collaborazione delle associazioni: si tratta di progetti tesi alla formazione, socializzazione e reinserimento. Da qualche tempo - ha spiegato la responsabile delle politiche sociosanitarie - anche la salute dei detenuti è diventata di competenza del territorio.

E su questo aspetto abbiamo sperimentato alcuni interventi anche attraverso la società della salute, altri ne faremo insieme all’Azienda sanitaria, sia sotto il profilo diagnostico sia sulla creazione di un piccolo reparto ospedaliero all’interno del carcere. Questo consentirebbe da un lato di risparmiare i soldi e di ridurre i problemi legati ai trasferimenti dall’altro di garantire una maggiore efficienza della cura e della diagnosi dei detenuti. Sì perché quando si interviene su un paziente in carcere l’aspetto della custodia di solito prevale sui bisogni: chi è chiuso in carcere è prima di tutto un detenuto e poi una persona con tutto quello che consegue sotto il profilo degli interventi anche a tutela della salute. Lo stesso garante dei detenuti ha evidenziato nella sua relazione, che la possibilità di un medico di arrivare a un paziente in carcere spesso dipende dalla disponibilità delle guardie penitenziarie e non dalle condizioni di salute della persona".

"Si tratta di problematiche serie e delicate che riguardano una realtà come quella del carcere che, ovviamente, ha una funzione importante, ovvero garantire la sicurezza sociale del territorio. Il problema - ha sottolineato ancora l’assessore - è che nei penitenziari che afferiscono al territorio di Firenze la tipologia dei detenuti è particolare: è infatti caratterizzata da alto numero di tossicodipendenti, rom e comunque soggetti a forte possibilità di reintegrazione e recupero sociale. Come Amministrazione siamo pronti a fare la nostra parte, a giocare, insieme alle altre istituzioni, la partita del reinserimento nella società dei detenuti e degli ex detenuti.

Ma questo è possibile soltanto se anche il governo fa uno sforzo in questa direzione, un impegno economico perché le risorse a nostra disposizione sono limitate. Una parola infine sulla proposta dell’asilo nido all’interno del carcere di Sollicciano. Come Amministrazione stiamo lavorando insieme alla Regione Toscana a un progetto che prevede la realizzazione di una struttura a custodia attenuata per le madri con bambini in un edificio della Madonnina del Grappa. Un progetto che consentirà alla madri di stare con i loro figli in un luogo più appropriato del carcere e che spero sia realizzato a breve" ha concluso l’assessore.

Piacenza: Sindaco; da Alfano risposte scarse, serve confronto

 

Il Piacenza, 23 febbraio 2010

 

Il sindaco Reggi scrive al ministro di Giustizia Alfano per segnalare le "gravissime insufficienze" della casa circondariale di Piacenza. Sulla costruzione di un nuovo padiglione, però, "le rassicurazioni sulla vivibilità e le condizioni della polizia penitenziaria sono insufficienti". Chiesto un "tavolo di confronto stabile".

Il sindaco Roberto Reggi ha inviato, nelle settimane scorse, una nota al ministro della Giustizia Angelino Alfano, nella quale chiedeva se il progetto di ampliamento della casa circondariale di Piacenza tenesse conto e prevedesse la pronta risoluzione dei problemi che da anni affliggono la struttura carceraria delle Novate, la cui situazione è da sempre all’attenzione dell’amministrazione comunale.

In particolare, il sindaco aggiungeva che "l’attuale struttura presenta gravissime insufficienze (tra le altre, ulteriormente peggiorate in tempi recenti, infiltrazioni d’acqua con conseguente inagibilità di alcune celle, diffusi malfunzionamenti dell’impianto idraulico e di riscaldamento), le quali impongono di individuare con assoluta urgenza una soluzione tecnico-manutentiva idonea a garantire un ambiente decoroso e vivibile a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, frequentino il carcere". Inoltre, il primo cittadino elencava "le difficoltà di bilancio, la carenza di personale di vigilanza ed il sovraffollamento, determinato da una forte presenza di detenuti, che rappresentano così le cause di fondo del disagio in cui vive la popolazione carceraria, gli agenti di polizia penitenziaria e il personale direttivo".

A questo proposito, Reggi auspicava che la realizzazione del nuovo padiglione potesse incidere sensibilmente sulla condizione di vita detentiva con diminuzione del sovraffollamento e, al tempo stesso, costituire "un’opportunità per un riallineamento degli organici della Polizia Penitenziaria", aggiungendo inoltre la necessità che il progetto di istituzione del reparto di osservazione psichiatrica, già oggetto di uno specifico incontro con il ministro, potesse trovare gli spazi adeguati grazie all’ampliamento della struttura.

La risposta del Guardasigilli, tuttavia, "non dà le necessarie rassicurazioni né sulle condizioni di vivibilità del personale di custodia e dei detenuti, né sull’incremento del personale, né sulle caratteristiche strutturali del nuovo padiglione, che potrebbe avere ricadute significative in termini di impatto ambientale". Reggi, nel rimarcare che il problema non è solo di Piacenza, ma di tante città italiane, porta quindi a un livello superiore le problematiche già evidenziate nella sua lettera al ministero, condividendo l’iniziativa del presidente dell’Anci Sergio Chiamparino, che ha richiesto "una sede stabile di confronto, sul tema, tra governo e associazione dei Comuni. Da tempo, infatti, i sindaci sono chiamati ad affrontare una situazione di emergenza sul fronte delle strutture carcerarie ospitate nel proprio territorio di riferimento".

"Occorre - ribadisce il sindaco di Piacenza, vicepresidente Anci - che tutti i soggetti istituzionali, dalle amministrazioni comunali alle Regioni, siano coinvolti in un confronto costruttivo sul tema, affinché le azioni già intraprese in ambito locale non si disperdano. È quanto chiederà Chiamparino nel confronto stabile con il ministro Alfano".

Bari: medico aggredito in carcere, Fimmg chiede più sicurezza

 

Agi, 23 febbraio 2010

 

Nel carcere di Bari è avvenuta un’aggressione ai danni di un medico specialista dermatologo, chiamato a visitare un detenuto che era in isolamento presso l’infermeria per una sospetta patologia infettiva. Lo ha denunciato la Federazione dei Medici di Famiglia Puglia, che reso noto che, durante la visita, il detenuto ha aggredito il medico con pugni al volto, rendendo necessario l’intervento dei sanitari del Pronto Soccorso. "La carenza di personale nelle carceri pugliesi, ormai cronica, ed il mancato rispetto dei regolamenti hanno causato l’abbassamento del livello di sicurezza che dovrebbe essere garantito ai medici che operano in situazioni veramente difficili", ha dichiarato Filippo Anelli, segretario Regionale Generale della Fimmg Puglia.

"L’assistenza sanitaria nel sistema penitenziario sta attraversando una fase di transizione che non può giustificare l’abbassamento della guardia anche perché i medici impegnati garantiscono il funzionamento dell’assistenza in condizioni di estrema precarietà e solo con grandissima abnegazione".

Nell’esprimere la solidarietà al medico aggredito, la Fimmg denuncia lo stato di pericolo in cui operano i medici nelle carceri pugliesi, costretti a svolgere la loro professione senza un’adeguata presenza del personale di sorveglianza. "Abbiamo chiesto di conoscere in dettaglio le circostanze che hanno consentito il verificarsi dell’aggressione, le eventuali responsabilità e sopratutto tutte le iniziative adottate dalla Direzione dell’Istituto di Pena per ripristinare la sicurezza", ha continuato Anelli. "All’assessore chiediamo, inoltre, che siano convocate le OO.SS. al fine di adottare tutte le misure idonee a salvaguardare la sicurezza dell’esercizio della professione medica nelle carceri pugliesi".

Cremona: scuola edile; conclusi corsi formazione per detenuti

 

Asca, 23 febbraio 2010

 

Si concludono con la consegna degli attestati ai detenuti i corsi di formazione professionale svolti presso la Casa Circondariale di Cremona dalla Scuola Edile Cremonese (Manutenzione Edile - Durata 144 ore) e da CR Forma (Produzione Miele - Durata 80 ore - Manutenzione idraulica - Durata 100 ore - Assemblaggio materiale elettrico, elettronico e meccanico - Durata 100 ore) tutti finanziati dalla Regione Lombardia.

I corsi, resi possibili dalla stretta collaborazione fra la Direttrice della Casa Circondariale di Cremona dott.ssa Ornella Bellezza, la Scuola Edile Cremonese e CR.Forma sono considerati una esperienza formativa di eccellenza perché la progettazione e l’erogazione hanno favorito l’attività pratica in "situazione reale" consentendo ai detenuti di "imparare il mestiere" operando nell’ala delle stanze destinate agli agenti di custodia.

I corsi hanno infatti permesso attraverso l’attività pratica di ristrutturare numerosi bagni e aree comuni dell’ala destinata agli agenti di custodia. Si è così creata una situazione virtuosa dal punto di vista formativo poiché il "compito reale" ha consentito di non scindere i concetti insegnati da una visione operativa legata ad un prodotto utilizzato da un soggetto terzo.

È pertanto con grande piacere che la Direttrice della Casa Circondariale Ornella Bellezza e i rappresentanti degli enti di formazione Scuola Edile Cremonese (Presidente Laura Secchi, Vicepresidente Enrico Samarini e Direttore Mauro Rivolta) e CF Forma (Vicepresidente Silvestro Caira e Direttore Generale Paola Brugnoli) consegnano oggi gli attestati di competenza agli allievi detenuti.

CR.Forma persegue scopi di interesse pubblico senza fini di lucro ed è ente strumentale della Provincia di Cremona per la quale gestisce i servizi pubblici locali di formazione professionale È una realtà importante e leader nel settore della formazione professionale nel territorio provinciale e ha maturato una pluriennale e consolidata esperienza nella formazione dei detenuti presso la Casa Circondariale di Cremona fin dal 1978.

La Scuola Edile Cremonese è l’ente paritetico di emanazione contrattuale del settore edile (organizzazione delle imprese Ance Cremona e organizzazioni sindacali Feneal Uil, Filca Cisl, Fillea Cgil) con compiti di interesse pubblico i cui obiettivi sono: offrire al settore edile azioni di orientamento, formazione ed aggiornamento professionale; favorire l’approccio fra domanda e offerta di lavoro in edilizia.

La sinergia realizzatasi con questa iniziativa dimostra ancora una volta come sia possibile garantire ai detenuti ristretti negli istituti di pena una migliore inclusione socio - lavorativa attraverso iniziative di valorizzazione del capitale umano e di supporto alle fasce più deboli che hanno maggiori difficoltà di accesso, reinserimento ed integrazione nel mercato del lavoro e nel tessuto sociale.

Genova: Sappe; carcere di Chiavari, situazione è molto critica

 

www.savonanews.it, 23 febbraio 2010

 

Novantanove detenuti presenti per settantotto posti di capienza (46 stranieri, 38 imputati e 61 definitivi), talvolta costretti a dormire persino sul pavimento delle celle. Quarantuno Agenti di Polizia Penitenziaria in forza rispetto ai sessanta previsti in organico, con turni di servizio molto pesanti che arrivano anche ad essere di 12 ore consecutive. Attività trattamentali superiori alle possibilità strutturali e alle reali risorse umane. Un direttore part-time, spesso assente, che dirige contemporaneamente anche il carcere genovese di Pontedecimo, con molte analoghe criticità.

Questi i numeri impietosi che fotografano le grandi problematiche del carcere di Chiavari rispetto alle quali il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, ha chiesto oggi un urgente intervento del Ministro della Giustizia Angelino Alfano e del Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta.

Nella nota, il segretario generale del Sappe Donato Capece scrive: "Questa Segreteria Generale rappresenta, per l’adozione di urgenti provvedimenti, le criticità che si registrano nella Casa Circondariale di Chiavari, in particolare per quanto concerne la grave carenza di personale di Polizia Penitenziaria. Alla data del 31 gennaio scorso erano presenti nel carcere circa 100 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 78 posti, con una percentuale di detenuti stranieri pari al 48%.

Ad un organico di Polizia Penitenziaria previsto 60 unità, ne sono effettivamente in forza 41 e questa pesante carenza di poliziotti si ripercuote inevitabilmente sulle condizioni di lavoro delle unità effettivamente presenti e sulla sicurezza della stessa struttura carceraria.

Il sistematico ricorso al lavoro straordinario per garantire i servizi essenziali sono l’ennesima conferma della rabbia e della delusione, della frustrazione e della demotivazione che alberga negli animi dei poliziotti costretti di fatto a non riuscire più a programmarsi una vita privata.

Nulla è stato fatto per rendere accettabili, o quanto meno sopportabili, i carichi e le condizioni di lavoro, nonostante le reiterate sollecitazioni e denunzie di questa Sigla sindacale. Niente sul fronte del personale e delle risorse.

Niente di incisivo e tangibile per incidere sensibilmente sull’alto numero dei detenuti presenti, stipati in scomodi letti a castello o addirittura sul pavimento che non rendono dignitose le condizioni di detenzione e, inevitabilmente, possono determinare aggressività nei rapporti con il Personale di Polizia impegnato 24 ore su 24 nelle sezioni detentive.

Si aggiunga che da diversi mesi l’Istituto è senza Direttore effettivo, poiché il Titolare (sulla carta) del carcere di Chiavari deve occuparsi della Casa Circondariale di Pontedecimo, altro istituto con pesanti criticità. E questo è davvero singolare e sconcertante, se si pensa che a fronte di ben 561 Dirigenti penitenziari complessivamente presenti in Italia vi sono ancora alcuni delle 206 carceri italiane senza Direttore.

Le attività trattamentali che vengono svolte all’interno dell’istituto di Chiavari risultano superiori alle possibilità strutturali e alle reali risorse umane, considerato l’esiguo numero di agenti presenti, ormai stanchi e demotivati anche dal fatto che quotidianamente sono a rischio i congedi ed i riposi degli stessi che in più di un’occasione hanno dovuto svolgere turni di 12 ore consecutive con riposi settimanali già revocati, a seguito di ulteriori malattie.

Rispetto a quanto rappresentato, si auspica l’adozione di urgenti provvedimenti finalizzati a sopperire alle palesi carenze organiche del Personale di Polizia Penitenziaria di Chiavari ed a migliorarne le condizioni di lavoro, anche provvedendo all’assegnazione di un nuovo Direttore titolare".

Orgosolo: familiari detenuto 68enne, da un mese senza notizie

 

Agi, 23 febbraio 2010

 

"Siamo molto preoccupati perché in 26 anni di detenzione non c’è mai stato un così prolungato silenzio. Chiediamo notizie del nostro congiunto ma dal carcere non è dato sapere alcunché. Temiamo per la sua vita considerate le gravi patologie che lo affliggono". È l’appello che i familiari di Francesco Catgiu, 68 anni, di Orgosolo, detenuto nel carcere di Secondigliano verso Scampia, hanno rivolto all’associazione "Socialismo Diritti Riforme" manifestando preoccupazione per le condizioni del loro congiunto ricoverato dal 16 ottobre 2008 nel Centro Diagnostico Terapeutico dell’Istituto di Pena.

"Francesco - ha detto l’anziana cugina Maria Giuseppa Mesina - non ha mai mancato l’appuntamento telefonico, anche nei momenti di maggiore difficoltà. È una persona dal carattere difficile, ma con me e i miei figli ha sempre mantenuto un costante rapporto. Le precarie condizioni di salute in cui si trova però non ci consentono di stare tranquilli. Ecco perché chiediamo il vostro aiuto".

"Accogliendo l’allarme dei familiari - sottolinea la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris che in più occasioni si è occupata di Catgiu sollecitando il suo trasferimento in un carcere dell’isola - abbiamo cercato inutilmente di avere notizie sulla situazione del detenuto sia attraverso la Direzione medica di Secondigliano sia attraverso il Cappellano del carcere. Dopo aver scritto al detenuto senza avere risposta, abbiamo interessato l’avvocato Herica Dessì, da alcuni mesi difensore di fiducia, che ha immediatamente rivolto formale istanza alla Direzione dell’Istituto di Pena campano ma, fino ad oggi, non c’è stato riscontro.

Anche il successivo sollecito è rimasto senza esito. Abbiamo tentato di inviare un fax alla Direzione, ma entrambi i numeri che ci sono stati forniti sono bloccati, ed è impossibile mettersi in contatto telefonico con il direttore. Una situazione che lascia sconcertati e conferma l’urgenza di restituire i cittadini detenuti al luogo in cui hanno i familiari, specialmente quando, come nel caso di Francesco Catgiu hanno gravi problemi di salute e hanno scontato 26 anni di pena senza usufruire di alcuno sconto".

Affetto dal morbo di Parkinson, da una forma di paraplegia che lo costringe a muoversi con le stampelle, dalla psoriasi, da gravi disturbi claustrofobici e da una artrosi progressiva che gli blocca un braccio, Francesco Catgiu, arrestato il 5 marzo 1984, è stato condannato a 30 anni per concorso nel sequestro del dirigente industriale Leone Concato rapito il 27 maggio del 1977. Nonostante si sia sempre proclamato innocente, è stato incastrato da un pentito, Salvatore Contini, poi ammazzato in carcere ad Ajaccio.

Immigrazione: 40 migranti di Rosarno, rinchiusi nel Cie di Bari

 

Ansa, 23 febbraio 2010

 

"Abbiamo chiesto al ministro Maroni che per i migranti di Rosarno presenti nel Cie di Bari fosse riservato lo stesso trattamento dato ai feriti ricoverati negli ospedali: per motivi umanitari e di giustizia, visto che hanno subito violenza anche loro, credo sia giusto riconoscere il diritto di asilo". Lo ha detto oggi a Bari mons. Pino De Masi, vicario generale della Diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, incontrando i giornalisti nella parrocchia di San Marcello dove stasera, alle 20, si terrà un dibattito sul tema "Quale sorte per i migranti di Rosarno?". Il caso dei 40 (circa) detenuti nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Bari.

"Il problema dei migranti - ha aggiunto mons. De Masi - è molto vasto perché in Italia è stato letto e vissuto da molta parte delle istituzioni solo come un problema di ordine pubblico. Credo invece che sia un fenomeno che vada visto in termini di legalità, solidarietà e di accoglienza. Sul territorio di Rosarno sono rimasti segni: la gente - secondo mons. De Masi - ha preso coscienza che la situazione era stata voluta soprattutto dalla ‘ndrangheta. È un territorio difficile, in cui lo stato ha abdicato il controllo e credo che in quei momenti la gente abbia avuto paura della ‘ndrangheta".

Corea Sud: inaugurato il primo "carcere di lusso" per stranieri

 

Ansa, 23 febbraio 2010

 

La Corea del Sud apre il primo carcere al mondo per detenuti stranieri che presenta più i caratteri di un residence con tutti i comfort, piuttosto che quelli di un luogo di detenzione. Agenti di polizia penitenziaria poliglotta, cibo occidentale e programmi Tv satellitare internazionale in quattro lingue: inglese, cinese, russo e arabo. In più, in piani di formazione professionale e conferenze sulla cultura coreana.

L’innovativa struttura del Cheonan Correctional Institution per cittadini stranieri di Cheonan, nella provincia meridionale di Chungcheong, a circa 90 chilometri da Seul, è stata presentata come la prima iniziativa del suo genere a livello mondiale, con una capacità massima di 1.230 detenuti e, per il ministero della Giustizia, ha l’obiettivo di trattare i detenuti in modo più umanitario, rispettando le diverse culture. E, soprattutto, seguendo una concezione moderna del carattere "correttivo della pena". Nel corso della cerimonia d’apertura, alla quale hanno preso parte anche diplomatici stranieri in Corea del Sud, il ministro della Giustizia, Lee Kwi-nam, ha promesso di trattare i detenuti stranieri nel carcere di Cheonan in modo umanitario, a prescindere da lingua, cultura o religione.

"In linea con l’espansione costante dei rapporti interpersonali di carattere internazionale, il governo coreano ha deciso di realizzare una nuova prigione per stranieri", ha detto Lee nel suo discorso. "Anche se le loro lingue, le tradizioni, la cultura e le religioni sono diverse, li tratteremo su base del massimo rispetto e per motivi umanitari. Spero che questo consenta la possibilità di migliorare i servizi correzionali, non solo in Corea del Sud, ma anche in altri Paesi".

L’istituto, un vecchio carcere per minori completamente ristrutturato, inizierà a ospitare 854 detenuti, tra cui 591 stranieri provenienti da 27 nazioni e 263 sudcoreani, che avranno - tra l’altro, riferisce l’agenzia Yonhap - il compito delle pulizie. Il numero di detenuti stranieri attualmente nelle carceri della Corea del Sud è, secondo i dati del ministero, più che raddoppiato negli ultimi quattro anni, a quota 1.500 unità, provenienti da 42 nazioni.

 

 

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